L'ALTA VAL PESCARA NELL'OTTOCENTO 
dai resoconti dei viaggiatori tedeschi

A cura di: Virgilio Cesarone
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Capitolo 7 (C.5 parte III)

I viaggi tedeschi nell'alta Val Pescara

Gerhard Vom Rath

 

OSSERVAZIONI DA UN VAGONE FERROVIARIO

Al momento dell'unità d'Italia in Abruzzo non esisteva alcun collegamento ferroviario; la realizzazione della linea Napoli-Portici del 1839, pur essendo la prima in Italia, si dimostrò una operazione effimera, perché non fu seguita da una politica volta a superare la rete ferroviaria nelle altre regioni del regno; solo le zone limitrofe dalla capitale videro completate alcune linee, mentre i progetti e le proposte di collegare le altre regioni (tra cui il Abruzzo) a Napoli rimasero a lungo lettera morta. All'atto dell'unità ci fu un veloce balzo in avanti nello sviluppo della rete ferroviaria nel meridione, determinato soprattutto dalla necessità di collegare il Nord con il Sud del regno. Per questo si intraprese la costruzione della ferrovia adriatica, che, correndo nelle immediate vicinanze del mare, presentava minori problemi logistici. Nel maggio del 1863 fu ultimata la Ancona-Pescara, e nell'aprile 1865 la Pescara-Ortona-Foggia. Solo nel febbraio del 1873 fu inaugurato il tratto fino a Popoli della strada ferrata che doveva congiungere Pescara a L'Aquila; il 1° novembre dello stesso anno fu ultimata la tratta fino a Sulmona, ed il 10 maggio 1875 fu inaugurata l'intera linea. Il professore all'Università di Bonn ed amministratore delle miniere, Gerhard Vom Rath, attraversò la valle del Pescara il 14 marzo del 1882, diretto all'Aquila e poi a Rieti, descrivendo i paesaggi visti dal finestrino del treno. Vom Rath aveva già scritto un'opera di letteratura odeporica: Ein Ausflug nach Kalabrien (Una escursione in Calabria), pubblicata a Bonn nel 1871. Il brano da noi tradotto è tratto dal primo volume (pp. 29-35) dell'opera Durch Italien Und Greichenland nach dem Heilingen Land - Reisebriefe 1882 (Attraverso l'Italia e la Grecia verso la Terra Santa - Lettere di viaggio), pubblicata ad Heidelberg sempre nel 1882. Lo spirito neoclassico che accompagnava, sulla scia di Goethe, i viaggiatori tedeschi è ormai lontano, così come estraneo è al nostro il bisogno tutto romantico di tuffarsi in una natura affascinante ed orrenda al tempo stesso. I suoi occhi, anche se attratti dalle maestosità delle montagne, scrutano soprattutto il reale: la miseria. 

Rieti, 14 marzo 

Ieri sera lasciai Rimini con il diretto della notte. La strada ferrata corre per lo più nelle immediate vicinanze del mare, il cui agitarsi e mugghiare era percepibile ad ogni fermata. In vari punti la ferrovia perfora con tunnel le ripide cime sporgenti. 

Al chiarore della luna piena rilucevano le candide creste delle onde in movimento. Durante il veloce viaggio notturno il mare, splendente e spumeggiante, ed i meravigliosi monti sulle sponde offrivano superbe immagini. Dopo una sosta di mezz'ora a Pescara si proseguì alle 4 di mattina il viaggio verso L'Aquila. Chieti era già dietro di noi quando l'aurora scacciò via poco a poco le ombre della notte. Il treno saliva verso la valle del Pescara che si restringe lentamente su di sé verso sud-ovest. Su entrambi i lati si innalzano colline simili ad altipiani, sulle ampie cime delle quali si trovano città e villaggi. In questa pianura elevata, composta di sabbia dorata e grigia argilla, i fiumi ed i torrenti hanno scavato gole verticali con ripide pareti, che sembrano trasformare di volta in volta le isolate parti dell'altipiano in fortezze naturali. 

Svegliandomi dall'ultimo dormiveglia udii gridare la stazione di Torre de' Passeri (Sperlingstrum). Com'era tutto cambiato in confronto alla Romagna, le cui impressioni erano così vive! Il territorio, la coltivazione, le abitazioni, gli uomini! Tutt'intorno brulle montagne, i pendii coperti da una smisurata quantità di rovine e massi. Non manca una coltivazione laboriosa e dura; le pietre sono ammucchiate in alti rialzi e colline per ottenere un po' di terreno coltivabile. Nel mezzo della pianura pietrosa stanno gli olivi, con il loro fogliame grigio-verde, i rami nodosi che vanno nelle più diverse direzioni, ogni tanto costeggiati e travolti da torrenti di pietra. I luoghi Torre e Tocco (di Casauria) appaiono come inospitali cumuli di terribili rovine, nelle quali forse hanno lasciato loro traccia diversi terremoti. Essi si ergono in alto su pendii rocciosi; più in alto ancora sale la ferrovia ed offre scorci di queste orribili abitazioni, delle quali non si vorrebbe credere che sono dimore umane. Come le montagne si frantumano in pietre che rotolano e scivolano giù, così anche i paesi sembrano solo un orribile agglomerato di rovine e di macerie. Quale influsso, che rende duri e inospitali, devono aver esercitato tali stamberghe di pietra sugli animi giovani! Solo lo sguardo di pittori, i quali spesso creano magicamente un'apparenza illusoria di bellezza sulla miseria italiana, può trovare anche qui un certo soddisfacimento. Poiché, nel mezzo delle rovine, scuri cipressi si innalzano snelli per trenta metri; il fico circonda le mura diroccate, e presto il suo fogliame mitigherà il segno delle macerie. 

La valle si restringe e noi ci avviciniamo alla "Gola dei tre monti", una strettoia rocciosa lunga un miglio, nella quale il Pescara perfora l'alta cresta appenninica. Il colpo d'occhio verso la parte superiore ed inferiore della valle mostra uno straordinario contrasto. Volti indietro vediamo ancora le cime pianeggianti delle colline, digradanti verso il mare e coperte da un verde sparuto; al contrario di fronte a noi una porta di roccia, o piuttosto un enorme taglio, si apre nella nuda grigia catena montuosa. Ci si offre in effetti la vista rimarchevole di vedere il treno che penetra in questa gola minacciosa e sbadigliante, la quale taglia l'alta montagna, a nord il Sasso d'Italia 2921 metri, Marrone 2060 metri e Maiella 2727 a sud. Scendono dalle vette rocciose alla strettoia colossali ed innevati ghiaioni, inoltre in diversi punti sembra che l'intera montagna si frantumi in pietre staccate tra loro. 

Ovunque combatte anche qui l'uomo contro le devastazioni della natura, trasformando i posti più riparati in piccoli pascoli e coltivazioni. Ancora più miserevole è lo scenario là, dove torrenti di pietre ricoprono il terreno coltivato, ottenuto già a fatica, ed hanno sepolto fino alla cima gli alberi. La bell'acqua verde del Pescara cade e scroscia sulla rocce calcaree. Ora la Gola si allarga e si appiana un po' verso una conca, in cui sbocca una valle dal nord presso la stazione di Buzzi. Di nuovo si riuniscono le pareti delle montagne, ma solo per un breve tratto, quindi, rivolti a sud, giriamo intorno alla sporgenza montuosa di Popoli e ci troviamo sull'altipiano circondato da monti di Sulmona, 478 metri, la "fresca ricca d'acqua patria" di Ovidio. 

Queste pianure di montagne, o bacini, sono un fenomeno caratteristico degli Appennini centrali; originariamente erano dei laghi ed in parte lo sono ancora. Questi bacini montuosi vengono canalizzati verso le zone situate più a valle per mezzo di ripidi precipizi, talvolta interrotti da cadute di rocce. 

La città di Popoli, dominata dall'antico castello del signore, è situata in alto in montagna. Il mucchio di case, simili a fortificazioni, sembra fatto di roccia, ed aderisce a questa, trasformando solo di poco il rilievo naturale con i suoi tetti piani. Nessun albero, nessun cespuglio mitiga l'impressione del paesucolo di roccia posto in alto. Non lontano da Popoli si incontrano i tre fiumi, Sagittario proveniente da sud-ovest, Gizio da sud-est e Aterno da nord-ovest, e formano il Pescara. L'ampio fondo valle, che è protetto da argini contro i fiumi, sempre pronti ad innalzare il loro letto, splende nel primo verde di primavera. 

Verso ovest si presenta un notevole gruppo montuoso. Per prima una catena di pre-monti, brulli, grigio-marroni, coperti da enormi quantità di pietre, sui quali apparentemente minaccia di scivolare giù l'intera montagna; dietro questi le alte montagne della Maiella, in parte celata da nuvole, attraverso gli intervalli delle quali fanno capolino distese coperte di neve. Un secondo paesucolo roccioso, ugualmente sormontato da un castello, compare sull'alta parete della montagna. Nella pianura si trova la stazione di Pratola, anch'essa su di una terrazza abbastanza elevata, la stessa di Sulmona, la città principale del distretto, con case ben edificate ed un campanile a punta. La linea ferroviarie si avvicina alla città solo di un chilometro e mezzo circa, quindi cambia la sua direzione sud-orientale in una nord-occidentale per mezzo di una forte svolta e sale verso il clivio occidentale, per guadagnare la vetta della valle dell'Aterno. Mentre questa descrive un grosso nodo nell'ampio cerchio montagnoso (ogni braccio circa un miglio tedesco), si ha l'ottima possibilità di osservare l'anfiteatro tutt'intorno. Un particolare abbellimento del paesaggio viene creato da milioni di mandorli fioriti, che a volte stanno così compatti da celare con un velo di fiori i selvaggi luoghi pietrosi nei quali essi crescono. Il sole mattutino gettava luci sovrane sul paesaggio. Mentre i pendii verso ovest erano ancora nell'ombra, la serie dei monti posti di fronte riluceva tra i raggi del primo sole. La pianura nasconde molti resti di antiche costruzioni romane. Qui si trova la città di Corfinium. Presso la stazione di Rajano, dove è stata innalzata un'antica colonna, ci si avvicina alla gola del fiume Aterno. Dalla vetta, che ora la ferrovia raggiunge, spaziamo con lo sguardo ancora sulla piana di Sulmona, larga 5 Km., lunga 15. Dopo aver lasciato Rajano, un gruppo di case grigie e quadrate, verso nord guardiamo l'Aterno sotto di noi, che collega, scorrendo attraverso una delle grandiose gole di roccia, la gola di San Venanzio lunga 20 Km., il catino di Aquila (la Valle Amiterna) con la piana di Sulmona. La ferrovia, alta sul fiume impetuoso, che spesso si sottrae alla vista in uno stretto crepaccio, è in parte collegata in lunghi tunnel, in parte supportata da enormi muri di sostegno. Sembrano minacciare ogni momento la caduta le rocce, piene di crepacci e di grotte, che si innalzano in improvvise pareti (300 m.) e sono coronate da pinnacoli spezzettati. Questa grandiosa forma della valle si mantiene per un miglio, fino a Molina, quindi la gola si amplia un po', per restringersi nuovamente tra Acciano e Beffi. Le montagne Pietreritte e Colle Pago, alle cui pareti verticali conduce la ferrovia, sono piene di crepacci e di macerie in maniera così spaventose da dover ammirare l'audacia dei costruttori della ferrovia. Stranamente contrastano con questa landa pietrosa posti più favorevoli, coperti di campagna verde e da alberi in fiore. Presso Beffi le estese rovine di un castello si affaccia sulla valle. Infine la gola si apre, presso Campagna-Sagnano, sul bell'altipiano dell'Aquila, circondato da montagne. Verso nord-est si eleva il massiccio montuoso del Gran Sasso con le vette più alte dell'Appennino. Anche la catena sud-occidentale, benché meno alta del Gran Sasso, è ancora ricoperta da neve. Questa china ottiene un particolare abbellimento da tre paesucoli di roccia, sormontati da tre erti castelli. Aquila è situata su di un'altura a forma di scudo, alta 731 metri, 60-80 metri sulla stazione. Dal castello, sul lato nord-est della città, si ha una magnifica veduta del Gran Sasso, di cui la vetta più alta (Monte Corno, 2921 metri) raffigura una bella piramide, posta, insieme ad innumerevoli montagne vicine, su di un possente massiccio montuoso. 

Aquila, la città principale della terra degli Abruzzi, sprofondata in un profondo letargo sotto il dominio dei Borboni come tutte le altre città di provincia del territorio napoletano, fortunatamente va avanti. Questo lo dimostra già l'aspetto esteriore della città ed i lavori, belli ed utili, che vanno verso il suo completamento; nuove strade e giardini, così come il possente muraglione che collega direttamente, sopra una profonda valle, la chiesa di Collemaggio con la città. Dal castello mi volsi verso la chiesa di San Bernardino, quindi da qui verso il nuovo cimitero, 1 Km. dalla città; il paesaggio ampio e grandioso si trovava in un meraviglioso chiarore. Non solo i monti coperti di neve intorno, ma anche la condizione delle semine e degli alberi da frutta davano al paesaggio meridionale in questa elevata valle pianeggiante (alta 730 metri) un tratto delle rigide terre del nord, accrescendo il fascino dell'immagine attraverso questo contrasto. Passato accanto alla chiesa di Collemaggio, bella ma disgraziatamente simile ad una rovina, ritornai indietro verso la città per la strada nuova; vidi alcuni palazzi delle famiglie Torres, Spaventa, Riviera, Perzichetti, Poperzi, Alfieri e lessi sulla chiesa del Purgatorio le parole di San Crisostomo: Juventur mortuus non lacrymis sed precibus, supplicationibus et elemosynis. (1)Il compleanno odierno del re veniva festeggiato nelle scuole con discorsi ufficiali, ai quali invitavano grandi insegne, dipinte per l'occasione sui portali. 

Nel pomeriggio lasciai Aquila con il servizio postale e giunsi un'ora più tardi a Rieti. Nell'uscire da Aquila si vede a destra, sul clivio del Monte Pitino, il convento abbandonato di San Giuliano, ornato da cipressi. La pianura della valle si restringe e separa un ramo verso occidente, che la nostra strada asseconda. Il sole era già tramontato a fondo valle quando salii, in anticipo rispetto alla vettura, sullo spartiacque (Aterno, Velino), la cui altitudine arriva a circa 1000 metri. Voltomi indietro vedevo ancora il massiccio del Gran Sasso; anche davanti a me, dal nord-ovest, faceva capolino una piramide di montagne ricoperte di neve sulle gole contorte e silenziose. Era quasi mezzanotte quando entrai a Rieti. La luna illuminava chiaramente le strade silenziose, la notte era sensibilmente fredda. Nonostante l'ora tarda trovai in Croce bianca la più pronta accoglienza. Il giovane oste, avvolto in un mantello nero, lo spesso cappello sul capo, mi regalò ancora la sua compagnia, esprimendo dignitosamente il suo dolore per la prematura morte di suo padre.


(1) Il motto sia aiutato non con le lacrime, ma con le preghiere, le suppliche e le elemosine.


Theorèin - Settembre 2003