L'ALTA VAL PESCARA NELL'OTTOCENTO
dai resoconti dei viaggiatori tedeschi
A cura di: Virgilio Cesarone
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Capitolo 8 (C.5 parte IV)

I viaggi tedeschi nell'alta Val Pescara

Heinrich Schulz

 

TRA LE MERAVIGLIE DELL'ARTE ROMANICA

Heinrich Schulz nacque a Dresda nel 1808 ed ivi morì nel 1855; a lui si devono senza dubbio gli studi più completi ed accurati sull'arte medioevale presente in Abruzzo.

Egli viaggiò per l'Italia dal 1831 al 1842 e di nuovo nel 1846-47. Direttore della collezione d'arte antica del re di Sassonia, lo Schulz era anche presidente dell'Accademia delle Belle Arti di Dresda.

Egli arrivò per la prima volta in Italia al seguito del re di Sassonia, Johann, in un viaggio nel Regno delle due Sicilie, e da questo momento iniziò a lavorare ai suoi libri, grazie anche alla spinta di un famoso storico dell'arte del tempo, Friedrich von Rumhor.

La sua opera Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien (Monumenti dell'arte medioevale in Italia meridionale) fu pubblicata postuma nel 1860 in 3 volumi con un colume separato di tavole; il secondo volume tratta dei monumenti visitati in Abruzzo.

Accompagnarono lo Schulz durante i suoi viaggi due disegnatori, il tedesco Hallmann e l'italiano Cavallari, e dalle tavole prodotte dai due vennero eseguiti lavori di trasposizione ed incisione in rame ed acciaio in Germania.

L'opera dello Schulz è senza dubbio un'opera sui generis nel panorama della letteratura odeporica dell'epoca, in quanto l'autore descrive minuziosamente soprattutto le bellezze artistiche dei luoghi visitati.

Tuttavia non mancano riferimenti storici e sociali che rendono l'opera godibile anche ai non cultori di storia dell'arte, come mostra il nostro florilegio.

S.CLEMENTE

Una delle più famose abbazie di tutta l'Italia era quella di Casauria, situata su di un'isola del fiume Pescara e dedicata alla Santa Trinità ed a San Clemente. Fondata per concessione imperiale, ricchissimamente provvista di possedimenti fino a Roma, in Tuscia e fino in Lombardia, dotata di molti privilegi papali ed imperiali; spesso oggetto dell'invidia e dell'avida ostilità da parte del potere temporale; distrutta da barbari stranieri; abbandonata dai monaci alla fine del XV sec. e data in commenda, (1) quindi patronato del re ed infine sottomesso al vescovo di Chieti come bene di camera, il luogo ha vissuto nel corso di un millennio i più mutevoli destini ed offre nella sua storia i più svariati riflessi dei rapporti politici e religiosi.

Lo splendido edificio della fine del XII sec., che noi presentiamo per la prima volta in riproduzioni al pubblico, è una magnifica e vivente testimonianza dell'alto splendore, a cui si innalzò un tempo questo convento. Al tempo in cui questo veniva innalzato, per ordine dell'abate che ne organizzava anche la costruzione, il monaco Giovanni Berardi redasse una voluminosa storia del convento, in cui mise per iscritto uno sguardo retrospettivo sui trascorsi, sullo sviluppo e sulla crescita.

Giovanni Berardi dà sulla fondazione le seguenti notizie. Allorchè l'imperatore Ludovico II (con ancora il padre Lothar +855 in vita), giunse al fiume Pescara (854?), gli piacque la bella posizione di un'isola all'interno di questo, sulla quale si trovava una piccola chiesa di San Quirico. Egli decise di fondare un convento in quel luogo. Dal padrone, un ricco aristocratico di nome Sisenando, acquistò il suolo; al vescovo di Penna, Garimbaldo, sostituì la sovranità diocesana su questa con ulteriori cessioni, ed ordinò di iniziare subito la costruzione. Quando si informò a Roma su di un degno tesoro di reliquie per la fondazione, venne informato della salma, da poco colà traslata, del santo papa Clemente, terzo successore di San Pietro, che era stato fatto affogare sotto Traiano in Cherson. Il papa Adriano II (867-872), dopo che il clero ed il popolo di Roma diedero il loro consenso, consegnò all'imperatore quel bene prezioso e questi lo trasportò con preziosi contenitori in una festante processione verso la sua nuova sede (872). Allorchè giunse al fiume, si dice, Ludovico pregò Dio di una conferma, che le spoglie trasportate fossero autenticamente quelle del martire, e meraviglia! L'asino che trasportava il prezioso carico attraversò l'acqua con le zampe asciutte tra le grida di giubilo dei presenti. L'imperatore dotò il convento riccamente di una serie di privilegi con beni terrieri ed oltre a ciò anche di preziosi arredi in gran quantità; per primo abate diede al convento un certo Romano, al quale consegnò il proprio scettro, così l'abate ed i suoi successori, da eleggere in libero voto all'interno del convento, preferivano portare questo nei giorni di festa al posto del pastorale. Dal 1098 l'abate Grimoaldo prese il pastorale al posto di quello di papa Urbano II, come recitano i versi nel manoscritto accanto alla relativa immagine "Caesaris ob sceptrum baculum tibi porrigo dextrum, Quo bebe sis fretus; plus Caesare dati tibi Petrus". (2) Il cronista afferma che dell'imperatore Ludovico, fino a quando una pietra del convento rimarrà sull'altra ed un essere vivo sarà in quello, là non tramonterà il suo ricordo.

Nella consacrazione l'altare maggiore della chiesa superiore venne dedicato alla Santa Trinità ed a San Clemente; i tre altari della cripta alla Vergine Maria, a San Biagio ed a San Nicola.

(Per il nostro scopo porterebbe troppo lontano elencare la lunga serie di privilegi assegnati al convento da Ludovico II, dai suoi successori e dai papi, raccontare inoltre come gli abati ingrandirono la situazione patrimoniale dello stesso con l'acquisto e l'assunzione di feudi ereditari, come giunsero regalie di privati, per mettere insieme quella cospicua quantità di beni, che troviamo citata nel Chronicon. Qui le poche notizie riferentesi alle costruzioni, della ricostruzione del convento dopo la distruzione dei Saraceni all'inizio del X secolo, da parte degli stessi verso l'inizio ed poi la fine dell'XI secolo, della costruzione e decorazione pittorica della cripta grazie al già citato abate Grimoaldo (attorno al 1110) non sono in realtà molto significative, dato che non è più presente ciò a cui si riferisce. Altamente importante è il racconto che concerne la costruzione, iniziata sotto l'abate Leonate (1155-1182), che si conserva in gran parte anche oggi). Giovanni racconta: su impulso della grazia divina e per devozione al glorioso martire Clemente l'abate Leonate iniziò a rinnovare la chiesa di questo con un lusso meraviglioso. con grandi costi ed allestimenti e dopo che mise insieme schiere di capomastri ed operai, eresse innanzitutto il frontespizio con i tre portali e li arricchì con sculture ben visibili. Quindi innalzò il portico che si trova davanti e lo costruì a volta, come si vede ancora, e lo collegò con la costruzione precedente. Sopra fabbricò una cappella, che venne consacrata agli onori dell'arcangelo Michele, della Santa Croce, di San Tommaso (da Canterbury) e dei martiri; però prima che potesse completare l'opera, la fine della vita lo raggiunse. Quando pose le fondamenta, era il 1176.mo anno dall'incarnazione del Signore. Da qui si fece questo verso: 'hoc templum primo Ludovicus struxit ab imo, abbas quod clare Leonas cupiens renovare cum voto magno domini fundavit in anno milleno seno centeno septuageno'. (3) Egli fu sepolto nel nome di Cristo accanto alla parete della chiesa, in una tomba che egli stesso si era preparato, per venire sempre visto lì dai confratelli con occhi riverenti." Qui si conclude l'opera, senza darci notizie sull'ulteriore corso della costruzione. Tantomeno abbiamo a disposizione notizie su eventuali cambiamenti succedutisi in seguito, come sembra che sia accaduto. (...)

La tavola LIV rappresenta la prospettiva frontale. Una descrizione dettagliata sembrerebbe superflua accanto ai tocchi eccezionali di Cavallari. Ci accontentiamo di dare rilievo ad alcune cose e di aggiungere certe delucidazioni. Il piano superiore, sopra la cornice fornita in dettaglio (tav.LVIII fig. VII) contiene alcune finestre, le quali appartengono alcune al primo periodo, poste sotto l'abate Leonate, quindi a quello successivo al rinnovamento dell'oratorio della Santa Croce e dei Santi Michele e Tommaso. Ora questo è in parte deteriorato. Il piano terra mostra tre splendide arcate, la centrale della quale è più ampia, mentre le laterali sono a tutto sesto, quella è ogivale. Le colonne tra gli archi e quelle di lato creano una chiusura semplice; le ultime si collegano immediatamente con il muro superiore. Colonne libere si legano al muro interno, reggendo l'architrave interna, mentre, come anche al di dentro, altre quattro fungono da portanti, le due di mezzo su dei leoni, spingendosi in avanti, oppure su basamenti. Le ultime formano una netta chiusura dell'orlo dell'arco verso il basso. Su di esse si innalzano strette colonne murarie, che dapprima si piegano in una cornice di foglie, che corre per tutto il fronte delle arcate, per fungere poi più in alto da portanti per una fascia di archetti ogivali, la quale offre sotto la finestra del piano superiore una grandiosa chiusura (vedi il dettaglio tav. LVIII fig. VI).

Il portale principale (tav. LV) è deocrato con grande splendore e significativa bellezza, in uno stile che ha la propria particolare bellezza, completamente diversa tuttavia rispetto a quella del portale del duomo di Trani. Il materiale è una dura pietra calcarea, la quale ha assunto nel corso degli anni una tonalità sul giallo. Sulle guance delle figure si possono ancora vedere tracce di colore rosso. Tre piccole colonne per ogni lato ed una con due statue regali sotto un semplice baldacchino romanico di travi decorate formano la struttura delle pareti del portale. Una di quelle figure sembra raffigurare una regina. I capitelli mostrano oltre ad un rigoglioso e carbonaceo fogliame in un'acuta trattazione magnificamente forme fiabesche di draghi, dilanianti gli uomini, sirene barbute e così di seguito.

Le raffigurazioni all'interno della lunetta (tav. LVI) si dividono in due gruppi, una inferiore, che contiene sull'architrave le scene storiche, ed una superiore, nella quale si trovano personificati santi e l'ideale svolgimento dell'offerta della nuova chiesa attraverso il suo fondatore, l'abate Leonate.

Su due colonne si sporge al lato sud della navata centrale il bello ambone, di cui diamo la visione frontale nella tavola LVII, figura I. Questo è costruito in dura pietra gialla ed in uno stile finissimo, ed in un impianto molto ricco. Anche la grande somiglianza degli ornamenti d'alloro con la facciata non è da dimenticare e perciò si può concludere che entrambi siano dello stesso periodo e che provengono dal medesimo maestro. (...)

Di fronte all'ambone si innalza lo splendido e sottile candelabro pasquale, che diamo per intero nella tavola LVIII figura I, mentre le figure II e III mostrano parti dettagliate di queste in proporzioni ingrandite. Purtroppo non si è conservato nè la punta più alta nè un perno della candela. Per questo abbiamo posto accanto a completamento quella del candelabro pasquale di Santa Maria in Arabona come figura X, essendo stato ultimato quest'ultimo secondo il modello di San Clemente. L'opera intera ricorda fortemente ai lavori dei Cosmati del XIII secolo.


(1) La commenda era un particolare istituto giuridico che regolava l'affidamento di determinati benefici ecclesiastici ad un titolare di benefici contigui.
(2) "Al posto dello scettro dell'imperatore ti porgo l'opportuno baculo pastorale, nel quale confida pienamente bene; Pietro ti dà più di Cesare".
(3) "Inizialmente costruì Ludovico dalle fondamenta questa chiesa, che l'abate Leonate, desiderando di rinnovare splendidamente, rifondò con grande voto del Signore nell'anno 1176".


Theorèin - Novembre 2003