VIRGILIA D’ANDREA: STORIA DI UN’ANARCHICA
A cura di: Francesca Piccioli
Entra nella sezione STORIA

Se vuoi comunicare con Francesca Piccioli: francesca164@interfree.it
Vim vi repellere:
considerazioni sul terrorismo rivoluzionario

Esile nel corpo ma indomita nello spirito, Virgilia D’Andrea porta avanti con devozione i suoi impegni a favore dei più deboli e dei più bisognosi.
Per mesi percorre l’Italia passando da una tribuna all’altra e da uno sciopero ad un altro, negli anni in cui “il comizio non era la tranquilla conferenza nella sala, di oggi; ma era la manifestazione di piazza, con la folla a migliaia e coll’eccidio all’ordine del giorno”.

Riferendo dell’impegno assiduo della sua compagna, Borghi ricorda: “venuta l’ora in cui il fascismo divenne una forza aggressiva, con funzione specifica di domare i rossi, […], il pericolo andò sempre aumentando, per coloro che battevano la piazza come propagandisti, e Virgilia D’Andrea, non ebbe un momento di sosta, e fino all’estate del 1922, […], “Umanità Nova” parlava dei giri di conferenze di Virgilia nelle Marche e nella Romagna”.

Dopo l’attentato al teatro Diana di Milano, la D’Andrea si batte perché non si pronuncino sentenze affrettate contro gli imputati, scrive articoli e organizza pubbliche assemblee.

L’attentato offre il pretesto alla polizia per arresti in massa e ai fascisti l’occasione per disporre immediate rappresaglie.

La sede del giornale anarchico “Umanità Nova” è distrutta dalle camicie nere. In seguito a queste vicende, Virgilia si pronuncia esplicitamente a favore del terrorismo rivoluzionario e definisce quell’attentato come un gesto finale ed inevitabile perché “conseguenza estrema di cause provocatrici”. Quando scrive sugli attentatori, sostiene: “I bombardieri sono stati dei proiettili caricati dalla ingiustizia della società e dal cinismo e dalla viltà della reazione”.
Virgilia non ha un momento di esitazione e spiega quelle vicende in nome di un alto sentimento di giustizia e in nome di una ragione superiore che ripudia ogni opportunismo e ogni sopraffazione.

Coloro che hanno innescato la bomba non sono i veri colpevoli. Essi hanno risposto violentemente al clima di minacce instaurato dalla questura di Milano e più in generale alle ingiustizie praticate da un iniquo apparato governativo. Osserva, dunque, in proposito: “Quando la tempesta è densa, e il cielo è nero, e i lampi rosseggiano all’orizzonte, e l’albero maestro cade d’un tratto schiantato, ditemi, potremmo noi fare il processo al fulmine? Cercate altrove, cercate fra di voi il responsabile vero. E metta la società il velo nero, e chieda perdono a quei morti, e chieda perdono a quei sepolti vivi!”.

Virgilia pensava che un qualsiasi atto terroristico e rivoluzionario, capitato in quegli anni di repressioni ed ingiustizia, anche se apparentemente dannoso, non potesse essere dettato da sentimenti malvagi, ma da ragioni altamente idealistiche, disinteressate e generose. Per questo motivo la D’Andrea assume la difesa di quelli che la legge definisce “delinquenti comuni”, raccogliendo le critiche di molti compagni anarchici, che li ritenevano “nocivi alle loro idee”.

In una lettera pervenuta presso la redazione de “L’Adunata dei Refrattari” nel settembre del 1933, leggiamo a proposito della nostra agitatrice anarchica: “nella espressione dei suoi sentimenti vi era sempre un profondo equilibrio di valutazione tra cause ed effetti. Spirito osservatore profondo, non vedeva mai il fatto in sé, disgiunto dalle cause che lo avevano provocato; né si preoccupava dell’utilità o del danno immediati che potevano derivarne.
Si sforzava di immedesimarsi nel soggetto, di comprenderne i moventi, di analizzare le ragioni da cui il fatto scaturiva, di scoprire lo spirito che lo animava”.


Theorèin - Novembre 2004