DALL'ATOMO AL BIT:
Come e perchè di un mutamento socioculturale e filosofico
A cura di: Mario Della Penna
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VII Lezione

LA CONDIZIONE MODERNA
Vecchia e nuova scrittura nella metropoli (II parte)

 

La dialettica è fra libro e giornale, ma vale perfettamente anche tra giornali di oggi e televisione-internet: il problema centrale riguarda la proprietà dei mezzi d'informazione. Si tratta di un apologo di tipo politico ma nello stesso tempo economico. Kierkegaard sta capendo una cosa della modernità: il garzone di cucina si appropria del megafono che, in questo caso, è il mezzo di comunicazione tecnologico più avanzato.

Il giornale sta al mezzo di comunicazione meno avanzato (il libro), come televisione-internet sta al mezzo meno avanzato (il giornale).

La proprietà del mezzo di comunicazione più avanzato diventa centrale. Il garzone si appropria del megafono e c'è un consenso di carattere generale all'appropriazione. Se il capitano avesse avuto la forza di chiarire alla massa la sua importanza, e non altri, e tutto l'equipaggio avesse aderito al capitano, riconoscendolo come tale, l'imbarcazione avrebbe potuto navigare. Nel momento in cui, invece, la volontà generale (quella di Rousseau) fa' appello alla massa, il garzone di cucina può appropriarsi del megafono in quanto gode di un consenso universale.

Il possesso di un mezzo di comunicazione tecnologicamente avanzato, ad un certo punto, indebolisce il capitano della nave (il potere politico), il quale o deve venire a patti con colui che ha il megafono oppure è destinato a non avere voce.

I giornali, diceva Novalis, somigliano alla chiacchiera del villaggio. Kierkegaard sembra essere d'accordo quando dice che il contenuto riguardava il mettere il burro negli spinaci, o il fare o no bel tempo.

McLuhan dice che "il medium è il messaggio", cioè: non è vero che il contenitore non altera il contenuto. Il messaggio che passa davanti ai mezzi televisivi e che c'è dato non è costituito dal contenuto, ma dal montaggio fatto dall'operatore. Questa serie di messaggi, dice McLuhan, non hanno una serie di contenuti diversi, ma complessivamente quando passano all'interno della nostra sensibilità e restano incamerati nel nostro cervello, rimangono semplicemente messaggi visivi.

Se siamo desti, riusciamo a selezionare la particolare notizia che a noi interessa, ma facendo così tutto il resto risulta come se non fosse mai stato dato. Solo quindi al passare della tale notizia, noi prestiamo attenzione. Il medium è il messaggio: quando lo vediamo lo riconosciamo. Tuttavia quelle notizie alle quali noi dovremmo attingere, sono in ogni caso filtrate. A rigore la notizia non c'è; perché diventi tale, è necessario che sia formalizzata: questa è la selezione. Se nessuno dà rilievo ad una catastrofe che in questo momento sta avvenendo in un qualunque punto del globo, se nessuno estrapola questo evento dal flusso generale della vita del mondo, questa catastrofe non esiste.

La storiografia funziona allo stesso modo. C'è un rifiuto della modernità, che non è sempre immotivato, nè reazionario.

Nessuno di questi autori pensa in termini di distruzione della modernità e di ritorno ad epoche passate. E' quasi fatale che vi sia una sorta di nostalgia. Ogni epoca, e soprattutto l'Ottocento, di fronte a questa grande speranza dell'Illuminismo, vede accanto a conquiste enormi, sgretolarsi un mondo, per cui è naturale che possa esserci un atteggiamento di rimpianto dei bei tempi andati. Bisogna stare attenti a non cadere, da parte dell'umanista, nella critica, nella "laudatio temporis acti", allo stesso modo di coloro che lodano indiscriminatamente le ultime scoperte tecnologiche.

Quelle affermazioni illuministiche di Negroponte sulla comunicazione, che oramai raggiungerebbe tutti e che tutti sarebbero in grado di selezionare, diventano una piccola obiezione di chi possiede i mezzi di produzione, anche delle idee: un'illusione estrema, oltre le illusioni illuministiche.

Tutta la letteratura della seconda metà dell'Ottocento, pur usufruendo del giornale, lo considera comunque una comunicazione comunque bassa e volgare, non all'altezza della tradizione stilistica del libro (il capitano della nave di Kierkegaard). Siamo trasformati tutti in garzoni di cucina: avere tutti il megafono ci costa passare da capitano di nave a garzone di cucina.

Theofhile Gautier scrive dei romanzi, che pubblica a puntate sui giornali (romanzo d'appendice). Scrivere romanzi a puntate sul giornale non ha tanto lo scopo di far leggere il giornale, quanto di farlo leggere continuativamente.

Il giornale, ampliando un certo tipo di lettori, paradossalmente non crea una qualità di lettori più ampia, ma genera un abbassamento della qualità della lettura. Si crea il problema del come fare a raggiungere una cerchia più ampia di lettori. Non c'è che una strada: lo scandalismo, di cui saranno maestri personaggi come Oscar Wilde e Gabriele D'Annunzio.

Uno di quelli che prende una decisione "drastica" contro la comunicazione giornalistica verso la fine dell'Ottocento, è Nietzsche. Giudizi sui giornali sono presenti in tutte le sue opere: da Sull'avvenire delle nostre scuole fino a Così parlò Zarathustra , una specie di poema in prosa che contiene la summa del pensiero nicciano. Ne L'avvenire delle nostre scuole , del 1880 si legge:

"Il giornale si è inserito fra le scienze come un vischioso tessuto connettivo e ha finito per insegnare noi a trattarle alla giornata".

Trattarle alla giornata, ovverosia, trattarle in termini dilettanteschi senza approfondirle. Si tratta di una vecchia critica che risale all'Illuminismo. La sintesi a monte, che pratica il giornale, non potrà mai equivalere alla sintesi a valle, quella alla quale Nietzsche pensa.

Il giornalismo in generale fa toccare con mano come estensione della cultura non ne significhi che riduzione.

Oggi possiamo essere molto colti ma spesso non sappiamo vedere i problemi che ci sono sotto gli occhi. Si può pensare ad una cultura soltanto visiva non supportata da analogo studio di una cultura scritta? Continua Nietzsche:

"Avendo il giornalista sostituito il 'grande genio, la guida per tutte le epoche, colui che libera dal presente', questo fatto rende inutile il lavoro di un insegnante 'che per esempio voglia riportare uno scolaro nel mondo greco, considerandolo come la vera patria della cultura': basterà infatti che questo scolaro prenda in mano un giornale (o 'un romanzo alla moda', e l'incanto svanirà".

C'è la credenza nel genio che è tipicamente romantica. Chi è il genio? A quale genio Nietzsche si riferisce?

Egli pensa a scrittori che sono archetipi, capisaldi d'intere culture. Omero è l'archetipo della cultura occidentale, perché prima di lui non c'era niente. Attraverso due poemi epici, che sono la favola di un popolo, riassunti spirituali della vita di quella società, Omero diventa archetipo. Tutte le storie riportano o all'Iliade o all'Odissea, perché secondo Nietzsche, sono delle rifrazioni a volte inconsapevoli di questa letteratura archetipa. Omero sta alla Grecia, come i grandi romanzieri ottocenteschi stanno alla società borghese.

Leggendo i giornali, in sostanza, eliminiamo Omero, Virgilio, Dante, Shakespeare, perché abbiamo eliminato i contenuti di questi autori epopeici.

La problematicità della comunicazione moderna, soprattutto di quella giornalistica, viene già intravista da alcuni scrittori, per lo più di area austriaca. Questi critici del nuovo mezzo informativo, paradossalmente, sono tutti dei giornalisti i quali, pur scrivendo sul giornale, cominciano a rendersi conto della meccanica del mezzo, legata essenzialmente alla proprietà economica: tale dipendenza limita di fatto il contributo al progresso.

Karl Kraus è uno dei massimi esponenti di questo pensiero.

Al contrario, ha un atteggiamento meno tragico su questo nuovo mondo Hugo von Hofmannsthal, il quale in un articolo intitolato Il poeta e il nostro tempo oggi, tratto da una conferenza del 1906 scrive:

"La lettura, la smisurata abitudine, la diffusissima malattia, se volete, della lettura, questo fenomeno del nostro tempo lasciato troppo alle statistiche e alle informazioni commerciali, mentre i suoi aspetti più sottili vengono trascurati, non esprime altro che un desiderio insaziabile di godere la poesia... Parlo di quelli che, a seconda del diverso livello della loro cultura, leggono libri diversissimi, senza un piano preciso, cambiando continuamente, fermandosi di rado a lungo su un libro, spinti dal desiderio incessante, mai pienamente appagati. Ma il desiderio di costoro, si dice, non è affatto rivolto al poeta. E' l'uomo di scienza che può appagare quel desiderio o, per il novanta per cento dei casi, il giornalista. Essi leggono più volentieri giornali che libri, e, sebbene sappiano precisamente quello che cercano, è tuttavia certo che non è, in nessun modo, poesia; ma che si tratta di banali informazioni solo per il momento rassicuranti, della combinazione di fatti autentici, di 'verità' comprensibili e apparentemente nuove, della miseria grezza dell'esistenza. Dico questo così come lo si dice comunemente e si crede superficialmente - ma io credo, anzi ne sono certo, che questo è soltanto l'apparenza... Essi cercano in realtà nei libri quello che una volta cercavano dinanzi alle are fumanti, in chiese buie sollevate in alto dal desiderio. Cercano quello che con forza maggiore di ogni altra li leghi al mondo e insieme li sgravi di colpo dalla pressione del mondo".

Si tratta di una voce discordante: Hofmannsthal, sia pure con un atteggiamento misticheggiante, sostiene che non è vero che il lettore moderno sia diventato più superficiale; anche quando, saltando da un libro o da un giornale all'altro, cerca delle notizie di un certo tipo, in realtà rivela quel profondo bisogno di preghiera, oggi smarrito, che una volta soddisfaceva andando nelle grandi chiese medievali, e che fornivano ad un linimento alle pene quotidiane. Oggi, perso questo contatto, la sete di conoscenza la può appagare soltanto la poesia, che dovrebbe prendere il posto che una volta aveva la religione. Quest'uomo nonostante la sua modernità, nonostante la sua distrazione, nonostante il suo quotidiano impegno distraente dall'arte, mantiene tuttavia un nucleo di ricerca di qualcos'altro, che solo ancora e sempre l'arte e la poesia potranno soddisfare.

Leggiamo la posizione di Karl Kraus attraverso due suoi lavori: Morale e criminalità 1902-07 e Detti e contraddetti del 1909. In Morale e criminalità c'è un saggio molto lungo che s'intitola: Il processo alla strega di Leoben sulla relativa sentenza emessa dal tribunale di Vienna il 10 maggio 1904 e sul ruolo assunto dalla stampa nella vicenda. Una donna viene condannata all'esilio essendo stata ritenuta rea di aver sedotto un ufficiale dell'esercito sposato. Oltre la condanna, il danno maggiore la donna lo subisce perché tutta la stampa austriaca si interessa del caso in prima pagina. Quest'episodio apre gli occhi a Kraus; egli sostiene che la vera gogna dei tempi moderni non è più fisica, ma si tratta di una condanna più crudele della stessa esecuzione capitale: quella del giornale.

Quando si diventa preda del giornalismo in senso lato, la vita è distrutta. Kraus è indignato; del caso di Leoben, non è interessato dalla cronaca del processo, bensì del come i giornali hanno strumentalizzato l'avvenimento. Scrive Kraus:

"Com'è possibile che dobbiamo invidiare quelle epoche illuminate in cui alla maga venivano inflitti solo tormenti fisici ma veniva risparmiata la gogna della pubblicità europea? ... Oggi la tecnica del processo per stregoneria, grazie all'invenzione della magia nera del giornalismo, ha raggiunto una perfezione inaudita. Infatti i giudici della strega non hanno da temere la pubblicità, che potrebbe rendere nota a tutti la loro scelleratezza, ma anzi se ne servono, perché essa accresce i tormenti dell'accusata".

Ecco che la morale diventa criminalità nel momento in cui i processi diventano pane per un giornalismo che in base ad un certo sistema ormai irrecuperabile, dice Kraus, dà una rovina superiore in efferatezza di quella che dava la vecchia tortura o esecuzione capitale. Scrive ancora Kraus:

"Se agli strumenti di tortura era solo concesso spremere confessioni, la macchina tipografica serve a diffondere quelle penose domande che sono la violazione di una più gelosa sfera privata di una donna e che sarebbero prive di senso e di effetto se venissero poste dal giudice a tu per tu con l'accusata".

L'impostazione nuova che dà Kraus è che si passa da un generico allarme nei confronti di questi nuovi mezzi di comunicazione ad un'analisi di quello che il medium provoca a livello di sensibilità generale. E' un'analisi più vicina alla struttura del medium: una strada che tutto il Novecento seguirà fino alla teoria delle comunicazioni di massa, che nasce all'esplosione del fenomeno televisivo. Kraus ha un'altra serie d'annotazioni su queste problematiche; in Detti e contraddetti si legge:

"La stampa (quotidiana) ha prodotto devastazioni, e se non proprio in quanto invenzione in sè, almeno in quanto in fruizione da parte di cervelli non all'altezza di una ipertrofia al progresso".

In Svevo si legge: "Se c'è stata una nobiltà in chi ha inventato gli ordigni, non c'è né una salute in chi si limita ad usare questi ordigni". E' la stessa idea di Kraus secondo la quale il nostro cervello non è andato di pari passo con il progresso di tipo tecnologico. La tecnologia produce devastazioni quanto più non abbiamo la capacità di dominarla. Un'altra annotazione di Kraus contiene:

"In un'epoca senza Dio la stampa è la provvidenza, ed essa ha perfino elevato a convinzione la fede nella onniscienza e nella onnipresenza".

Almeno una volta gli uomini ipostatizzavano in Dio l'onniscienza e l'onnipresenza, figuravano un qualcosa che le monopolizzava. Né essi se ne ritenevano dotati, anzi, quanto più immaginavano un essere, un'entità, un Dio onnipresente e onnisciente, tanto meno essi si sentivano iperpotenti o arrogantemente presenti dappertutto. Sparita questa credenza antropomorfica, ne deriva che l'uomo, anche colui che non è all'altezza dell'ipertrofia del progresso, sotterraneamente si sente onnisciente e onnipresente, cosa che si acuirà nel momento in cui dalla stampa quotidiana passiamo alla televisione.

Ognuno di noi teoricamente crede oggi di essere informato su tutto e di tutto, perché su tutto e tutto noi riusciamo a vedere in televisione. Conoscendo ed analizzando il mezzo, cade immediatamente questa presunzione d'onniscienza e onnipresenza, perché scopriamo che si tratta di un'illusione di presenza, laddove la nostra presenza non c'è ma è reiterata dal mezzo.

Noi non siamo fisicamente nel mezzo di un avvenimento che la televisione ci mostra, ma siamo degli spettatori di ciò che la televisione mostra dell'avvenimento. C'è poi il rischio che l'avvenimento può essere totalmente inventato. Quindi più sappiamo più corriamo il rischio di non sapere. Leggiamo ancora:

"Si profila l'angosciosa questione se il giornalismo, a cui si danno tacitamente in pasto le opere migliori, non abbia corrotto anche per i tempi futuri la sensibilità per l'arte del linguaggio".

La necessità di scrivere rapidamente, la necessità di usare un linguaggio di parole senza spessore e non troppo espressive, ma fortemente comunicative, pena l'accantonamento del giornale, può compromettere la sensibilità al linguaggio, alle parole aureate, non solo per l'epoca nella quale stiamo vivendo, ma in prospettiva futura. Andando avanti, infatti, quelle opere non giornalistiche, quelle opere fatte di parole con l'aurea, con l'eco, che presuppongono un pubblico colto quanto lo scrittore, verrebbero in prospettiva a mancare, per mancanza di trasmissione.

Non venendo più lette certe cose di un certo tipo, queste cose si obliano. E' possibile che un linguaggio piatto sempre più diffuso ci faccia dimenticare la ricchezza di un linguaggio che aveva certamente dei limiti, ma allo stesso tempo però ci offriva la possibilità di farci comprendere molte cose. Queste cose nel giornalismo sono escluse, perché strutturalmente ha un linguaggio, secondo Kraus, che non è fatto di illuminazioni, ma di una luce tenue, sempre uguale, in modo da illuminare gente che non è abituata al sole. Scrive ancora Kraus:

"L'abbondanza di informazioni stampate ha espulso 'le farfalle dalla pagina' come l'erba 'cosparsa di brandelli di giornale' coincide con la scomparsa delle farfalle anche dai prati".

Questo passo sarà ripreso da Pier Paolo Pasolini, molto distante da Kraus, ma molto affine intellettualmente, il quale in articolo del 1 febbraio 1975 scrive:

"Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e soprattutto, in campagna, dell'inquinamento dell'acqua, - gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti -, sono indirizzate a sparire le lucciole".

Il giornale è un fattore di progresso, ma giornali in eccedenza e basati su un sistema di tipo economico, inquinano ed espellono le lucciole.

Kraus nota che una certa pubblicità di tipo giornalistico deve colpire una determinata sensibilità collettiva, e lo fa col trasgredire. Nota ad esempio che un certo meccanismo pubblicitario è più irreligioso di quello che prontamente distrugge con le ruspe una chiesa. Mentre infatti questa forma rozza, grezza e criminale può generare restaurazione della religione, anzi può provocare reazione sia dall'ateo che dal religioso, invece la irreligiosità della società mercantile moderna è ancora più subdola, perché mette in discussione, con le trasgressioni di cui parla, tutto il passato, più di quelli che lo vogliono con mezzi meccanici. Scrive Kraus con una sintesi folgorante:

"Un ascensore si chiama Paternoster. Bethlem è un posto in America dove si trova la più grande fabbrica di munizioni".

Ecco il meccanismo perverso della pubblicità. Bethlem che l'intera cultura associava ad un fatto positivo, per i suoi richiami sacrali, sia per chi è credente, sia per chi non lo è, diventa per quest'associazione pubblicitaria tutt'altro. Con un'idea del genere, non si distrugge solo la religione, ma quello che la religione segnala come cultura, ed ecco l'idea della barbarie.

Pasolini stigmatizzò, quando uscì sui muri delle città, un enorme manifesto che reclamizzava un jeans marcati "Jesus".

In entrambi non c'è un atteggiamento nostalgico o religioso, ma c'è una forte condanna di quella che è una distruzione mirante a fini economici, che può comportare una distruzione di una cultura intera.

Personaggi come Kraus, quindi, hanno una qualche attinenza, per quanto concerne la critica alla comunicazione giornalistica, con alcune personalità della seconda metà del Novecento, come Pasolini.

Si ricollega a Kraus anche un personaggio della Mitteleuropa: si tratta del premio nobel Elias Canetti. In Massa e potere dà un'annotazione sul giornale che si riallaccia al processo della strega di Leoben:

"Il disgusto per l'uccisione collettiva è di recentissima data. Non bisogna però sopravalutarlo. Anche oggi ognuno partecipa alle esecuzioni pubbliche attraverso il giornale. Solo che oggi anche ciò - come tutto - è più agevole. Non è necessario scomodarsi, e fra cento particolari ci si può soffermare su quelli che eccitano in maggior misura. Si applaude soltanto quando tutto è fatto, e neppure la più piccola traccia di complicità guasta il godimento".

La lettura solitaria del giornale fa si che tutto diventi personale, cioè che non venga condiviso con altri. Mentre la ritualità pretendeva una sorta di corresponsabilità comune, nel giornale questo non avviene. Si perpetua un rituale fatto in solitudine. Questo è doppiamente incivile: appare un distacco del mito dal rito. Continua Canetti:

"Non si è responsabili di nulla, né della condanna, nè dei testimoni oculari, nè della deposizione, e neppure del giornale cha ha stampato la deposizione. E però se ne sa di più che nei tempi passati, quando bisognava camminare e stare in piedi per ore, e alla fine si vedeva abbastanza poco. Nel pubblico di lettori dei giornali è sopravvissuta una massa aizzata più moderata ma più irresponsabile per la lontananza degli avvenimenti - si sarebbe tentati di dire: la forma più spregevole e al tempo stesso più stabile. Perchè non deve neppure radunarsi, tale forma di massa può anche evitare la propria disgregazione; il giornale, nella sua ripetizione quotidiana, si prende cura delle sue distrazioni".

Esaminiamo invece una presa di posizione in controtendenza. Si tratta dell'italiano Massimo Bontempelli, romanziere, giornalista, uomo di teatro, il quale fonda una rivista: '900. Scrive nel 1925:

"Non oso pensare che cosa potesse essere un giornale a quel tempo (N.d.R. si riferisce al 1910). Anche lui, il giornale - oggi è il quotidiano a due o tre edizioni, fratello carnale del bar - anche lui era un oggetto d'ozio e di riposo. Il cittadino ne comperava uno e se lo portava a casa: lo leggeva dopo pranzo, in poltrona: lo leggeva tutto, dall'articolo di fondo alle notizie recentissime (ma che razza di recentissime potevano essere?), lo leggeva tutto e ci credeva. Poi andava a dormire. Oggi l'uomo ne compera tre o quattro ogni due o tre ore, ne afferra i titoli e qualche notizia intanto che il meccanico mette in moto il tacsi. E intorno a lui c'è più luce...Solamente dopo la guerra la vita contemporanea si è accesa in tutta la sua pienezza sorprendente. Le invenzioni scientifiche, precedendo di qualche decennio il nostro tempo, ne preparavano gli strumenti materiali e la illuminata atmosfera. Ma lo spirito della guerra e tutte le necessità - superiori e inferiori - del dopoguerra, hanno potuto lanciare in pieno tutta la nuova generazione nella vita d'oggi, che è passione e azione d'ogni minuto".

Questo passo di Bontempelli ci dice molte cose, se non lo vediamo soltanto come testo autoreferenziale, ma come testo referenziale di un contesto. Bontempelli sta vivendo una sorta d'illusione rispetto al resto dell'Europa. L'illusione è ribadita nel seguente passo del 1933:

"Non è affatto vero che la letteratura sia in ribasso. Il gusto del leggere, per esempio, è molto più diffuso che avanti la guerra: qualunque libraio vi dirà, confrontando l'oggi con vent'anni fa, che si legge almeno dieci volte tanto, di libri di tutti i generi, e specialmente i libri di cultura, storia politica, divulgazione scientifica, problemi sociali. Inoltre, è più diffusa l'arte dello scrivere; voglio dire, che due generazioni fa, a parte i pochi eccellenti, i più scrivevano orribilmente; oggi, mercè il grande sviluppo e miglioramento del giornalismo, questa misteriosa arte dello scrivere si è alquanto diffusa e s'è imparato a scrivere con maggiore semplicità ed evidenza. Falsa, dunque, l'enunciazione del reato; maltrattamenti alla cultura, decadimento del gusto letterario...".

Dopo aver glorificato il giornale, nel 1938 viene a dire:

"Lo stile giornalistico è in questi ultimi anni molto decaduto...".

Quest'affermazione esclude l'illuminismo di quella verità che aveva fino a quel momento sostenuto. Contemporaneamente uno degli esponenti della cosiddetta scuola di Francoforte, Walter Benjamin, scrive un saggio intitolato Baudelaire e Parigi, in cui cita i giornali e dice:

"E' affidato, secondo Proust, al caso che il singolo acquisti un'immagine di se stesso, che diventi signore della propria esperienza. Dipendere, in una cosa simile, dal caso, è qualcosa di tutt'altro che naturale. Gli interessi interiori dell'uomo non hanno già per natura questo carattere privato, ma lo acquistano solo quando diminuisce, per gli interessi esterni, la possibilità di essere incorporati alla sua esperienza".

Uno dei tratti della modernità, così come si sta sviluppando, e che noi saremmo sempre meno esperti di ciò che ci sta accadendo, perché la civilizzazione ci mette al riparo dalle esperienze vitali, pur moltiplicando la notizia di esperienze altrui. Potremmo finire in una sorta di silenzio. Nel momento in cui si presentasse una minaccia vitale, noi potremmo trovarci anestetizzati dalla civiltà senza accorgersene. Nietzsche avverte: è vero che la civiltà elimina sempre più i dolori fisici, però nel momento in cui li elimina artificialmente, crea in noi un nuovo dolore: l'angoscia del dolore.

La civiltà per Nietzsche è il dolore dato dalla paura del dolore; non vi è medicina. Nella Gaia scienza scrive: il rimedio alla pena (nella modernità) è la pena. Troviamo un'analoga considerazione ne L'idiota di Dostoievskij, quando parla degli ultimi cinque minuti di vita di un condannato alla pena capitale.

Nella comunicazione moderna il giornale ha la funzione civile di separare l'uomo dalle proprie esperienze. Continua Benjamin:

"I principi dell'informazione giornalistica (novità, brevità, intelligibilità e, soprattutto, mancanza di ogni connessione fra le singole notizie) contribuiscono a questo effetto non meno dell'impaginazione e della forma linguistica".

Una notizia anche banale potrebbe far scattare in noi lo stesso interesse di una eccezionale, perché ciò che vediamo è la novità dentro un contesto. In sintesi siamo colpiti dalla novità di un evento e non dall'evento stesso.

Scriveva Marx: chi ha più denaro è più intelligente di chi non ne ha; trasportato nei media, ciò significa che colui che appare di più è più intelligente di colui che appare di meno.

Questo fatto della maggior valenza dell'apparire, trasportato in termini politici, diventa un tema molto scottante.

La discriminante ai fini di un consenso politico si stabilisce fra chi appare e chi non appare.

Si apre così il problema del contenzioso del pagare o del possedere il mezzo tecnico più sofisticato, più idoneo a penetrare nelle masse.

Ritorniamo così al passo del megafono di Kierkegaard. La nostra democrazia potrebbe essere minata alla base.


Theorèin - Novembre 2002