GIUSEPPE UNGARETTI: APPUNTI DI VIAGGIO
A cura di: Mario Della Penna
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Capitolo 7

Lezione tenuta dal prof. Mario Petrucciani
Aula Magna Università G. d'Annunzio Chieti il 24 gennaio 1996

Impostiamo una ipotesi di tipo algebrica includente un'incognita: come è partito Ungaretti? Come è iniziato questo cammino di vita e poesia? Il Porto Sepolto opera prima è del 1916 quando Ungaretti ha ventotto anni; cosa ha fatto prima?

Ungaretti ci parla di Alessandria d'Egitto, delle letture arabe ma non abbiamo elementi sufficienti per comprendere la sua prima fase: quella formativa.

Se i documenti in nostro possesso sono pressoché nulli, perchè non proviamo a cercare nelle pagine dello stesso Ungaretti la soluzione della nostra incognita?

Ungaretti lascia una specie intervista nel 1963 o meglio un contributo alla critica di se stesso. "Sono nato al limite del deserto e il miraggio del deserto è il primo stimolo della mia poesia".

La presenza del deserto nel Porto Sepolto e nell'Allegria è abbastanza sfumata; emerge un minareto, un'oasi, si ascolta un latrato di un cane perso nel deserto; sono pochi questi elementi, ma ciò che non riusciamo a trovare lo possiamo trovare nella prosa saggistica, nelle traduzioni, nelle lezioni universitarie, nel viaggio. Ciò che non abbiamo trovato nella poesia di Ungaretti lo possiamo trovare nell'opera unitariamente considerata di Ungaretti e lo troviamo in un piccolissimo testo intitolato Quaderno Egiziano del 1931, data che significa per il poeta il ritorno in Egitto.

Questo contributo è incluso in un libro intitolato: Il deserto e dopo. Inizia quel lavoro di memoria dove tira in ballo il suo maestro Leopardi che lo ha accompagnato fino alla morte. Leopardi in Canti Le ricordanze 1-6:

Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
tornare ancor deluso a contemplarvi
sul paterno giardino scintillanti,
e ragionar con voi dalle finestre
di questo albergo ove abitai fanciullo,
e delle gioie mie vidi la fine.(...)

Leggiamo questi versi a ritroso. Soltanto quando abbiamo visto la fine delle cose, ciò che abbiamo amato e perduto, ragioniamo su ciò che abbiamo amato e perduto. Soltanto quando abbiamo visto la fine torniamo con la memoria.

Le ricordanze sono ritorni, giacchè non esiste la memoria senza l'assenza; noi ricordiamo ciò che non abbiamo più.

La memoria per Ungaretti non è un percorso retrospettivo, non è nostalgia, evasione dal presente e rifugio nel dolce passato. Per Ungaretti la memoria è quella che si accampa quale unico segno vivo, non morto e suscitatore del tempo eterno. Contrastando la morte, la dimenticanza insorge la memoria. Quando le cose sono presenti sono volubili, caduche, mortali, illusorie; quando diventano profondamente nostre nessuno c'è le può più strappare.

Quando diventano perfette nella loro incorruttibile bellezza? Quando? Nei sonetti Morte di Madonna Laura. Questa bellezza, questa nostra passione resta incorruttibile soltanto dopo il distacco, dopo la morte. Nella dimensione dell'assenza, che è la dimensione della memoria. Dopo la morte o nel caso di Ungaretti dopo il distacco.

Questa visione ci rimanda a quella Platonica, Agostiniana e anche Petrarchesca e Leopardiana.

Ritorniamo alla frase di Ungaretti del 1963: "Sono nato al limite del deserto e il miraggio del deserto è il primo stimolo della mia poesia". Questa proposizione l'assumiamo come la prima di un enunciato, come un sillogismo che va dal particolare al generale.

Il deserto non è soltanto un luogo topografico; è un simbolo fondamentale della poesia di Ungaretti. Un simbolo si può spiegare anche attraverso la sua negazione. Se deserto è aridità, sabbia, sete, la negazione del deserto è l'acqua.

Ungaretti ci ha fornito la prima nota interpretativa nei Quaderni Egiziani. L'ombra e l'acqua sono il motivo della poesia araba.

Anche nel Porto Sepolto nei Fiumi Ungaretti ci parla di acqua (stamani mi sono disteso in un'urna d'acqua). L'acqua è il principio della vita, è la nascita. Nella poesia Fase troviamo: "Cammina Cammina ho ritrovato il pozzo d'amore". Analizziamo i tre segmenti: il camminare è viaggio. Il pozzo è l'acqua e l'acqua nel deserto si trova nell'oasi. Il più interessante è il secondo segmento. Trovare è l'entrare in uno spazio, un acquisire per la prima volta, ma in questo caso Ungaretti ci parla di un ritrovare; c'è un riferimento a qualcosa molto amato e perduto. Qualcosa che era parte del suo spazio esistenziale, mentale, della fantasia, della memoria che aveva perduto. Ha fatto un lungo viaggio per ritrovarlo, per ritrovare se stesso la propria identità.

Deserto ha anche molti altri significati ad esempio la sabbia, la polverizzazione, lo sgretolamento della materia. Si assume una dimensione biblica; il popolo ebreo per quarant'anni è stato errabondo nel deserto e questo viaggio si conclude con la conquista della Terra promessa.

Anche nell'Eneide, Virgilio parlerà di viaggio; dalla città di Troia incendiata, devastata, ridotta al deserto, Enea cerca altri campi.

Ungaretti nella Terra promessa ci parla di personaggi dell'Eneide: Enea, Didone, Palinuro.

Leopardi ci ha parlato prima di Ungaretti di deserto. Nei Canti XXIII Canto notturno del pastore errante si legge:

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.

Nel Canto XXXIV troviamo La Ginestra ovvero il fiore del deserto dove si legge:

Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti.

Il deserto potrebbe essere la negazione della vita e del viaggio. Probabilmente il deserto è il simbolo della situazione dell'uomo moderno, l'uomo che ha perso ogni fiducia degli istituti metafisici della civiltà e non soltanto; che ha perso il linguaggio e ora si aggira nel deserto. In un mondo fatto di solitudine, di incomunicabilità, dall'incubo dalla paura.

Se Leopardi è il profeta della poesia moderna: Ungaretti è il suo discepolo.

Tornando al sillogismo:

  1. Il deserto non è soltanto l'origine della poesia di Ungaretti;

  2. Il deserto non soltanto il simbolo del sistema di immagini della poesia di Ungaretti;

  3. Probabilmente il deserto è una della macrostrutture simboliche della poesia moderna che da Leopardi si proietta nel Novecento; ad esempio T.S. Elliot La terra desolata; Giorgos Seferis che ci parla della Grecia alta quella lontana dal mare, quella mai raccontata; Camillo Sbarbaro; Alberto Moravia.

Esaminiamo la poesia I fiumi del 1916:

Mi tengo a quest'albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il paesaggio quieto
delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
in un'urna di acqua
e come una reliquia
ho riposato

L'Isonzo scorrendo
mi levigava
come un sasso
Ho tirato su
le mie quattr'ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull'acqua

Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato
a ricevere
il sole

Questo è l'Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell'universo

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara felicità

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre.

E questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d'inconsapevolezza
nelle estese pianure

Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
contati nell'Isonzo

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch'è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre

La poesia vuole essere l'ambizioso bilancio e la vittoriosa convergenza della quiete delle origini, delle profondità e del viaggio, del girovago, del nomade, del pellegrinaggio insomma verso l'interno e verso l'oltre, in quel punto di coincidenza che è la nostalgia, il desiderio di ritorno.

Questa raggiunta identità, e dunque riconoscimento, viene simbolicamente associato ai Fiumi, a quei fiumi che conservano "in un'urna d'acqua" i simboli prenatali ed insieme trascinano nel torbido della loro corrente, contengono la "reliquia" del passato ed il "rimescolamento" nel presente. Per questo il poeta presenterà sempre I fiumi come la propria "carta d'identità".

Chiamato a redigere la nota introduttiva alle proprie poesie per l'edizione dei Meridiani nel 1969, Ungaretti arriverà ad identificare nei Fiumi l'emblema stesso dell'"atto poetico"; ma tale riconoscimento, quella "carta d'identità" ha valore solo in quanto si disegna anche come convocazione dello spazio e del tempo (ho ripassato/le epoche/della mia vita).

Leggiamo in In memoria del 1916:

Si chiamava
Moammed Sceab

discendente
di emiri di nomadi
suicida
perchè non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto del suo abbandono

L'ho accompagnato
insieme alla padrona dell'albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal N.5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa

Riposa
nel camposanto d'Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera

E forse io solo
so ancora
che visse

Saprò
fino al mio turno
di morire

Il testo senza titolo, doveva introdurre alla poesia eponima Il porto sepolto. L'esordio era perfettamente speculare al Commianto (divenuta con definitiva variante Poesia) l'ultima dedica e congedo del libro.

In memoria              Gentile
di                          Ettore Serra
Moammed Sceab

Nessun altro nome di persona figura nel Porto Sepolto, se non nella dedica e nel congedo. Ungaretti nella sua Nota introduttiva alle proprie poesie presenta Sceab (suo compagno di studi ad Alessandria d'Egitto) essenzialmente come testimone letterario, come "specchio" del proprio riconoscimento.

Ungaretti già nel febbraio 1917 scriveva a Papini di un progetto già anticipato in una cartolina spedita a Prezzolini, un progetto di un saggio sui propri antenati François Villon, Max Elskamp, John Keats, Giacomo Leopardi, Stéphane Étienne Mallarmè, Maurice de Guerin, Giovanni Papini, Benvenuto Cellini,Fiodor Mikhaïlovitch Dostoïevski, Maria Lunardini (la madre), saggio che associava a quel percorso critico la responsabilità di Sceab.

Si tratta, più precisamente, di dedica indirizzata nel nome di Sceab, ai propri antenati letterari in particolare a quella duplice progenitura Leopardi-Mallarmè e (non meno) Baudelaire-Nietzsche. In conclusione, In memoria, rievocazione del suicidio del compagno Sceab, è il simbolo d'una crisi delle società e degli individui che ancora perdura, derivata dall'incontro e scontro di civiltà diverse e dall'urto e conseguenti sconvolgimenti tra le tradizioni politiche e il fatale evolversi storico dell'umanità.

Poesia

Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l'umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
è la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando io trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso

Il testo di Poesia presenta ulteriormente una stesura parallela a quella del Porto sepolto. Entrambe le poesie sono divise in due strofe, l'una deputata a inscrivere l'universale, l'altra a descrivere l'incidenza di quella definizione sul singolare "trovar" del poeta Ungaretti. Se nel Porto sepolto la prima strofa rappresentava l'orifica discesa del poeta nelle profondità del segno, qui la poesia "nel suo dar nome" alle cose, tocca biblicamente tutto: "il mondo, l'umanità, la propria vita".

Come la "dedica era "in memoria di Moammed Sceab così l'invio in Commiato dal testo, avrà il nome di un destinatario: "Gentile Ettore Serra". E’ anche l'invocazione a colui che quel libro aveva fatto stampare, e dunque al primo lettore e destinatario si tratta insomma di un appello al lettore.


Theorèin - Dicembre 2014