STILE E OPINIONE NELLE RICERCHE
DI CESARE BECCARIA

A cura di: Ugo Perolino
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Capitolo 1

Se volete che creda in Dio,

dovete, farmelo toccare. (1)

 

Didedot

 

In alcune celebri pagine della sua opera maggiore, l’Essay on the hunan Understanding (1690), il filosofo inglese John Locke indugia sulla legge della reputazione che spinge l‘individuo a conformarsi al giudizio e alle aspettative di coloro che lo circondano. Posta accanto alla legge divina, che definisce e sanziona il peccato, e alla legge civile, da cui sono regolamentate le condotte delittuose, la Law of Opinion circoscrive l’ambito del vizio e della virtù. In essa Locke intuisce, con uno straordinario passaggio mentale, un sostituto dell’esercizio della forza. Nella traduzione francese dell’Essai (1700) di Pierre Coste, che fu il testo chiave della circolazione europea del pensiero lockiano, si legge infatti che “les hommes, rèunis en sociétez politiques, ayent résigné entre les mains du public la disposition de toutes leurs forces, de sorte qu'ils toujours ne peuvent pas l’employer contre aucun de leurs concitoyens […], ils retiennent pourtant toujours la puissance de penserbien ou mal, d’approuver ou désapprouver les actions de ceux avec qui ils vivent et entretiennent quelque liaison...”. (2). La spinta all’adattamento alle convenzioni del gruppo — “società, tribù e associazioni di uomini” —  ha una forza coercitiva di valore incalcolabile, poiché “nessuno che abbia minimamente i pensieri o i sensi di un uomo può vivere in società sotto il costante disprezzo e la cattiva opinione dei suoi familiari e di coloro che frequenta” (3). Questa pressione esercitata dallo sguardo sull’epidermide sociale, questa incessante visibilità è, sul piano delle dinamiche relazionali, il corrispettivo della moda nel registro del corpo, e del teatro su quello della comunicazione pubblica.

La legge d’opinione e l’esatta natura dei legami politici sono al centro di un intenso dibattito che attraversa verticalmente l’età dei Lumi. Rousseau coglie nella dolorosa esibizione di sè come segno la caratteristica estraniante dello “stato di riflessione”, germogliato dalla perdita dell’immediatezza e della naturalità (4). La Lettre à Mr. d’Alembert sur les spectacles (1758) rappresenta la prima moderna inchiesta sul potere dei mezzi di comunicazione: “Je n’aime point — scrive Rousseau — qu’on ait besoin d’attacher son coeur sur la Scène, comme s’il étoit mal à son aise au-dedans de nous”  (5). La querelle sull’istituzione teatrale diventa l’occasione per analizzare gli effetti degli spettacoli sul pubblico, sui costumi, sulla vita associata. Il filosofo ginevrino appare particolarmente impressionato dal sentimento d’irrealtà che circonda lo spettatore, costretto a restare immobile nel buio della sala, dimentico di sè e dei suoi cari, interamente assorbito nel piacere della visione.

Lo spettacolo è situato al di là del bene e del male (6), vi affiora un fondo oscuro, limaccioso e opaco, che fa sì che a “Londres, un Drame intèresse en faisant haïr les François; a Tunis, la belle passion seroit la piraterie; à Messine, une vengeance bien savoureuse; à Goa, l’honneur de brùler les Juifs” (7).

Ricorrendo ad una categoria novecentesca, si potrebbe osservare che lo spettacolo appare a Rousseau come il luogo di emersione del rimosso, come uno spazio libidico, impermeabile all’esame di realtà, regressivo, e, all’interno di queste ordinate, manipolabile. Nella sua compiuta visibilità è adombrata quella relazione estraniante con l’immagine di sé che struttura il corpo come segno sociale e supporto semiotico L’origine di questa scissione, che porta a separare il destino dell’io da quello della sua rappresentazione pubblica e fomenta la genesi di bisogni immaginari legati alla sfera della socialità (l’onore, la stima, la reputazione), viene analizzata in alcune note al Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité, all’interno di una costellazione tematica intrecciata al motivo deIl’Amour propre e alla dialettica dei rispecchiamento: “Ceci bien entendu, je dis que dans nòtre état primitif, dans le véritable état de nature, l’Amour propre n’éxiste pas; Car chaque homme en particulier se regardant I u i-méme comme le seul SpecLateur qui l’observe, comme le seul étre dans L’univers qui prenne intérét à lui, comme le seul juge de son propre mérite, il n’est pas possible qu’un sentiment qui prend sa source dans des cornparaisons qu’il n’est pas à portee de faire, puisse germer dans son àme...” (8). Un velo, un sottile diaframma interviene a trasformare l’io in Spectatcur. in osservatore estraniato, interrompendo il circuito della pietà naturale (9). Questo principio dinamico, valido tanto sul piano dell’accadere individuale quanto su quello dei processi sociali e politici, viene rovesciato attraverso l’esercizio della democrazia diretta, destinata ad integrare l’adunanza del corpo politico - ispirata al modello della polis greca - nella funzione cerimoniale della festa (10). Habermas ha rilevato come in Rousseau lo spazio dell’opinione pubblica appaia deprivato della funzione rischiaratrice della coscienza critica. La tonalità irrazionale del consenso delimita, al contrario, una riflessione sulle forme di comunicazione e di persuasione oppositiva rispetto al dominio della “argomentazione razionale” quale si viene costituendo nella contestuale dottrina dei fisiocrati e quale risulta dalla regolamentazione della sfera pubblica borghese (11).

Nello stato di natura gli uomini vagano nelle foreste separati gli uni dagli altri, privi di legami stabili, immersi nella densità delle percezioni presenti e incuranti di passato e futuro (12). Il transito verso lo stato di ragione è in primo luogo definito dalla soppressione dei nessi immediati e dalla pianificazione degli strumenti e degli obiettivi per soddisfare a bisogni nuovi e più complessi. È nella dinamica del bisogno il primo fondamento della vita associata. Nello stesso ordine di riferimenti, in un movimento di progressiva dissoluzione della presenza e dell’immediatezza della configurazione corporea, devono pertanto situarsi l’origine della società, della cooperazione strumentale in vista dei fini, della divisione del lavoro, e l l’acquisizione, nel seno delle relazioni sociali, della percezione oggettivata di sè. La festa primitiva è uno spazio di rifrazioni, un cerimoniale di segni corporei dove “Chacun commença à regarder les autres et à vouloir étre regardé soi méme, et l’estime publique eut un prix” (13). In questa perdita d’intimità dello sguardo è anche i1 germe dell’opinione pubblica. La teoria rousseauiana della festa come riproduzione dei legami sociali e restaurazione delle strutture identitarie è stata ripresa ed elaborata all’interno della scuola sociologica francese da Mauss e Durkheim, che hanno sottolineato il valore pragmatico delle rappresentazioni, destinate a rinnovare nella coscienza degli individui il sistema delle credenze, dei valori e dei comportamenti su cui si fonda la coesione del gruppo. L’analogia con le pratiche rituali arcaiche evidenzia ulteriormente la natura magica del consenso: in una caratterizzazione estensionale molto precisa, che ne accomuna gli esiti alla psicologia del profondo, Durkheim discioglie la volontà generale rousseauiana nei suoi costituenti contrattualistici, fino ad identificare un nucleo non ulteriormente analizzabile che è all’origine di “una concezione vitalistica e sostanzialistica della vita e della società” (14). Anche l’espressione regolata dei sentimenti viene interpretata da Mauss e Granet nell’ambito di una ricerca che deve essere integrata dalla prospettiva funzionalista di Radcliffe-Brown, come un fatto destinato a sottolineare la natura linguistica del rituale, la sua dimensione collettiva, sociale, oggettiva” (15).

La visione retorica del consenso politico che ne scaturisce impregna profondamente la cultura del riformismo lombardo. Nel pensiero di Pietro Verri l’orizzonte di attese costituito dall’opinione pubblica è definito dalla contrapposizione tra l’immanenza dei bisogni materiali, che caratterizza lo stato di natura, e la diramazione immaginaria dei desideri e delle condotte sanzionabili nel contratto politico (16). Senza uscire dalle attribuzioni dell’interesse, che dispiega la sua azione nelle forme della speranza e del timore (“Perciò dico che tutt’i piaceri morali, come tutt’i dolori morali, altro non sono che un impulso del nostro animo nell’avvenire: cioè timore e speranza” 17), Verri svolge una lettura della vita morale filtrata dagli stimoli del materialismo radicale helvéziano. Nel Discorso sull’indole del piacere e del dolore la pianificazione razionale del comportamento, integralmente assorbita nella categoria dell’utile, è orientata ai fini, alla valutazione delle conseguenze, secondo le modalità dell’argomentare pragmatico (18).


(1) Cfr. D. Diderot, Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono, in Opere filosofiche, a cura di Paolo Rossi , Milano, Feltrinelli 1967 p. 90.

(2) La legge di reputazione o d’opinione viene esaminata da Locke nel secondo libro dell’Essay (cap. XXVIII); essa delimita una porzione rilevante della sfera pubblica sottratta all’esercizio della legalità normativa. L’intero brano, inte­grato nelle edizioni successive da ulteriori considerazioni sul valore relativo del­le nozioni di virtù e vizio nelle diverse nazioni e culture, è centrato sul meccani­smo dinamico del biasimo e della lode, che rappresenta una funzione sociale co­stante nel variare dei contenuti cui si applica: ‘La terza [legge] — che io chiamo legge filosofica, non perché la fanno i filosofi ma perché sono stati essi ad occupar­sene e a parlarne di più — è la legge della virtù e del vizio; di essa si parla forse più che delle altre, ma non si considera altrettanto generalmente come sia stabi­lita con l’autorità che ha, per distinguere e denominare le azioni degli uomini, e quali sono le vere misure di essa. Per comprenderla esattamente, dobbiamo con­siderare che gli uomini, unendosi nelle società politiche, sebbene rassegnino al pubblico potere la disponibilità di tutta la loro forza sicché non possono più usarla contro i loro concittadini oltre ciò che la legge del loro paese consente, conserva­no tuttavia ancora il potere di pensare bene o male, di approvare o disapprovare le azioni di coloro con cui essi vivono e hanno rapporto. Se perciò consideriamo la cosa esattamente troviamo che la misura di ciò che dappertutto è chiamato ‘virtù’ o ‘vizio è l’approvazione o la disapprovazione, la lode o il biasimo che per un consenso segreto e tacito si stabilisce nelle diverse società, tribù e associa­zioni di uomini nel mondo; mentre altre azioni trovano credito o condanna tra essi secondo il giudizio, le massime e i costumi del posto’. Cfr. J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, a cura di Marian e Nicola Abbagnano, Torino, UTET, 1971, pp. 414-415, nota 4.

(3) L’opinione esercita un potere vincolante, che obbliga ad uniformarsi alle pratiche e alle convenzioni socialmente condivise, mediante la sanzione del­l’isolamento, del biasimo, dell’approvazione o della disapprovazione: “Se qual­cuno pensa che io abbia dimenticato il mio proprio concetto di legge quando dico che la legge mediante la quale gli uomini giudicano la virtù e li vizio non è altro che il consenso di uomini privati che non hanno sufficiente autorità per istituire una legge, specialmente perché mancano di ciò che è necessario e essen­ziale per essa, cioè del potere di imporre la sua applicazione, credo di poter dire che si dimostra poco versato nella natura dell’umanità o nella sua storia chi im­magina che l’elogio o il discredito non siano motivi potenti perché gli uomini si adattino alle opinioni e alle regole di coloro con cui hanno a che fare. Infatti tro­veremo che la maggior parte dell’umanità si governa principalmente, se non esclu­sivamente, mediante la legge del costume; e perciò fanno quello che li mantiene in buona reputazione con la propria compagnia, senza curarsi tanto delle leggi di Dio o del magistrato. Alcuni uomini, anzi, forse la maggior parte degli uomini, riflettono di rado seriamente sulle pene conseguenti all’infrazione delle leggi di Dio: e, fra quelli che ci riflettono, molti, mentre infrangono la legge nutrono già pensieri di riconciliazione futura e di poter fare la pace per tali infrazioni. E quanto ai castighi derivanti dalla legge della comunità, spesso gli uomini si lusingano con la speranza dell’impunità. Ma nessuno sfugge al castigo della censura e del disprezzo altrui quando offende il costume e l’opinione della compagnia che frequenta e alla quale vuole essere gradito. E non c’è un uomo su diecimila abba­stanza rigido e insensibile per sopportare il disprezzo e la condanna costanti del proprio circolo. Dovrebbe avere una costituzione strana e inconsueta, l’uomo che potesse accontentarsi di vivere con la costante condanna e riprovazione della sua società particolare. Molti uomini hanno cercato la solitudine e si sono ricon­ciliati con essa; ma nessuno che abbia minimamente i pensieri o i sensi di un uomo può vivere in società sotto il costante disprezzo e la cattiva opinione dei suoi familiari o di coloro che frequenta. Questo è un fardello troppo pesante per la sopportazione umana; e dovrebbe essere composto di contraddizioni inconciliabili chi potesse trovar piacere nella compagnia e fosse tuttavia insensibile al disprezzo o alla condanna dei suoi compagni’. Cfr. J. Locke,Saggio sull’intelIetto umano, cit., pp. 418-419. Una teoria dell’opinione pubblica che rielabora il tema lockiano della spinta al conformismo, analizzandone le funzioni di integrazione e controllo politico, è stata proposta da E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio, Roma, Meltemi, 2002.

(4) Sviluppando alcune indicazioni di Émile Durkheim, Jean Starobinski ha evidenziato come la razionalità, germinata dall’opposizione strumentale dell’uomo e del mondo e inscritta nell’oggettivazione del lavoro (’Le travail implique une durée qui s’organise au contact avec ì’obstacle; la réflexion est l’agent de cette organisation’), sorge sul declinare dello stato di natura e ne determina l’irrimediabile catastrofe come spontaneità vitale (“Le physique de l’homme de la nature se définit par la santé; le moral de l’homme de la nature, c’est la “vie immèdiate’, l’élan spontané de la sympathie et de l’amour de soi’). Cfr. J. Starobiski, Introduction, in J.J. Rousseau, Euvres complètes, III, Paris, Gallimard, 1964, pp. XLII-LXYI, pp. LX e LVI.

(5) Cfr. J.J. Rousseau, Lettre à Mr. d’Alembert sur les spectacles. Edition critique par M. Fuchs, 1948, p. 21.

(6) Pour citer un exemple qui se rapporte à mon sujet, n’est-ce pas un concert bien entendu entre l’esprit de la Scène et celui des loix, qu’on aille applaudir au théàtre ce méme Cid qu’on iroit voir pendre à la Grève?’. Cfr. J.J. Rousseau, Lettre à Mr. d’Alembert sur les spectacles, cit., p. 93.

(7) Cfr. J.J. Rousseau, Lettre à Mr. d’Alembert sur les spectacles, cit., p.28.

(8) J.J. Rousseau, Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité patmi les homes, in Oeuvres complètes, III,  cit., p 219.

(9) “En effet, ]a commisération sera d’autant plus énergique que l’animal Spectateur s’identifiera plus intimement avec l’animal souffrant: Or il est évident que cette identification a dù étre infiniment plus ètroite dans l’ètat de Nature que dans l’état de raisonnement. C’est la raison qui engendre l’amour propre, et c’est la réflexion qui le fortifie; C’est elle qui replie l’homme sur lui-mème; C’est elle qui le sépare de tout ce qui le géne et l’afflige; C’esti la Philosophie qui l’isole; C’est par elle qu’il dit en secret, à l’aspect d’un homme souffrant, peris si tu veux, je suis en sureté”. Cfr. J.J. Rousseau, Discours sur l’origine et les fondements de l’inègalitè parmi les hommes, cit., pp. 155-156

(10) L’idea di trasformare gli spettatori stessi nello spettacolo, ispirata alle grandi adunanze del mondo antico, collega la comunicazione di massa al tema della festa — le cui caratteristiche di ritualità sono evidenziate già nel Discours sur l’origine de l’inégalité (cit., pp. 168-169) —, tesa a restaurare nella partecipazio­ne politica l’immediatezza e lo slancio vitale che sono propri dello stato di natura: “Plantez au milieu d’une place un piquet couronné de fleurs, rassemblez-y le peuple, et vous aurez une féte. Faites mieux encore: donnez les spectateurs en spectacle; rendez-les acteurs eux-mèmes; faites que chacun se voie et s’aime dans  les autres, afin que tous en soient mieux unis”. Cfr. J. J Rousseau, Lettre à Mr. d’Alembert sur les  spetctacles, cit., pp. 168-169.

(11) Scrive infatti Habermas: “La democrazia rousseauiana dell’opinione non-pubblica postula, alla fine, l’esercizio manipolativo del potere. La volontà comune ha sempre ragione, come s’dice in un passo famoso, ma non sempre il giudizio che la guida è illuminato; per questa ragione le si debbono mettere sotto gli occhi le cose come sono, e a volte come dovrebbero apparirle. Ma perché Rousseau non chiama l’opinione sovrana del popolo semplicemente opinion, perché la identifica con l’opinion publique? La spiegazione è semplice. Una democrazia diretta richiede la presenza reale del sovrano. La volonté générale come corpus mysticum è legata al corpus physicum del popolo unanimente radunato”. Cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 121-122.

(12) “Son àme [de l’homme Sauvage], que rien n’agite, se livre au seul sentiment de son existence actuelle, sans aucune idée de l’avenir, quelque prochain qu’il puisse èntre, et ses projets bornés comme ses vues, s’étendent à peine jusqu’à la fin de la journée. Tel est encore aujourd’hui le degré de prévoyance du Caraybe: Il vend le matin son lit de Coton, et vient pleurer le soir pour le racheter, faute d’avoir prevù qu’ìl en auroit besoin pour la nuit prochaine’. Cfr J.J. Rousseau, Discours sur l’origine et les fondemets de l’ inégalìté parmi les hommes, cit., p. 144.

(13) Cfr. J. J. Rousseau, Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes, cit., p. 169.

(14) Cfr. E. Durkheim, Il‘Contratto sociale” di Rousseau, in Id., Montesquieu  e Rousseau. Le origini della scienza sociale, a cura di Mario Proto, Manduria, Lacaita, 1976, pp. 123-189, p. 166.

(15) Muovendo dallo studio di G. Dumas sulle lacrime, e ricollegandosi alla rappresentazione sistemica dei fatti religiosi e delle pratiche cultuali fatta da Durkheirn e Hertz, Marcel Mauss ha descritto la forma socialmente codificata dei riti funerari orali australiani evidenziando la correlazione semiotica fra le manife­stazioni fisiologiche o psicologiche della sfera individuale e il valore collettivo dei segni del lutto: “Ma tutte queste espressioni collettive, simultanee, con valore mo­rale e con forza obbligatoria dei sentimenti dell’individuo e del gruppo, sono qualcosa di più di semplici manifestazioni; sono segni, espressioni capite, ossia un linguaggio. Questi gridi sono come frasi e parole. Bisogna emetterli, ma se bisogna emetterli è perché li capisca tutto il gruppo”. Cfr. M. Mauss, L’expression obligatoire des sentiments, in “Journal de psychologie”, 18, 1921, trad. It. Marcel Grenet-Marcel Mauss, Il linguaggio dei sentimenti, Milano, Adelphi, 1994, pp.3-13, p.13.

(16) Nel Discorso sull‘indole del piacere e del dolore la sorgente di senso che promana dall’opinione pubblica viene ricondotta da Verri, attraverso la compa­razione rousseauiana della condizione dell’uomo civilizzato rispetto al primiti­vo, alla costruzione di bisogni immaginari in cui consiste l’azione della civiltà: “Ai piaceri e dolori fisici ogni uomo anche rozzo e selvaggio è sensibile; ai piace­ri e dolori morali tanto più l’uomo è sensibile, quanto è più dirozzato dall’educa­zione, cioè quanto è maggiore la folla delle idee che ha aggiunte alla propria esistenza. Noi osserviamo anche nelle intere nazioni della diversità sul tal pro­posito; i popoli più inciviliti sono più sensibili alla gloria e al disprezzo; i popoli ancora più rozzi lo sono alle percosse e alla mercede. I piaceri e i dolori morali sono tanto maggiori, quanto maggiore è il numero dei bisogni e delle relazioni che un uomo sente d’avere con gli altri”. Cfr. P. Verri, Discorso sull’indole del piace­re e del dolore, a cura di Silvia Contarini, Roma, Carocci, 2001 pp. 61-62. D’ora in avanti DIPeD.

(17) Cfr. DIPeD, pp. 65-66.

(18) Perelman e Olbrechts-Tyteca definiscono l’argomento pragmatico come “quello che permette di valutare un atto o un evento in funzione delle sue conse­guenze favorevoli o sfavorevoli”: “L’argomento pragmatico che permette di ap­prezzare qualcosa in funzione delle sue conseguenze, presenti o future, ha un’importanza diretta per l’azione. Esso non richiede, per essere ammesso dal senso comune, giustificazione alcuna. Il punto di vista opposto, invece, ogni volta che viene difeso ha bisogno di un’argomentazione… Le conseguenze, origine del valore dell’evento che le produce, possono essere osservate o semplicemente previste, possono essere sicure o puramente ipotetiche; il loro influsso si eserciterà sulla condotta, o unicamente sul giudizio… L’argomento pragmatico non si limita a trasferire una data qualità dalla conseguenza alla causa, permette anche di passare da un ordine di valori a un altro, da un valore inerente ai frutti a un altro inerente all’albero, di concludere per la superiorità di una condotta partendo dall’utilità delle sue conseguenze”. Cfr. Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica,Torino, Einaudi, 2002, pp.280-283.


Theorèin - Settembre 2005