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 XXV Lezione

Leopardi usa la valoristica aristocratica come critica all’Illuminismo, e l’Illuminismo alla valoristica aristocratica. Leggiamo nelle note 3933-34 del 28 novembre 1823:

«La società civile per sua natura è cagione all’uomo, benché di minore infelicità fisica ed appariscente (o piuttosto di minori sciagure fisiche, perché com’ella noccia generalmente al fisico, e particolarmente colle malattie, che a lei tutte si debbono ecc., si è mostrato in più luoghi), pur di maggiori sciagure morali, e tutto insieme di molto maggiore infelicità, che non è la società selvaggia o mal civile, altresì per sua natura».

La civiltà, rispetto alla inciviltà, significa due cose: maggiore artificialità e maggiore consapevolezza. Su queste due basi scatta la critica alla civilizzazione.

Leopardi boccerà sistematicamente l'idea di progresso. Di progresso si può parlare in termini di tecnologia, di igiene, di libertà politica, ma non può essere concepito come concetto totalizzante se non è progresso anche del corpo. Nelle note 3180-81 del 17 agosto 1823 si legge:

«E’ cosa indubitata che la civiltà ha introdotto nel genere umano mille spezie di morbi che prima di lei non si conoscevano, né senza lei sarebbero state; e niuna, che si sappia, n’ha sbandito, o seppur qualcuna, così poche, e poche acerbe e poco micidiali, che sarebbe stato incomparabile meglio restar con queste che cambiarle con la moltitudine, fierezza e moralità di quelle. E’ parimenti indubitato che la civiltà rende l’uomo inetto a mille fatiche e patimenti che, o per natura generale o per circostanze particolari, egli è obbligato a sostenere, e che nello stato naturale avrebbe sostenuto senza verum detrimento e, almeno in parte, senza incomodo. E’ indubitato che la civiltà debilita il corpo umano, a cui per natura si conviene la forza, e il quale, privo di forza, o con minor forza della sua natura, non può essere che imperfettissimo. E’ indubitato che le generazioni umane peggiorano in quanto al corpo di mano in mano, ogni generazione più, sì per se stessa, sì perch’ella così peggiorata non può non produrre una generazione peggior di se ec. ec.. Nei progressi della civiltà, e non in altro, consiste quello che i nostri filosofi, e generalmente tutti, chiamano oggidì (e molti anche in antico) il perfezionamento dell’uomo e dello spirito umano. Di modo che quanto l’uomo s’avanza verso la perfezione, tanto il suo fisico cresce nella imperfezione; e quando l’uomo sarà pienamente perfetto, il corpo umano, generalmente parlando, si troverà nel peggiore stato ch’e’ mai sia si trovato, e che gli sia possibile di trovarsi generalmente».

E’ un punto capitale: partenza antilluminista ma imprecisa dal punto di vista della scienza illuministica.

Leopardi nello stesso tempo è molto vicino alla identificazione delle problematiche che la civiltà illuministica innesterà fino ai nostri giorni, diventando, pur involontariamente, un anticipatore di questa serie di mali della modernizzazione.

Leopardi è molto vicino a comprendere la bocciatura che l’artificialità, la civilizzazione, implica.

Civilizzazione implica artificialità non solo nella vita quotidiana, con la presenza di macchine, ma significa anche una maggiore sovrastruttura, una sorta di macchina totale che da un lato dovrebbe aiutarci, ma che nell’altro blocca ciò che in noi è spontaneità o naturalità.

L’eccesso di cultura, dirà Nietzsche in perfetta sintonia con Leopardi, provoca una paralisi, non tanto dell’azione, quanto della naturalità del nostro agire, con una perdita secca di certe infelicità antiche, ma anche una perdita di felicità antiche.


Theorèin - Giugno 2004