Interviste

CROCE ROSSA A ZINVIÉ  

Tre i primi “crociati” giunti trent’anni fa, tre subito i dispensari medici, presso l’abitazione religiosa e nei villaggi. Ma si pensò a costruire un bell’ospedale - il La Croix -, inaugurato nel 1980. Sostenuto da operatori locali e volontari europei, lavora a pieno ritmo con statistiche considerevoli di ricoveri e interventi. A fianco dell’ospedale, una Scuola per infermiere e una casa per malati dimessi.

 A Zinvié la presenza camilliana dura ormai da un quarto di secolo. Attualmente il superiore è padre Antonio Busiello; la piccola comunità di religiosi (tre padri in tutto) è completata da padre Francesco e da padre Raoul. 

Quando i primi tre camilliani (Luigi Cisternino,Vincenzo Di Blasi e Antonio Pintabona) arrivarono nell’allora Dahomey, nel marzo 1973, tutto intorno c’era la brousse, la boscaglia che regnava sovrana. Probabilmente un senso di scoraggiamento serpeggiò nell’animo, ma, tempo un anno, la brousse cominciò a perdere terreno; sorse la casa per i religiosi, arrivarono nuove forze: padre Busiello, il dottor Stefano Ezio, Nunziatina Romanò, don Paolo Urso, un sacerdote amico della diocesi di Acireale. Con l’entusiasmo che caratterizza ogni iniziativa, quei pionieri iniziarono il lavoro camilliano: dispensario mobile nei villaggi lacustri, utilizzando una barca appositamente costruita; corse in quelli su terraferma da dove le chiamate si succedevano continuamente, notte e giorno; un dispensario in sede. I malati erano tanti e le medicine pochissime; mancava tutto: l’acqua, l’elettricità, la radio, la TV, il telefono…, i residenti erano, in pratica, tagliati fuori dal resto del mondo.

L’ospedale “La Croix” 

Nel 1976 fu iniziata la costruzione dell’ospedale (chiamato “La Croix” in omaggio alla croce rossa di S. Camillo), inaugurato il 25 marzo 1980 alla presenza di tutti i vescovi del Bénin, del Provinciale padre Rosario Messina, dell’ambasciatore italiano, del nunzio apostolico monsignor Bertello e di tanta gente anonima che intravedeva delle ragioni di speranza per la propria salute 

 Il 5 maggio 1980 il compianto dottor Vittorio Nadalini apriva ufficialmente l’ospedale. In precedenza erano arrivati nuovi aiuti: padre Paolo Calderaro, per due anni, padre Fulvio Barca, pendolare… fra l’Africa e l’Italia, padre Francesco Mazzarella, un pilastro per la missione. Nell’ottobre 1980 iniziava la collaborazione con l’organismo di volontariato LTM di Napoli, che per otto anni assicurava un flusso continuo di personale - medici, infermieri e tecnici di laboratorio - per il funzionamento dell’ospedale.Si intraprendeva anche un corso infermieristico biennale per il personale locale, con la tacita autorizzazione del ministero della sanità (non bisogna dimenticare che il Bénin era allora retto da un regime totalitario e che tutto era statalizzato). La scuola continua a funzionare, anche se non può rilasciare - alla fine del corso biennale - un diploma legalmente riconosciuto.

Gli anni ’85 e ’86 hanno visto sorgere due nuovi dispensari: nel villaggio lacustre di Lokuo e in quello terrestre di Adjanaho, rispettivamente a 5 e 10 chilometri dall’ospedale. Sorse anche il nuovo reparto di pediatria e il Foyer S. Camille per i più poveri e lontani, interamente finanziato da un gruppo missionario diretto da padre Domenico Lovera.

Nel 1987 è finalmente installato un gruppo elettrogeno. E’ indispensabile, ma fa un rumore infernale; per fortuna la notte tace. In seguito si è ottenuta l’elettrificazione della linea Calavi-Zinvié. 

Le attrezzature dell’ospedale 

Partito con 50 posti letto, l’ospedale oggi ne conta oltre 100 con servizi e attrezzature che, per un centro sanitario di brousse, sono straordinari. È composto da padiglioni di chirurgia, medicina, pediatria e consultazioni (quest’ultimo inaugurato dal Ministro della sanità in occasione del 25° anniversario dalla fondazione). Vi sono, inoltre, servizi di laboratorio, batteriologia, sala operatoria, radiologia, ecografia, gabinetti dentistico e oftalmologico, farmacia e anche un piccolo reparto di neonatalogia. 

I medici sono cinque: quattro beninesi e un chirurgo francese (il dottor Olivier Salomon, che lavora nell’ospedale dal 1983). Il personale infermieristico è composto da 40 unità, tutte beninesi. 

Le Figlie di san Camillo (tre) offrono la loro preziosa collaborazione senza risparmiare tempo. Completa il quadro la comunità dei padri (che fra l’altro si occupano anche della parrocchia di Zinvié). Ci sono poi numerosi volontari che prestano la loro opera per periodi determinati: fra questi molti medici specialisti e chirurghi, come la dottoressa Ornella Carrara, chirurga, originaria di Brescia. La direzione dell’ospedale è affidata a padre Antonio Busiello.

Alcune cifre parlano da sole: i malati visitati e curati (ospedale e ambulatori) sono stati circa 300 mila, i ricoverati 60.000. Sono stati praticati 22.000 interventi chirurgici.

All’ospedale La Croix confluiscono i malati di una larga porzione di territorio, specialmente i più poveri. Una realizzazione molto importante è il reparto di neonatalogia, purtroppo non attrezzato a sufficienza (mancano soprattutto le incubatrici, che sarebbero necessarie dato il notevole numero di neonati prematuri). 

L’organizzazione dell’ospedale offre le attrezzature e le medicine; i malati devono pensare al resto, compreso il cibo (che può essere preparato in apposite cucine). Ai bambini, invece, è offerto anche quello. Dei bimbi degenti sono generalmente le mamme ad occuparsi. 

Nell’ospedale, dove insieme ai degenti ci sono anche molti parenti che entrano ed escono liberamente, si riproduce un poco la vita del villaggio. Si può affermare che un malato arrivi portando con sé tutta la sua “casa”. Questo rende più sopportabile la degenza, anche se va a scapito dell’ordine e talvolta dell’igiene. 

E intorno all’ospedale 

Fuori dal recinto dell’ospedale sono state costruite due case: sono il Foyer St. Camille composto da 14 camere, in grado di ospitare quei malati che sono ancora bisognosi di cure, ma che sarebbe inopportuno continuare a tenere nell’ospedale. 

Come ogni istituzione di rilevante valore, anche l’ospedale ha un suo corpo di guardia con custodi armati giorno e notte. 

Nello spiazzo antistante sostano mototaxi e taxi, pronti a portare ovunque i visitatori. Ma ci sono anche bancarelle che vendono generi alimentari, capi di vestiario, attrezzature varie e bottiglie (o damigiane) di benzina. Quest’ultima è di contrabbando, anche se la vendita si fa alla luce del sole (le guardie chiudono un occhio). 

Nel recinto dell’ospedale si trova la casa dove abitano i religiosi camilliani presenti (che funge in parte da foresteria). Esiste anche un capannone adibito ad officina, regno del factotum Dominique che, con orgoglio, chiama l’insieme abbastanza disordinato di attrezzi, ferrivecchi, macchine in disuso, pezzi di ricambio “mon atelier”.   In ogni caso Dominique, pur con mezzi limitati, riesce a riparare ed a far funzionare quasi tutte le attrezzature del centro. 

L’ospedale è dotato anche di una bella cappella che funge da chiesa parrocchiale. È stata inaugurata il 23 dicembre 1990. Ad essa confluiscono per le celebrazioni domenicali sia i pazienti (che possono farlo), sia i parenti, sia gli abitanti della cittadina circostante.

Il dolce, il frizzante e lo scuro 

I tre camilliani che costituiscono la piccola comunità di Zinvié non potrebbero essere più diversi (come temperamento, come carattere, come formazione culturale e come espressioni). Ma proprio questa diversità ne fa un trio benissimo assortito. 

 Cominciamo dal “dolce”: padre Francesco. Lucano che più lucano non si può: grande signorilità, discrezione, profondità spirituale… Parla sempre con calma e tranquillità; non gli manca mai quel pizzico d’ironia appena appena accennato (vengono subito in mente certi tipi britannici…). Non perde la pazienza, nemmeno con i più ostinati. In più, a completare il quadro, c’è un’estrema dolcezza che caratterizza non soltanto il suo parlare, ma anche il suo gestire. Padre Francesco è un uomo di pace, di distensione. Ha ricoperto ruoli di grande responsabilità nell’Ordine; ma finito il tempo, è tornato nei ranghi tranquillamente.

 Questo non è però che un lato del suo carattere: la dolcezza in padre Francesco si accompagna ad una grande tenacia: fa sentire sicuri, con le spalle coperte. Non ti mollerà sul più brutto. 

 Padre Antonio (l’immaginifico “pantobus”) non potrebbe essere più napoletano di così: estroverso, frizzante, sempre in movimento con gli occhi, con le mani, con le parole… È vulcanico, spettacolare. Una ne pensa e un’altra ne fa… Si è subito impadronito delle tecniche informatiche e ne ha fatto uno strumento non soltanto di informazione per il vasto pubblico di amici che segue le fatiche camilliane, ma anche di evangelizzazione. 

 Il suo franco-partenopeo sembra essere particolarmente gradito a certe “lenze” di collaboratori, come l’infermiere Mathieu, furbo di tre cotte, ma non abbastanza per battere il “pantobus” perché «io so’ nato a Napule». Padre Antonio è generoso: gli potresti cavare l’anima… 

 Lo “scuro” è padre Raoul: che più scuro, in volto, non potrebbe essere. Ma è soltanto la pigmentazione della pelle ad essere così ricca, perché dentro, Raoul è chiaro come l’acqua. Gioioso, trasparente, entusiasta del suo ministero… 

 La piccola comunità si è divisa i compiti. A padre Antonio è toccata la direzione dell’Ospedale, un ruolo che esercita con molto impegno, soprattutto presso le autorità locali: «Quando vado al ministero, mica ci vado in ciabatte. E no. Vado in camicia e cravatta, sottobraccio una classica ventiquattrore… Sparo lì il mio “Sono il direttore generale dell’Ospedale La Croix”, così i vari sergenti si mettono sull’attenti…». 

 Un trio simpatico, efficiente e affiatato. Per Zinvié il futuro è in buone mani.

“Antenna selvaggia” a Zinvié 

 Dalla cima del tetto della casa dei camilliani a Zinvié si spinge verso l’etere una bellissima antenna da radio amatore. L’appassionato (e “tecnico del suono”) è padre Antonio Busiello, camilliano dalle molteplici risorse, che si è “riassunto” in una sigla, con la quale si presenta anche su Internet, come cineamatore e produttore di documentari sull’ospedale e in genere sulla vita camilliana in Bénin (molto utili anche per raccogliere fondi): Pantobus (che è contrazione di Padre Antonio Busiello).

 Il collegamento radio, che lo mette in contatto con i radioamatori di tutto il mondo, è molto utile ed ha aiutato a risolvere problemi, specialmente se le linee telefoniche vanno in tilt. 

 Ma è anche un divertimento ed un mezzo straordinario per farsi amici in tutto il mondo: amici che si conoscono soltanto per la sigla da radio amatore, per la lunghezza d’onda che utilizzano. Che probabilmente non si vedranno mai di faccia. 

 I radioamatori sono anche gente allegra, cui piace giocare. L’uso, per esempio, è di fare gare del tipo “a chi fa il maggior numero di collegamenti alla stessa ora dello stesso giorno”… 

 Avere una radio a disposizione dà inoltre sicurezza: le vie dell’etere sono più libere che quelle telefoniche; in caso d’emergenza possono togliere dall’isolamento.