LA SFIDA DI CARTESIO E LA RISPOSTA DI VICO
A cura di: Mario Della Penna
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LE MEDITAZIONI METAFISICHE

SECONDA MEDITAZIONE

DELLA NATURA DELLO SPIRITO UMANO
E CHE QUESTO È PIÙ FACILE A CONOSCERSI CHE IL CORPO

Nella seconda meditazione si riprende a mettere in discussione la conoscenza sensibile, ove questa voglia pretendere di essere l'unica fonte di conoscenza. Si mette in luce cioè, come al di là del dato ci sono delle inferenze. 

Cominciamo dalla considerazione delle cose più comuni, dice Cartesio, e che noi crediamo di comprendere nel modo più distinto, cioè i corpi che tocchiamo e vediamo. Prendiamo per esempio un pezzo di cera. Il suo colore, la sua figura, la sua grandezza sono manifesti. Ma ecco che, mentre io parlo, lo si avvicina al fuoco ed esso perde le sue caratteristiche. Che cosa è, dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in questo pezzo di cera? Noi diciamo infatti di vedere proprio la cera, se ci è presentata, e non già di giudicare che essa c'è, inferendolo dal colore e dalla figura. L'inferenza in questo caso non è una constatazione ma è un'affermazione basata su un ragionamento. 

«Donde quasi concluderei che si conosce la cera per mezzo della visione degli occhi, e non per la sola ispezione dello spirito (...) tuttavia, che vedo io da questa finestra, se non dei cappelli e dei mantelli che potrebbero coprir degli spettri o degli uomini finti, mossi solo per mezzo di molle? Ma io giudico che sono veri uomini, e così comprendere per mezzo della sola facoltà di giudicare, che risiede nel mio spirito, ciò che credevo di vedere con i miei occhi». (17) 

Non possiamo quindi parlare di conoscenza se non c'è alla fine un atto conoscitivo dell'intelligenza. Ritornando all'esempio del pezzo di cera Cartesio aggiunge: 

«Ho creduto conoscerla per mezzo dei sensi esteriori, o almeno del senso comune, e cioè della facoltà immaginativa, di quel che non la concepisca adesso, dopo avere più esattamente esaminato ciò che essa è. Che cosa vi era in quella prima percezione, che fosse distinto ed evidente, e che non potesse cadere in egual guisa sotto il senso del più piccolo fra gli animali? Ma quand'io distinguo la cera delle sue forme esteriori, e, come se le avessi tolto i suoi vestimenti, la considero tutta nuda, certo, benché si possa ancora incontrare qualche errore nel mio giudizio, non la posso concepire in questa maniera se non con mente umana». (18)  

Se la mente ha queste capacità di conoscere anche le cose sensibili, che caratteristiche ha questa mente? 

«Poiché fin qui non ammetto in me altra cosa che uno spirito, chi sono io che sembro concepire con tanta distinzione questo pezzo di cera? Non conosco io me stesso, non solamente con molto maggior verità e certezza, ma ancora con molto maggior distinzione e nettezza? Poiché se io giudico che la cera è, o esiste, dal fatto ch'io la vedo, certo dal fatto ch'io la vedo segue molto più evidentemente ch'io sono, o che esisto io stesso. Non è possibile che, quando io vedo, o quando penso di vedere, io che penso non sia qualche cosa. E ciò che ho notato qui della cera, si può applicare a tutte le altre cose che mi sono esteriori e che si trovano fuori di me». (19)  

Tutto questo discorso sulla cera in che senso si può inserire nel tema della res cogitans? Questo discorso serve per precisare l'aspetto della gnoseologia e antropologia cartesiana, secondo cui noi conosciamo le cose non principalmente per i sensi, ma la vera e propria conoscenza si ha quando il dato sensibile diventa conoscenza dell'intelligenza. Per avere intelligenza ci vuole un giudizio. Dice Cartesio: 

«Noi non concepiamo i corpi se non per mezzo della facoltà d'intendere che è in noi, e non per l'immaginazione, né per i sensi; e che non li conosciamo pel fatto che li vediamo o li tocchiamo, ma solamente pel fatto che li concepiamo per mezzo del pensiero, io conosco evidentemente che non v'è nulla che mi sia più facile a conoscere del mio spirito». (20)


(17) CARTESIO: Opere filosofiche 2. Meditazioni metafisiche. Obbiezioni e risposte, Laterza, Bari, p. 30
(18) Ibidem, pp. 30-31
(19) Ibidem, p. 31
(20) Ibidem, pp. 31-32


Theorèin - Settembre 2004