IL GIOCO INFANTILE
NELLA POST-MODERNITA'
A cura di: Moira Di Benedetto
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Lezione 1

IL GIOCO: SIGNIFICATO E DEFINIZIONE

Tanto bistrattato e sottovalutato nei secoli precedenti, il gioco ha riscosso interesse e valenza solo nel XVII secolo, durante il quale gli venne riconosciuto il merito di favorire ed agevolare le capacità cognitive, fisiche e motorie nei bambini, di facilitarne la formazione caratteriale e della personalità, tutti requisiti fondamentali per lo sviluppo fisico e psicologico dell’uomo. Il termine gioco deriva dal latino “iocus”, e sta ad indicare un esercizio di destrezza o di abilità fisica e mentale, praticato per divertirsi e rilassarsi.

Il gioco, inteso nel senso più generico del termine, è sempre esistito, fin dall’antichità. Possiamo citare i giochi sportivi delle antiche civiltà mediterranee, come i giochi Olimpici o quelli Istmici; i ludi romani: i giochi praticati nelle antiche civiltà americane, come il gioco della palla e le corse rituali particolarmente in voga presso le popolazioni Azteche e Maja; per non parlare dei giochi praticati dalle civiltà orientali: il Judo in Giappone, ricco di implicazioni religiose, politiche e magiche.

Nel Medioevo e nel Rinascimento erano particolarmente in uso il gioco delle carte, degli scacchi e della dama; mentre tra il 1700 e il 1800 l’interesse era maggiormente rivolto ai giochi di prestigio, a quelli matematici ed enigmistici, a quei giochi che solleticavano soprattutto l’uso della mente, proprio in quella che fu l’epoca della Ragione.

Da tutto ciò deduciamo come l’atteggiamento ludico si manifesti nel tempo in forme infinite.

Lo scarso valore riconosciuto all’infanzia ha fatto si che per molti secoli le attività ludiche fossero non considerate degne di attenzione e di studio, in quanto ritenute dannose per lo sviluppo del bambino.

E’ con il Romanticismo che, contrastando l’egemonia di una ragione fredda ed utilitaria, e rivalutando le attività disinteressate ed alogiche, si ebbe la più alta esaltazione del gioco e delle attività ludiche.

Molti studiosi sono arrivati a concepire che giocare fa bene, o meglio, che giocare bene fa bene.

Fa bene davvero all’individuo, alla coppia, alla società; in particolare possiamo dire che giocare è un modo di tramandare e di acquisire nuove conoscenze complesse, ed in quanto attività di rinnovamento, è necessaria alla vita. Giocare è la prima cosa che impariamo a fare ed è al tempo stesso un potente mezzo per imparare.

  1. Schiller, in Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, riteneva il gioco “attività spontaneamente creatrice” e la poneva all’origine delle creazioni artistiche.
  2. Spencer, invece, formulò la teoria evoluzionistica del surplus d’energia; avendo l’uomo bisogno di poche energie per sopravvivere, rispetto agli animali, le restanti si trasformerebbero in attività di gioco.
  3. Groos, considera, a sua volta, il gioco infantile come espressione d’istinti che hanno bisogno di pre-esercizio: attraverso la ripetizione attiva, i meccanismi intellettivi e fisici si potenziano e maturano.
  4. Per G. Stanley Hall il gioco infantile ricapitola la giovinezza delle epoche scomparse, ed il bambino, tramite il gioco, rivive comportamenti ancestrali, cioè proprie degli avi, sopravvissuti.
  5. Claparède con la sua teoria genetico-funzionalista, interpreta il gioco come mezzo per potenziare le funzioni motrici e mentali, così è con il soddisfare bisogni presenti che il gioco prepara l’avvenire.
  6. Dewey, invece, abbatte la contrapposizione tra gioco e lavoro e ne traccia l’ideale continuità in una visione dello sviluppo infantile attivo e motivato. Egli afferma che “Quando risultati abbastanza remoti di carattere definito sono previsti e richiedono uno sforzo persistente per il loro compimento, il gioco diventa lavoro. Come il gioco, esso significa un’attività finalistica e non differisce dal gioco in quanto l’attività è subordinata ad un risultato esterno, ma poiché è più lungo il corso d’attività che il risultato”.
  7. Per Freud il gioco è mezzo per comprendere le motivazioni profonde, le paure, i bisogni ed i desideri dei bambini.
  8. Huizinga considera il gioco come funzione creatrice di cultura e la riconosce come origine d’ogni manifestazione culturale: dal diritto all’arte, dalla religione allo sport.
  9. Per Chateau il gioco è essenzialmente il mondo dell’immaginazione e del far finta, e proprio questa capacità ci differenzierebbe dagli animali.
  10. Visalberghi, considera il gioco un’attività automotivata, ponendolo alla radice d’ogni processo conoscitivo, significativo, e definisce ludiformi le attività dell’adulto che conservano molte delle caratteristiche del gioco infantile.
  11. Rousseau, il quale scrisse l’Emilio, rilevò il valore delle attività spontanee nel processo di formazione dell’uomo ed esaltò, quindi, il gioco infantile, promovendo la nascita delle prime scuole per l’infanzia.

Theorèin - Gennaio 2005