RANDONE, EDUARDO, STOPPA:
TRE MESSEINSCENA DE IL BERRETTO A SONAGLI
DI LUIGI PIRANDELLO
A cura di: Paolo Diodato
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Lezione II

SALVO RANDONE INTERPRETE DE
IL BERRETTO A SONAGLI

La carriera artistica di Salvo Randone

Salvo Randone in sessant'anni di carriera interpretò Il Berretto a sonagli di Pirandello una sola volta, e nemmeno in teatro, ma negli studi televisivi della Rai (1)

Il suo incontro, dunque, con questa opera nacque in un contesto particolare e sebbene episodico, per quel che può significare questo termine per un attore come Randone che fu interprete pirandelliano per eccellenza, fu un incontro importante. 

L'originalità, quindi, del contesto nel quale nacque l'incontro di Randone con il Berretto a sonagli, ne determinò alcune caratteristiche. Del resto la mancanza del pubblico, che non influì direttamente sulla messa in scena, mentre, viceversa la presenza delle telecamere, l'uso delle luci, i primi piani, diedero a questa interpretazione del Berretto a sonagli una peculiarità evidente. Inoltre l'assenza di una rappresentazione esclusivamente teatrale e la mancanza di repliche ne hanno condizionato la risonanza di critica e di pubblico, determinando il vuoto pressoché totale di recensioni e di documenti. 

Ma nonostante ciò, l'interpretazione del Berretto a sonagli di Randone si configura come un documento interessante della vitalità artistica di quest'opera, considerando che tutta la "consapevolezza pirandelliana" dell'attore siciliano confluì in questa interpretazione, tanto che per parlare di essa è necessario parlare di Randone interprete pirandelliano tout court. Non fu, dunque, per caso che Randone scelse di recitare nel Berretto a sonagli. 

Quest'opera si prestava ad esprimere un suo peculiare mondo interiore, che in lui diventava metodo di vita e di lavoro. Salvo Randone, infatti, apparteneva chiaramente alla categoria di attori che avevano fatto del teatro non il luogo della rappresentazione, ma un luogo di autenticità in cui arte e vita erano chiamate ad arricchirsi e a sostanziarsi a vicenda. 

Più che recitare, Randone amava vivere sul palcoscenico la storia dei suoi protagonisti, non con il metodo dell'immedesimazione, ma con quello dell'approfondimento, grazie al quale tutto ciò che caratterizzava le inquietudini e le crisi dei personaggi emergeva con i tempi ed i modi della quotidianità e non con quelli della rappresentazione. 

"Scelto un personaggio, Randone se ne appropriava, gli infondeva i suoi umori, le dolcezze, gli isterismi, la verità, la dialettica, certe illuminanti interiorità che insieme, diventavano il suo modo di essere sulla scena, che favoriscono i toni, le note diverse, le pause lunghe e, a volte, disperate, immense; le smorfie, l’ironia, il distacco che arricchiscono il personaggio di tutte quelle tenerezze o scontrosità, indolenze o scontentezze, scetticismi o pigrizia, dubbi o sfiducia; di tutte quelle ambiguità che lo rendevano uomo tra uomini e, per questo, vicino a un pubblico che, vien giù dal palcoscenico quando Randone vi presta la sua arte".

Il repertorio di Randone può essere diviso in tre categorie: i classici greci, i classici europei, la drammaturgia contemporanea straniera e quella italiana. Il suo, dunque, si presentava come un repertorio in cui poté esprimere la sua doppia natura di attore: quella classica e quella moderna, fino alla creazione di uno stile personale che lo preservò da facili adesioni ad esperienze artistiche che non lo coinvolgevano, tanto che Andrea Bisicchia afferma:

"Randone non si accorge né della riforma apportata dalla regia, né dello scoppio delle Avanguardie verso la fine degli anni sessanta. Per lui non esistono termini come: "laboratorio", "training"; quelli privilegiati erano ancora: carisma, garanzia, mestiere". 

Ciò che emerge dalla recitazione di Randone è uno stile personale che l'attore siciliano volle salvaguardare anche di fronte ad esperienze teatrali che, pur vantaggiose dal punto di vista economico e della sicurezza, gli si presentavano come non del tutto confacenti alla sua persona. Emblematico fu il suo rapporto con il Piccolo di Milano diretto da Strehler. A questo proposito Randone dice: 

"...Sì perché i Teatri Stabili che questi signori amministrano, sono tutti abbondantemente finanziati dallo Stato, e cioè da tutti noi, con le nostre tasse. Lì, nessuno rischia nulla. Se il teatro resta vuoto, che importa? C'è lo Stato che paga. Importante per loro è fare cultura. Si riempiono tutti la bocca, di questa parola così grossa e arcana: uomini politici, direttori artistici, registi; pure gli attori, che oggi sono tutti colti, impegnati anche loro a fare cultura e sempre meno a fare teatro, quello vero, che la gente vorrebbe vedere. Lo facciamo noi, il teatro che la gente si ostina ancora a volere vedere: noi MODESTI ARTIGIANI DEL TEATRO, senza i soldi dello Stato, rischiando e pagando spesso di persona" .

Ed ancora, parlando direttamente di Strehler e del suo rapporto con il "moderno" modo di concepire la regia, Randone afferma: 

“Di Strehler ho avuto ed ho grande stima. Abbiamo fatto insieme ottime cose, grazie  anche alla sua  intelligenza, sensibilità, cultura… . Poi è diventato un divo, e tutto è cambiato nei nostri rapporti. Quelli che non mi vanno, nello Strehler di oggi, sono i suoi metodi di lavoro. Tutti marionette nelle sue mani come con Fellini  nel cinema, statue  senz’anime; e lui, il grande “mattatore”, che strilla, gigioneggia, modella o cerca di modellare attori e personaggi come fossero creta. Le prove, per lui, sono anzitutto una grande esibizione personale… . Per me, la prima grande virtù di un uomo di spettacolo attore o regista che sia, è l’umiltà. Il divismo può andar bene per il cinema, non per il teatro. Ma se un mattatore deve esserci anche in teatro, dico io, è giusto che sia l’attore, non il regista: è lui che rischia di persona, nel confronto diretto con il pubblico,  sera per sera, non chi sta dietro le quinte; è lui che dà l’anima, se ce l’ha, se non  gliel’hanno tolta. O vorrebbe togliermi anche l’anima, il grande regista Strehler?”

Insomma Randone mostra una certa paura di essere "ingabbiato". Più che la dipendenza da scuole, l'attore nella sua arte del dire, immetteva un lavoro capillare di studio lessicale e linguistico, con la volontà di "umanizzare" tutto, inserendo nella recitazione l'autenticità della vita. 

L'arte di Randone e la resa interpretativa dei personaggi era caratterizzata da uno studio anche linguistico molto minuzioso. Non esitava a consultare lessici e dizionari sul significato di un termine o di un concetto e quando studiava, non giungeva mai direttamente al processo mnemonico, ma si creava uno spazio proprio per l'analisi del testo suddividendolo per brani. Sempre riguardo al testo, prima di esaminarne tutte le possibili accezioni, ne sviscerava la composizione letterale e quindi fonica. Aggettivi, sostantivi e verbi erano studiati sin nelle minime sfumature attraverso una riscrittura cadenzata da pause e dal ritmo del respiro. 

Randone e Pirandello 

Questo lavoro di approfondimento e di rifinitura si accordava splendidamente con il teatro di Pirandello che rompeva con le tradizioni e gli schemi della commedia borghese, scavando nell'animo umano, "facendo discutere e arrabbiare". Randone parlando di Pirandello diceva: 

"[…]Io non mi considero affatto il depositario del Verbo pirandelliano. E' un autore che sento particolarmente, e non soltanto per una questione di corregionalità". 

Randone aveva avuto il primo approccio con il teatro di Pirandello nel 1938-39: Vestire gli ignudi, con la compagnia Tòfano-Maltagliati e L'uomo la bestia e la virtù con quella di Cominetti. 

Nel 1947, affrontò il teatro di Pirandello con una compagnia propria in Sicilia. Due le commedie scelte: Il piacere dell'onestà ed Enrico IV, entrambe con la regia di Stefano Landi (figlio di Pirandello), opere che l'attore conservò in repertorio fino alla fine della sua carriera teatrale. 

Randone, sin dall'inizio dovette confrontarsi con la già lunga tradizione interpretativa pirandelliana, di cui i due maestri furono Ruggeri e Picasso. L'attore siciliano, fin da giovanissimo aveva avuto modo di lavorare con entrambi, dichiarando in seguito di avere individuato nel primo il proprio maestro. 

Randone, comunque, mostrò subito di avere un suo particolare modo di " leggere e interpretare Pirandello", che pur rifacendosi alla tradizione di Ruggeri, venne segnalato dalla critica come autonomo e originale. 

L'impostazione generale che l'attore siracusano diede del personaggio di Enrico IV, si perfezionò attraverso lo studio e le progressive riprese affinandolo, e modificando anche alla luce della propria biografia alcuni tratti per accentuarne altri. 

Alcuni pareri critici sottolineano la "sicilianità" del personaggio dell'attore, cogliendo nella conterraneità tra autore e attore quegli elementi affini che hanno fatto di Randone il più grande interprete del finto imperatore, dopo Ruggeri e forse, addirittura più di quest'ultimo.19A questo proposito dice Massimo Dursi: 

“Anche Salvo Randone  è siciliano e forse o certo per questo ci pare tanto evidente ora la spontaneità del conflitto pirandelliano liberato dall’ultimo sospetto di sofisma. Sofferenza e sete di vivere:  è la semplice radice, la comune origine dei personaggi di questo teatro. Cercano di ingannarsi per sottrarsi a tale bramosia che giunge agli estremi insostenibili, confinanti con la morte: la luttuosa voluttà di vita della Sicilia”.

Ma soprattutto la caratteristica comune riscontrabile negli allestimenti dell'Enrico IV ed in generale in tutti gli allestimenti pirandelliani dell'attore, è la centralità dell'interprete. Infatti le testimonianze su questi spettacoli teatrali si focalizzano quasi sempre sull'interpretazione di Randone. 

L'incontro Randone Pirandello fu a tal punto felice che coinvolse l'attore anche in una serie di registrazioni televisive tra cui le preferite, Il piacere dell'onestà, e l'Enrico IV, e poi Tutto per bene ed il Berretto a sonagli, oltre ad un "memorabile" Re Lear di Shakespeare, allestito espressamente per la televisione e trasmesso in diretta. 

Il berretto a sonagli televisivo di Salvo Randone 

Il Berretto a sonagli fu dunque interpretato da Salvo Randone per la televisione nel 1970.

L'attore siciliano immise nel personaggio di Ciampa la sua arte recitativa fatta di uno stile essenziale, dimesso, lucidamente ironico, umano quasi quotidiano, svelante dei moti più ambigui e profondi dell'animo umano. 

Con il Martino Lori, protagonista di Tutto per bene, il Ciampa di Randone ha in comune la stessa disperata condizione dell'umiliato, che però vela un nascosto ribollire interiore, che si intravede nei dimessi, ma ben scanditi riferimenti alla sua condizione di scrivano dipendente, nella spietata ma lucida, grottesca risata che lo salverà alla fine della tragedia. 

Ciampa umiliato e consapevole sa che la moglie lo tradisce con il principale ma sceglie il silenzio. A Ciampa basta che la moglie del principale accetti di andare in manicomio perché tutti sappiano che la sua denuncia è stata solo un gesto di follia. Follia che sin dall'inizio della ripresa si configura come un elemento chiave della figura di Beatrice che in questa interpretazione appare particolarmente mossa, franta nei movimenti interiori ed esteriori. 

Interessante appare la regia televisiva di quest'opera. Essa si colloca in una stagione caratterizzata da molti esperimenti di avanguardia che aprono nuove forme di collaborazione tra televisione e teatro. 

In questa versione, possiamo individuare alcune caratteristiche specifiche, che appaiono con maggiore evidenza, soprattutto se confrontate con le altre due versioni televisive del Berretto a sonagli interpretate da Eduardo e Paolo Stoppa.

Innanzitutto è esplicito l'uso del mezzo televisivo. Il regista Edmo Fenoglio ne sottolinea il carattere, iniziando il video dallo studio di regia, facendosi inquadrare mentre dà varie indicazioni sulla inquadratura iniziale della prima scena. 

Questa regia, inoltre, tende a sottolineare, con un gioco di luci, la figura di Ciampa, interpretata da Randone, soprattutto nei monologhi. Emblematico è quello dei pupi e delle tre corde, nel quale la figura di Randone viene isolata ed evidenziata, con l'oscuramento della scena circostante ed una illuminazione localizzata sul viso dell'attore. 

Appare, inoltre, particolarmente interessante il movimento della telecamera attorno alla figura di Randone nella parte più sofferta del monologo finale. 

Inoltre Fenoglio attraverso movimenti particolari della telecamera ed una gamma studiata di inquadrature con più stacchi, che seguono non solo l'alternarsi del dialogo, ma anche gli stati emotivi, ha impresso uno stile personale alla registrazione. 

Da sottolineare che la scenografia di Lucio Lucentini non esauriva all'interno del suo spazio l'azione degli attori e le inquadrature delle riprese. Queste ultime, infatti, inglobavano lo studio televisivo con tutti i suoi accessori, sottolineando il carattere metatestuale della messa in scena. 

Ma è soprattutto l'interpretazione che Randone fa di Ciampa ad imprimere all'intero allestimento una determinata svolta interpretativa. Il Ciampa televisivo di Randone si presenta fin dalla suo apparire sulla scena, come un personaggio caratterizzato da una tensione inquietante. La domanda di fondo è: Ciampa è cosciente o no dell'adulterio della moglie? Randone nella sua interpretazione sembra dare una risposta molto netta: il suo Ciampa sa dell'adulterio. 

Se Eduardo sfuma i sentimenti e lascia spazio all'incertezza, com'è tipico di molti suoi personaggi, Randone lascia subito trasparire l'allusività di chi sa, l'inquietudine, il ribollire interno per la tragica situazione coniugale. 

Ma nel Ciampa di Randone c'è anche una sottile rabbia per la sua condizione sociale di dipendente, di uomo soggetto ad un principale di cui deve subire anche la prepotenza dell'adulterio con la moglie, pertanto, vena di rabbia sottile, di ironia consapevole e amara, gesti ed espressioni, tempi e modi della recitazione. 

Intorno a questa domanda, nella quale sembrano unificarsi il dramma personale e quello sociale di Ciampa, si crea, come sottofondo, una costante allusività dei dialoghi. Anzi, il tema dell'allusione è così evidentemente sottolineato da Randone, da costituire uno degli elementi che più caratterizzano questo video, rispetto agli altri due, facendo risaltare, anche, in modo peculiare, la fedeltà al testo pirandelliano. Come se il siciliano Randone, più di Eduardo e di Stoppa, fosse riuscito ad esprimere quel mondo del non detto, del non nominato, ma presente ed operante, che è parte integrante del mondo siciliano e pirandelliano. Tensione inquietante ed allusività, dunque, entrano nel Ciampa di Randone e ne caratterizzano l'interpretazione. 

Ingresso di Ciampa 

Nella scena IV del I atto, Ciampa-Randone fa il suo ingresso. Sulla scena trova Beatrice e Fifì. Già nell'entrata dimostra di conoscere le dinamiche profonde dell'ambiente. Egli saluta Beatrice con tono basso e in modo scontato, i suoi movimenti appaiono calibrati, appesantiti, informali, si muove nella scena guardando altrove, senza rivolgersi direttamente, nel saluto riverente, a Beatrice, come se già avesse intuito ogni cosa, e dovesse pertanto "esporsi" al falso rito di un dialogo prevedibile. Ma fin dalla prima battuta che Beatrice rivolge a Ciampa, si comincia a creare nell'allusività dei riferimenti, una forte tensione. 

Ed è proprio con l'accenno alla moglie di Ciampa, che cambia l'inquadratura televisiva, passando da un piano generale della scena, con i tre protagonisti, ad una angolazione più ristretta che riprende Beatrice (Anita Laurenzi), di fronte a Ciampa che si trova di spalle, in primo piano. A quelle parole Randone-Ciampa cambia repentinamente l'espressione, testimoniata soprattutto dal movimento del suo sguardo che, ora finalmente, si posa direttamente su Beatrice. 

A questo punto, l'inquadratura avanza in primissimo piano verso la nuca di Randone, soffermandosi con un movimento laterale sul suo profilo. Ed ecco che si rivela sul suo viso il sospetto, i sottili movimenti degli occhi e della bocca assecondano ed esprimono il passaggio dall'iniziale sorriso formale, all'amara constatazione della situazione. Infatti alla fine della descrizione che Beatrice fa di "certe donne" vi è la doppia domanda di Ciampa: “Permette, signora? Lei ha nominato anche mia moglie?”.

Randone scandisce la battuta, con una pausa che sottolinea la piena comprensione dell'accusa che la moglie del principale gli rivolge allusivamente. Il sospetto di Ciampa, ormai diventa indagine e si trasforma nelle battute successive in avvertimento. Ciampa sa, ha capito la strategia di difesa di Beatrice, ed il Randone Ciampa, il siciliano Randone, carica le sue battute di una rabbia repressa, allusiva, minacciosa, quasi tempesta interna i cui echi trattenuti, ma non per questo meno violenti, diventano maschera nel suo volto accigliato. Siamo ormai nell'atmosfera tesa, inquietante del dialogo delle tre corde. 

Monologo delle tre corde e dei pupi 

Questo monologo costituisce un momento centrale dell'intero allestimento. Esso ci dà il parametro interpretativo di come è stata organizzata la ripresa televisiva. Il monologo, infatti, inizia con l'inquadratura in primissimo piano del viso di Randone, illuminato da un solo faro, mentre l'ambiente circostante è oscurato. 

Dall'inquadratura iniziale, gradualmente, durante il monologo, la telecamera si allontana, comprendendo anche Fifì e Beatrice, per poi riavvicinarsi con lo stesso movimento in profondità sul primo piano di Randone. 

A questo punto, la sua recitazione, che è molto complessa, sembra concentrarsi in molteplici stati d'animo resi con grande abilità. In questo monologo l'espressività del viso di Randone si fa più marcata. 

Soprattutto nella descrizione delle tre corde egli acquista un sorriso che diventa a tratti ghigno, in cui si rivela quell'ironia sapiente, tutta pirandelliana, di chi ha macerato a lungo una riflessione profonda e amaramente realistica sulla vita. E' come se, il regista concentrandosi con la telecamera su Randone creasse una sottounità, in cui l'attore cambia la sua cifra interpretativa, passando da una dimensione di relazione con gli altri personaggi e più quotidiana, ad un Randone concentrato su se stesso, sulla riflessione filosofica, più concettuale e meno quotidiana. Il monologo dei pupi sia nel testo che nel video è analizzabile in due tempi. 

Nella prima parte, Ciampa descrive ininterrottamente la teoria dei pupi e questa unità monologante, che verte su concetti più filosofici, è resa registicamente, con un altrettanto ininterrotto primo piano, dove la luce, questa volta, illumina obliquamente il viso di Randone, le cui fattezze così caratteristiche, acquistano, nel chiaroscuro, un rilievo maggiore.

Anche qui la recitazione di Randone appare particolarmente isolata ed avulsa dalla relazione con gli altri personaggi. Anzi Randone fissa direttamente la telecamera, astraendo ulteriormente il monologo. 

Ed è qui che il regista decide di far parlare Randone direttamente con il pubblico, quasi a sottolineare che in questa parte il testo pirandelliano, con la sua dialettica filosofica, reclama uno spazio proprio, che la regia non gli nega, ma che anzi tende ad evidenziare. 

Quella che emerge è una regia che non è funzionale solo all'attore ma rispetta anche le suddivisioni interne del testo di Pirandello e che Pirandello stesso ha, in origine affidati all'interpretazione dell'attore. Il regista di volta in volta si adegua all'attore Randone e all'autore Pirandello. Con particolari movimenti della telecamera, con stacchi netti da un'inquadratura all'altra, con un evidente gioco di luci tende a tagliare e a isolare lo spazio, evidenziando sia l'impalcatura razionale del testo pirandelliano, sia l'interpretazione dell'attore. 

La seconda parte del discorso sui pupi è caratterizzata dalla dimostrazione che Ciampa fornisce a Beatrice sulla sua teoria. Anche qui la regia opera uno stacco passando, nel momento in cui Ciampa pronuncia la parola "esempio", dal primo piano su Randone, ad un'inquadratura angolata e generale sulla scena con i tre protagonisti. La stessa recitazione di Randone cambia registro e riacquista toni apparentemente dimessi. Ma nel suo insieme la scena, nella sua funzione dimostrativa, acquista dei ritmi più veloci nel dialogo, assumendo, da una parte i toni dell'arringa, e dall'altra quelli della dimostrazione teorica. 

Qui Randone, nel porre le domande a Beatrice, compie un movimento particolare attorno al divano centrale su cui siede la donna. L'attore nel compiere questa azione, fino a quando si ferma nei pressi di Beatrice, assomiglia ad un avvocato che pronuncia la requisitoria di fronte all'imputato. 

Ed è proprio nella battuta finale sul "rispetto" che si deve conservare ad ogni costo di fronte alla società, che Randone, con il supporto della regia, mima il pupo che viene calpestato con il piede. In tal modo, l'attore esplicita la coscienza che ha dell'adulterio e delle accuse di Beatrice quindi, con un tono serio e minaccioso pronuncia quel "non so se mi sono spiegato", che è quanto di più allusivo al pericolo, che non solo lui (Ciampa) corre, ma anche Beatrice. 

Il dialogo delle tre corde ed il monologo dei pupi, appaiono dunque caratterizzati da una tensione, che in alcuni momenti, arriva a dare a questa parte del video, i tratti inquieti di un thriller psicologico. 

Atto II, Scena V: il monologo finale 

Il Ciampa di Randone è l'uomo umiliato, non l'umile colpito dalla vita come il Ciampa di Eduardo. Il siciliano Randone sottolinea l'offesa del maschio subita per colpa di una donna che ha osato non tener conto dell'uomo. In Eduardo il dolore di Ciampa non è procurato dall'umiliazione del maschio offeso, quanto dalla sofferenza del tradimento, che diventa dolore, dolore solidale anche nei confronti della moglie del principale, Beatrice. 

In Eduardo è l'umano, la persona a subire la lacerazione interiore, non l'orgoglio maschile. Rabbia, dunque, per l'offesa subita, ma rabbia tenuta costantemente a freno quella del Ciampa di Randone. 

Il tono si mantiene dimesso, forzatamente basso, quasi cantinelante, ma all'improvviso diventa incalzante, senza pause, quasi ad indicare una urgenza del dire che è tutt'uno con l'amarezza del sentire, che non può più nascondere l'evidenza "del fatto". Il momento più rivelante di questa rabbia amara è il lungo monologo del protagonista. 

Esso arriva dopo che Ciampa, di ritorno da Palermo, è venuto a conoscenza dello scandalo suscitato dall'intervento della polizia in casa sua, nei confronti della moglie e del principale Fiorica. Nella tensione che permane tra Beatrice e Ciampa, dopo lo scandalo, vi è ormai un gioco scoperto che fa a meno dell'illusione. Ciampa Randone richiede finalmente alla coscienza di Beatrice la piena ammissione dei suoi sospetti circa la sua complicità con la moglie. A questa insistente richiesta del protagonista, Beatrice risponde con un tono di sfogo e di sfida: "è vero, sì". Ed è a questo punto che inizia il monologo. 

Dal punto di vista dell'interpretazione, Randone inizia a scandire le frasi con un tono dal timbro bassissimo, atono, in cui egli sfrutta la ritmicità interna al monologo, consistente nel susseguirsi di brevi frasi che descrivono la situazione coniugale di Ciampa, dando a questo un movimento in crescendo cantilenante. 

Nel momento in cui Ciampa Randone parla del "supplizio" cui si è sottomesso (tutto il discorso è impostato ipoteticamente da Ciampa) la recitazione si fa più sofferta e dolorosa. Il timbro della voce muta, e segue i passaggi interiori degli stati d'animo, fino a quando, ed è questa la parte che nella interpretazione di Randone segna l'avvio della seconda parte del monologo, l'attore non torna a relazionarsi direttamente a Beatrice. 

E' interessante notare nella mimica facciale di Randone, per tutta questa prima parte, che egli tiene gli occhi fissi verso un'unica direzione, quasi a proiettare verso un punto esterno a sé la vergogna interna, mentre, ciò che muta è l'espressione che coinvolge la parte inferiore del viso che si rivela come maschera dolorosa. 

La seconda parte del monologo offre per i suoi contenuti, una più variegata possibilità di registri espressivi. Ciampa compatisce la gelosia di Beatrice, descrive come si sarebbe dovuta svolgere la situazione, fa riferimento a suoi tentativi di convincerla ed infine, con sarcasmo si descrive soggetto al disprezzo generale. 

Randone fa esplodere tutta la rabbia repressa, per l'intera commedia proprio in quel "parli, parli"! Raggiungendo toni tragici anche nelle movenze contorte del corpo e passando a un registro grottesco nella descrizione di uomo tradito. 

Dal punto di vista registico, Fenoglio inquadra Randone in primo piano per tutta la prima parte, dando alla telecamera un lento movimento laterale, per poi sottolineare la drammaticità della seconda parte, con una maggiore varietà di stacchi, inquadranti comunque sempre la figura di Randone. 

Nell'epilogo dell'atto, è ormai la pazzia il tema di fondo. Il primo folle è Ciampa. E qui, Randone ha saputo rendere la sua recitazione adatta ad imprimere un carattere di visionarietà. Ghigno del viso ed illuminazione fanno del volto di Ciampa-Randone quello di una maschera grottesca, folle, lucidamente determinata. 

Ed è a questa follia che tutti, prima ancora della stessa Beatrice, sembrano accordarsi, assumendo nell'espressione del viso, e negli sguardi un che di allucinato che condanna la donna a scegliere la pazzia come soluzione finale necessaria. 

Ed infine la risata visionaria di Ciampa ci da il parametro dell'interpretazione di Randone, non il dolore di Eduardo, non la rivincita di Stoppa, ma la rabbia amaramente lucida e rassegnata del pirandelliano Randone.


(1) L’interpretazione di Randone, nel ruolo di Ciampa, del Berretto a sonagli di Pirandello, si verificò negli studi della RAI di Roma il 25 settembre del 1970, per la regia di Edmo Fenoglio. Gli altri interpreti furono: Anita Laurenzi (Beatrice Fiorica), Wanda Capodaglio (Assunta La Bella), Stefano Satta Flores (Fifì La Bella), Silvio Spaccesi (Il Delegato Spanò), Elsa Merlini (La Saracena), Italia Marchesini (Fana), Olimpia Carlisi (Nina Ciampa). Scene di Lucio Lucentini, luci di Guido Caracciolo, costumi di Vera Marzot, assistente alla regia: Olga Bevacqua, assistente di studio: Piero Bartocci e arredamento di Alberico Badaloni.


Theorèin - Ottobre 2002