PROBLEMI E METODI PER UNA RICOSTRUZIONE STORICA:
IL CASO DI FRANCESCO D'ASSISI
A cura di: Mario Della Penna
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Capitolo 22

Nel testamento Francesco parla della sua conversione (III parte)

Sul tema del minoritismo del sec. XIII si è tenuto in Veneto un congresso intitolato Minoritismo e centri veneti nel quale si è posta l’attenzione sulle varie forme di vita minoritica sviluppatesi in area veneta nei primi anni venti del sec. XIII. Questi movimenti pur non avendo alcun tipo di legame con la prima esperienza francescana, si definivano comunque minores. Le cronache del tempo sono ricche di riferimenti a questi gruppi, in particolare Burcardo di Ursperg (111) è molto esplicito in merito, dice infatti che questi movimenti erano soliti definirsi come pauperes minores, ma il nome di pauperes era spesso motivo di orgoglio nei confronti di quei movimenti che non erano evangelicamente poveri: pertanto i francescani modificarono il nome in quello di fratres minores.

Tommaso da Celano nella Vita Prima riporta il momento in cui Francesco diede il nome alla sua fraternitas:

mentre si scrivevano nella regola quelle parole: "siamo minori", appena le ebbe udite esclamò: voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori". E realmente erano "minori"; "sottomessi a tutti" e ricercavano l'ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l'ufficio spirituale di tutte le virtù. (112)

Questo episodio viene però riportato solo nella Vita prima, scomparendo così dal resto delle fonti, lo ritroviamo solo in un breviario del XIV secolo, contenuto nel codice vat. 8737. Bonaventura nella Legenda Maior ricorda il momento in cui Francesco sceglie il nome del suo ordine:

[...] Nella prelatura la caduta; nella lode, il precipizio; nell’umile stato di suddito, il guadagno per l’anima. Come mai allora, siamo più portati al pericolo che al guadagno, dal momento che il tempo della vita ci è stato concesso per guadagnare?. Proprio per questo motivo Francesco, modello di umiltà, volle che i suoi frati si chiamassero Minori e che i prelati del suo ordine avessero il nome di ministri. (113)

Francesco, a detta di Bonaventura, operava la scelta del nome dell’ordine spinto semplicemente da un sentimento ascetico di umiltà, eliminando tutte quelle valenze sociali che invece sono evidenti nel Testamento.

Nella Regula non Bullata al cap. VII (De modo serviendi et laborandi) ancora una volta si ribadisce la posizione sociale che i minori devono assumere, facendo riferimento alle attività che i frati possono svolgere. Si legge infatti:

[...] omnes fratres, in quibuscumque locis steterint apud alios ad serviendum vel laborandum, non sint camerarii neque cancellarii neque praesint in domibus, in quibus serviunt; nec recipiant aliquad officium, quod scandalum generet vel animae suae faciat detrimentum; sed sint minores et subditi omnibus, qui in eadem, domo sunt. (114)

A tale proposito vengono banditi i ruoli di prestigio quali quelli di amministratori e di segretari, proprio perché risultano in antitesi con la scelta di minorità e di servizio; inoltre i frati devono obbedirsi reciprocamente ed essere coerenti con gli insegnamenti del Vangelo. Nel Testamento lo stesso tema viene affrontato in questi termini:

[...] Et ego manibus meis laborabam et volo loborare; et omnes alii fratres firmiter volo, quod laborent de laboritio, quod pertinet ad honestatem. Qui nesciunt, dicant non propter cupiditatem recipiendi pretium laboris sed propter exemplum et ad repellendam otiositatem. (115)

Francesco propone il suo esempio personale, infatti egli stesso ci tiene a sottolineare che si dedicava ad un lavoro umile e manuale. Il lavoro qui è esercitato per il buon esempio e per evitare l'ozio; invece nel testo della Regula non Bullata il lavoro è necessario per procurarsi di che vivere:

[...] nam propheta ait: "labores fructuun tuorum manducabis beatus es et bene tibi erit"; et apostolus: qui non vult operari non manducet (116).

Proprio questo status assimila i fratres alla condizione di vita dei poveri: come i poveri sono costretti a guadagnarsi il pane con i lavori occasionali, lo stesso deve fare il minore. Nel Testamento si parla anche di cupiditas, cioè il desiderio smodato di ricchezza che non deve assolutamente essere il fine del lavoro, che ha obiettivi ben diversi, cioè l’esempio e il rifiuto dell’ozio.


(111) Burcardo di Ursperg, Chronicon, ed. Abel Weiland, MGH, SS, 23; FF, pp.1924-1925

(112) 1 Cel, 38, p.30; FF, pp. 442-443

(113) LM, cap.VI, 5, p.584; FF, p. 884

(114) RnB., cap. VII, p.383; FF, p.105

(115) Test., cap.II, p.440; FF, p.132

(116) RnB., cap.VII, p.383, FF, p.105


Theorèin - Febbraio 2006