STILE E OPINIONE NELLE RICERCHE
DI CESARE BECCARIA

A cura di: Ugo Perolino
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Capitolo 5

Sul versante della critica letteraria, corrispondente a queste posizioni teoriche è l’asserzione della transcodificabilità di poesia e prosa (“i versi non si vogliono riconoscere per buoni se non quando reggono anche essendo tradotti in prosa, e si trovano eccellenti”), con la sottolineatura del carattere di “traduzione” connesso a tale procedimento. Nelle Riflessioni sulla poesia (59), un ampio capitolo dell’Estratto dai Mélanges di d’Alembert (60), il discorso muove dal principio genericamente oraziano dell’utile dulci (61), per giungere, attraverso una puntuale condanna del canone dell’imitazione (62) che si esercita sulla voga montante dei rifacimenti da Anacreonte (63) e del genere pastorale (64), ad una recisa affermazione della natura ragionativa della poesia moderna (65).

In conclusione, s’è visto come Beccaria pervenga all’elaborazione di una teoria della comunicazione pubblica — o di massa — integrando gli esiti speculativi di tradizioni filosofiche tra loro divergenti. Se, da una parte, la trattazione sullo stile individua un ambito retorico il cui precedente diretto è nella lezione di Dumarsais — e nella generalità delle grammatiche portorealiste, da cui la linguistica settecentesca mutua ancora radicate suggestioni attorno alle giunture del linguaggio e della conoscenza —, in ambito gnoseologico la sua trattazione si appoggia sulla psicologia lockiana e condillachiana ovvero sui paradigmi empiristici afferenti alla sfera della sensibilità, dell’interazione organica e biologica, della configurazione corporea. Su questo terreno, il più propizio ad un’integrazione del campo epistemico dell’economia politica, si svolge l’incontro con Montesquieu, che nell’Essai sur le Goût orienta il decorso dell’estetologia francese del secolo XVIII attraverso una radicale, laicizzata rilettura del motivo agostiniano della curiosità. Alla confluenza di questi tre paradigmi speculativi — Dumarsaìs e la retorica a base psicologica; Locke—Condillac, e la psicologia cognitiva; Montesquieu, l’estetologia - si delinea nel pensiero di Beccaria lo spazio culturale dell’opinione pubblica. Tale spazio, connotato dalla tonalità rousseauiana della persuasione e dalle fluttuazioni regressive dello spettacolo, è il luogo terminale di destinazione tanto delle procedure inerenti il governo dei corpi e della popolazione — nella sfera dell’economia politica e della pubblica felicità —, quanto quello della messa in atto delle pratiche discorsive regolative alla generazione del consenso. Il suo valore manipolativo, che si riassume nella formula habermasiana (riferita a Rousseau) della “democrazia dell’opinione non-pubblica”, resta come un dato permanente, difficilmente eliminabile dall’orizzonte della cultura italiana della modernità, tra tentazioni plebiscitarie e dinamiche di massa mai completamente svincolate dalla gestualità del potere e dai suoi nessi alienanti nel dominio della comunicazione.


 

59 Cfr. Ed. Naz., II, pp. 337 sgg.

60 Il quinto volume dei Mélanges de littérature, d’histoireet de philosophie di Jean Le Rond d’Alembert (1717-1783) fu pubblicato ad Amsterdam, per i tipi di Zacharie Chàtelain et Fils, sul finire del 1766 ma con la data dell’anno seguente. Beccaria ne ricevette copia nel corso del suo viaggio a Parigi (ottobre-dicembre 1766) dallo stesso d’Alembert, con il quale ebbe modo di discutere dell’argomento delle Ricerche. Il testo dell’Estratto, la cui elaborazione scorre parallela alla prima fase delle Ricerche, presenta con queste numerose rispondenze tematiche, atteso che “la stesura dell’opera maggiore doveva essere avviata proprio in coincidenza con l’attenta lettura del quinto volume dei Mélanges” (Gaspari).

61 Ibidem, p. 337: “La filosofia, tanto coltivata nel presente secolo, si sforza d’inspirare il gusto delle letture utili e di riunire col vantaggio la grazia, per rendere di questo modo piaceri più reali e più durevoli”.

62 Ibidem, p. 338: “Poiché la poesia è un’arte d’immaginazione, non v’è più poesia quando non si fa che ripetere ciò che gli altri hanno detto”.

63 Ibidem, p. 338: “Niente v’è di più fino e pieno di verità che le finzioni della vecchia poesia: ma niente v’è oggi di più comune e volgare. Quello che il primo ha dipinto l’amore sotto la figura di fanciullo colle ali e cogli occhi bendati ha mostrato molto spirito; ma non ve ne ha punto a ripetere lo stesso. A ragione Anacreonte ci piace, perché è stato o si crede il creatore di quel genere di poesia che è suo particolare: ma in un genere così semplice, dove quel che inventa l’esaurisce, l’originale è una cosa, e le copie non sono niente”.

64 ibidem, p. 338: “Nel genere pastorale, dopo quello che hanno scritto bit donc trouver, dans une langue Teocrito, Virgilin e Fontendlle, appena si può leggere quakhe axsa senza noiarsi”.

65 In una parola, il carattere unico, la legge imposta alla poesia nel presente secolo, sì è che i versi non si vogliono riconoscere per buoni se non quando reggono anche essendo tradotti in prosa, e si trovano eccellenti. Non dico per questo che de’ versi prosaici, quantunque felice ne fosse il pensiero, possano esser apprezzati. L’uomo di gusto esige nel verso una espressione nobile e scelta senza essere troppo ricercata, ed un’armonia dolce, dove non si conosca la difficoltà e lo studio per riuscirne”. Cfr. Ed. Naz., Il, p. 339. Ma la sicura acquisizione del carattere razionale della scrittura poetica non si traduce automaticamente nella cancellazione delle barriere tra poesia e prosa o nella dismissione delle differenze formali e strutturali, di pregio e distinzione del lessico, e di nobiltà della lingua, che marcano la classificazione di genere. Allo stesso tempo, però, viene riaffermata la centralità dell’entusiasmo, fomentatore di idee grandi e pensieri sublimi, condizione ineludibile del sublime poetico che sì esprime nella rarefazione della poesia lirica: “Il carattere della poesia lirica è la grandezza e l’elevazione delle idee. Ogni ode che soddisfaccia a queste condizioni è sicura de’ suffragi favorevoli. Ma i pensieri sublimi sono rari, nè possono essere suppliti colla magnificenza delle parole, troppo sterili quando le cose non vi corrispondono, nè con quel bello disordine che finora non s’è definito bene, nè con delle triviali invocazioni che non sono esaudite, nè con un comandato entusiasmo, che sembra annunciare una folla d’idee e che non ne produce alcuna’. Cfr Ed. Naz., II, p. 339.,


Theorèin - Gennaio 2006