theorèin/musica

MARCO DI BATTISTA
Rosetta Stone


  1. Akerbkat
  2. Bouchard
  3. Chick's Tune
  4. Rosetta Stone
  5. Epifane
  6. Arsinoe
  7. De Sasy
  8. Pessoa - Live

 

Componenti

Marco Di Battista: piano
Marco Tamburini: tromba e flicorno
Daniele Scannapieco: sax tenore e soprano 
Nicola Cordisco: chitarra semiacustica
Gabriele Pesaresi: contrabbasso
Pierluigi Esposito: batteria

Featuring:

Massimiliano Coclite: voce in Rosetta Stone
Samuele Garofoli: flicorno in Rosetta Stone
 


LINGUAGGI di Antonio Zimarino
 
La stele di Rosetta è simbolo di molte cose: della cultura del passato, dell'incrocio di linguaggi, o delle culture … nella vastità di lettura che la metafora consente, ciascuno può scegliere la versione che preferisce… io propendo per quella che indica la necessità di comprendersi, ma anche per la versione che mi ricorda il "monumento", il riferimento, la base attraverso cui possiamo capirci e ricordarci della necessità del riferimento, del "monolite" a cui rimandiamo la base di una nostra conoscenza. Perché dunque scomodare simili valenze per il jazz ? Marco Di Battista non ha mai cercato le vie semplici e ha sempre mantenuto un approccio alla musica, (ma credo anche all'esistenza) nel quale prima ancora del realizzare, si elabora una visione delle cose, una scelta di campo, un progetto che cerchi di concatenare gli elementi del proprio pensare e amare la cultura e il linguaggio del Jazz. Già dalle prime note di queste composizioni, troviamo innanzitutto una scelta chiarissima di linguaggio e di "campo semantico": hard bop. Oh si, certo, per molti avanguardisti è età della pietra, dopo tutti gli sperimentalismi intercorsi e possibili, dopo i crossover, dopo le riletture, le contaminazioni, l'etnico, la fusion ecc. ecc. Ma se fosse proprio questa la "Stele di Rosetta" del jazzista ? Se fosse proprio questo il "monolite" che ha sancito forse il perfetto equilibrio tra leggibilità e complessità, tra coscienza, chiarezza del progetto armonico e la libertà del musicista? Se fosse questo il punto in cui si cristallizza la perfetta individualità solistica con la totalità e con la composizione ? Storicamente la cosa è plausibile, e questo è un tema che lascio discutere agli storici del jazz, ma quello che mi interessa è capire perché ancora sia necessario ripartire da lì, perché un musicista italiano, intriso di cultura mitteleuropea, vada a confrontarsi, anzi, ad immergersi in questo linguaggio così poco europeo, culturalmente così poco nostro. Lasciamo perdere l'emulazione o la postmodernità: in questo cd non c'è "rilettura" di un linguaggio e neanche stereotipo del classico (come pure avviene in tante produzioni attuali) ma "il linguaggio" viene vissuto e sentito come proprio, personale, essenziale al proprio universo. Tutto è possibile in una età culturale dove il concetto tende sempre più a nascere dalle esperienze, dove non ci sono codici e regole: scegliere un codice come il proprio (o il possibile o il necessario) significa darsi una identità; e darsi una identità vuol dire orientarsi, scegliere e in fondo, spiegarsi e spiegare. Scegliere oggi questo modo di suonare e comporre hard bop significa con ogni probabilità riandare al cuore del jazz, nel punto d'equilibrio, con una coscienza di dover partire o ripartire da lì. E che questa sia la realtà di un progetto pensato e vissuto, lo possiamo affermare proprio esaminando la discografia di Di Battista: questo lavoro è stilisticamente più omogeneo, più "suonato" e meno "pensato" è certamente un tappa di un percorso, di una evoluzione musicale e culturale, che, rispetto alle produzioni del jazz italiano contemporaneo è certamente in controtendenza perché, la "controtendenza" oggi è scegliere il proprio percorso, definire un linguaggio, scoprire una identità e da lì, cominciare magari ad inseguire le possibilità. E il risultato ? Ho ascoltato i brani tutti d'un fiato: mi hanno lasciato swing nei piedi e la contemporanea sensazione di adrenalina e malinconia salvifica (la song "Rosetta Stone" direi che è una autentica perla del jazz italiano di questi ultimi anni), cioè neanche più le "parole" di quel linguaggio, ma solo un piacere estetico, una verità emozionale, da respirare. Del resto il disco è indubbiamente suonato da una grande band, sulla quale è giusto spendere qualche impressione: Di Battista appare sempre più concentrato sull'essenziale, la ritmica di Esposito è precisa e al servizio della musica; il contrabbasso di Pesaresi diviene a tratti energia ritmico armonica aggiuntiva; la chitarra di Cordisco morbidissima ed intelligente aggiunge calore alla musica; Coclite e Garofoli hanno lasciato tracce di sapienza interpretativa mentre i duelli stratosferici e le poesie di Scannapieco e Tamburini esplodono e si intrecciano nella musica e per la musica … l'interplay (qualcuno ricorda ancora che significa per il jazz?) è intenso, a tratti emozionante.. Alla fin fine mi sembra che (grazie al cielo !) la Musica sia tornata ad essere l'obiettivo del musicista, quasi che Di Battista intenda nuovamente metterci di fronte al "Monolite", intorno al quale talvolta celebriamo soltanto dei riti vuoti di parole e di note, per celebrare noi stessi, più che le possibilità dell'espressione: ma è su quella "stele" e attraverso di essa che si incontrano, per comprendersi, i diversi linguaggi che parliamo, che udiamo e che vorremmo parlare. E lì dovremmo forse ritornare a riflettere e ad indirizzare il nostro animo.

Stele di Rosetta (Ciminiera/Di Battista)
Ho bisogno di una guida in questi tempi moderni
perchè non voglio sprecare la mia vita

Voglio realizzare i miei sogni, le mie speranze e i miei desideri
e scolpire in parole che diano risposte alla mia anima

(come la) Stele di Rosetta
in modo che possa leggere i miei pensieri
una Stele di Rosetta
per poter vivere appieno la mia vita

Ho bisogno di una guida in questi tempi moderni
il mio desiderio più grande è quello di avere una vita tranquilla