PROBLEMI E METODI PER UNA RICOSTRUZIONE STORICA:
IL CASO DI FRANCESCO D'ASSISI
A cura di: Mario Della Penna
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Capitolo 21

Nel testamento Francesco parla della sua conversione (II parte)

Nel suo Testamento Francesco d’Assisi rivolge ulteriore attenzione all’eucarestia, alla Sacra Scrittura e ai teologi, attraverso i quali ci si avvicina al sacro mistero di Cristo. Ritorna ancora il riferimento al ruolo della Chiesa, sia come luogo fisico di custodia dell’eucarestia, sia come simbolo della comunità universale e dell’istituzione ecclesiastica. [...] Et haec sanctissima mysteria super omnia volo onorari, venerari et in locis pretiosis collocari. Questo senso di venerazione che Francesco manifesta nei confronti della Chiesa è dovuto a quell'intimo vincolo che lega il sacramentum al sacerdotium. Lo stesse legame esiste tra la Sacra Scrittura come rivelazione della parola di Dio e coloro che questa parola conoscono e amministrano: i teologi.

[...] Et omnes theologos et qui ministrant sanctissima verba divina, debemus honorare et venerari, sicut qui ministrant nobis spiritum et vitam.

Qui si conclude l’inciso riguardo al ruolo della Chiesa, che Francesco pone tra la descrizione dell’esperienza con i lebbrosi e quella della nascita della prima fraternitas.

Francesco a questo punto descrive un’altra tappa fondamentale del suo itinerario: l’aggregarsi dei primi compagni intorno a lui e il primo articolarsi del nucleo della regola francescana sul modello evangelico. Scrive infatti:

[...] Et postquam Dominus dedit mihi de fratribus, nemo ostendebat mihi quid deberem facere, sed ipse Altissimus revelavit mihi, quod deberem vivere secundum formam sancti Evangeli. (101)

Il nuovo rapporto interpersonale che vincola Francesco ai suoi fratres cioè ai suoi primi compagni, è inteso come dono di Dio, di quel Dio che fin dall’inizio lo ha guidato in tale esperienza; per cui l'espressione Dominus dedit mihi, ricorre continuamente nel Testamento. Questa fraternitas che si stringe intorno a Francesco e vuole ricalcare le sue orme, ha bisogno di una norma che governi la sua condotta. Non esistevano però esperienze religiose precedenti che a detta di Francesco rispecchiassero il suo ideale di vita, dice infatti: [...] nemo ostendebat mihi, quid deberem facere. Francesco si sente l’interprete di una nuova proposta religiosa, che non vuole limitarsi al puro impegno sociale nè vuole modellarsi sulle tradizionali forme di vita religiosa, ma vuole addirittura superarle, pertanto deve creare una nuova norma di vita. Egli identifica quindi la formam sancti Evangelii come l’unica condotta adeguata al nascente movimento. E quasi a voler giustificare quella scelta dice: sed ipse Altissimus revelavit mihi. Questa forma vivendi non vuole essere un atteggiamento esteriore, ma una traduzione pratica della scelta evangelica, che si concretizza nelle paucis verbis et simpliciter, con le quali il santo stende la sua Regula, sottoponendola all’approvazione del pontefice. [...] Et ego paucis verbis et simpliciter feci scribi et dominus papa confirmavit mihi.

Nel testo introduttivo della Regula non Bullata (102) si legge:

[...] haec est vita evangelii Jesu Cristi quam frater Franciscus petiit a domino papa concedi et confìrmare sibi; et ille concessit et confirmavit sibi et suis fratribus habitis et futuris. (103)

Essendo questo documento stato redatto nel 1221, ci aspetteremmo di trovare menzionato il nome di Onorio III, invece nell’incipit si trova il nome di Innocenzo III. Il testo dunque è quello primitivo voluto dal papa (Innocenzo III) per sancire un propositum di obbedienza all’autorità e per garantire la fedeltà del nuovo movimento religioso alla Chiesa di Roma ed evitare qualsiasi deviazione verso l’eterodossia. Innocenzo III infatti si fa assertore di una politica di recupero dl quei movimenti precedentemente scomunicati dalla Chiesa, basti pensare agli Umiliati e ai Valdesi che vengono reinseriti nell'ortodossia. Nella Regula Bullata (104) del 1223 si codifica un testo che sancisce l’inserimento dell’insegnamento di vita di Francesco nell’alveo della tradizione; da essa leggiamo:

[...] regula et vita Minorum Fratrum haec est, scilicet Domini nostri Jesu Christi sanctum Evangelium observare vivendo in obedientia, sine proprio et in castitate. (105)

Si parla di regola e di vita, la fraternitas ha ceduto il posto ad un ordine ben preciso, quello dei fratres minores, che ha delle ben determinate regole e proprio perchè ordine implica una professione religiosa: obbedienza, povertà e castità.

Tornando invece alla lettura del Testamento si legge:

[...] Et illi qui veniebat ad recipiendam vitam, omnia quae habere poterant. dabant pauperibus; et erant contenti tunica una, intus et foris repeciata, cum cingulo et braccis. Et nolebamus plus habere. (106)

Il termine vita ha qui il valore di vita evangelica, inoltre l’espressione tratta dalla Bibbia omnia quae habere poterant, dabant pauperibus, accentua la scelta dl completa povertà. Il termine contenti esprime la spontaneità e la gioiosità insite in tale opzione. A riconfermarla sta la precisa descrizione dell’abito, simbolo anch'esso di estrema povertà. Tale scelta si ribadisce nella Regula non Bullata, dove si dice che i frati quando hanno di che vestire e di che mangiare non devono volere nient’altro. Ma una tale posizione, che traduce l’intero contenuto del Vangelo in una scelta radicale di povertà, può travisare il contenuto stesso di tale messaggio.

Nel Testamento a questo punto Francesco rivolge la sua attenzione all’officium dei fratres:

[...] Officium dicebamus clerici secundum allos clericos, laici dicebant: Pater Noster et satis libenter manebamus in ecclesiis. (107)

Da questa espressione si capisce che Francesco non parla riferendosi al passato bensì al presente e di ciò abbiamo la conferma nella Regula non bullata

[...] propter hoc omnes fratres sive clerici sive laici faciant divinum officium, laudes et orationes, secundum quod debent facere. Clerici faciant officium et dicant pro vis et pro mortuis secundum consuetudinem clericorum [...] et libros tantum necessarios ad implendum eorum officium possint habere, Et laici etiam scientibus legere psalterium liceat eis habere illud. Allis vero nescientibus littteras librum habere non liceat. (108)

Se nel Testamento l’offìcium era diverso per i chierici e i laici, nella Regula non Bullata la differenza sorge tra litterati e illitterati, indipendentemente dal fatto che siano chierici o laici.

L’espressione satis libenter manebamus in ecclesiis intende sottolineare la condizione abitativa precedente alla realtà conventuale; nello loro soste temporanee i fratres di preferenza dimoravano nelle chiese: mancano dunque sedi stabili e proprie dei frati; anche questa è un’ennesima prova di povertà di quel gruppo di persone che s’era proposto di vivere disancorato da ogni sorta di bene. Continua la descrizione della prima comunità: [...] et eramus idiotae et subditi omnibus (109) in realtà la condizione di idiotae, intesa nel senso di illittirati, non è veritiera, Francesco infatti scriveva in latino, e qualcuno dei suoi primi compagni era anche chierico. L’uso di questo termine non può che essere finalizzato ad una scelta di campo, mirante a collocare i fratres all’ultimo gradino della società, anche a livello culturale. L’espressione di minorità è chiaramente esposta in un passo della Regula non Bullata: [...] et nullus vocetur prior, sed generaliter omnes vocetur fratres minores et alter alterius lavet pedes (cfr. Jao 13,14). (110)


(101) ibid., cap.II. da questo momento tute le proposizioni scritte in corsivo sono riferite al suddetto capitolo per eventuali eccezioni segnaleremo in nota.

(102) Kajetan ESSER, Opuscola des Hl Fransiskus von Assisi. (Regula non Bullata), pp.377-402; FF, pp.99-122

(103) ibid.,Prologus, p.377; FF, p.99

(104) RB., op.cit. nota, pp.366-371; FF, pp.123-130

(105) RB., cap.I, p.366; FF, p.123

(106) Test., op. cit. nota pp.366-371; FF, pp.123-130

(107) Test., cap.II, p.440; FF, p.132

(108) RbB., cap.III, p.379-380; FF, pp.101-102

(109) Test., cap.II, p.440; FF, p.132

(110) RnB., cap.VI, p.382; FF, p.105


Theorèin - Gennaio 2006