IL GIOCO INFANTILE
NELLA POST-MODERNITA'
A cura di: Moira Di Benedetto
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Lezione 4

IL PROBLEMA DELLO SPAZIO-BIMBO

Nel 1956 D.D.Duncan scrisse nel suo libro L’albero della vita: «In quella casa vigeva un’unica legge suprema: non toccare nulla! Ogni cosa aveva il suo posto e perfino il suo profilo disegnato dalla polvere. Rimuovere qualcosa dal suo posto o dal suo schema, avrebbe potuto distruggere una composizione, invisibile a tutti gli altri, che Picasso aveva osservato, sulla quale aveva riflettuto e che aveva trasformato facendole assumere altre forme nella propria mente. Ma la legge non vigeva per i bambini e gli animali. Picasso affermava che i bambini erano nati per essere liberi.»

Nasce così l’esigenza di interrogarsi e chiedersi dove s’incontrano i bambini per giocare?

Quali distanze percorrono per giocare?

Bisogno di movimento, d’esplorazione, ricerca d’avventura, manipolazione, costruzione, invenzione, quali di queste esigenze fondamentali dell’infanzia trovano adeguate risposte in un contesto che tende a legittimare il gioco solo in spazi ben definiti e chiari, di solito istituzionali?

La stessa architettura fisico-sociale delle nostre città rivela l’assenza del bambino o perlomeno la sua non considerazione: bambini relegati in spazi limitati, bambini chiusi in appartamenti senza possibilità d’incontro con altri bambini in spazi adeguati. La nostra società, soprattutto quella industrializzata e urbana, è caratterizzata da regolamenti anti-bambino: regolamenti di condominio, di strada, di spazi verdi, che vietano, raccomandano, confinano, circoscrivono.

Le famose frasi: “Gioca pure ma non sporcarti, non sudare, non correre, stai fermo”, sono frasi pronunciate e ascoltate chissà quante volte.

Lo scrittore G.Scaraffia scrisse: «Tutto nelle città, nelle case, ricorda al bambino quello che non è, il suo stato di nano debole e maldestro,in un paese d’agili giganti. I bambini anelano la vita all’aria aperta: le città, le case, non sono costruite per loro».

Quest’ultimo è un pensiero su cui soffermarsi a riflettere, in quanto la limitazione degli spazi fruibili, la monotonia dell’ambiente domestico, sul quale spesso regna la staticità, l’ordine ossessivo, la rigidità dell’uso degli spazi sempre più occupati dai segni del benessere sociale, dagli effetti del consumismo, dai divani incellophanati, sui quali non si può sedere per evitare di sciuparlo, l’ambizione di possedere una casa come quella degli spot pubblicitari, una casa dove si aggirano minacciosi bambini con le pattine. Dove sono finite le vecchie soffitte?

Nella sua opera Poesia e verità , W.Goethe scrisse a tal proposito: «Vorrei, per inciso, far notare quale magica suggestione hanno sui bambini le soffitte, le stalle e i ripostigli nascosti, dove, liberi dalla disciplina dei loro educatori, essi godono la loro solitudine».

Con queste premesse possiamo tranquillamente affermare che i giochi permessi ai bambini sono quelli passivi, sedentari, controllati, mentre i giochi che richiedono movimento, spontaneità, inventiva, si svolgono clandestinamente e in assenza del controllo da parte degli adulti. Bambini ipnotizzati dalla televisione, in media tre ore al giorno, è lo scenario che si presenterebbe se entrassimo nella maggior parte delle abitazioni.

E fuori, all’aperto? Le cose non vanno meglio perché spesso si assiste ad una limitazione anche di tali spazi. Quando hanno la fortuna di esistere e non c’è la paura della puntura di una siringa infetta o non ci sono cartelli sui quali leggiamo il divieto di calpestare aiuole o il prato, oppure di arrampicarsi sugli alberi.

E’ sempre più difficile rintracciare in città aree e spazi ludici e questo denota la scarsa attenzione alla cultura del gioco e di conseguenza denota la scarsa considerazione che si ha dei bambini.

I bambini hanno bisogno di aree di gioco, dove poter camminare liberamente, dove potersi mettere alla prova, sperimentare i propri limiti, conoscere le proprie possibilità, acquisire fiducia in se stessi.

J.Le Boulch scrive: «…gli spazi di gioco, questi spazi vitali devono corrispondere a due criteri apparentemente contraddittori, ma complementari; da una parte bisogna organizzare locali aventi una certa struttura geometrica che favorisce l’approccio con l’universo euclideo.

A spazi di questo tipo se ne potrà affiancare un altro estremamente poco strutturato, sistemato in modo sommario, occupato da materiale grezzo che consente ai bambini di crearsi i propri spazi e ambienti di gioco. Si dovrebbe prevedere inoltre la possibilità di utilizzare acqua e sabbia…». Utopia?

Questi spazi dovrebbero offrire la possibilità di familiarizzare con elementi come l’acqua, la terra, fuoco, aria, con gli elementi empedoclei il cui uso è spesso osteggiato se non bandito a casa e a scuola. Fare torte di sabbia, budini di fango, impiastricciarsi le mani, sporcare e sporcarsi sono situazioni che sempre meno i bambini possono sperimentare; d’altra parte basta vedere il comportamento dei bambini sulle spiagge, intenti a scimmiottare comportamenti adulti e sempre meno capaci di utilizzare in modo spontaneo e creativo quanto è a loro disposizione.

E nella scuola, che insieme alla famiglia costituisce l’istituzione che per tempi lunghi e significativi si occupa del bambino, qual è lo spazio riservato all’attività ludica?

Ancora una volta il gioco è confinato in spazi e tempi ristretti, spesso, nei pochi minuti della ricreazione in cui, tra l’altro, il bambino deve fare merenda e andare in bagno.

Ciò che viene valorizzato nella scuola è la capacità di disciplina che si manifesta nell’impegno diligente nello studio che richiede soprattutto apprendimento mnemonico; si privilegia lo sviluppo delle capacità intellettuali a discapito di quelle motorie, dimenticando così che per uno sviluppo armonico è necessario un approccio globale ed equilibrato.

Il momento d’ingresso nella scuola dell’obbligo è molto delicato per il bambino, in quanto per esso la scuola stessa si prospetta come fine di un periodo in cui è lecito dedicare la maggior parte del tempo ad attività di gioco ed è sentita come inizio di obblighi, rinunce, responsabilità: il dovere di fare i compiti, l’atteggiamento talvolta ossessivo, ricattatorio dei genitori, sanciscono la definitiva e irreversibile frattura e inconciliabilità tra ludico e apprendimento.

L’ansia di dover rispondere alle attese spesso narcisistiche e ansiogene dei familiari, i compagni visti come elementi di confronto competitivo, sono alcuni dei fattori che concorrono a determinare autentiche reazioni di rigetto nei confronti della scuola e della cultura in generale (pensiamo a tutti i casi d’autentica fobia della scuola!).

Perché si dimentica che s’impara meglio giocando?

E’ nota l’importanza del movimento, dell’esperienza motoria sin dai primi anni di vita, l’importanza cioè del corpo che dà al bambino il senso e la misura delle proprie possibilità; bisognerebbe però, evitare che il movimento, e quindi le attività sportive, siano intese come rendimento e che le categorie dell’utile, della vittoria a tutti i costi, prevalgano sul piacere del fare. Quindi è necessario che il movimento, la fisicità, siano sperimentati, vissuti, non assoggettati e inquinati dai miti di potenza, di bellezza, prestanza fisica, da quegli stereotipi esasperanti che ritroviamo ovunque si volga lo sguardo.

Pensare al tempo libero del bambino vuol dire innanzi tutto pensare al suo rapporto con la città, il territorio, il quartiere, in altre parole al gioco e agli spazi dove poterlo esercitare.

Gli architetti, gli urbanisti sono evidentemente troppo occupati a riempire le nostre piazze di discutibili arredi urbani, per accorgersi che hanno tolto i cortili, le strade, le piazze per giocare e che negli appartamenti non esistono più i solai, le soffitte buie e paurose, ma così affascinanti.

In città invivibili, caratterizzate dal non-senso, da barriere architettoniche che non sono più solo un problema per i portatori di handicap, da una violenza dilagante che costituisce l’aspetto più preoccupante per i genitori, dove è possibile, allora, giocare?


Theorèin - Aprile 2005