GIUSEPPE UNGARETTI: APPUNTI DI VIAGGIO
A cura di: Mario Della Penna
Entra nella sezione LETTERATURA

Se vuoi comunicare con Mario Della Penna: mariodellapenna@theorein.it
Capitolo 6

Lezione tenuta dal prof. Leone Piccioni
Aula Magna Università G. d'Annunzio Chieti il 17-1-1996

Il Sentimento del tempo è un diario di un uomo che si avvia verso la terza stagione. Si divide in tre epoche di tempo. La prima che va dal 1919 al 1928; la seconda dal 1928 al 1932 (qui esce la prima edizione '33). Poi c'è una seconda edizione del 1936 dove vi sono delle poesie che sono una specie di inizio dell'esperienza della riflessione.

La prima scoperta che si fa nel Sentimento del tempo è la scoperta del paesaggio. Ungaretti ha come elementi il deserto egiziano e il Carso (la guerra, le doline); la sua percezione paesaggistica prima di arrivare a questo rapporto con il paesaggio italiano si porta la visuale del deserto e la visuale del Carso.

Vi sono degli episodi curiosi di quando Ungaretti viene per la prima volta nel 1912 in Italia. Ungaretti scopre con grande sorpresa e grande emozione i segni della antica Roma, i segni romanici, del barocco del liberty e anche i segni dell'architettura contemporanea, quindi acquista il senso del sovrapporsi dell'epoca e contemporaneamente acquista l'occhio del paesaggio.

Quando per la prima volta si recherà all'Abetone con Jahier resta stupito della montagna, perchè fino a quel momento lui non aveva la minima idea di cosa fosse l'ottica di una montagna. Il deserto e il Carso quindi si trovano all'inizio del Sentimento del Tempo che nasce a Roma e nel Lazio di fronte ai grandi paesaggi. Per avere un'idea del paesaggio presente nell’Allegria esaminiamo una poesia del '16:

Pellegrinaggio

In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba
Ungaretti uomo di pena
ti basta un'illusione
per farti coraggio

Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia

Saltiamo di nove anni e arriviamo al Sentimento del tempo, poesia del '25:

L'isola

A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte,scese,
E s'inoltrò
E lo chiamò rumore di penne
Ch'erasi sciolto dalla stridulo
Batticuore dell'acqua torrida,
E una larva (languiva
E rifioriva. vide;
Ritornato a salire vide
Ch'era una ninfa e dormiva
Ritta abbracciata a un olmo.

In sè da simulacro a fiamma vera
Errando,giunse a un prato ove
L'ombra negli occhi s'addensava
Delle vergini come
Sera appiè degli ulivi;
Distillavano i rami
Una pioggia pigra di dardi,
Qua pecore s'erano appisolate
Sotto il liscio tepore,
Altre brucavano
La coltre luminosa;
Le mani del pastore erano un vetro
Levigato di fioca febbre.

C'è la riproposizione della metrica italiana endecasillabi mentre la metrica dell'Allegria era formata quasi sempre da versicoli. Qui la metrica è apertamente dichiarata. Le mie preoccupazioni in quei primi anni del dopo-guerra ­ e non mancavano circostanze a farmi premura ­ erano tutte tese a ritrovare un ordine, un ordine anche essendo il mio mestiere quello della poesia, nel campo dove per vocazione mi trovo più direttamente compromesso. In quegli anni, non c'era chi non negasse che fosse ancora possibile, nel nostro mondo moderno, una poesia in versi. Non esisteva un periodico, nemmeno il meglio intenzionato, che non temesse ospitandola, di disonorarsi.

Si voleva prosa: poesia in prosa. La memoria a me pareva, invece, un'ancora di salvezza: io rileggevo umilmente i poeti, i poeti che cantano. Non cercavo il verso di Jacopone o quello di Dante o quello del Petrarca o quello di Guittone o quello del Tasso o quello del Cavalcanti o quello del Leopardi; cercavo il loro canto.

Non era l'endecasillabo del tale, non il novenario, non il settenario del talaltro che cercavo; era l'endecasillabo, era il novenario, era il settenario, era il canto italiano, era il canto della lingua italiana che cercavo nella sua costanza attraverso i secoli, attraverso voci così numerose e così diverse di timbro e così gelose della propria novità e così singolari ciascuna nell'esprimere pensieri e sentimenti; era il battito del mio cuore che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei miei maggiori di una terra disperatamente amata. Nacquero così dal '19 al '25 Le Stagioni, La Fine di Crono, Sirene, Inno alla Morte.

Inno alla morte

Amore,mio giovine emblema,
Tornato a dorare la terra,
Diffuso entro il giorno rupestre,
E' l'ultima volta che miro
(Appiè del botro,d'irruenti
Acque sontuoso,d'antri
Funesto) la scia di luce
Che pari alla tortora lamentosa
Sull'erba svagata si turba.

Amore,salute lucente,
Mi pesano gli anni venturi.
Abbandonata la mazza fedele,
Scivolerò nell'acqua buia
Senza rimpianto.

Morte,arido fiume...

Immemore sorella,morte,
L'uguale mi farai del sogno
Baciandomi.

Avrò il tuo passo,
Andrò senza lasciare impronta.

Mi darai il tuo cuore immobile
D'un iddio,sarò innocente,
Non avrò più pensieri nè bontà.

Colla mente mirata,
Cogli occhi caduti in oblio,
Farò da guida alla felicità.

Nasce nel Sentimento il fatto dichiarato da Ungaretti, che era venuta l'ora di abbandonare il paesaggio e di occuparsi della sorte dell'uomo.

Compare un altro punto: la scoperta del barocco romano e la presa di contatto e l'amore di Ungaretti per Michelangelo.

E' il periodo del ritorno all'ordine, Carrà che veniva dalle esperienze futuriste copia Giotto; Soffici anche lui venendo dal futurismo scopre Domiziano; Picasso scopre Pompei e la pittura romana; Stravinsky si ricollega alla musica del '600 e '700 e propone rielaborazioni e novità collegate a questa tradizione; De Chirico lascia la metafisica.

Nel '28 si determina un altro fatto importante del poeta che è rappresentata dalla conversione religiosa. Ungaretti nella giovinezza era ateo, anarchico, legato con gli amici alla Baracca Rossa ritrovo di anarchici. Fin dall'Allegria vi sono titoli che fanno intravedere questa idea di sottofondo, reminescenza forse della fede della madre. Nel '16 leggiamo la seguente poesia:

Peso

Quel contadino
si affida alla medaglia
di Sant'Antonio
e va leggero

Ma ben sola e ben nuda
senza miraggio
porto la mia anima

C'è una specie di invidia della capacità di credere del soldato contadino che si affida alla medaglia di san Antonio; oppure c'è un'altra poesia scritta lo stesso giorno:

Dannazione

Chiuso fra cose mortali

(Anche il cielo stellato finirà)

Perchè bramo Dio?

oppure l'ultima poesia scritta nell'Allegria:

Preghiera

Quando mi desterò
dal barbaglio della promiscuità
in una limpida e attonita sfera

Quando il mio peso mi sarà leggero

Il naufragio concedimi Signore
di quel giovane giorno al primo grido

Da questi precedenti si passa nel '28 alla conversione vera e propria che avviene a Subiaco dove Ungaretti seguì il rito della settimana santa. Tornando da Subiaco scrisse di getto la poesia intitolata Pietà, che scrisse prima in francese e uscì per prima in Francia. E' la poesia che da la svolta al nuovo corso:

Pietà

Sono un uomo ferito
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L'uomo che è solo con sè.

Non ho che superbia e bontà.

E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.

Ma per essi sto in pena.

Non sarei degno di tornare in me?

Ho popolato di nomi il silenzio.

Ho fatto a pezzi cuore e mente
Per cadere in servitù di parole?

Regno sopra fantasmi.

O foglie secche,
Anima portata qua e là ...

No, odio il vento e la sua voce
Di bestia immemorabile.

Dio, coloro che t'implorano
Non ti conoscono più che di nome?

M'hai discacciato dalla vita.
Mi discaccerai dalla morte?

Forse l'uomo è anche indegno di sperare.

Anche la fonte del rimorso è secca?

Il peccato che importa,
Se alla purezza non conduce più.

La carne si ricorda appena
Che una volta fu forte.

E' folle e usata,l'anima.

Dio, guarda la nostra debolezza.

Vorremmo una certezza.

Di noi nemmeno più ridi?

E compiangici dunque,crudeltà.

Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore.
Una traccia mostraci di giustizia.

La tua legge qual'è?

Fulmina le mie povere emozioni,

Liberami dall'inquietudine.

Sono stanco di urlare senza voce.

L'unica poesia che piace al Croce è Madre:

Madre 1930

E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi,Madre,sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio,decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio,eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

C'è un'altra poesia che bisogna saper leggere per interpretare altrimenti la si può erroneamente attribuire alla prima fase della produzione ungarettiana:

Dove la luce 1930

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera,vieni.

Ci scorderemo di quaggiù,
E del male e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.

Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d'oro. L'ora costante,liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo.

Questa poesia è ambientata dove c'è una luce stabile che non muove più le foglie. Dove è posata perennemente sera l'unico colore dove l'unico colore che si vede è quello del tramonto,come si fa a conquistare un'ora così grande. Forse sarà nell'aldilà che troviamo una luce perenne. Le luci di Ungaretti specialmente del primo periodo del Sentimento del tempo si riferiscono all'alba, al giorno, al tramonto, che rappresentano le fasi della vita umana che inizia con la giovinezza e si conclude con la vecchiezza. Il Sentimento del tempo nella prima edizione del '31 porta a conclusione un poesia intitolata

Sentimento del tempo

E per la luce giusta,
Cadendo solo un'ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito,come usa il cuore,
Ma ora l'ascolto,
T'affretta,tempo,a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.

Se la lontananza è misurata e non infinita, così l'occhio che vede un paesaggio finito e non infinito, quindi è una dichiarazione programmata del suo entrare nella vecchiaia. Il titolo della raccolta Sentimento del tempo è un titolo che deriva dalle lezioni di un grande filosofo Bergson. C'è una poesia del '35 dove Ungaretti dice:

Auguri per il proprio compleanno

Dolce declina il sole.
Dal giorno si distacca
Un cielo troppo chiaro.
Dirama solitudine

Come da gran distanza
Un muoversi di voci.
Offesa se lusinga,
Quest'ora ha l'arte strana.

Non è primo apparire
Dell'autunno già libero?
Con non altro mistero

Corre infatti a dorarsi
Il bel tempo che toglie
Il dono di follia.

Eppure,eppure griderei:
Veloce gioventù dei sensi Che all'oscuro mi tieni di me stesso
E consenti le immagini all'eterno,

Non mi lasciare, resta, sofferenza!

C'è questo senso del distacco dall'esperienza giovanile a questo passaggio che dovrebbe far somigliare la vecchiaia al tempo della quiete, del silenzio dei sensi; però c'è questo senso dello strappo al punto che, in modo drammatico, Ungaretti chiede alla sofferenza di non abbandonarlo, perchè vuole rimanere legato all'esperienza della vita. Ungaretti restò in effetti legato alla sofferenza nel momento in cui perdette l'insegnamento in Italia e dovette recarsi in Brasile per insegnare all'università di San Paolo e là trovò la morte il figlio di nove anni.

Il diario si spezza mentre Ungaretti cominciava a descrivere questa entrata alla vecchiaia, si trova questo progetto interrotto, franato a causa di questo dolore che torna in modo così crudele. Aveva iniziato questa dimensione scritta, dal '35 ­ '36 scrivendo le quartine dell'Autunno che non furono mai pubblicate; poi attenuato il dolore riprenderà questo terzo tempo del Sentimento che approderà nella Terra Promessa e poi nel Taccuino del vecchio.

Abbiamo letto di un compleanno quello del '35, per i settant'anni scrive un'altra poesia nascendo in Egitto, Ungaretti vedrà l'Italia come una terra promessa, successivamente verrà a contatto con essa e non solo l'Italia ma con tutto il panorama Europeo, quindi questa esperienza si concretizza e viene scritta.

Qual'è la conclusione di questo suo itinerario? di questo suo viaggio? Ha trovato felicità? No! A cercato? Si! Ha guardato nel profondo le cose? Si! Cosa conclude rispetto all'esperienza del deserto e l'esperienza della Terra Promessa, concluderebbe poi che l'esperienza della Terra Promessa è un'esperienza di dolore, di superbia degli uomini, il deserto è si, tendente alla morte, all'abbattimento dei sentimenti, ma più consono al destino dell'uomo.

C'è una poesia nel Taccuino del vecchio in cui camminando nel deserto un pastore gratta la sabbia e trova uno scheletro. C'è una variante forse a sorpresa, in modo incredibilmente giovanile scoppia in Ungaretti una stagione di poesie d'amore, alla soglia degli ottant'anni. Scrive queste poesie d'amore per delle ragazze molto giovani con le quali divide questo tempo sia pur in modo platonico, prima con ragazza brasiliana poi con una croata Dunja che segna uno dei periodi più belli degli ultimi anni vissuta del poeta.

Questo rapporto indistruttibile dell'amore fa si che superi il deserto. Ma questa ultima stagione d'amore la vive in modo drammatico essendo conscio di questa impossibilità di rapporto vero, tra una giovane donna e un vecchio uomo e quindi più che pace riporta ancora sofferenza. Si legge negli ultimi suoi lavori:

Dunja

Si volge verso l'est l'ultimo amore,
mi abbuia da là il sangue
Con tenebra degli occhi della cerva
Che se alla propria bocca lei li volga
Fanno più martoriante
Vellutandola, l'ardere mio chiuso.

Arrotondio d'occhi della cerva
Stupita che gli umori suoi volubili
Di avvincere con passi le comandino
Irrefrenabili di slancio.

D'un balzo,gonfi d'ira
Gli strappi,va snodandosi
Dal garbo della schiena
La cerva che diviene
Una leoparda ombrosa.

O, nuovissimo sogno, non saresti
Per immutabile innocenza innata
Pecorella d'insolita avventura?

L'ultimo amore più degli altri strazia,
Certo lo va nutrendo
Crudele il ricordare.
Sei qui. Non mi rechi l'oblio te
Che come la puledra ora vacilli,
Trepida Gambe Lunghe?

D'oltre l'oblio rechi
D'oltre il ricordo i lampi.

Capricciosa croata notte lucida
Di me vai facendo
Uno schiavo ed un re

Un re? Più non saresti l'indomabile?


Theorèin - Novembre 2014