DALL'ATOMO AL BIT:
Come e perchè di un mutamento socioculturale e filosofico
A cura di: Mario Della Penna
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I Lezione

LA CRISI DELLA CIVILTA' OCCIDENTALE
dal reale al virtuale: i segnali di una crisi

 

Oggi in pieno trionfo dei mercati finanziari, con spettacolari performance di borsa dei titoli legati soprattutto al mondo informatico, in un clima di generale ottimismo nel sentirsi parte di un "villaggio globale" quali ragioni possono giustificare la lettura di alcuni autori, definiti "catastrofisti", di pensatori della cosiddetta "crisi della civiltà", o nella migliore delle ipotesi dei cosiddetti "filosofi della vita"?

Viviamo in una società che tende sempre più a standardizzare e ad omologare le coscienze e le scelte di vita di ognuno di noi al solo fine economico.

In un clima di torpore generale, legato a questo apparente stato di benessere, c'è bisogno che qualcuno, di tanto in tanto, ci svegli, e ci ricordi che l'essenza del nostro vivere non può ridursi ad una semplice valoristica economica. I recenti episodi di Seattle e Davos ne sono una riprova.

Inizieremo il nostro viaggio a ritroso, partendo dall'argomento oggi più al centro di discussione, ovverosia, il mondo globalizzato della moderna comunicazione di massa, legato alla diffusione di Internet.

Nel mondo contemporaneo stiamo assistendo ad una dematerializzazione della realtà; l'attenzione dell'uomo è distolta dal mondo naturale, per concentrarsi interamente su quello che vede attraverso i monitor di un personal computer.

La nuova comunicazione è diventata un valore assoluto, un obiettivo in sè. Per dirla con Jean Baudrillard: il virtuale ha assorbito il reale.

Iniziamo il nostro viaggio attraverso le parole di uno dei maggiori esponenti mondiali di comunicazione digitale, il professor Nicholas Negroponte, il guru del MIT (Massachusetts Institute of Tecnology) di Boston, il quale dice:

"L'e-mail sarà il medium dominante delle comunicazioni interpersonali del prossimo millennio".

Negroponte è convinto che Internet rappresenti un cambiamento forse ancora più radicale dell'invenzione della stampa. Spiega inoltre che "essere digitali" significa vivere nel mondo etereo e globale dei bit. Questo fenomeno avrà, con il tempo, un effetto di armonizzazione e unione su tutte le generazioni e le genti del mondo.

L'ordine e il funzionamento di Internet sono basati sul comportamento autonomo degli individui, e non su un'autorità centrale. Questo cambierà ad esempio il modo di concepire la politica. Si svilupperanno i due estremi: la globalizzazione e alcune forme nuove di localismo.

Alla domanda se le grandi multinazionali approfitteranno dell'uso di Internet e domineranno il mondo, Negroponte risponde no. Spiega che, il termine "multinazionale" prima si riferiva sempre a una grande azienda, ora può anche trattarsi di una piccola impresa di due o tre addetti che, grazie ad Internet, può trasformarsi in azienda multinazionale.

Il modo migliore per apprezzare i vantaggi e le conseguenze dell'essere digitale è di riflettere sulla differenza tra bit e atomi. Quotidiani, riviste e libri sono atomi, come lo sono la maggioranza delle cose con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Questi atomi hanno un peso, un ingombro. Hanno bisogno di energia, ossia di altri atomi, per essere trasportati da un posto all'altro.

Vivere nell'era digitale significa invece una sempre minore dipendenza dall'essere in un determinato posto a un dato momento.

Invece di andare a lavorare guidando i nostri atomi attraverso la città possiamo collegarci con l'ufficio ed esercitare il nostro lavoro con mezzi elettronici. Cambia così anche il concetto di posto di lavoro. Molte attività dei cosiddetti lavoratori della conoscenza non sono legati allo spazio e al tempo, e potranno presto essere svincolate dalla geografia.

Il concetto di posto e di non posto porta l'attenzione sul concetto generale di appartenenza. Se sarà possibile vivere e lavorare in uno o più posti, il concetto di "indirizzo" assumerà un nuovo significato. Queste nuove possibilità rimetteranno in discussione anche il concetto di nazionalità.

Potendo vivere e lavorare in ogni luogo a quale modello di Stato dovremmo sottostare? A quali regolamenti? Come cambierà ad esempio il concetto di governo o di polizia o quella di fisco? Quale sarà la nostra identità culturale? Cosa dovrà intendersi per diverso? Sono solo alcune delle domande che viene spontaneo porsi di fronte ai nuovi mutamenti.

Tutte le tecnologie comportano dei rischi e delle opportunità. Molti vedono nella comunicazione elettronica e la connessione in rete un rafforzamento della dimensione sia locale che globale. E' il parere ad esempio di Silvano Tagliagambe, ordinario di filosofia della scienza, il quale parla di glo-calizzazione.

Da una parte, c'è la proiezione nello spazio della globalizzazione, in quanto le reti permettono il contatto con qualunque angolo del mondo, in tempo reale, azzerando il valore della distanza. Dall'altra - il caso del telelavoro e della teledidattica è rappresentativo - rafforzano l'importanza dei contenuti minimi.

Alla domanda qual'è la metafora che potrebbe riassumere il significato della rete, Tagliagambe risponde:

"La rete è una metafora autoesplicativa. Con l'immissione di queste nuove tecnologie è cambiato anche il paradigma esplicativo della conoscenza. Dal paradigma ad albero, fondato sull'idea di radice, e quindi di base, di fondamento, che poi si sviluppava in verticale, si è arrivati al paradigma a rete attraverso cui la conoscenza si profonde. Oggi la metafora esplicativa della conoscenza è la rete, in cui non esiste una base, non esiste un centro, ma in cui importanti sono certamente i nodi e ancor più importanti sono le maglie, i link, le interconnessioni tra questi nodi. La rete è diventata una nuova metafora esplicativa del proprio sapere, sostituendo la metafora dell'albero".

Le nuove tecnologie modificano dunque in modo sostanziale il rapporto tra spazio e tempo, e oggi prevale l'estensione spaziale rispetto alla selettività temporale. In linguaggio tecnico potremmo dire che si tratta della rivincita del sincrono sul diacronico. Le nostre percezioni cambiano poiché l'informazione non viene dall'esterno, ma siamo immersi in essa con tutti i nostri sensi.

La creazione di spazi virtuali può sostituire quelli reali d'incontro tra le persone proprio oggi che vengono a mancare sempre più i tradizionali luoghi d'incontro, come la piazza, molto importanti per lo scambio inter-individuale.

Nella dimensione virtuale non c'è più né soggetto né oggetto, ma entrambi diventano elementi interattivi.

Nel mondo virtuale, gli individui sono trasparenti, non hanno più peso, e sono smaterializzarti e senza "ombra". Dice Jean Baudrillard:

"Attraverso i media si perde il principio di realtà, diventa impossibile distinguere fra ciò che è vero e ciò che è falso".

La realtà sembra quindi scomparire in un generico non-luogo. Mentre fino ad oggi da una parte c'era il mondo reale e dall'altra l'irrealtà, l'immaginario, il sogno, nella dimensione virtuale tutto questo è assorbito in egual misura, tutto quanto è iper-realizzato. Possiamo dire che tutto ciò che esisteva nel reale si situava all'interno di un universo differenziato, mentre quello virtuale è un universo integrato. Per descrivere questo stato di cose, Baudrillard descrive il mito della caverna di Platone come chiave di interpretazione del conflitto fra reale e virtuale. Ci sono ombre che si muovono in circolo e noi non siamo che il riflesso di un'altra sorgente, che esiste altrove. Nel mondo virtuale non esistono ombre giacché l'essere è trasparente.

"La nostra è tipicamente l'epoca dell'uomo che ha perduto l'ombra (...). Al contempo si è perduto anche il significato che l'ombra aveva un tempo, vale a dire la negatività, la morte. Ci troviamo dentro a un sistema che si prefigge di eliminare la morte, nel quale non ci dovrà più essere nulla di negativo, come la fine dell'esistenza e l'ombra. Un sistema totalmente operativo e positivo al cui interno noi saremo tutti trasparenti, comunicativi, interattivi".

Si celebra così l'uccisione della realtà e più ancora delle illusioni. Si tratta di un'illusione vitale di nietzscheana memoria. Nietzsche affermando che "Dio è morto" sostanzialmente intendeva identificare con tale uccisione una rivoluzione positiva, mentre nel nostro caso non abbiamo a che fare con un omicidio, ma con una eliminazione, una scomparsa, un annullamento, cosa alquanto più grave. Il rituale di questa sparizione avviene nel silenzio. Scrive Albert Camus:

"Nei tempi antichi, il sangue dell'omicidio provocava almeno un orrore sacro: santificava così il prezzo della vita. La vera condanna di quest'epoca sta al contrario nel far pensare che non sia abbastanza cruenta. Il sangue non è più visibile: non inzacchera con sufficiente veemenza il viso dei nostri farisei. Ecco l'estremo del nichilismo". E più avanti continua: "Il nichilismo confonde nello stesso furore creatore e creature. Sopprimendo ogni principio di speranza, respinge ogni limite e, nell'accecamento di un'indignazione che non scorge più nemmeno le proprie ragioni, finisce col giudicare che sia indifferente uccidere quanto è già destinato alla morte."

Dietro questo simulacro contemporaneo della morte, torna a riecheggiare quel tramonto dell'Occidente tanto celebrato lungo tutto il Novecento. E' un tramonto che esprime un destino a cui non ci si può sottrarre. Il destino dell'Occidente coinvolge nel suo andare verso il buio la filosofia, sua fedele compagna nei secoli. L'Occidente è la terra che ha ospitato l'oblio dell'essere; il nichilismo quindi ne rappresenta la sorte, il tramonto, il destino. Nietzsche è il primo a cogliere l'anima nichilistica della metafisica. Zarathusta è il profeta e il testimone del più disperato nichilismo che prelude l'esperienza decisiva di una metamorfosi, di una rinascita dopo la malattia e la disperazione. Dopo la morte della metafisica e del cristianesimo, muore anche la scienza e la tecnica dove l'uomo ha cercato un vano rifugio. Scrive a tal proposito Umberto Galimberti:

"Il nichilismo si annida propria là dove l'uomo pensa di averlo definitivamente bandito, si annida nel possesso delle cose oggettivate dalla scienza e utilizzate dalla tecnica".

Connesso alla percezione del tramonto è il concetto di "fine della storia". Dal rispetto del passato noi ci siamo straniati. Oggi siamo entrati nella post-historie, terminologia introdotta da Arnold Gehlen con cui egli indica la condizione in cui il progresso diventa routine. Si denuncia una specie di immobilità di fondo che colpisce paradossalmente il mondo tecnico. Come detto, quando ogni esperienza della realtà si riduce a un'esperienza di immagini che si percepisce nel silenzio ovattato in cui lavorano i computer, alla perdita del senso della materialità e quindi della corporeità, si associa quella dell'atrofizzazione della mente e quindi dell'anima, non più in grado di reagire ai numerosi stimoli visivi della macchina informatica. Risuonano chiare le parole di Francesco Iengo a tal proposito:

"La macchina meccanica diventa concorrenziale al corpo in quanto cosa che si muove, mentre l'attuale macchina informatica, in quanto cosa che pensa, lo diventa addirittura della "mente".

Il prodotto tecnologico nasce con il solo scopo di alimentare quel circolo vizioso fatto di produzione-consumo-obsolescenza e ri-produzione, e non per venire incontro alle reali esigenze dell'uomo. Di questa deviazione si accorge Joan Huizinga il quale dice:

"Un macchinario spinto all'estrema perfezione e specializzazione genera giornalmente prodotti ed effetti che nessuno desidera, che non si utilizzano, che ognuno teme, molti disprezzano come indegni, insensati, inutilizzabili. (...) La sproporzione tra le perfette fabbriche e la possibilità di impiegarle utilmente, la sovrapproduzione di fianco alla miseria e alla disoccupazione, non possono davvero dar luogo a un senso di equilibrio. Esiste ugualmente una sovrapproduzione intellettuale, un perdurante eccesso di parole stampate o scagliate attraverso l'etere, e una disperata divergenza di pensiero".

In Tramonto e crepuscolo di Bernard Berenson del 1951, compare la parola nichilismo equivalente al concetto di metafisica realizzata nella macchina. L'approdo a questo verdetto è così spiegato:

"Il numinale è seguito dal mitologico come il mitologico è seguito dal teologico e questo a sua volta dal nichilismo (...) Nel mondo mediterraneo, la nostra oecumene, condizioni più favorevoli portarono in ultimo l'uomo a dei rapporti meno aspri con l'aldilà e verso le varie personificazioni del suo potere. L'immaginazione umana finiva, a seconda delle sue possibilità, col trasformarli in miti. I greci li trasformarono in esseri antropomorfi intelligentemente ingranditi e anche umanizzati. (...) Era questo l'universo mitologico che durò finchè Socrate e i suoi precursori lo distrussero per la troppa passione che avevano del ragionare, ciò indusse Nietzsche a denunciare Socrate quale "decadente". (...) Platone era pronto a ricostruirlo, però in maniera troppo sublime per essere accettato dalla mediocre umanità. Ad eccezione di quanto successe secoli dopo nelle funeste distorsioni del neoplatonismo. La ricerca di quello che Aristotele chiamò" la prima filosofia o religione" portò per vie in parte occulte e in parte scoperte, dopo vari secoli, alla celebre teologia dei Padri della Chiesa cristiana. Una sottile e acuta elaborazione di problemi che non avevano nessuna vera base resse per mille anni finché l'Europa cominciò a criticarne le premesse. Così la teologia cristiana cominciò a sbriciolarsi, a seccarsi, e finì col ridurre al nichilismo ogni pensiero trascendentale sulle ultime cose".

Cominciano a delinearsi, come in un processo di sviluppo in una camera oscura, i contorni che portano a definire in una maniera nitida la fotografia dell'attuale momento che stiamo vivendo. Il legame genetico fra il discorso filosofico platonico-cristiano si sta collegando al trionfo dell'artificiosità. La fuga dal reale trova cittadinanza nelle principali letterature europee verso la fine dell'Ottocento, conosciuta come l'età del decadentismo. L'eroe capostipite è Des Esseintes, l'aristocratico protagonista del romanzo A ritroso di Joris-Karl Huysmans. Siamo nel 1884; ad un certo punto si legge:

"La natura ha fatto il suo tempo; ha stancato definitivamente, con la disgustosa uniformità dei suoi paesaggi e dei suoi cieli. (...) Non vi è alcuna delle sue invenzioni così sottile o grandiosa che il genio umano non possa crearla a sua volta. (...) E' venuto il momento in cui deve essere sostituita per quanto possibile dall'artificio".

Questa sentenza avrà un seguito nel 1911, quando Filippo Tommaso Marinetti scriverà: uccidiamo il chiaro di luna. Ancora un segno manifesto di una volontà di potenza, di un superomismo capace di distruggere la realtà naturale per crearne al suo posto una versione duplicata, una sorta di Cinecittà. Nella nuova "Città del Sole" illuminata dal bagliore della luce artificiale e mossa dal meccanico ruotare di ingranaggi, si muove l'uomo contemporaneo (l'uomo di Charlie Chaplin in Tempi moderni), dotato di anticorpi necessari per godere di quest'ambiente urbano fatto di masse, di elettricità, di macchine che sfrecciano veloci ma soprattutto di alienazione. L'uomo futurista vi penetra con forza, ne esalta la vitalità. Basta con i cantori dei chiari di luna e dei sentimenti.

La nuova mistica della macchina, che sta nascendo soppiantando la bimillenaria mistica dell'anima, scorge all'orizzonte il suo rinato paradiso terrestre. Questo sprazzo di vitalità, che i nuovi discendenti di Prometeo urlano nei loro slogan e manifesti, porta con sé però i germi della propria autodistruzione.

La civiltà tanto reclamizzata, riducendo i rischi dell'esistenza e sottraendo alla natura la gestione completa delle malattie, rende il corpo sempre più inetto al dolore fisico, il quale si trasforma in una paura mentale e interiore, che finisce per costituire la vera "malattia mortale" dell'uomo civilizzato. Nietzsche nell'aforisma 48 de La gaia scienza (1881) già sentenziava che la cognizione del dolore ci indebolisce fisicamente. C'è progresso se c'è anche progresso del corpo, ma questo non si può trovare nell'universo artificiale futurista. La malattia è incurabile, come più volte denunciano i vari protagonisti dei romanzi di Italo Svevo. Si tenta di uscire da un realtà fatta di grigiori, di giorni eguali, che conserva i suoi rituali, la sua struttura piramidale e i suoi discorsi fatti di luoghi comuni. La banca Maller&C. nel romanzo Una vita, con il suo corridoio e le varie stanze degli impiegati e dei capi, l'alloggio del signor Maller con il suo tinello che serve da sala di conversazione, l'interno della casa di Emilio Brentani protagonista in Senilità, l'ufficio dove Zeno Corsini (La coscienza di Zeno) perde il proprio tempo a concludere affari sono tutti luoghi dove portare a spasso le mediocri stature di uomini che il gran polverone salutista del futurismo voleva riscattare, contribuendo invece sempre più a deprimerli. Il tentativo di riscatto avverrà purtroppo nella maniera peggiore, e porterà a degli inevitabili conflitti mondiali di lì a poco.


Theorèin - Maggio 2002