ELEMENTI DI STORIA DELLA LOGICA 2

A cura di: Sara Anna Ianniello
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Aristotele e gli Stoici

L’Etimologia della parola “logica”, da λόϒος, che significa parola, discorso, ma anche pensiero, è equivoca, come lo è la nozione stessa. Basti pensare che, l’Organon, il gruppo di scritti aristotelici in merito, non contiene in esso alcuna parola per designare la logica. Agli inizi degli Analitici Primi, che sono lo scritto logicamente più rilevante dell’intera raccolta, Aristotele definisce, senza darle un nome, [la logica] come la scienza che si accinge a ricercare come scienza della dimostrazione e del sapere dimostrativo, (cf. Anal.Pr., I, 24a10ss). In questa definizione, Aristotele procede ad una descrizione di quelli che si configurano come gli oggetti specifici di tale scienza, nello specifico: la proposizione (enunciato apofantico inserito in un discorso dimostrativo), i termini (soggetto e predicato della proposizione), il sillogismo (inferenza tra proposizioni). Successivamente gli stoici, individuano nel termine λόϒος, l’arte del discorso persuasivo che si divide in retorica e dialettica, quest’ultima contenente l’oggetto specifico della logica intesa come dottrina del discorso dimostrativo e dei suoi oggetti. La retorica, intesa appunto come l’arte di convincere e persuadere mediante il discorso, fu invenzione dei Sofisti e in modo particolare, come lo stesso Platone afferma nel Gorgia, (dialogo dedicato al sofista Gorgia da Leontini), scopo della retorica è quello di «poter persuadere con discorsi i giudici nei tribunali, i consiglieri nel consiglio, i membri dell’assemblea nell’assemblea e in ogni altra riunione pubblica», (Gorgia, 452e). La formazione del termine dialettica non è invece così semplice come per il precedente; infatti nella storia della filosofia, il termine dialettica non è stato adoperato con un significato univoco e pertanto determinabile una volta per tutte, ma esso ha ricevuto diversi significati riducibili almeno in via generale a quattro:

  1. La dialettica come metodo della divisione
  2. La dialettica come logica del probabile
  3. La dialettica come logica
  4. La dialettica come sintesi degli opposti.
Esaminiamoli brevemente: nel significato (1) ci troviamo dinanzi alla tecnica platonica della divisione che si effettua nel Dialogo, attraverso l’interazione di due o più persone secondo il metodo socratico del domandare e rispondere. Essa permette agli interlocutori di riconoscere nelle situazioni che si presentano, quale delle diverse alternative sia la migliore per procedere di conseguenza, e giungere infine alla determinazione della definizione dell’oggetto ricercato. Nel significato (2), ci troviamo nell’ambito aristotelico in cui la dialettica funge da procedimento razionale non dimostrativo: dialettico è infatti il sillogismo che invece di partire da premesse vere parte da premesse probabili, cioè generalmente ammesse. Nel significato (3), ci troviamo nell’ambito propriamente stoico, di cui stiamo parlano, nel quale si identifica la dialettica con la logica in generale o almeno con quella parte che appunto non è la retorica. Infine nel significato (4), la dialettica è intesa dall’idealismo romantico e in particolare da Hegel come: «sintesi degli opposti per mezzo della determinazione reciproca», (Dottrina della Scienza). Il metodo dialettico hegeliano consiste: 1° posizione di un concetto astratto e limitato; 2° soppressione di tale concetto come alcunché di finito e nel passaggio all’opposto di esso; 3° nella sintesi delle due precedenti determinazioni, sintesi che conserva ciò che vi è di affermativo nella loro soluzione e nel loro trapasso. Torniamo per un attimo al significato (3): la dialettica intesa in ambito stoico propriamente come logica. L’identificazione della Dialettica con la logica in generale fu possibile in quanto gli stoici trasformarono radicalmente la teoria aristotelica del ragionamento: posto che la dimostrazione è la tecnica con la quale le cose semplici riescono a spiegare anche quelle più complesse, essendo le prime più evidenti ai sensi, rendono i ragionamenti anapodittici, la base di ogni dimostrazione. Mentre infatti Aristotele sviluppa la teoria sillogistica, ovvero quella di ragionamenti apodittici che traggono la premesse evidenti una conclusione altrettanto evidente, i ragionamenti anapodittici traggono una conclusione evidente e sono la base di tutti gli altri ragionamenti che possono ad essi essere sempre ridotti. Nello specifico gli stoici individuano cinque tipi fondamentali di ragionamento concludendo che ad essi potevano essere ricondotti tutti gli altri:
  1. Se è giorno c’è luce. Ma è giorno dunque c’è luce
  2. Se è giorno c’è luce. Ma non c’è luce, dunque non è giorno
  3. Se non è giorno è notte. Ma è giorno, dunque non è notte
  4. O è giorno o è notte. Ma è giorno, dunque non è notte
  5. O è giorno o è notte. Ma non è notte, dunque è giorno
Assumendo tali ragionamenti come fondamento della dialettica, gli Stoici riducevano al ragionamento anapodittico ogni altra specie di ragionamento. Tuttavia la loro tecnica di ragionamento non permetteva la distinzione tra premesse necessariamente vere e premesse probabili su cui si fonda, per Aristotele, la distinzione tra sillogismo dimostrativo e sillogismo dialettico. Pertanto la dialettica venne a configurarsi come la logica in generale, intesa come una teoria dei segni e delle cose significate, e definita come la scienza del vero e del falso e la scienza di ciò che non è né vero né falso.

Bibliografia essenziale:

  • N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, UTET, Torino 197
  • E. Berti (a cura di), Guida ad Aristotele, Laterza, Roma-Bari 2007
  • M. Migliori, Platone e Aristotele. Dialettica e Logica, Morcelliana, Brescia 2008
  • T. Reid, Sintesi critica della logica di Aristotele, Il Prato, 2008
  • E. Berti, Nuovi Studi aristotelici, vol.I: Epistemologia, logica, dialettica, Morcelliana, Brescia 2004

Theorèin - Giugno 2012