L'ALTA VAL PESCARA NELL'OTTOCENTO 

dai resoconti dei viaggiatori tedeschi

A cura di: Virgilio Cesarone
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Capitolo 3

I viaggi in Abruzzo

Le cime leggere di queste
montagne si stagliavano
mirabilmente sul cielo
di fiamma.

Valery


Gli Abruzzi rimasero per lungo tempo nell'era moderna al margine degli itinerari dei viaggiatori. Ciò non accadeva precedentemente, poiché essi erano i territori da attraversare prima di imbarcarsi per la Terra Santa; inoltre la fiera internazionale di Lanciano, che raggiunse il suo apogeo nel 1500 per essere poi sostituita da quella di Lucera, richiamava moltissimi mercanti da tutta Europa. In Lanciano, nel periodo della fiera, vi erano perfino particolari condizioni che garantivano il tranquillo svolgimento delle attività commerciali: vigeva la cosiddetta "pace di fiera", che prevedeva un'attenta sorveglianza sulla città delle forze di polizia e sulla costa da parte della marina veneziana; la "franchigia", per cui i mercanti turchi, musulmani ed ebrei potevano recarsi nella città frentana senza timore; inoltre erano istituite delle organizzazioni di mercanti per ogni etnia, con delle "logge" in città per ciascuna di queste. (1)

Tuttavia fino al XVIII secolo gli Abruzzi furono regioni da evitare. Le mete tradizionali dei viaggi in Italia furono fino al Settecento soprattutto quattro: Firenze, Roma, Napoli e Loreto. E' da ascrivere senz'altro ai Francesi il merito di aver "aperto" le porte del Sud, grazie anche alla discesa in Italia delle truppe napoleoniche. Ai Francesi seguirono gli Inglesi, i Tedeschi e gli Scandinavi.

Le cause del mancato attraversamento degli Abruzzi sono molteplici. Innanzitutto esisteva il problema della viabilità; anche se in verità le strade maggiori - la L'Aquila-Sulmona-Castel di Sangro-Isernia-Napoli e quella a ridosso dell'Adriatico con deviazione all'interno per Chieti-Popoli - erano ben battute ed avevano subito un riassesto in epoca napoleonica, le rimanenti vie di comunicazione erano delle vere e proprie mulattiere, che assomigliavano più a piste o a sentieri. Prima della costruzione delle linee ferroviarie le principali città d'Abruzzo erano collegate dalle cosiddette "poste". Esse erano generalmente carrozze a 4 ruote per 8 persone (anche se ve ne erano di più grandi); le più famose ditte di poste erano quelle dei fratelli Combattelli (Popoli-L'Aquila-Rieti) e quelle di Vincenzo Fiocca, che avevano un raggio d'azione comprendente tutto l'Abruzzo ed anche oltre (Sulmona-Castel di Sangro-Napoli).

Altro problema era quello del mancato collegamento con la posta internazionale. Sembra che sotto l'impero asburgico, (2) nell'anno 1734, nacque l'idea di collegare il regno di Napoli con l'Austria via mare (da Fiume a Pescara), ma successivamente il mutato quadro politico, con la perdita del Sud-Italia da parte dell'Impero Austro-ungarico, fece cadere questo progetto.

Inoltre non minore preoccupazione destava nell'animo dei viaggiatori la possibilità di imbattersi nei briganti. Per questo motivo i viaggiatori preferivano affrontare gli Abruzzi mai soli ma in gruppo, anche se molti provavano un duplice atteggiamento nei confronti dei briganti, di condanna e di stima, come mostra ad esempio il seguente passo del francese Valery:

Gli abitanti dei paesi che si attraversano, anche se sono stati costretti a cambiare abitudine, hanno ugualmente la fisionomia di briganti. Qualcuno vorrebbe sicuramente ripiegare sul furto, come si può intuire dagli sguardi indagatori che essi gettano sulle valige ed i bagagli e dalla loro prontezza a sbrigarli ai diversi alloggi; ma avvezzi un tempo agli attacchi a mano armata, alle spedizioni notturne ed al furto in grande, il furto domestico è loro meno familiare; gli mancano i primi rudimenti dell'arte ed essi sono facilmente sconcertati dalla sorveglianza, soprattutto quella di un uomo come Giovanni. Il brigantaggio italiano, vita errante, avventurosa e guerriera, è stato chiamato una cavalleria mancata; risultato di un cattivo assetto sociale, prodotta dal bisogno, eccitato spessissimo dal fasto e dalla vanità degli stranieri, esso non e affatto screditato nell'opinione del popolo; è il mezzo per piacere alla giovane fanciulla, la quale gradisce molto che il suo futuro sposo abbia trascorso qualche tempo tra i briganti della montagna: infine conserva negli uomini che vi si volgono certe qualità naturali ed una sorta di dignità. Se si scrivesse la storia dei briganti in Italia, indipendentemente dallo splendore, si troverebbero in essa dei tratti singolari di generosità; e non è stata affatto dimenticata la condotta di due di questi eroi, Pacchione e Sciarra, verso l'Ariosto ed il Tasso, che essi seppero onorare meglio dei principi loro contemporanei, adulati da questi grandi poeti. (3)

Non ha certo la stessa visione, romantica e piena di ammirazione, lo svizzero Lichtensteiger, il quale trascorse quattro mesi nelle mani dei briganti, che lo avevano rapito nell'inverno 1865/1866:

Non per questo motivo, perché la gente aveva paura, i briganti la taglieggiavano. Il governo italiano ha vietato infatti ogni contatto con i briganti sotto la minaccia delle pene più severe. Al contrario gli abitanti delle montagne sanno per una lunga esperienza che il brigante non chiede volentieri per nulla e che vendica spesso violentemente un favore rifiutato. (...) Non c'è menzogna maggiore di quando i briganti si ritengono gli uomini liberi del bosco. Colui che è consapevole della colpa non è mai libero. La paura è la sua continua compagna. Colui che dorme con il fucile in mano vive una vita miserevole. (...) Il suo più grande piacere, il dolce far niente, viene reso amato dal pericolo continuo. Il loro gioco si conclude spesso in un violento litigio. Il loro gusto di abbigliarsi con fazzoletti colorati ed altri fronzoli non trova alcun ammiratore, la loro vanteria nessun credito, la loro vita per lo più una fine con paura. Una pallottola, il patibolo, la galera nel migliore dei casi: questa è la fine di molti tra questi infelici. (4)

Molto spesso il viaggiatore attento non si limita a descrivere oleograficamente il fenomeno del brigantaggio, ma ne cerca le cause, come nel caso del geografo Partsch, il quale scrisse nel 1889:

Non è in verità un miracolo se sotto un governo decrepito e dimentico dei propri doveri l'energia di questo popolo di montagna, che invano anela ad un occupazione vantaggiosa, intraprende la strada del brigantaggio.

Questo problema però pare fosse negli Abruzzi un ricordo del passato:

tanto che oggi si può andare per le sue strade sicuri come in patria. (5)

Il Baumgarten ci informa dell'avvenuta "normalizzazione" in Abruzzo, da lui visitato nel 1895 alla ricerca di antiche pergamene, con un'espressione che desta però sicuramente ilarità:

Nelle camere d'albergo è tutto così sicuro come in un armadio a prova di fuoco. (6)

Anche il Gregorovius non trascura di parlare dei briganti nella sua "Settimana di Pentecoste negli Abruzzi", anche se il suo tono non è certo pieno di ammirazione:

Alcuni amici a Roma trovarono pericolosa la nostra decisione di attraversare questa regione selvaggia, poiché dopo la Calabria gli Abruzzi sono il teatro più rinomato del brigantaggio. Fino all'anno 1860 erano molto vessati da banditi, ed anche adesso taluni praticano la loro attività nella zona di Sulmona. Il nostro vetturino non si stancò di raccontarci storie di queste montagne che facevano rizzare i capelli, tra le quali mi è rimasto il ricordo di una. Sette fratelli, forti come leoni, aquilani, divennero un giorno banditi e si ritirarono su queste montagne; essi derubavano ed uccidevano, trascinavano i prigionieri con loro, strangolarono centinaia di ricchi possessori di pecore. Cinque fratelli morirono, due scomparvero. Dei cittadini aquilani, che un paio di anni dopo portavano seta grezza al mercato di Trieste, riconobbero questi due banditi in due commercianti, i quali avevano aperto colà una fiorente ditta. Il governo austriaco li consegnò a quello italiano, e questi banditi sono ora in una torre ad Aquila, dove attendono la loro condanna a morte. (7)

Non è certo questa la sede per un approfondito esame della storia e dei motivi del brigantaggio che in Abruzzo è presente fin dal Trecento. (8) E' tuttavia da tener presente che le forme assunte da questo furono diverse nel corso dei secoli; se infatti il brigantaggio tardo medioevale fu sostanzialmente di matrice aristocratica, determinato soprattutto da intenti politici ed agevolato sia dal territorio montagnoso che dalla posizione di frontiera dell'Abruzzo, il brigantaggio nato nel Cinquecento fu caratterizzato dal "manutengolismo". Con tale termine si designa da un lato lo stretto legame di parentela o di amicizia tra i banditi, dall'altro la complicità che accomunava in questa attività interi gruppi sociali. Nel XIX secolo i briganti furono poi l'arma dei Sanfedisti, ossia di coloro che combattevano per il ritorno ai principi della fede cattolica e per la restaurazione borbonica contro i giacobini al tempo dell'occupazione francese; nel contempo essi divennero l'arma della vecchia classe aristocratica, che voleva mantenere un'organizza economico-sociale di tipo armentizio, contro le aspirazioni delle nuove classi borghesi emergenti. Queste infatti vedevano nella trasformazione dell'economia abruzzese da un modello agro-pastorale ad uno più attento agli aspetti mercantilizi la possibilità di sviluppo delle proprie potenzialità. I motivi di rivendicazione politica ed economica sono presenti anche nel brigantaggio post-unitario, che sopravvisse alcuni anni ancora, prima di venir debellato dalla cruenta applicazione della legge Pica del 1863. Così infatti si esprime sui briganti Ernst Furrer, che percorse in lungo ed in largo la nostra regione nei primi anni Venti di questo secolo:

Impensabile! Gli Abruzzi sono liberi da briganti. Il romanticismo del brigantaggio appartiene da più di mezzo secolo ormai alla storia. Sono salito da solo sulla Majella, ho camminato per il Terminillo, sono stato per giorni sul Gran Sasso ed anche altrove, non avevo altra risorsa che me stesso e nella solitudine mi sentivo sicuro come a casa. Mai ho portato un'arma con me. Questa sarebbe un peso ridicolo, a meno che non ci si voglia proteggere dai lupi in inverno o anche durante le passeggiate notturne attraverso i boschi. Buon Lettore, scaccia via dalla tua mente l'idea che Abruzzi e briganti siano una cosa sola! Solo molto fuori dagli Abruzzi, nei paesi con alta scolarizzazione, sopravvivono questi racconti. (9)

Tra i motivi che hanno tenuto lontano dall'Abruzzo i viaggiatori stranieri, non bisogna dimenticare l'esclusione di questa regione dagli itinerari previsti dal Grand Tour, la cui estrema meta meridionale era Napoli. Il giro d'Europa era destinato soprattutto a conoscere i luoghi idonei alla villeggiatura o quelli cui si potessero ammirare le bellezze artistiche del Rinascimento o del periodo barocco. In tale ottica gli Abruzzi non suscitavano alcun interesse particolare per i figli dell'aristocrazia europea. Il viaggiatore del Grand Tour si avventurava raramente fuori dagli itinerari consueti e preferiva viaggiare per strade conosciute. I percorsi per raggiungere le quattro città già citate erano sempre gli stessi: per andare a Roma da Firenze si attraversava Viterbo, oppure dalle Marche Spoleto e Temi; per Napoli si attraversavano le paludi Pontine via Terracina e Gaeta, oppure all'interno attraverso Palestrina, Monte Cassino e Capua, Solo raramente da Napoli si decideva di andare verso il Nord attraversando il Molise e gli Abruzzi; in tal caso si poteva scegliere tra la via per Isernia-Sulmona-Popoli e da qui per L'Aquila, oppure per la valle del Liri da Sora ad Avezzano.

Con il Romanticismo mutò in un certo senso il rapporto con la natura e conseguentemente si destarono nell'animo dei viaggiatori anche nuovi interessi storici ed artistici, tra i quali la riscoperta del Medioevo. Questa nuova sensibilità portò a visitare gli Abruzzi, terra dì paesaggi magnifici ed orrendi al tempo stesso, terra di castelli arroccati su orti pendii e di abbazie romaniche.

Senza dubbio uno dei motivi della fatiscenza delle città e degli antichi resti romani della nostra regione è da rinvenire, oltre all'incuria in cui versavano, nell'effetto di tremendi terremoti; non bisogna dimenticare infatti che in Abruzzo la terra tremò nel corso del XVIII secolo con una frequenza ed una forza impressionante. Il 2 febbraio 1703 un violento terremoto nella zona dell'Aquila distrusse parte della città, provocando circa 3.000 vittime nel capoluogo ed altrettante nei paesi vicini. Il 3 novembre 1706 fu la volta della zona di Sulmona e dell'Abruzzo Citeriore. Ancora a L'Aquila il 6 febbraio 1762 ed a Sulmona il 5 febbraio, il giovedì grasso, del 1777; quindi ancora all'Aquilail il 1 agosto 1786. Nel corso del secolo successivo la terra tremò ancora, ma fortunatamente le conseguenze furono meno disastrose, Se consideriamo che la regione fu teatro anche dell'occupazione francese e di violenti scontri e rivolte nel periodo che va dal 1797 al 1806, e che inoltre una tremenda carestia, a seguito di una prolungata siccità, si abbattè sull'Abruzzo tra il 1801 ed il 1802, possiamo renderci conto della miseria in cui versava gran parte della popolazione allorché questi facoltosi stranieri attraversavano le terre d'Abruzzo. Il Furrer contrappone significativamente la forza distrutiva della natura alla caparbietà, alla volontà di ricostruire e di ricominciare del popolo d'Abruzzo dopo aver subito tanti terremoti:

Le città di Aquila,Sulmona ed Avezzano hanno vissuto ripetute volte tale terrore, ed i loro edifici più belli sono stati distrutti completamente oppure, se sono rimasti in piedi, portano i segni indelebili del terremoto. Non è passato alcun secolo senza numerose scosse, per non parlare di quelle lievi pur innumerevoli. Quello del 1703 infuriò con una forza distruttiva. Molti paesi e cittadine sono caduti in sacrificio insieme agli abitanti. Ma il cittadino non si dispera per questo. 'Egli ricostruisce di nuovo la propria casa sui morti e le macerie. Nuove generazioni vanno e vengono. Il suolo oscilla ogni paio d'anni, ma per lo più non in maniera violenta, Cadono un paio di tetti, crollano i camini, i muri e le travi mostrano lesioni. Questi sono danni lievi. Quindi la terra trema di nuovo paurosamente, manda in rovina paesi e città e migliaia di uomini riposano in fosse comuni. Così gli Abruzzi sono annoverati tra le più temute zone sismiche d'Europa. (10)

Tralasciando i viaggiatori tedeschi - di cui parleremo in maniera dettagliata più avanti - cercheremo ora di elencare brevemente le opere di viaggiatori che hanno attraversato la nostra regione.

Una delle prime opere pubblicate in Inghilterra in cui viene descritto l'Abruzzo è quella di Sir Richard Hoare dal titolo Classic tour through Italy (1819). L'inglese descrive la zona del lago Fucino, soffermandosi anche sui resti di Alba Fucens. Tra i resoconti di viaggio più importanti e completi va annoverata sicuramente l'opera dell'inglese Keppel Richard Craven, il quale soggiornò lungo tempo a Napoli e pubblicò due opere, una delle quali porta il nome Abruzzo già nel titolo: A tour through the southern provinces in the kingdom of Naples del 1821 e Excursion in the Abruzzi and northem provinces of Naples, (11) quest'ultima opera è impreziosita dalle illustrazioni dell'inglese William Edward Westall. Proprio Keppel Craven ci fornisce una descrizione non certo esaltante dell'indole del popolo abruzzese:

A Tagliacozzo mi procurai i cavalli, una operazione che i lenti modi di fare dei nativi ritardarono fino ad esasperarmi. Gli abitanti dell'Abruzzo, benché stimati una razza di duri lavoratori, sembrano del tutto insensibili a quell'avidità verso il guadagno che caratterizza quelli dei distretti meridionali, la quale supplisce in un certo modo alla mancanza di meglio regolate abitudini, alla speculazione ed all'industriosità; ciò può essere attribuito, così mi sembra, alla costituzionale lentezza di facoltà sia fisiche che mentali, che li fanno assomigliare ad alcune parti delle nostre popolazioni settentrionali, con le quali hanno in comune le occupazioni di una vita lontana dalle comodità. Essi sembrano indifferenti o incapaci di capire i casuali vantaggi derivabili da un affare o da un lavoro al quale non sono stati quotidianamente abituati. Così benché la piazza del mercato fosse piena di cavalli e di muli, che avevano compiuto il loro lavoro quotidiano, e benché dovessero forse ritornare alla loro sede nei dintorni tra breve tempo, con estrema difficoltà riuscimmo a convincere i loro padroni a concederci l'uso di due di essi con un compenso che andava ben oltre il guadagno solito di una giornata di lavoro. Alla fine quando fu concluso un accordo per questo intento, l'imbarazzo ed ancora la riluttanza dimostrata da loro nel fornirci le bardature per cavalcare i muli costrinsero il mio domestico ad andarne in cerca ed a procurarle senza il loro ulteriore aiuto.(p.115)

Un altro inglese che ha pubblicato un'importante opera sull'Abruzzo è Edward Lear (1812-1888); insegnante di disegno della regina Vittoria, lasciò l'Inghilterra per le regioni meridionali d'Europa per motivi di salute. A lui si devono i Views in Rome and its environs del 1841 e i due volumi del 1846 intitolati Illustrated excursions in Italy (12) in cui descrive e disegna in maniera suggestiva l'Abruzzo. 

Tra i viaggiatori francesi abbiamo già citato il Valery, per gli altri (tra cui il Stendhal) rimandiamo all'antologia pubblicata qualche anno fa, che ha come tema proprio l'Abruzzo nella letteratura francese tra Ottocento e Novecento. (13)


(1) Cfr. ANGELO MELCHIORRE, Storia d'Abruzzo tra fatti e memoria, Amhrosini ,Penne 1989, pp. 186-187. 
2) OTTO LEHMANN-BROCKHAUS, Gli stranieri negli Abruzzi e nel Molise durante il Sette-Ottocento, in Atti del 3° convegno "Viaggiatori europei negli Abruzzi e Molise nel XVIII e XIX secolo", a cura di G.de Lucia, Teramo 1975, p.15. 
3) VALERY (pseudonimo di Antoine CLaude Pasquin), Voyages historiques et littéraircs en ftalie pendaìt Ms annécs 1826, 1827etJ828. ot~ l'indicateur italien, 5 voll,, Parigi 1831-1835, p. 332. Il Valery era conservatore ed amministratore delle biblioteche della Corona; l'opera citata è una raccolta dei diversi resoconti dei viaggi intrapresi dall'autore per l'Italia. Uomo colto e raffinato, descrive in maniera sprezzante la nostra ragione, soffermandosi sulla descrizione di Pescara, Popoli, Sulmona e Castel di Sangro. 
4) JOHANN LICHTENSTEIGER, Vier Monate unter den Briganten in den Ahruzzen, a cura del Verein fur Verbreitung guter Schriften Zurich n.80, Novembre 1910; citato da E, Furrer, Die Abruzzen, Freiburg im Breisgau 1931, p. 86. 
5)FRIEDRICH PARTSCH, Die Hauptkette des Zentralappennin, Verhandl. der Ges. fur Erdkunde zu Berlin Bd. 16, 1889, p. 431, citato da E. Furrer, cit., p. 88. 
6)PM.BAUMGARTEN, Vier Wochen in den Abruzzen, in 'Kòlnische Volkszeitung" n.594 del 15 Settembre 1895, citato da E. Eurrer, cit., p.90. 
7) FERDINAND GPEGOROVIUS, Eine Pfìngstwoche in den Abruzzen (1871), in Wanderjahre in Italien, Freiburg in Breisgau, (?), p.1O9. 
8) Cfr. RAFFAELE COLAPIETRA, Abruzzo, un profilo storico, Carabba, Lanciano 1977, p.95 e segg. 
9) ERNST FURRER, Die Abruzzen, Herder. Freiburg in Breisgau 1931, p.84. 
10) Ivi, pp.18-19. 
11) KEPPEL RICHARD CRAVEN, Viaggio attraverso l'Abruzzo e le province settentrionali del Regno di Napoli, trad.it, di I. di Iorio, Di Cioccio, Sulmona 1979. 
12) EDWARD LEAR, Viaggio attraverso l'Abruzzo pittoresco, trad.it. I.di Iorio, Di Cioccio. Sulmona 1988. 


13) AA.VV., Viaggiatori francesi in Abruzzo 800-900, a cura di G.A.Bertozzi e G.Dotoli, Chieti 1989.  

Theorèin - Anno 2003