accedi alla biografia entra nella sezione
Se vuoi comunicare con Mario Della Penna: mariodellapenna@theorein.it
 XXX Lezione

In conclusione, la macchina può significare un'ennesima depressione del corpo nella nostra cultura. Essa ha moltiplicato i corpi e ne ha protratta complessivamente la vita, ma questo potrebbe aver fatto dei corpi, nello stesso tempo, ciò che l'inflazione fa delle banconote: qualcosa di sempre più economicamente svalutato, e di materialmente sempre più logoro.

L'età delle macchine, nata nel segno di una rinnovata dignità del corpo dopo secoli di depressione religiosa, potrebbe essersi imprevedibilmente capovolta nell'età del corpo come non senso, anzi, come anti-senso.

Ortega y Gasset osserva nel 1926 che: «per tre secoli i popoli d'Europa hanno fatto tutto per credere che l'uomo non ha corpo», e ritiene di inferire una «riscoperta del corpo nel nostro secolo (il Novecento)» per esempio dalla nascita dello sport, registrando però un'immediata smentita di tale riscoperta nella rapida trasformazione anche dello sport esclusivamente in spettacolo per masse che non lo praticano, e degli stessi cura e culto del corpo in mera pubblicità di prodotti del settore, il cui acquisto ne diventa il fine ultimo.

Ortega era un conservatore e perciò un convinto liberista; questo ci potrebbe far dedurre che un uso non liberista, per esempio socialista, delle macchine, potesse neutralizzarne la funzione di strutturali anti-corpi. L'esperienza del «socialismo reale»  ha dimostrato che questa era un'illusione.

Come la scienza ch'essa incorpora, la macchina non è neutra, e non si limita a modificare il lavoro umano o a generare nuove classi sociali, perchè proprio nel momento in cui fa questo, pone le condizioni di altrettante fratture civili che oggi investe, grazie alla rivoluzione informatica e televisiva, non solo le aree sviluppate, ma l'intero pianeta.

La rovina del progetto marxista nell'URSS non è stata che la prova generale della rovina dell'Illuminismo nell'America attuale descritta da Baudrillard. Per quanto paradossale possa sembrare il concetto di progresso, fino a ieri condiviso tanto dal liberalismo borghese quanto dal socialismo anche più rivoluzionario, è frutto molto più dell'«anima» e della «nichilistica» verità di Socrate e Platone, che della virtù stoica e del piacere epicureo.

Una macchina tanto più lo diventa quanto meno ha a che fare con il corpo esattamente come la disciplina chiamata filosofia, quale di fatto si fonda nel Fedone platonico, e quale resta malgrado l'evangelica incarnazione divina per l'intera età cristiana.

C'è un nesso indissolubile fra questa filosofia socratica, il pensiero puro platonico, la mistica di tipo agostiniano, la ragion pura illuministica e la macchina (meccanica della modernità e informatica della post-modernità). Meno abbisogna d'una collaborazione del corpo, più una macchina è macchina: meno ha contatti con il corpo «indegno», più un filosofo platonico è filosofo, più un santo cristiano è santo, e più la ragione illuministica è pura.

I presupposti della macchina stanno, non soltanto nell'invenzione dell'anima socratico-platonico e poi cristiana, ma soprattutto nel secolare sforzo mentale per diversificare quest'anima dal corpo.

Per il fatto che l'anima si definisce progressivamente come l'opposto del corpo, non può a sua volta non configurarsi che come un anticorpo, il quale, nei confronti del corpo, si autogiustifica esattamente come si autogiustificava l'anima di Socrate, di Platone e del cristianesimo, che tanto più lo mortificava quanto più asseriva di subliminarlo.

Il progresso nell'attuale sistema socio-economico, tanto più umilia il corpo quanto più asserisce di potenziarlo, di protrarne la vita o di neutralizzarne gli handicap più gravi. Ciò non significa disconoscere i meriti della scienza e della tecnologia, significa invece sottolineare che la tecnologia e la stessa scienza, diventando referenziali solo di se stesse, finiscono nella pura spettacolare autocelebrazione com'è il caso per esempio di operazioni chirurgiche teletrasmesse in diretta dove il paziente letteralmente scompare ridotto a meno che un pretesto.

A tal proposito come non richiamare alla mente ciò che si legge nell'ultima pagina de La coscienza di Zeno di Italo Svevo, secondo la quale:

«se c'è stata salute e nobiltà in chi inventò gli ordigni fuori dal corpo [ovvero la macchina n.d.r.], quasi sempre manca in chi li usa». 

Si tratta di una osservazione molto pertinente, in un mondo nel quale la diminuzione degli inventori e dei produttori umani, è inversamente proporzionale alla crescita di soggetti destinati al solo consumo.


Theorèin - Dicembre 2004