RANDONE, EDUARDO, STOPPA:
TRE MESSEINSCENA DE IL BERRETTO A SONAGLI
DI LUIGI PIRANDELLO
A cura di: Paolo Diodato
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Lezione I

MUSCO E GLI INTERPRETI DIALETTALI DE
IL BERRETTO A SONAGLI

Angelo Musco interprete de Il berretto a sonagli

La decisione di dedicare un capitolo a Musco e agli attori dialettali siciliani, in rapporto a Pirandello, nasce dalla consapevolezza che le opere dialettali pirandelliane maturano come lavori in cui l’interprete gioca un ruolo significativo. Del resto, è nella cultura stessa degli attori dialettali e primi interpreti pirandelliani, rivendicare un proprio spazio elaborativo teatrale e scenico che incide fortemente sull’opera stessa. Musco, in una lettera così condensava i suoi canoni interpretativi :

"Quando mi portano un lavoro, mi portano una stoffa. Sono io che ci faccio un abito per me. Tornasse dall’altro mondo a portarmi uno scampolo la buon’anima di Giovanni Verga, io lo ritaglio, lo cucio, ci faccio il bavero, le tasche e le maniche, me lo infilo, e ci metto il fiore all’occhiello: ecco !".

Ma, oltre al fatto che Musco è stato uno dei primi interpreti pirandelliani, vi è anche un’altra e più profonda motivazione che lo distingue dagli altri attori siciliani. Egli, infatti, concentrò in sé dei caratteri che sono riscontrabili solo nei grandi attori, i quali sono in grado di costruire un modello di recitazione libero da localismi e stereotipi. Ma quali furono i modelli recitativi assorbiti da Angelo Musco, o meglio che cosa gli forniva la tradizione teatrale siciliana precedente?

Angelo Musco nasce a Catania in un quartiere popolare il 18 dicembre 1871. Sono anni in cui la città etnea si presenta come un importante centro culturale, in cui Musco si sperimenta nello stesso tempo come manovratore di marionette, canzonettista, dicitore, macchinista, buffo, amoroso, generico e ballerino.

Le due linee portanti della sua formazione attoriale furono il teatro di varietà da una parte, e il teatro naturalista siciliano che nello stile di Giovanni Grasso trovava il suo interprete emblematico.

Musco riallacciandosi in maniera non del tutto consapevole alla grande tradizione comica della commedia dell’arte, coglie dal varietà la possibilità di crearsi un carattere e un tipo personali, cioè un embrione drammaturgico d’attore "come prassi fattiva di fare teatro" capace di unire realtà e astrazione, individualità e spersonalizzazione. E’ proprio la sua esperienza di attore di varietà a consentirgli di avvicinarsi ad un teatro italiano ed europeo più complesso, come fu per esempio quello di Pirandello.

La sua cultura di siciliano o la tradizione naturalista che in Sicilia tendeva ad enfatizzare l’aspetto farsesco e patetico non sarebbero state sufficienti a promuovere un tale incontro.

Fu invece la complessità della strumentazione attoriale fornitagli dal varietà a permettergli di interpretare il teatro e la multiforme realtà dei personaggi pirandelliani e in particolare il protagonista del Berretto a sonagli.

Il loro rapporto, tuttavia, non fu senza contrasti. Riguardo all’allestimento del Berretto, Pirandello, benché avesse dichiarato di accogliere tagli e modifiche, gradualmente, assunse un ruolo di tipo registico, indicando, nel dettaglio, aspetti precisi della messa in scena e apportando nuovi tocchi alla caratterizzazione del protagonista:

"Mi raccomando poi per la truccatura di Musco. Parrucca con zazzera e fiaccagote (corciolani) basette usu mulinciani... Gesti, andatura, modo di parlare pazzeschi"

D’altra parte, Musco suggeriva tagli e modifiche al testo giudicato troppo "prolisso" e incompatibile con la sua arte recitativa che richiedeva uno spazio personale di invenzione scenica. Martoglio stesso informava Pirandello di difficoltà insuperabili nel dialogo, costringendoli a interrompere le prove.

Nella risposta di Pirandello a Martoglio riguardante la smontatura di Musco e di tutta la compagnia è evidente la sua fatica di far comprendere all’attore la sua particolare concezione del fare teatro :

"Se manca in essa [la commedia] quello SPIRITO ANIMATORE che deve sostener la parte e le parti, sicuro che non vi resta altro che una sovrabbondanza di parole e parole e parole! Le parole bisogna animarle perché vivano; ed è l’anima che è mancata al Musco e agli altri. Mancando l’anima si son trovati in bocca l’imbroglio di discorsi lunghi, incisi, da portare alla fine senza saper come!".

Ciò che a Pirandello interessava comunicare era un concezione del dialogo teatrale "non fatto mai di parole, ma di mosse d’anima". Musco da parte sua scriveva a Martoglio:

"Io non ho mai detto che ’A Birritta cu’ e cianciani abbia delle scene o dei discorsi che non vanno, anzi io per primo ho detto : che è un capolavoro, come sono opere d’arte tutte quelle di Pirandello , ma ‘A birritta purtroppo bisogna tagliare, e per me, è un gran dispiacere perchè sono tutte belle parole ed è interessante; insomma tutta roba buona ma la commedia dev’essere scaricata e deve essere scaricata dallo stesso autore perchè a me fa pena tagliare".

E’ evidente che la concezione dell’attore da parte di Pirandello non coincideva completamente con l’interpretazione e l’idea di attore di Angelo Musco.

Martoglio si trovò, dunque, a dover mediare tra due personalità complesse e molte diverse tra loro.

Il maestro siciliano, ebbe nei confronti del teatro il dubbio di fondo di non riuscire ad esprimere l’intera pienezza delle sue creazioni, coinvolgendo in questo atteggiamento di riflessione critica, anche la figura dell’attore, chiamato in prima persona ad materializzare l’ispirazione originaria e più genuina del personaggio.

Per Pirandello, comunque, l’identificazione completa attore-personaggio risulterà impossibile.

Questa sua problematicità verso il teatro in genere, si acuiva nei confronti di quello dialettale. Quest’ultimo, infatti, gli pareva troppo legato ad un contesto culturale e linguistico, che impediva un livello di comprensione e di comunicazione più ampio. Tuttavia, Pirandello giustificava il ricorso al dialetto, riconoscendogli, addirittura, dignità artistica quando la natura dei sentimenti dei personaggi è: "talmente radicata nella propria terra, di cui egli si fa voce, che gli parrebbe disadatto o incoerente un altro mezzo di comunicazione che non fosse l’espressione dialettale".

La tensione tra attore e personaggio è molto ben espressa nella poetica presente nell’opera Sei personaggi in cerca di autore, in cui è evidente l’incomprensione e l’inadeguatezza degli Attori ad esprimere il desiderio di vita dei Personaggi.

E’ proprio in questo sforzo di comunicazione profonda tra creazione artistica ed interpretazione attorica che Pirandello propone l’Autore, cioè se stesso, come l’intermediario, come colui che si relaziona anche alle realtà concrete della scena con gli stessi processi mentali dello scrittore.

Cosicchè la presenza sulla scena dell’autore Pirandello si giustifica nell’intima esigenza di rendere la rappresentazione teatrale il più intimamente rispondente ai personaggi, così come la sua intuizione creativa li aveva connotati.

Ciò fu particolarmente evidente nel suo concreto modo di lavorare con gli attori durante il successivo periodo del Teatro d’Arte.E comunque, sin dal rapporto con Angelo Musco, la sua peculiare esigenza di autore si fece presente nei frequenti interventi, sia per lettera che alle prove, sul modo di intendere il personaggio di Ciampa.

L’attore siciliano sentiva la commedia non del tutto adatta a sé. Soprattutto le lunghe battute filosofico-buffonesche che pronuncia Ciampa nel primo atto e che sono alla base di questo personaggio creavano un certa perplessità in Musco.

Ciampa era un personaggio che portava in teatro il mondo tematico pirandelliano e a Musco era difficile adattarsi, nonostante i parziali successi. Doveva ogni volta confrontarsi con un "senso della misura" e con uno sforzo di scavo interiore, richiesti dalla compresenza nel personaggio di diversi stati d’animo, che richiedevano uno studio preliminare, prassi quest’ultima, certamente, non alla base del modo di "costruirsi la parte" di Musco.

Poi c’era da tener presente il rapporto con il pubblico che si aspettava da Musco rappresentazioni di un certo tipo.A Martoglio e a Musco, il personaggio di Ciampa sembrava artificioso. Le preferenze dell’attore catanese andavano verso personaggi stereotipati, verso immagini convenzionali dei caratteri teatrali siciliani adatti alla recitazione farsesca e satirica. Ciampa invece si sottraeva a tali stereotipi per la non convenzionalità del suo atteggiamento verso il matrimonio e le donne, per la scelta di non ricorrere alla violenza, soprattutto per il suo filosofeggiare sugli uomini e i comportamenti.

A Pirandello, da parte sua, Il Berretto a sonagli appariva come opera riuscita non solo poeticamente ma anche drammaturgicamente :

"Possibile che io con il mio senso del teatro, con il mio senso di misura, mi sia ingannato, smarrito, perduto nello scrivere una commedia, non costruitaaffannosamente e non faticosamente, ma venuta di getto in meno di sette giorni: nata e non fatta".

Si può dire con Alessandro D’Amico che:

"le incertezze e i continui rinvii a proposito della Birritta rivelano ancora una volta il dilemma tra Musco interprete e Musco farsante e i condizionamenti provenienti dal pubblico e dai proprietari di teatro".

Le incertezze e i rinvii furono il preludio della rottura fra Musco e Pirandello, anche se, alla fine, la Birritta andò in scena, il 27 giugno del 1917.

Pirandello, riguardo al buon esito dell’opera puntava molto sull’interpretazione di Musco e soprattutto per il finale del secondo atto gli raccomandava, tramite Martoglio

"una comicità indiavolata, come la situazione gliene offre il destro. Se questo finale, che è veramente di voltata e del tutto imprevisto, ha il suo pieno effetto, potrà darsi che, contro ogni nostra previsione, il lavoro attacchi. Tutto sta che Musco trovi subito la linea grottesca del tipo che è veramente caratteristico, e, nel suo fondo, arcipieno di tragica umanità".

Le preoccupazioni di Pirandello sull’effettivo successo dell’opera si rivelarono ben presto esatte dal momento che Il Berretto a sonagli non ebbe all’inizio una risonanza quale l’opera meritava e le recensioni, spesso anonime sottolinearono soprattutto la bravura di Musco generalmente presentato come il salvatore della serata. Anche se Pirandello, scrivendo al figlio prigioniero in guerra, dice:

"L’altra sera, intanto, Musco ha dato con clamoroso successo qua al Nazionale un’altra mia commedia Il berretto a sonagli e darà tra poco anche La giara in un atto, tratta dalla novella omonima".

Il giudizio quasi unanime della critica, in seguito alla prima del Berretto a sonagli fu dunque l’apprezzamento dell’interpretazione di Musco, anche se non mancarono perplessità sulla struttura di fondo dell’opera. Mario Corsi in un articolo della Tribuna del 29 giugno 1917 scrive:

"Il pubblico a più riprese ne rimase sbalestrato, non riuscendo sempre a collegare i fatti con le idee ed a seguire l’autore nel labirinto delle sue astrazioni filosofiche: ma poi la vivace sottile arguzia di certi ragionamenti, e soprattutto la irresistibile comicità e forza drammatica di Angelo Musco finivano per riprenderlo".

Eugenio Checchi da parte sua affermava che

"il ragionamento, incespica alquanto; ma è svolto con tanta arguta sottigliezza, con immagini così piacevolmente paradossali e condite di tanto umorismo, di quell’umorismo in cui Luigi Pirandello è maestro, che il pubblico casca nella rete [...] Di quelli applausi una parte andava di diritto ad Angelo Musco che seppe fondere insieme, con bella efficacia, il comico ed il drammatico del complesso e un pò ingarbugliato carattere del protagonista. Ebbe anche lui un successo grandissimo".

Il Vice del "Messaggero" confermava il successo di Musco che

"l’ha interpretata [la figura di Don Nociu] con efficacia grandissima. Assai ben truccato l’attore impareggiabile ha trovato e reso felicemente spunti gustosissimi di comicità al prim’atto; e con versatilità impressionante ha colorito l’angoscia estrema del marito tradito al second’atto".

Da questi giudizi risulta chiaro che la fortuna dell’opera sin dall’inizio fu legata al suo primo e importante interprete Angelo Musco che la conservò nel suo repertorio fino alla morte.

Concludendo, si possono esaminare alcuni interessanti giudizi sull’arte recitativa di Musco, "che appare con tutte le disegualianze e le impulsività di un uomo ricco di vita interiore che in ogni interpretazione erompe selvaggiamente in manifestazioni di una plasticità sorprendente". La sua arte sta proprio nell’avere innestato "sul vecchio tronco della mimica grottesca un ramo della mimica tragica" sicchè "con la stessa ebbra cecità con la quale si abbandonava all’estro comico poteva affondare nell’angoscia e disperazione" o per dirla con Silvio D’Amico "quando, umorista vero, attraverso le note della farsa, egli attinge la tragedia, il pubblico grosso può ben continuare a ridere: l’intelligenza trema".

Gli altri interpreti de Il berretto a sonagli

Se il rapporto Musco-Pirandello fu travagliato ma non improduttivo, meno felice fu quello con un altro interprete del teatro siciliano: Giovanni Grasso, più di Musco legato al filone dialettale popolare.

Le sue caratterizzazioni pittoresche riflettevano gli aspetti più accesi e truculenti della vita siciliana. Il suo stile ed il suo repertorio si inserivano in una stagione del teatro dialettale isolano che affondava le sue radici nella tradizione dei drammi patetico-sentimentali, sulla presenza di canovacci a cui mancava una approfondita ed organica rifinitura scenica e drammatica.

Sarà Martoglio a cercare di inserire Grasso all’interno di un programma culturale di riordino del teatro siciliano alla cui notorietà in ambito nazionale e sovranazionale poco si accordava una certa qual "arte primitiva" di Grasso. Martoglio infatti parlando di Grasso affermava:

"Il suo specchio è la natura. Ecco spiegato il fenomeno. Egli studia, analizza e assimila meravigliosamente: ha una grande potenza d’intuito e uno spirito d’imitazione straordinario"

riconoscendo il suo grande talento ma al tempo stesso intuendo la necessità di un cammino verso una più organica e disciplinata formazione attoriale. Fatto sta che l’incontro di Grasso con l’opera di Pirandello si verifica nel 1919 proprio come interprete del Berretto a sonagli.. Ma se l’incontro Musco-Pirandello, come abbiamo già detto, non fu improduttivo, sebbene non privo di contraddizioni, quello dell’autore agrigentino con Grasso fu senz’altro episodico. Il pathos ed una certa arte primitiva e poco controllata allontanavano l’attore dall’arte "riflessiva" di Pirandello. Alla richiesta di Grasso di sfoltire nel Berretto a sonagli, le scene in cui non compariva il protagonista, Pirandello rispondeva negativamente.

"Le osservazioni di Grasso" -scrisse Pirandello a Martoglio- "se possono avere qualche valore, riguardo al suo temperamento artistico a cui si confanno più gli atti che le parole, mi pare che non ne abbiano nessuno riguardo al lavoro stesso, come opera d’arte. Non mi pare affatto che ci siano lungaggini. L’azione e i discorsi degli altri personaggi son tutti necessari, come quelli del protagonista".

E più in là nella lettera definisce la propria "un’arte riflessiva", poco interpretabile dal "temperamento" di Grasso considerato "troppo primitivo e bestiale". Il forte legame di Grasso con un repertorio precostituito fatto spesso di drammi tratti direttamente dalla cronaca locale, oppure di opere storiche della drammaturgia siciliana ormai datate come I Mafiusi di la Vicaria di Palermo, di Gaspare Mosca e Giuseppe Rizzotto e La zolfara di Giuseppe Giusti Sinopoli, gli rendevano difficile l’adesione ad un teatro più controllato e complesso quale era quello che gli proponeva Pirandello. La rappresentazione del Berretto a sonagli di Giovanni Grasso andò in scena a Napoli il 4 aprile 1919 e a Roma il 27 novembre di quello stesso anno. L’ultima ripresa, all’Eliseo di Roma risale al 1930. A quest’ultima rappresentazione si riferiva Silvio D’Amico considerandola "una sua rauca ma, nella scena finale, orgiastica rappresentazione del Berretto a sonagli".

Le precedenti rappresentazioni ottennero un notevole successo, tra i giudizi critici più interessanti ricordiamo quello di Saverio Procida che così affermava:

"Il Grasso fu iersera attore portentoso, d’una immediatezza di trasmissione che lo rende partecipe del gran successo, poiché di quel tipo [don Nociu], per due ore, visse e fece vivere il pubblico".

Sulla scia di Grasso senior si può collocare il cugino minore Giovanni Grasso junior che si innestò sulla stessa tradizione interpretativa del primo dalla cui imitazione non si seppe del tutto sottrarre, pur mostrando un proprio talento naturale improntato a passionalità e sensilità artistica. Anche lui fu interprete del Berretto a sonagli di Luigi Pirandello, riscuotendo favorevoli giudizi come dimostrano queste recensioni:

"il Grasso junior ha un temperamento diverso da quello del Grasso senior; "vigoroso" ma non "impetuoso" negli eccessi di quel "calore siciliano" ch’egli, invece, sa utilizzare in una recitazione molto moderna di una naturalezza semplice e spontanea. Studia il suo personaggio con amore, lo sa penetrare con sottile acume psicologico e sa comporre il tipo con evidenza impeccabile. Ed appunto nelle commedie di carattere, come in genere Berretto a sonagli, la sua interpretazione può meglio eccellere".

Un altro interprete significativo della schiera dei "siciliani" fu Tommaso Marcellini anch’egli partecipe della generazione degli attori che fondarono, con Martoglio, il teatro siciliano: fu primo attore nella terza "Compagnia Drammatica Dialettale Siciliana" del 19 luglio 1941. La sua interpretazione del Berretto a sonagli si caratterizzò per un suo stile personale che lo distinsero dalla "caratteristica impetuosità del Grasso senior e dalla magnifica buffoneria di Musco", riuscendo ad imprimere nella figura del protagonista, come sottolinea Silvio d’Amico, "un’arte abbastanza personale, fatta di delicatezze e di sfumature rassegnate, piuttosto che di strazio urlante come quella di Giovanni Grasso, o di grottesco come usa Musco".

Concludendo si può affermare che la stagione dialettale siciliana del Berretto a sonagli fu attraversata dai maggiori interpreti di quella tradizione teatrale, rinnovata e orientata verso orizzonti nazionali da Nino Martoglio. Questa esperienza incise profondamente nella fortuna e nella storia della Birritta che, dal 1918 al 1925 attraverso tre riedizioni successive, era intanto giunta alla sua attuale e per certi aspetti definitiva versione in lingua.


Theorèin - Settembre 2002