Recensioni

A cura di: Oscar Buonamano

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Titolo: Tempi supplementari
Autore: Grytzko Mascioni
Editore: Bompiani 2008

Avviso ai naviganti e a tutti coloro che hanno intenzione di seguire il mio consiglio di lettura e trascorrere un paio d’ore con Grytzko Mascioni e il suo Tempi supplementari: state per leggere un libro meraviglioso che è però un libro duro, durissimo. Una storia che ci fa scendere nel profondo delle nostre paure e ci mette, nudi, di fronte a noi stessi. Soli, con l’interrogativo ancestrale che da sempre accompagna l’uomo e la sua fragile natura umana. Tempi supplementari è “Storia di un trapianto. Viaggio ai confini della vita e ritorno”, come scrive Ernesto Ferrero nella quarta di copertina, ma è anche molto altro.
È una bellissima storia d’amore. È il viaggio ai confini della vita e ritorno appunto, il viaggio che tutti vorremmo fare per capire com’è e soprattutto cosa si prova e, in qualche misura, prepararci. Anche Grytzko ha questa necessità, questa urgenza. Necessità e urgenza che lo portano a Parigi, subito dopo aver saputo della sua malattia, al Muséè d’Orsay per vedere la mostra Le dernier portrait, fotografie, maschere funerarie e calchi di defunti prese un attimo dopo il trapasso.
Un viaggio nello stupore, nella sofferenza, nell’attesa e quindi nella speranza.
Ma è soprattutto letteratura. Sempre Ferrero scrive: “…un documento umano che trova il suo valore aggiunto nell’unica verità possibile, quella di una scrittura che lo fa diventare un percorso di conoscenza e di poesia”.
Lo stupore e la capacità di soffrire in silenzio sono due aspetti che colpiscono nella prima parte del racconto di questa vicenda umana.
“Nel silenzio le parole non dette si precisavano: vedi, sono qui al tuo stesso passo; tanti tuoi pensieri sono i miei, provo molto di quel che provi; dirti di me è come farti compagnia”, sono i pensieri che accompagnano Mascioni quando incontra Leonardo Mondadori, anche lui sofferente per un cancro che lo ucciderà di lì a poco, alla fiera del libro di Torino.
E poi ancora le descrizioni dello stato in cui ci si trova quando la mente si disarticola dal resto del corpo e non riesci più a controllare le tue reazioni agli accadimenti della vita.
“Tran aveva ragione. La sostanza che m’iniettava l’infermiera virago scardinava l’apparato che ci fa dare un ordine provvisorio al mondo. Disarticolava il rapporto tra gesti e intenzioni. Pensavo a una cosa e altra ne facevo, una bambagia tetra fra le tempie. Il cervello si era fatto un polipo che allungava i tentacoli nel vuoto cercando lo spessore di cose che gli sfuggivano; o, confondendole, li ritraeva e li lasciava danzare sconcertati nella bruma in cui stava sospeso. Ma smessi i rituali di punture e pillole, recuperai presto il disegno della realtà quotidiana, quasi mi fossi lavato gli occhi da una schiuma cisposa”.
Un viaggio quindi nella psiche umana, dentro le proprie ferite che divengono perciò davvero un percorso di conoscenza. Conoscenza della malattia e del percorso intrapreso per sconfiggerla e conoscenza delle reazioni che il nostro corpo e la nostra mente hanno di fronte al decadimento e deperimento fisico. Come per Dorian Gray questo decadimento e disfacimento attraversano la letteratura, la superano e divengono realtà quando Grytzko, per la prima volta dopo l’intervento chirurgico, è davanti ad uno specchio, appunto nudo e solo con se stesso.
“Con il passare degli anni ci si fa una ragione della propria immagine. Potrebbe essere meglio o peggio, ma con quella che è e che ci appare, stabiliamo un armistizio e ci adattiamo. Nella condizione pacificata di cui così approfittiamo, badiamo poco anche all’insensibile deriva che altera i lineamenti e ci consuma e rode. Una pigra indulgenza ci vieta di soffermare lo sguardo con troppa attenzione sui piccoli guasti che giorno dopo giorno ci trasformano la faccia, che conosce le morbidezze dell’adolescenza e la figura più aspra della maturità, sino agli scavi o ai gonfiori di un’incipiente vecchiaia. Gli amici e conoscenti sembrano fare propria l’acquisita indifferenza che ci protegge e per lo più accettano di prenderci per quello che siamo, un viso che vive come il loro una parallela vicenda temporale”.
Una scrittura che diventa poesia, capace di farci allontanare dalla sofferenza fisica nella quale spesso ci conduce per portarci in territori e dimensioni altre.
Come in dimensioni altre ci porta Ernesto Ferrero, l’ispiratore e il committente di questo libro così come è riportato nel Congedo in forma di lettera che possiamo leggere nel pagine finali del racconto, che scrive una prefazione che da sola vale un libro.
Prefazione che ci svela l’amore di Mascioni per la poesia e per Quasimodo e ci regala alcune splendide poesie tra cui quella scritta una settimana prima di morire e dedicata ad Angela, la sua compagna e moglie.

La grande anestesia che spegne il cielo
si cala nel cubicolo ospitale
dove il tempo s’affloscia: luci vaghe
di là della vetrata alzate in volo
ricamano la saga di un’esangue
fine del mondo. E sappi che un nonnulla
lo strappo atteso: tu che vai nel sole
ricorderai le bizze dei delfini,
l’orso polare, i passeri d’Apollo,
Delfi e il castello nerofumo a Praga,
ogni tratto di strada. Ancora a lungo
sarò con te come il foulard che svola
dal collo nella breva che il profilo
ti carezza gentile: e tu, polena,
frangi altro mare, vai,
non ti voltare.

Un libro meraviglioso e che fa star male ma che bisogna leggere per almeno due buoni, anzi ottimi, motivi: perché ci avvicina e ci accompagna ad un momento difficile della vita e perché è letteratura, vera.

Oscar Buonamano


Theorèin- Maggio 2008