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 XXVIII Lezione

L'epicureo sostanzialmente è un ateo. Non crede in una divinità diversa qualitativamente dagli uomini.Dietro la sua dottrina non c'è una metafisica. Dice Epicuro, secondo Diogene Laerzio:

«Meglio sarebbe aderire ai miti sugli dèi che asservirsi al fato dei filosofi naturalisti, perché i miti hanno quasi impressa in sé la speranza che gli dèi possano cedere alla preghiera e agli onori che ad essi vengono tributati, il fato dei filosofi naturalistici ha invece una necessità inflessibile».

Pur assumendo quindi una posizione irreligiosa, è tuttavia favorevole alla sua libera pratica, concedendo a chi crede ad un Dio particolare, la responsabilità di una politica irreligiosa, cioè di una illibertà per chi credesse a dèi diversi. Un punto generalmente trascurato dell'etica epicurea, ma che può avere nelle epoche successive una certa valenza. Difatti la fede materialistica epicurea rifiuta gesti estremi sia di offesa che di difesa.

Nelle Consideration sur les causes de la grandeur des Romains et de leur dècadence del 1734, Montesquieu è convinto che a guastare il cuore e la mente dei Romani, abbia molto contribuito la setta di Epicuro, che penetrò a Roma verso la fine della Repubblica, stessa sorte toccata in precedenza ai Greci. 

Del resto dello stesso concetto di «patria», l'epicurea amicizia fra affini, desta diffidenze proprio nel momento in cui si riallaccia di fatto all'originario gentilesimo per esempio di un Anassagora:

«Ritiratosi in solitudine e datosi alla contemplazione della natura [...] quando un tale gli disse: "Non ti curi della patria?", rispose: "Taci! Molto m'importa della patria", e indicò il cielo».

oppure di un Diogene:

«Interrogato sulla patria, rispose: "cittadino del mondo"».

Se gli dèi di Epicuro possono essere sottilmente antigentilizi, la sua amicizia, al contrario, parrebbe riportarlo ben dentro ai cancelli dell'aristocrazia.

Il corpo epicureo, non appare così difficilmente conciliabile con quello stoico come con quello platonico. Nella Repubblica platonica Socrate affermava che per i più il bene è il piacere, ma per i più raffinati è intelligenza, anche se per gli epicurei piacere non esclude intelligenza, anzi, sotto molti aspetti piacere è intelligenza anche per loro, le ragioni della distanza fra corpo epicureo e corpo socratico-platonico stanno tutte in questa distinzione, la quale fra l'altro, potrebbe di nuovo riflettere la doppia morale socratica ipotizzata all'inizio. Nel Filebo tuttavia Socrate si fa anche tramite, legando il piacere al dolore ed entrambi rispettivamente all'armonia e alla disarmonia. 

«Io dico dunque che quando si dissolve l'armonia ch'è in noi, negli animali viventi, subito allora, proprio nello stesso momento, si dissolve l'organismo naturale ed hanno la loro origine i dolori [...] E invece quando l'armonia si ricompone e ritorna al suo ordine naturale, noi dobbiamo dire che è allora che nasce il piacere». 

Un passo simile potrebbe essere anche epicureo, e il piacere di Epicuro consiste esattamente in questa fisica armonia socratica. 

La propaganda epicurea è una propaganda ideologica. Ogni eccesso per l'epicureo è malattia, e se è tale è dolore. Se ogni piacere è un bene, non per questo ogni piacere è da scegliersi, così ogni dolore non è per natura da sfuggirsi (Diogene). Può esserci qualche dolore, che per l'epicureo è attesa, e serve per ristabilire l'armonia. Non dobbiamo dunque intervenire su un dolore del nostro corpo perchè esso serve a ristabilire l'armonia nello stesso. Allo stesso modo anche i piaceri non debbono essere perseguiti perchè fra essi ve ne sono alcuni che rovinano l'armonia, come ad esempio le passioni. 

L'epicureo è un uomo a modo, anche se può apparire smodato e fissato per il cibo e per il sesso. Il piacere per gli epicurei è calcolo. Tra un piacere e l'altro o tra un piacere ed un eventuale dolore deve venirci in aiuto il calcolo; ossia il porsi la domanda: mi può essere d'aiuto o no? 

Comunque, chi era Epicuro per gli antichi? Secondo Diogene Laerzio, egli è di stirpe aristocratica, e dell'aristocrazia della nascita egli si occupa espressamente in una delle sue opere attestate. Epicuro viene subito violentemente insultato da Timone (che lo definisce «ultimo dei fisici, il più porco e il più cane, venuto da Samo, maestro di scuola, il più ignorante dei viventi»), e in particolare, dagli stoici Diotimo e Posidonio.

Laerzio cita un passo dell'opera Del fine di Epicuro sulla base del quale diventa immediatamente chiaro il perchè, sia degli insulti antiepicurei sia della loro inconsueta violenza:

«Non so quale bene io possa concepire - afferma senza mezzi termini Epicuro - se eccettuo i piaceri del usto o le gioie d'amore o i piaceri che derivano dall'udito o dalla contemplazione della bellezza»

Si tratta dell'esatto opposto di quanto, secondo il Socrate del Fedone dovrebbe interessare un filosofo.

Per quanto riguarda il rapporto con la cultura, Epicuro è contrario in una maniera ancora più radicale rispetto ai cinici Antistene e Diogene, contrari, forse, più alla cultura scritta che alla cultura tout-court:

«Alza la tua vela, amico, e sfuggi ogni cultura, qualunque essa sia»

Nel loro "giardino" gli epicurei si contentavano di una ciotola di vino di nessun pregio, di solito bevevano solo acqua. La differenza fra questa sobrietà e quella stoica, è che mentre quella stoica aveva per scopo l'allenamento del corpo al dolore, quella epicurea obbedisce invece a un'esigenza di costante controllo dell'equilibrio fra bisogni naturali e bisogni "artificiali".


Theorèin - Ottobre 2004