VIRGILIA D’ANDREA: STORIA DI UN’ANARCHICA
A cura di: Francesca Piccioli
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Introduzione

“D’Andrea Virginia fu Stefano e di Gambascia Nicoletta, nata a Sulmona il 12 febbraio 1888, insegnante elementare, nubile, abitante in Via Lama n. 39- 41. Anarchica rivoluzionaria”.

È questa la frase che introduce la documentazione del servizio schedario di Pubblica Sicurezza della Prefettura di Bologna relativa all’anarchica Virgilia D’Andrea.
L’agitatrice libertaria é descritta come un soggetto dall’aspetto piuttosto comune e senza alcun segno “speciale”. È bassa, ha una corporatura media ed i capelli lisci e bruni. Il suo viso è pallido ed ovale, gli occhi sono castani, il naso è piccolo e la fronte stretta. È definita come una donna intelligente e con una discreta cultura che abbandona il lavoro da maestra per darsi completamente alla propaganda sovversiva; nella quale è facilitata da particolari qualità dialettiche e retoriche. Nonostante l’indole “ribelle”, Virgilia D’Andrea risulta all’epoca ancora incensurata: “Verso l’autorità mantiene un contegno indifferente…Non ha, per quanto è noto, riportato condanne, ne è stata mai proposta per l’ammonizione, né pel domicilio coatto”.

La D’Andrea milita, in un primo momento, nelle fila del partito socialista “ufficiale” guidando una esigua sezione femminile del partito socialista abruzzese e, dopo aver conosciuto Armando Borghi, passa al movimento anarchico.
Con Borghi, sfugge all’Italia di Mussolini nel 1923, spostandosi dalla Germania alla Francia, per sbarcare successivamente in Canada ed infine negli Stati Uniti, dove muore a causa di una grave malattia nel 1933.

La mia scelta di svolgere una ricerca su Virgilia D’Andrea è nata dall’interesse, all’inizio più istintivo che consapevole, per una donna che, in anni difficili aveva fatto scelte non facili, spendendo la propria vita per sostenere un ideale di giustizia sociale e libertà individuale.
Il mio lavoro si articola in quattro diversi capitoli. Nel primo ho elaborato un ritratto biografico della D’Andrea, in cui ho approfondito l’analisi delle sue molteplici attività (fu poetessa, giornalista e militante energica e consapevole del movimento anarchico) ed ho ripercorso i suoi spostamenti prima in Italia e poi all’estero. Nei tre successivi capitoli, ho concentrato il mio studio su tre momenti peculiari della vita della D’Andrea che, a mio avviso, ne hanno segnato il carattere e la produzione letteraria ed giornalistica. L’Italia del primo dopoguerra mostra l’inizio della sua attività politica con le difficoltà e l’energia che caratterizzano l’esperienza del neofita: i comizi, le rappresaglie, gli attentati e la prigione. Il soggiorno parigino degli anni venti segna la sua maturazione come pubblicista anarchica e antifascista con la campagna per la liberazione di Sacco e Vanzetti e l’impegno a favore degli esuli politici. Gli anni dell’esilio americano la vedono consapevolmente e completamente impegnata nella propaganda radicale: attraversa tutti gli Stati Uniti, dalla costa orientale alla California, parlando in piccole sale polverose e in pubbliche assemblee e pronunciando conferenze che attraggono sempre un vasto ed entusiastico pubblico.

Raccontare una storia événementielle e ricostruire i fatti degli anni difficili del primo dopoguerra e del successivo regime fascista avrebbero indirizzato verso un’analisi carente e inadeguata. Mi sono, dunque, posta il “problema dell’attore”: come entrare nella interiorità degli individui? Come conoscere le motivazioni delle loro azioni?

Ho tentato di ricostruire la vita della D’Andrea nella sua interezza e nella sua complessità e di analizzare e cogliere la sue molteplici relazioni con la vita contemporanea. Credo che la vita di una persona, con le sue scelte, le sue emozioni e i suoi rapporti con gli altri sia quella vita determinata, che non può essere considerata rappresentativa di un’epoca se non contraddicendo l’approccio biografico o enfatizzando il ruolo della personalità nella storia. Ciò non significa, d’altra parte, che la vita di un individuo non costituisca un tassello importante per comprendere un intero periodo storico. Diventa, naturalmente, necessario misurare tutta la sua specificità in rapporto ad altri soggetti e studiare i nessi che quell’individuo istituisce all’interno del suo gruppo sociale, culturale e politico. Un’opposizione troppo netta tra individuo e società è un assurdo scientifico. Proprio nella misura in cui un individuo è sempre definito dalla società in cui vive e caratterizzato da essa stessa che al suo biografo non è permesso raccontarne la storia facendo astrazione dalla più grande Storia.
Per questo motivo lo studio sulla D’Andrea non può prescindere dalla storia del movimento anarchico e più in generale dalla storia d’Italia negli anni del primo dopoguerra e del regime fascista. Virgilia D’Andrea è strettamente legata ai maggiori eventi del movimento anarchico italiano ed ai suoi leaders internazionali come Errico Malatesta e Luigi Galleani. I vari mutamenti delle sue politiche (da socialista ad anarchica ed antifascista e da sindacalista anarchica impegnata nell’organizzazione dell’Unione Sindacale Italiana ad una più vicina agli atti terroristici) riflettono le instabili linee di confine tra i movimenti italiani di sinistra e fanno riflettere sulla natura profondamente lesionata del movimento anarchico in Europa e nell’America del Nord.

Vorrei inoltre sottolineare, che uno dei ostacoli maggiori che si trova ad affrontare chiunque si accinga a studiare la storia dell’anarchismo è la grande dispersione delle fonti, che si presentano per lo più frammentarie, lacunose, sparse in una miriade di biblioteche e archivi pubblici e privati, non sempre di facile accesso. A questa dispersione va aggiunta poi la scomparsa di gran parte delle fonti stesse, dovuta alla distruzione del materiale documentario per le più svariate ragioni. Un ruolo importante hanno esercitato sicuramente le particolari condizioni di vita di intere generazioni di militanti, sottoposti a frequenti perquisizioni e sequestri, costretti ad andare in esilio o comunque a spostarsi da un luogo all’altro per sfuggire alle interrogatori delle autorità a causa della loro attività politica. Non va poi trascurata, come osserva Giampiero Landi, “l’esistenza nel passato, negli stessi ambienti libertari, di un diffuso e generalizzato atteggiamento di disinteresse e di incuria nei confronti della conservazione della propria memoria storica”. Infine quella documentazione che alcuni militanti avevano conservato, poco o molto che fosse, dopo la loro morte è stata distrutta o smembrata dagli eredi, inconsapevoli del valore di quelle testimonianze. Prescindendo dalle fonti a stampa, reperibili nelle biblioteche, avviene spesso che le fonti d’archivio a cui possono ricorrere gli storici per le loro ricerche sul movimento anarchico siano prevalentemente o esclusivamente quelle di polizia, conservate negli Archivi di Stato.

Nel panorama accademico italiano sono rarissimi gli studi sul movimento anarchico. Per saperne di più sugli anarchici italiani bisogna rivolgersi alla produzione di un ristretto gruppo di storici, accademici e non, che si è occupato specificatamente del movimento libertario italiano, di cui fanno parte Masini, Berti, Cerrito, Dadà, Di Lembo, Sacchetti, Antonioli e pochi altri, oppure alla memorialistica, anch’essa poco copiosa, con le precauzioni necessarie che questo tipo di testi impone al ricercatore. Anche in questo limitato settore gli studi organici sono pochi. Non è un caso che solo in questi ultimi anni gli addetti ai lavori abbiano sentito il bisogno di dotarsi di uno strumento specifico di ricerca e di analisi, la “Rivista storica dell’Anarchismo”, comparsa nel primo semestre del 1994. A questa carenza, supplisce, in parte, la vivace stampa del movimento per la quale un punto essenziale di riferimento è la notevole opera di catalogazione fattane da Leonardo Bettini. Spesso la produzione storiografica di parte anarchica, riflettendo una tendenza generalizzata, si è interessata dei fatti e dei personaggi più noti, solo di recente sono comparsi studi a carattere regionale o provinciale nelle zone in cui il movimento ha maggiori tradizioni (probabilmente anche per la difficoltà nel reperire materiale documentario).

Le vite di quegli attori oscuri e di quei protagonisti silenziosi che appartengono al passato e lo rivelano senza troppi clamori, aprono nuovi orizzonti di ricerca e invitano lo storico a cercare in luoghi prima inesplorati. Con questo lavoro ho tentato di delineare una prima biografia di Virgilia D’Andrea e di sottolineare la specificità di una vita vissuta in un tempo e in un luogo particolari.


Theorèin - Aprile 2004