LA SFIDA DI CARTESIO E LA RISPOSTA DI VICO
A cura di: Mario Della Penna
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XVI Lezione

La risposta di Vico

Del Metodo. Critica a Cartesio

Vico nella sezione quarta del Libro primo della SN, intitolata Del Metodo, non propone delle regole metodologiche che devono disciplinare l'indagine, ma racconta il suo modo di procedere ripercorrendo fini, tappe e risultati della ricerca esponendone i contenuti. Questo è significativo in quanto rivela la natura del nuovo tipo di sapere.

Egli usa spesso la parola discoverto. Rifiuta perciò di considerare il metodo come un insieme di regole aprioristiche che il soggetto trae da sé, e quasi impone alle realtà da conoscere. Vico non è che contesti il metodo geometrico in quanto tale, ma la pretesa di estendere questo metodo ad ogni tipo di sapere, che in un certo senso fa violenza alla peculiare realtà di questi contenuti.

Questo primato del metodo non riconosce i contenuti per quelli che sono. Perché se il metodo è unico tende a produrre delle uniformità che viene a misconoscere la varietà del reale. In particolare quello che sta più a cuore a Vico sono i fatti umani non sono dominati dalla necessità, perché sono condizionati da tante circostanze ed occasioni, ma anche perché scaturiscono dalle scelte del libero arbitrio, che è di per sé incertissimo. Dice Vico in un passo del De ratione: «che le cose umane sono dominate dall'occasione e dalla electio (scelta)».

Questi fatti umani dunque non possono essere conosciuti secondo un rigido metodo deterministico. Vico è un precursore della rivendicazione di un pluralismo ideologico. Questo metodo geometrico, deterministico se noi lo applichiamo alla vita pratica, cioè a tutto il mondo dell'agire umano, il quale non è linee o numeri, non sopportano tale metodo. E' bene quando noi andiamo a studiare una cosa applicare il metodo, ma c'è un primato delle cose rispetto al metodo. Ciò implica un pluralismo metodologico:

«Il metodo va variando e multiplicandosi secondo la diversità e multiplicazione delle materie proposte».  

Secondo il Vico un metodo unico che si adottasse a priori, indipendentemente dalla peculiarità di ciò che è oggetto di indagine, sarebbe di ostacolo alla impresa conoscitiva, pretendendo di predeterminare che cosa essere la realtà che, invece, si tratta di scoprire.

Il soggetto non può presumere che la realtà da conoscere debba essere comunque prevedibile in base ai suoi criteri ed ai suoi schemi metodici. In questo caso come direbbero i Francofortesi, il conoscere sarebbe ridotto a mera tautologia, cioè il soggetto invece di andare a scoprire qualcosa di nuovo nella realtà, in essa scopre solo se stesso.

Il problema allora è se conoscere significa semplicemente andare a scoprire ciò che già sappiamo nella realtà, oppure cercare di imparare qualcosa di nuovo. Ecco perché Vico usa spesso la parola discoverta. Perciò egli ritiene che una verità prevista e prevedibile è una realtà tradita e misconosciuta:

«Methodus ingeniis obsat, dum consulit facilitati, et curiositatem dissolvit dum providet veritati».

Il metodo si oppone all'ingegno quando cerca la facilità e dissolve la curiosità perché cerca di prevedere la verità. Perché il prefissare gli sviluppi del sapere, secondo rigide procedure metodologiche, significa presumere di poter sostituire con delle regole l'originalità creativa della ricerca che è peculiare della mente che non deve essere isterilita dalla chiusura soggettivistica.

La mente è feconda dall'indagine ingegnosa mirante a scoprire la realtà nei suoi variegati aspetti. Nella conoscenza l'importante dunque è l'ingegno che per il Vico è la capacità di collegare conoscenze diverse e scoprirne dei nessi. Il tutto che abbiamo di meraviglioso e di grande in questa nostra coltissima umanità l'abbiamo in virtù di questa disponibilità ad imparare, mentre il primato delle regole metodiche ha fatto sì che i dotti ebbero gl'intelletti scemi di codesta quarta operazione che dicono "metodo".

Il metodo non è una sorta di panacea gnoseologica che risolve tutti i problemi come fa "l'autorità delle Carte (Cartesio) nel suo metodo. Ma questa fiducia ingiustificata in una sorta di chiave unica per la soluzione di ogni problema in realtà deriva da una comoda semplificazione, operata dall'umana debolezza «che 'n brevissimo tempo e con pochissima fatiga vorrebbe saper tutto». La ricerca richiede un impegno assiduo non sporadico o saltuario. Vico non manca di sottolineare «l'aspre difficultà che ci han costo la ricerca di ben venti anni». Ma questa condizione è la condizione per il dispiegarsi dell'ingegno. Le discoverte, infatti, sono frutto dell'originalità della persona con il suo lavoro ed il suo ingegno. Non possiamo sostituire il metodo all'intelligenza. Onde a ragione il Verulamio (Bacone) gran filosofo ugualmente e politico propone, commenda e illustra l'induzione nel suo Organo. Secondo il Vico il metodo non può dirigere la logica della scoperta, perché in realtà si ricava da quest'ultima. Secondo il Vico il metodo è solo un'arte  della terza operazione della mente, (e non la quarta) con cui mettiamo ordine nei nostri ragionamenti. Abbiamo la prima operazione rappresentata dalla topica, ossia l'arte della ricerca; la seconda è la conoscenza di sé, ossia il Cogito, che secondo Cartesio è  primo. Poi ci sono i ragionamenti e il mettere ordine a questi ragionamenti.

Le regole metodiche pertanto non possono avere una priorità normativa sulla prima operazione della mente rappresentata dalla conoscenza della realtà.  Il metodo è buono a ritrovare, ove tu possa disporre gli elementi con metodo; lo che riesce unicamente nelle matematiche, e nelle fisiche ci viene negato. Nelle matematiche, infatti, la mente umana contiene dentro di sé gli elementi delle cose che produce, e gli dispone, e si ne forma e comprende la guisa, e, comprendendola, manda fuori l'effetto.


Theorèin - Marzo 2005