Recensioni

A cura di: Oscar Buonamano

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Titolo: Craj domani
Autori: Teresa De Sio
Giovanni Lindo Ferretti
Editore: Bur 2008

Craj, domani, è prima di tutto uno spettacolo teatrale. Poi un film. Poi un libro. Un viaggio che è scoperta e riscoperta di tante cose che “stanno” tutte insieme, una dentro l’altra. Musica, territorio, vicende umane e poi ancora musica. È il sud più vero. Quel sud che farà cantare alla fine dello spettacolo Giovanni Lindo Ferretti: “Se non fossi tosco-emiliano vorrei essere di Lecce, greco-salentino” Ma ripartiamo dall’inizio.

Alla maniera di Don Chisciotte e Sancho Panza, il Principe Floridippo, impersonato da Giovanni Lindo Ferretti e Bimbascione, impersonato da Teresa De Sio, intraprendono un viaggio che li porterà ad attraversare tutta la Puglia. Si parte dal Gargano dove incontrano prima i Cantori di Carpino e poi, passando per Apricena sempre in provincia di Foggia, incontrano Matteo Salvatore, e dove ascolteranno per la prima volta “La luna gira il mondo e voi dormite. E la gente dorme.” Un segno distintivo e di riconoscimento per Matteo Salvatore. E poi ancora giù fino al Salento dove incontrano Uccio Aloisi, Domenico Riso e lo stompo. “Lo stompo è il manico con cui si schiacciava il grano. Il ritmo della tarantella è nato dallo stompo”, dirà Uccio. Craj è stata definita una operazione simile a quella che fece Ry Cooder con i Buena Vista Social Club. Il paragone è affascinante anche per il successo che scaturì da quell’incontro ma le analogie si fermano all’età dei protagonisti. Nel caso di Buena Vista Social Club si trattava di ri-mettere insieme un gruppo di musicisti che avevano avuto un passato comune. Nel caso di Craj, no. Questi “giganti” della musica folk italiana non avevano mai avuto occasione di stare assieme. Per questo motivo l’operazione culturale che Teresa De Sio e Giovanni Lindo Ferretti compiono è, forse, più importante. Se però vogliamo avventurarci anche noi in questo parallelo con i musicisti cubani e vogliamo giocare allora giochiamo. Compay Segundo è Antonio Piccinino, Manuel Licea è Antonio Maccarone, Ibrahim Ferrer è Uccio Aloisi, Ruben Gonzàlez è Matteo Salvatore. Teresa De Sio è Ry Cooder mentre Giovanni Lindo Ferretti è Giovanni Lindo Ferretti. Infatti, anche se ci sforziamo, non riusciamo a trovare un suo omologo nell’isola caraibica, perché l’ex cccp e csi è unico e ce l’abbiamo solo noi. “Io vorrei che oggi durasse un anno”, dice uno dei musicisti coinvolti nel progetto. È vedovo, anziano, vive in campagna con il suo cane e quando dice queste parole, “Io vorrei che oggi durasse un anno”, gli occhi gli si accendono di una luce forte, fortissima. Quella stessa luce che attraversa tutto il film e per certi versi incontri anche nel libro. Il sole, la luce del sud e Giovanni Lindo Ferretti, immenso. È lui la pizzica. La ripetizione ossessiva e all’infinito dello stesso suono con un ritmo sempre crescente. Allo stesso modo le sue parole e la sua voce, si ripetono all’infinito. Un uomo del centro nord che entra direttamente nell’anima del sud e ci si trova a proprio agio. E glielo leggi negli occhi. E poi la voce di Matteo Salvatore che ci riporta direttamente alla nostra origine. Ci fa rivivere e rivedere i luoghi in cui siamo nati. Ci fa toccare il sud più autentico, vero. Le mani e il suo corpo ci parlano del sud, il suo sguardo. Le rughe che segnano il suo viso sono come i solchi profondi che la terra spaccata dal sole e senza acqua offre allo sguardo del viaggiatore nelle lunghe e afose estati di Puglia o come i muri a secco che separano e nello stesso tempo uniscono le terre, le proprietà. “Trovai una tigre su una sedia a rotelle. Un fumatore furibondo con gli occhi fissi alla mia scollatura, maledicente il mondo, gli uomini, le femmine, i medici, i discografici, i passanti…Teresa…se mi fai fare questa cosa io ti prometto che non muoio per un altro anno.” Così racconta il suo incontro con Matteo Salvatore, Teresa De Sio, la mente e il motore di questo progetto. Matteo Salvatore morirà un anno e mezzo dopo quell’incontro alla vigilia della proiezione del film al Festival Cinematografico di Venezia dove ha vinto il premio “Lino Miccichè” quale miglior opera prima. Il regista del film, girato con tecniche miste che vanno dal super 8 al 16 mm al digitale e che “mescola diversi generi: quello musicale, quello del racconto favolistica, quello del documentario tradizionale”, è Davide Marengo. Il ricordo e l’infanzia e soprattutto la potenza della musica sono due delle tante letture che possiamo fare del libro e del film. “Tutte le estati dell’infanzia, quando la parola felicità aveva pienezza e senso e tu sapevi di essere viva e semplice cosa della natura, tornano tutte insieme convocate in quel momento e in quel luogo per dire ancora il loro forte vento, il potere assoluto del tempo che ritorna, a dismisura, incessante, e replica l’azzurro”. Ma è la musica la vera protagonista incontrastata di Craj. “La tarantella è un pensiero violento che si balla”, da qui si parte, da dove la De Sio viene letteralmente travolta. Travolta dalla bellezza di questa terra e da ciò che è stata capace di esprimere anche attraverso la musica. “La musica, in genere in tutte le culture del mondo, viene mobilitata per curarci degli effetti del dolore. Ma anche dagli effetti collaterali della ragione. L’uso eccessivo che facciamo della razionalità, del rapporto di causa-effetto tra le cose, la distanza dal “caos”, stringono la nostra vita in una morsa intellettuale che, di tanto in tanto, va alleggerita. Questa cosa la musica popolare pugliese la sa, e la mette in campo…È nel ritmo dunque, in questa Grande madre Interiore, che ci salva. Condizionare l’andamento del proprio tempo di dentro, prendersi una vacanza da sé, saltare in una dimensione psichica dove, per un periodo più o meno breve, tutto si sospende, nulla può più ferirti perché tu non sei più tu, il tuo “io sociale” diviene irreperibile, la tua storia trasmuta in centomila altre storie, la tua infelicità svapora, il tuo assassino non ti riconosce e sei salvo!” Craj è un viaggio che non possiamo non fare perché è un viaggio che ci conduce al cuore della nostra identità. Una terapia salutare di musica e di colore. Di umanità e di cultura. Ci fa attraversare, fisicamente, la nostra terra e se ci abbandoniamo al ritmo della sua musica abbiamo la possibilità di risentire, forte e chiaro, il respiro del nostro cuore e della nostra anima. È la vita, quella vera. “Il Gargano è pieno d’alberi e così le tarantelle di Carpino, di Rodi di Vieste di San Nicandro, sono costruite su una musicalità rigogliosa dentro le quali ritmo e melodia si rincorrono, s’intrecciano, si separano per rincontrarsi…” Perché non dobbiamo mai dimenticare, come chiosa alla fine dello spettacolo, Giovanni Lindo Ferretti, che: “I libri e i quaderni servono per vivere meglio ma non sono la vita.” Regalatelo e regalatevelo, vi ringrazieranno e non ve ne pentirete.

Craj è anche un sito internet: http://www.craj.net

Oscar Buonamano


Theorèin- Settembre 2008