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 XXI Lezione

Rousseau mina l’aristocrazia di sangue puntando tutto il suo concetto sulla natura che ci rende uguali. Non esistono in natura distinzioni di classi basate sul sangue.

L’ala borghese di Voltaire e Diderot viene vista come complice di un mondo che sta crescendo, fatto di macchine, fatto di artifici che in realtà smentiscono questi appelli che essi fanno alla natura.

Questo è il momento di collisione con Rousseau, che è contrario ad ogni tipo di artificialità, anche educativa, che contraddistingue la parte radicalmente borghese dell’Illuminismo.

Si sviluppa una serie di complessità fra i due aspetti. Rousseau non può accettare gli elementi educativi di tipo tecnologico dell’Illuminismo pertanto dovrà necessariamente rientrare per certi aspetti nei princìpi aristocratici.

C’è un brano nell’Emilio che va interpretato in termini antiplatonici e anticristiani.

Rousseau stabilisce che il valore vero è la fase del nascere, crescere, svilupparsi e morire, dove il corpo da dis-valore per l’ottica cristiana e platonica, diventa un valore.

"Supponiamo che un fanciullo avesse alla sua nascita la statura e la forza di un adulto, che egli uscisse, per così dire, tutto armato dal seno della madre, come Pallade uscì dal cervello di Giove, quest’uomo-bambino sarebbe un perfetto imbecille, un automa, una statua immobile e quasi insensibile: non vedrebbe niente, non sentirebbe niente, non conoscerebbe nessuno, non saprebbe girare gli occhi verso ciò che gli servisse di vedere; non solamente non percepirebbe nessun oggetto come fuori di lui, ma neppure ne rapporterebbe alcuno all’organo di senso che glielo farebbe percepire; i colori non sarebbero nei suoi occhi, i suoni non sarebbero nelle sue orecchie, i corpi che toccherebbe non sarebbero a contatto col suo, non saprebbe neppure ch'egli ne ha uno; il contatto delle sue mani sarebbe nel suo cervello; tutte le sensazioni si riunirebbero in un sol punto; egli non esisterebbe che nel comune sensorium, egli non avrebbe che una sola idea, vale a dire quella del suo io alla quale rapporterebbe tutte le sue sensazioni; e quest’idea o piuttosto questo sentimento, sarebbe la sola cosa che gli avrebbe di più rispetto a un bambino ordinario".

Questo brano in sostanza dice che tutto l’uomo consiste nell’esperienza che il suo corpo fa dalla nascita alla morte, e quindi il corpo diventa il valore primario dell’umanità. E’ un brano, come abbiamo detto, sottilmente anti-platonico e anti-cristiano. Se non fosse così l’uomo si ridurrebbe ad essere una statua, ad un elemento di staticità.

"Osservate la natura e seguite la via ch’essa vi traccia. Essa esercita continuamente i fanciulli, ne tempra il carattere con prove di ogni genere, insegna loro ben presto cosa siano pena e dolore. I denti che spuntano danno loro la febbre; coliche acute danno loro le convulsioni; tossi ostinate li soffocano; i vermi li tormentano; la pletora corrompe il loro sangue; umori diversi vi fermentano, cagionado eruzioni pericolose. Pressoché tutta la prima età è malattia e pericolo: la metà dei bambini che nascono, muoiono prima degli otto anni. Superate le prove, il fanciullo ha acquistato forza; e appena può usufruire della vita, ecco che il principio di questa è meno precario. Ecco la regola della natura. Perché la contrariate? Non vedete che tentando di correggerla voi distruggete la sua opera e impedite che le sue cure giungano ad effetto? Far dal di fuori ciò che essa fa dal di dentro, ciò significherebbe, secondo voi raddoppiare il pericolo, e invece significa operare una diversione, attenuarlo. L’esperienza insegna che i fanciulli allevati delicatamente muoiono anche in maggior numero degli altri. Purché non si oltrepassi la misura delle loro forze, si rischia meno ad impiegarle che a risparmiarle. Esercitateli dunque agli urti che dovranno sostenere un giorno. Abituate i loro corpi alle intemperie delle stagioni, dei climi, degli elementi, alla fame, alla sete, alle fatiche; temprateli nell’acqua dello Stige. Quando il corpo non ha ancora abitudini, acquista quella che si desidera, senza pericolo. Ma una volta che vi si sian consolidate, tutti i cambiamenti diventano pericolosi. Un bambino sopporterà mutamenti che un uomo non sopporterebbe: le fibre del primo, molli e flessibili, prendono senza sforzo la piega che si dà loro; quelle dell’uomo, più indurite, non cambiano più che per violenza la piega ricevuta. Si può dunque rendere un bambino robusto senza metterne in pericolo la vita e la salute; e quand’anche corresse qualche rischio, non dovremmo tuttavia esitare. Ci sono infatti alcuni rischi che sono inseparabili dalla vita umana ed il meglio è farli cadere in quel momento della loro durata in cui son di minor pregiudizio".

In un pensiero di questo genere ritroviamo Seneca alla lettera.

Ad un certo punto sull’aristocrazia di sangue Rousseau dice una frase illuminante: "Non mi dispiacerà che Emilio sia di nobile nascita. Sarà sempre una vittima strappata al pregiudizio". Ritroviamo Antistene che pur vestito di stracci avrebbe tenuto appartenere ad una stirpe nobile.

Un altro elemento che caratterizza questo aspetto di Rousseau è la polemica contro i libri; c’è un ritorno a Diogene oppure nel filone del cristianesimo a sant’Antonio).

"Togliendo così tutti i doveri dei fanciulli, tolgo lo strumento della loro più grande miseria, cioè i libri. La lettura è il flagello dell’infanzia, e quasi la sola occupazione che le si sappia dare. Appena a dodici anni Emilio saprà che cos’è un libro".


Theorèin - Febbraio 2004