STILE E OPINIONE NELLE RICERCHE
DI CESARE BECCARIA

A cura di: Ugo Perolino
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Capitolo 3

Nel Frammento si legge che la “diversità dello stile non può consistere nella diversità delle idee principali ma delle accessorie”. Questa definizione serve a delimitare il campo dell’analisi sullo stile attraverso l’identificazione dei fenomeni di cui si occupa (29).

Ogni discorso è composto d’idee principali e d’idee accessorie; chiamo idee principali quelle che sono solamente necessarie acciocché dal loro paragone risultar possa la loro identità o diversità, cioè o la verità o la falsità. Una dimostrazione di geometria è tutta composta d’idee principali; chiamo idee accessorie quelle che ne aumentano la forza ed accrescono l’impressione di chi legge (30).

Lo stile rappresenta l’arte di comunicare in modo persuasivo, rinforzando il contenuto del messaggio in modo da accrescere “l’impressione di chi legge”. Il consenso non è il prodotto di una adesione razionale, argomentata logicamente, paragonabile alla stringente necessità mentale di sequenze discorsuali coesive, ma il risultato di movimenti psicologici che mettono in gioco la folla di fantasmi e passioni che agiscono compulsivamente sul comportamento umano. La medesima formula, con analoga collocazione di preminenza logica, apre la trattazione linguistica delle Ricerche. Nella trascrizione (poiché non v’è dubbio che si tratti di una trascrizione quasi fedele) il brano subisce una leggera variatio, con l’integrazione di elementi riferibili all’indice isotopico della sfera emotiva (le aggiunte sono marcate in corsivo):

Chiamo idee, o sentimenti principali perle idee, quelle che sono solamente necessarie, acciocché dal loro paragone ne possa risultar l’identità o la diversità, nel che consiste ogm nostro giudizio; e per i sentimenti, quelli che sono il solo oggetto del nostro discorso, sia per manifestare le nostre, sia per risvegliare in altri sensazioni di piacere o di dolore, nel che consiste ogni nostra passione. Chiamo idee o sentimenti accessori quelle idee e quei sentimenti che si aggiungono ai principali, che sono i soli necessari, e che ne aumentano la forza e ne accrescono l’impressione; il che come avvenga, si vedrà in appresso (31) .

Le modifiche apportate dalla prima alla seconda stesura documentano scavi e ricerche nella direzione della critica estetica francese fino a Montesquieu, in una zona di contaminazione tra la fissità classicistica del modello della “bella natura” e il riferimento all’esperienza mutuato dalla tradizione dell’empirismo inglese. Questo dualismo di fondo, che contrappone forma ed esperienza, è generativo nel campo dell’arte di una pluralità di soluzioni teoriche in cui si viene progressivamente disciogliendo l’idea di natura come archetipo ideale. Nell’opera di Batteux, Les Beaux-Arts réduits à un mème principe (1746), la stretta sintesi dell’amor proprio e del gusto (32) motiva la sostanza patetica del piacere prodotto dalle belle arti (33). Fondandosi sul principio dell’imitatio naturae, cui conferisce profondità prospettica e movimento mediante il rilievo della visione soggettiva, Batteux inscrive il rigore della conoscenza in un contesto cognitivo fatto vibrare da un’interna tensione sentimentale: “La conoscenza è una luce diffusa nel nostro animo: il sentimento è un movimento che l’agita. L’una rischiara, l’altro scalda. L’uno ci fa vedere gli oggetti l’altro ci conduce ad essi o ce ne distoglie... Benché questo sentimento [il gusto] sembri prendere avvio repentinamente e alla cieca, è tuttavia sempre preceduto almeno da un lampo di luce, con il favore del quale noi scopriamo le qualità dell’oggetto. Bisogna che la corda sia stata percossa, prima di rendere il suono. Ma questa operazione è così rapida che spesso non ce ne accorgiamo e la ragione, quando ritorna sul sentimento, fa molta fatica a riconoscerne la causa. E’ per ciò, forse, che la superiorità degli antichi sui Moderni è così difficile da decidere. È il gusto che ne deve giudicare e al suo tribunale si sente più che non si possa provare” (34).

L’opera di Helvétius rappresenta una fonte comune, a vari livelli di condivisione, del gruppo riformatore milanese. Dalla teoria delle passioni depositata nel III libro del De l’esprit (1758) derivano alle pagine del Frammento beccariano i nessi tra stile e carattere, destinati a riconfigurarsi nell’opera più matura in una diversa sintesi dei legami fisiologici tra percezione e pensiero. Nell’articolo del Caffè, helvéziano è il motivo dell’attenzione, la teoria dell’interesse e il riferimento alla struttura delle passioni: “La differenza degli stili”, scrive Beccaria, “nasce o dalla differenza delle passioni, o dalla differente struttura delle idee d’uno scrittore. Una passione è un’impressione forte e costante della sensibilità tutta rivolta ad un medesimo oggetto; essa modifica e trasforma dentro di sé tutte le altre passioni minori, che ne accrescono la forza” (35).

Se, però, la distanza dall’opera di Batteux, la sua fervida e appassionante inattualità era per Beccaria marcata dalla barriera dell’innatismo e dal filtro helvéziano, nella lettura dell’Essai sur le goût il filosofo milanese poteva trovare una persuasiva indagine fenomenica sulla sensibilità e un discorso in grado di ricucire, con sottilissime e invisibili suture, la critica estetica e la teoria del linguaggio all’universo sociale dei segni, alla moda, e, lungo questa direzione, al dominio dell’economia politica. L’intero campo della sensibilità è descritto da Montesquieu come una distesa di flussi semiotici che impegnano simultaneamente l’affettività, le passioni, il senso. Il gusto, si legge nell’Essai, è ‘ciò che ci avvince ad una cosa mediante il sentimento” (36). La misura del gusto, scrive ancora Montesquieu, è data dalla “misura del piacere che ogni cosa deve dare agli uomini”. La sua origine, alla radice dell’esperienza sensibile, promana dalla percettività, dal fluire simultaneo di stimolazioni che incidono, con effimero o stabile segno la scorza della coscienza (37).

L’inserzione del pensiero di Beccaria nel movimento dell’estetologia francese del Settecento contribuisce a rischiarare il valore politico e la sostanza conoscitiva della sua opera. Nel contributo postumo all’Encyclopédie, Montesquieu assume l’esperienza estetica come campo di indagine autonomo, munito di una propria consistenza ontologica, produttivo di accadimenti e fenomeni che possono essere descritti senza uscire dall’ambito e dalle attribuzioni teoriche della sensibilità (38).

Le coordinate prospettiche che Montesquieu comunica alla trattazione estetica sono marcate da una brusca curvatura soggettivistica: cause del bello, del buono, del gradevole, del non so che, risiedono nella nostra anima; esaminando le sue azioni e le sue passioni, se ne ricaverà la natura dei suoi piaceri. Il problema del bello viene in tal modo riconsegnato alla sfera di attribuzioni del soggetto, all’interno della quale, sfumando la distanza ontologica tra anima e corpo, l’emozione estetica si evidenzia quale impasto di forma e di materia, di sentimento e di ragione: “L’àme connit par ses idèe et par ses sentiments; car, quoique nous opposions l’idèe au sentiment, cependant, lorsqu’elle voit una chose, elle la sent; et il n’y a point de choses si intellectuelles qu’ell ne voie ou qu’elle ne croie voir, et par cosèquent qu’elle ne sente(39). Il pensiero si definisce come apertura vitale: l’essere è consustanziale alla sensibilità, la percezione è il battito, il respiro stesso del vivente (“Notre ame est faite pour penser, c’est-à-dire pour apercevoir...(40) ). All’interno della sfera del soggetto, il Bello s’instaura nel campo ermeneutica del piacere, della configurazione corporea e della fenomenica che ad essa inerisce. Nell’Essai sur le gout Montesquieu trascrive, come su una carta geografica, il diagramma dei flussi semiotici della sensibilità. Non solo il contenuto cognitivo della percezione, la sua rispondenza o meno ad un ordine oggettivo, ma le sfumature emotive, gli effetti alonali, le suggestioni di sfondo che colorano come ali di farfalla i battiti della sensibilità, possono essere sottoposte a verifica empirica. La massa compatta dell’esperienza – è questa la più significativa determinazione emersa dall’indagine sulle idee accessorie — appare dissolta in uno sciame pulviscolare di tratti percettivi, in grado di attivare la macchina umana nei suoi diversi livelli di senso, dalla corporeità desiderante fino alle astrazioni della conoscenza: “Souvent nôtre âme se compose elle-même des raisons de plaisir, et elle y réussit surtout par les liaison qu’elle met aux choses. Ainsi une chose qui nous a plu nous plait ancore, par la seule raion qu’elle nous a plu, parce que nous joignons l’ancienne idèe à la nouvelle. Ainsi une actrice qui nous a plu sur le tèâtre , nous plaît ancore dans la chambre; sa voix, sa dèclamation, le souvenir de l’avoir vue admirer, que dis-je? l’idée de la princesse, jointe à la sienne: tout cela fait une espèce de mèlange qui forme et produit un plaisir (41). Sull’esempio di Montesquieu, Beccaria intende l’analisi del linguaggio non soltanto nell’ordine del significato, che opera su unità discrete, stabili, scandite nella successione logica della catena sintagmatica, ma nell’ordine variabile del senso, estendendo la ricerca al coutinuum percettivo, nell’intreccio dei nessi intersensoriali e mobili della sfera corporea, e ancora, nei modi della simultaneità e della compresenza (42). Un ambito, questo, tanto più indefinito, ambiguo, permeabile agli azzardi del caso e alle forme compulsive dell’abitudine, quanto più è da riconoscervi una potente sorgente di stimoli, tale da determinare concretamente le condizioni d’uso, il valore e l’efficacia pragmatica dei segni.


(29) Il discorso teoretico delle Ricerche muove dalla preventiva ripartizione dei diversi ambiti di funzionalità del linguaggio. Beccaria distingue l’uso cognitivo della lingua fondato sulla nozione di referenzialità logico-semantica dell’enun­ciato (è il caso delle “dimostrazioni di geometria”, e di tutte le pratiche discorsive orientate da una pretesa di validità di tipo epistemico) dall’impiego sociale dei segni orientato alla “razionalità dell’intesa” (Habermas), dislocato sul terreno dell’opinione e della costruzione dei codici sociali, inscritto nelle transazioni pragmatiche e affettive del mondo della vita, nella teleologia dell’agire. Un enun­ciato puramente cognitivo, non contaminato dal fluire delle passioni, degli inte­ressi, delle opinioni e affezioni dell’anima, non rappresenta nella verifica empirica la condizione prioritaria dell’agire comunicativo, che appare invece costantemente rivolto alla negoziazione delle condizioni d’uso e del valore delle forme lingui­stiche.

(30) Cfr. FS, p. 39

(31) Per il testo delle Ricerche (in seguito con la sigla RIC) si fa riferimento al vol. II di Ed. Naz., a cura di Gianmarco Gaspari. La citazione è a pp. 81.82.

(32) “Il gusto è la voce dell’amor proprio, fatto unicamente per gioire, è avido di tutto ciò che gli può procurare qualche sentimento gradevole”. Cfr. Ch. Batteux, Le belle arti ricondotte ad un unico principio, a cura di Ermanno Migliorini, Palermo Aesthetica, 1992, p. 59.

(33) ‘Il gusto è una conoscenza delle regole mediante il sentimento. Questo modo di conoscerle è molto più fine e più sicuro di quello proprio dello spirito; e anche senza di esso, tutte le luci dello spirito sono quasi inutili a chiunque voglia comporre”. Ch. Batteux, Le belle arti ricondotte ad un unico principio, cit., p. 65.

(34) Cfr. Ch. Batteux, Le belle arti ricondotte ad un unico principio, cit., p. 53.

(35) Cfr. FS, p. 43.

(36) Per il testo dell’Essai sur le Goût si veda Montesquieu, Ouvres complètes, texte prèsentè et annotè par Roger Caillois, “Bibliothèque de la Plèiade”, Paris, 1956, 2 voll., pp. 1240-1263. Per la traduzione italiana si fa riferimento alla sele­zione antologica dell’Encyclopédie proposta da Paolo Casini (a cura di) in Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, Bari, Laterza, 1968, alla voce Gusto, pp. 733-751 (indicato d’ora in avanti con la sigla SSG). La citazione è a p. 736.

(37) “Ce sont ces différents plaisirs de notre âme qui forment les objets du goût, comme le beau, le bon, l’agréable, le naïf, le délicat, le tendre, le gracieux, le je ne sais quoi, le noble, le grand, le sublime, le majestueux, etc. [.. .] Le source du beau, du bon, de l’agréable, etc., sont donc dans nous-mêmes; et en chercher les raisons, c’est chercher les causes des plaisirs de notre âme”. Cfr. Montesquieu, Ouvres, vol. II, cit., p. 1240. “Questi diversi piaceri dell’anima formano gli oggetti del gusto, come il bello, il buono, il gradevole, il semplice, il delicato, il tenero, il giudizioso, il non so che, il nobile, il grande, il sublime, il maestoso, ecc. […] Le scaturigini del bello del buono,del piacevole ecc. sono dunque in noi stessi, e ricercarne le ragioni è come ricercare le cause dei piaceri della nostra anima”. Cfr. SSC, p. 733.

(38) Beccaria si avvale di questa impostazione per definire la rete di connessione del linguaggio e della produzione dell’essere sociale:” …anche l’istituzione medesima dimanda ornamenti e bellezza; non basta, perchè l’uomo corra per la strada che noi vogliamo, che utile ne sia il fine; bisogna ch’essa medesima sia dilettevole; non basta, in nissuna istituzione nè letteraria né politica, desiderare, proporre, persuadere ed esigere i fini; bisogna che i mezzi stessi sian grati e piacevoli, ch’essi sieno sensibili, che il premio della fatica non sia tutto lontano ed anmucchiato al termine di quella, ma distribuito e sparso per la carriera tutta che si deve percorrere, perché trattasi, e ne’ libri e né costumi e nelle combinazioni civili, di vincere la forza incessante degli oggetti presenti, che di sensazioni dilettevoli ci inondano, e di vincere e cangiare quelle direzioni, verso delle quali tende ogni momento la debole nostra natura, cioè il ben essere attuale, o almeno così poco lontano che la mente con poca riflessione vi arrivi”. Cfr. RIC, I, X, Dello stile semplice, medio e sublime, pp. 147-148 

(39) Cfr. Montesquieu, Oeuvres, vol. II, cit., p.1243. “L’anima conosce con le idee e con i sentimenti; …perché, sebbene noi contrapponiamo l’idea al sentimento, nondimeno quando essa vede una cosa, la sente; e non esistono cose tanto intellettuali, ch’essa non possa vedere o credere di vedere e di conseguenza sentire”. Cfr. SSG, p.736.

(40) Cfr. Montesquieu, Oeuvres, vol. II, cit., p.1243. “La nostra anima è fatta per pensare, cioè per percepire…”. Cfr. SSG, p.736.

(41) Cfr Montesquieu, Oeuvres, vol. II, cit., p. 1252. “Spesso la nostra anima si foggia da se stessa motivi di godimento, e vi giunge soprattutto grazie ai nessi che stabilisce tra le cose; perciò una cosa che ci è piaciuta ci piace ancora, per l’unica ragione che una volta ci è piaciuta, perché colleghiamo l’antica idea alla nuova: così un’attrice che ci è piaciuta a teatro a teatro ci piace in camera; la voce della declamazione, il ricordo della generale ammirazione, potrei dire l’idea della sua parte principesca congiunta a quella di lei, tutto ciò si fonde in un insieme, che genera e procura un piacere”. Cfr. SSC, p. 744.

(42) Nei più recenti orientamenti della sociosemiotica, il discorso che mette in scena il Corpo politico inaugura un regime semiotico distinto da quello dell’opinione pubblica: “Laddove la figura dell’opinione pubblica fa riferimento a una logica di tipo narrativo, e dunque a modelli di significazione di tipo razionalistico e inferenziale, il discorso politico che adopera (costruisce, sfrutta e trasforma) passioni e sensazioni sembra mettere in moto fenomeni sociali di tipo continuo, apparentemente privi di articolazione interna, difficilmente  formalizzabili ma comunque proponibili come modelli generali di spiegazione del mondo”. Cfr. G. Marrone, Corpi sociali. Processi comunicativi e semiotica del testo, Torino, Einaudi, 2001. pp. 2l5-285, pp. 267-268. Inoltre, nelle pratiche discorsive che fanno capo al Corpo politico, l’atto linguistico intende produrre in’intersoggettività condivisa, mediante l’integrazione dello sfondo sensoriale, identificativo, narcisistico, soggiacente alla comunicazione. Si potrebbe infine osservare che il discorso politico di massa, fino al suo sorgere, ha articolato un doppio registro, dell’Opinione pubblica e del Corpo politico, rispondenti a due diverse tecnologie di controllo semiotico, rispettivamente contrattuale-narrativo e mitico-rituale.


Theorèin - Novembre 2005