ALCIDE DE GASPERI: LA MEMORIA E L'EREDITA'

A cura di: Vito Sibilio
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E' difficile commemorare in modo significativo un personaggio storico di cui la memoria collettiva si è impadronita trasfigurandolo in mito e simbolo di un'età dell'innocenza politica irrimediabilmente perduta. Ed è ancora più difficile perchè tale trasfigurazione è avvenuta sulla base di eventi che realmente accreditano la fisionomia dello statista onesto e capace, che gestì la critica situazione del dopoguerra, traghettando il paese dalla Ricostruzione al Miracolo. Eppure il 19 agosto 1954 è una data che c'interroga, anno dopo anno, specie per lo sforzo che puntualmente si ripete da parte delle forze politiche di appropriarsi della memoria del personaggio. Dando per ovvio che la sparizione di un partito cattolico di massa e del suo antagonista marxista-leninista, oltre che la scomparsa di un blocco esclusivamente moderato e l'instaurazione di un sistema bipolare pseudo-maggioritario impedisca del tutto che oggi ci sia qualcuno che possa svolgere una funzione politica analoga a quella dello statista trentino, e considerando altrettanto certo che nessuna figura politica possa oggi - come nel passato recente - essere paragonata moralmente e intellettualmente allo stesso, noi considereremo queste rivendicazioni come velleitarie prima ancora che propagandistiche, e rese ancor più inani dal mutato contesto internazionale che fortemente influenzò il leader Dc. Domandiamoci piuttosto cosa rimanga oggi dell'azione di questo integerrimo e scabro personaggio pubblico. 

In effetti, credo che come Cavour e più di Giolitti egli meriti di essere considerato padre della Patria; e come il Conte e più dello statista di Mondovì e del dittatore di Predappio ha influito sul corso degli eventi della storia. Anche senza la II Guerra Mondiale, l'Italia, che sarebbe rimasta fascista, sarebbe entrata nella NATO e - finito inevitabilmente il regime con la morte del Duce come successe al falangismo spagnolo con il decesso di Franco o al giustizialismo lusitano con la dipartita di Salazar - nella Comunità Europea; ma senza De Gasperi queste mete l'Italia neodemocratica le avrebbe potute cambiare con il Patto di Varsavia e il COMECON, e oggi sarebbe non la V potenza industriale del mondo ma una delle tante cenerentole orfane dell'URSS. L'Italia di Giolitti e i suoi trasformismi furono di troppo breve durata per essere paragonati all'Italia della Dc e ai suoi vizi pur analoghi, ma che sortirono effetti diversi e migliori: infatti l'ambiguo politico d'inizio secolo non potè di fatto impedire nè la I Guerra Mondiale nè il Fascismo, mentre l'era Dc, apertasi con De Gasperi, evitò decisamente all'Italia derive plebiscitarie di destra e sinistra, e rese inequivocabile la collocazione dello Stato democratico nel Blocco occidentale, senza rinunciare ad una vocazione di pontiere verso il vicino Est comunista. De Gasperi, ridefinendo in prima persona - quale ministro degli Esteri di Bonomi e Parri, e a volte pure di se stesso - la posizione dell'Italia nel mondo dopo la guerra, affidando il riassetto economico dello Stato a mani esperte - delle quali le più qualificate furono quelle di Einaudi - gestendo con fair play ma anche con fermezza le questioni legate alla riorganizzazione istituzionale dopo l'indecoroso crollo di credibilità di Casa Savoia, e infine manovrando le maggioranze parlamentari fino a raggiungere l'obiettivo di governi "normali" - ossia non di solidarietà nazional-resistenziale - da cui fossero fuori le Sinistre delineò il futuro dell'Italia in un modo sostanzialmente e inequivocabilmente positivo. Il tutto realizzato con uno stile inconfondibile di statista cattolico, peraltro erede di una politologia sturziana, temperata delle nuove acquisizioni tattiche e programmatiche rese necessarie dal drammatico e inevitabile confronto con lo stalinismo. Il che dà alla ricostruzione d'Italia una fisionomia guelfa che riscatta buona parte della storia risorgimentale, in cui la nazione era stata proditoriamente costruita a danno e dispetto della sua fortissima componente cattolica, assecondando un laicismo massonico ottuso e vessatorio. Certo ognuna delle sue scelte tattiche - appena elencate - può essere oggetto di valutazione complessa. Per esempio i suoi negoziati con gli Alleati forse peccarono di eccessiva nettezza, specie per la questione del confine iugoslavo. Forse un negoziato più scaltro - alla Talleyrand - avrebbe sortito altri effetti. Ma di sicuro la situazione internazionale rendeva ardua una trattativa in cui - vergognosamente - il PCI faceva da quinta colonna a Tito, ancora legato al carro del Cominform. Del resto, dato l'esito del conflitto per le altre potenze dell'Asse, Germania in primis, la trattativa di De Gasperi non può essere certo valutata troppo severamente, e ancora oggi - per far entrare la Slovenia in Europa - ci si è attenuti a quella regolamentazione di confini. D'altro canto il trattato di pace - sobriamente ratificato ma non certo condiviso - è un aspetto della politica estera globale del trentino, nella quale preluse sia all'inserimento organico dell'Italia nel piano dei provvidenziali aiuti USA - culminati nel Piano Marshall - sia all'adesione alla NATO e alla conciliazione con i partner europei nella fondazione del MEC. Quanto sagge fossero queste puntate di credito nella partita politica dell'epoca si vede ancor oggi, con una NATO che ancora gioca un ruolo nello scacchiere internazionale e con una UE a 25. Del resto, l'acume dello statista italiano seppe vedere i limiti che ancor oggi sovrastano queste strutture internazionali, e fortemente - ma inutilmente - volle la CED, comunità europea di difesa, senza la quale la UE era zoppa e la NATO sbilanciata. Fu la sua ultima battaglia politica, in un paese in cui gli statisti di solito la ingaggiano per una poltrona importante che chiuda il loro cursus honorum. E fu una battaglia lasciata insensatamente cadere dai suoi epigoni italiani e stranieri, e che ancora oggi dev'essere combattuta e vinta. Se l'UE avesse avuto la CED, avremmo avuto le Guerre Balcaniche del '90-'95 ? La crisi palestinese si sarebbe trascinata tanto ? Avremmo avuto la II e la III Guerra del Golfo ? Sicuramente no. 

La politica economica di De Gasperi è pure apparentemente controversa, sia per il fatto che egli non aveva la formazione per farla in prima persona, sia per l'austera ortodossia liberale di Einaudi, monetarista convinto. Certo, i tagli sociali e l'abolizione dei prezzi politici dei generi di prima necessità sono misure dolorose, e poco originali. Inoltre l'aumento del tasso di sconto e l'obbligo di deposito di alcuni dividendi in conti fruttiferi della Banca d'Italia fatto alle imprese furono iniziative sbagliate. Ma non mancarono correttivi legati a esigenze di politica sociale. E inoltre furono queste scelte che portarono al Miracolo. Se aggiungiamo poi che l'alternativa era unica e consisteva nella pianificazione sovietica invocata da Nenni, Lombardi e Togliatti, vediamo che anche questa scelta degasperiana - più subita che sentita, ma fortemente sostenuta, sebbene il trentino giustamente credesse nel primato della politica sull'economia - fu saggia e efficace, e portò l'Italia alla rinascita economica. Anzi fu molto più efficace delle ricette di rilancio realizzate dai governi di Centrosinistra degli anni '60-'70. Ebbe delle punte di liberismo acceso, di crescita disordinata, ma non mancarono interventi che drenarono risorse verso obiettivi sociali. Sicuramente gli atti riformisti in tal senso più significativi furono la Riforma agraria e quella Vanoni sul fisco, più la Cassa del Mezzogiorno. Della prima si disse che era tardiva e insufficiente e che di fatto fu un fiasco. Certo non era colpa di De Gasperi non esser diventato prima presidente, nè poteva realizzarla prima del '48, col rischio di passare per collettivista. Furono espropriati 700000 ettari di terreno con indennizzo. Probabilmente si poteva fare di più, ma le conseguenze elettorali e politiche in genere sarebbero state gravi: le sinistre avrebbero demagogicamente rilanciato con rivendicazioni più estreme - come in parte avvenne - e gli espropriati avrebbero votato PLI o MSI, disperdendo suffragi. D'altro canto, non fu colpa del governo se i contadini non seppero creare una media proprietà terriera e frantumarono i lotti disponibili o li fecero riaccentrare in poche mani: se è vero che osservatori attenti potevano prevedere questi esiti, è altrettanto vero che, attenendosi a queste previsioni, non avrebbero dovuto fare neanche questa riforma. In verità, molti critici di allora e di oggi, invece di riconoscere i limitati successi di una riforma limitata ma coraggiosa, avrebbero voluto che lo Stato patrocinasse forme più drastiche di collettivizzazione agraria, quasi dei kolkhoz italiani. Quali esiti avrebbe dato questa forma di paradirigismo economico si può ben immaginare confrontandoli con i risultati della politica agraria di Stalin negli anni '30, che peraltro era un modello già obsoleto, replicato tra i guasti più catastrofici da Mao proprio negli anni '50 e, sia pure in modo meno drammatico, dalle democrazie popolari d'Oltrecortina. In quei paesi spesso scarseggiarono - e scarseggiano - generi di prima necessità; grazie invece alla politica agraria della Dc, che privilegiò questo settore anche più dell'industria - contraddicendo ancora una volta l'astratto dottrinarismo bolscevico di ascendenza mercantilista - ancora negli anni '90 del '900 Forlani, segretario del partito, poteva rivendicare con orgoglio l'autosufficienza alimentare dell'Italia, che altrimenti avrebbe dovuto importare persino il pane. In quanto al Modulo Vanoni, fu certo più giusto del sistema fiscale precedente, ammesso che ci sia un fisco pienamente equo e, peraltro nel contempo, amato. Evitò tasse da harakiri economico come le patrimoniali ma con la flessibilità delle aliquote tassò i redditi in modo differenziato. La Cassa del Mezzogiorno sicuramente a posteriori è oggetto di esecrazione. D'altro canto non era nell'idea del Ministero De Gasperi nè la logica dei finanziamenti a pioggia nè l'estensione arbitraria delle aree considerate depresse. Inoltre, all'epoca era convinzione comune che lo sviluppo potesse essere indotto con interventi mirati dirigistici. Questa tesi, in parte anche esatta, fu alla base della speranza di una rinascita mirata del Sud. E va anche detto che, sia pure in modo caotico, e a dispetto del clientelismo parassitario fiorito all'ombra della Cassa, il Sud è cresciuto, e la Repubblica l'ha molto migliorato, nel corso dei decenni. A completare l'affresco della politica economica degasperiana serve il ricordo dell'adesione al Piano Marshall, comprensibilmente osteggiato dal PCI: la rinascita economica, favorita da quei dollari tanto esecrati oltrecortina, fu il miglior puntello della democrazia "borghese". 

La questione istituzionale, ossia l'opzione monarchia - repubblica, virtualmente risolta a danno della prima dalla scellerata condotta di Vittorio Emanuele III - certo il più infausto sovrano d'Italia e di sicuro uno dei peggiori esponenti di una dinastia pur millenaria e gloriosa come quella sabauda - fu affrontata saggiamente da De Gasperi, che trovò in questo una sponda sensibile in Palmiro Togliatti. La Dc era congressualmente repubblicana, ma elettoralmente agnostica. La Chiesa e gli Alleati favorevoli alla monarchia. Ma il popolo, non solo per la propaganda isterica specie dei socialisti, era ormai orientato per la Repubblica. Se la Dc si fosse legata alla Corona, avrebbe tradito la voglia di palingenesi della nazione. Forse la Corona sarebbe sopravvissuta se il vecchio Re avesse abdicato a favore del nipotino Vittorio Emanuele IV, ma preferì farlo a favore del figlio, e non dopo resistenze e rinvii, che produssero quell'ibrido regime transitorio che fece di Umberto per qualche tempo il Luogotenente generale del Regno e non il vero Sovrano. Del resto, la pantomima messa su dai monarchici, che contestarono il calcolo dei voti sul numero delle schede valide, rivendicando invece la conta sui votanti, non avrebbe cambiato il risultato degli scrutinii. Tuttavia la posizione rigida di Umberto II costrinse il governo a forzare le tappe, e a precedere di fatto il responso della Corte di Cassazione. Così il Re di Maggio andò in esilio. Ma De Gasperi salvò il governo e forse contribuì ad evitare la guerra civile. I comunisti ebbero l'indubbio merito di non fare della questione il motivo di una crociata. Togliatti era uomo troppo intelligente per dar troppo peso all'ectoplasma della monarchia, che anche se fosse sopravvissuta avrebbe avuto poco peso, almeno nell'immediato. Nella scelta poi dei Capi di Stato il trentino ebbe sicuramente fiuto: buona scelta quella di De Nicola, nonostante qualche aspetto troppo partenopeo del carattere del giurista ormai anziano, e ancor migliore quella di Einaudi. Ma la migliore scelta di De Gasperi fu sicuramente quella di non farsi mummificare lui stesso al Quirinale. E i voti dc erano indispensabili per fare - e non fare - i presidenti. Un buon dosaggio politico delle varie componenti ideologiche si ebbe, anche grazie al ruolo del leader dc, nella stesura della Costituzione. Comunque la si giudichi, è uno sforzo riuscito di collaborazione tra culture politiche assai diverse e persino conflittuali, e conserva il meglio delle nostre anime risorgimentali - il federalismo alla Cattaneo, il repubblicanesimo mazziniano, il liberalismo di Cavour - che pur non appartenevano ai maggiori partiti della Costituente, ligi alla Chiesa o a Marx e Engels. L'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, bollato come clericalismo, fu una scelta saggia che conservò la cosa più utile fatta dal Fascismo, per l'Italia e il mondo, prendendo atto della situazione unica che ha il nostro paese, ospitando nella propria capitale il capo della maggiore confessione organizzata del pianeta. Del resto, questo lo capì anche Togliatti, che certo non aveva scrupoli di coscienza in materia religiosa. 

Infine, il complesso cammino della maggioranza politica di De Gasperi, dall'esapartito del CLN al Centrismo, mostra ai posteri la sua capacità manovriera. I governi del CLN erano d'emergenza per definizione, e già con Bonomi e Parri avevano di fatto compiuto il loro tempo. De Gasperi era sicuramente stato il più adatto a presiederli: resistente doc perchè arrestato dal Fascismo ed esule in Vaticano, politico di ampia esperienza ma non maturato nel prefascismo, era un uomo più nuovo di Bonomi e più capace di Parri. Ma il CLN poteva diventare un Comitato di Salute Pubblica, un Soviet Supremo, se la politica non se ne fosse liberata. Il passaggio dall'esapartito al tripartito DC-PCI-PSI portò la maggioranza degasperiana a basarsi sui grandi partiti di massa, legittimati non solo dal "vento del nord" ma soprattutto dall'opinione pubblica. Ma l'obiettivo riposto di Alcide De Gasperi era l'estromissione del PCI. Era l'obiettivo naturale dei democratici, dei moderati, dei riformisti, dei cattolici. E De Gasperi era tutte queste cose. Era il desiderio degli USA e della Santa Sede. E De Gasperi era legato ad entrambi. Era necessario per la collocazione irreversibile dell'Italia nell'Occidente, per il consolidamento della democrazia parlamentare - cosa ben diversa da quella popolare..- e per l'indipendenza internazionale del Papato. Ma era - meminisse iuvat - necessario anche per la politica di Stalin. Questi non poteva più giocare a nascondino con gli USA come aveva fatto finchè presidente era stato l'ormai logoro Roosevelt: la sua volontà imperialista in Oriente era chiara, e l'imposizione del bolscevismo nei paesi occupati dall'Armata Rossa irreveresibile. I metodi erano stati riprovevoli. E ora il despota rosso si accingeva a fare altri grossi bocconi (in Grecia, Turchia, Cina,Vietnam, Corea). Truman non era disposto a sopportare oltre, e la sua dottrina del contenimento parlava chiarissimo. Stalin aveva reagito con la famosa "offensiva di pace" che appunto era la sua risposta alla provocazione americana mediante uno scontro frontale. In quest'ottica la politica dell'appeasement ambiguamente perseguita da Togliatti non andava più bene. Come ebbero a lamentarsi in Slesia i comunisti del Cominform, in una riunione presieduta da Zdanov, i bolscevichi italiani facevano male a cercare un'intesa con i partiti borghesi, visto che non era prospettabile un trionfo del marxismo-leninismo nel nostro paese. Stalin avrebbe preferito piuttosto l'insurrezione armata, e si mise a proteggere gli organigrammi occulti del partito armato. D'altro canto, gli Accordi di Yalta non potevano essere tralasciati troppo allegramente, e bisognava al massimo aspettare le elezioni. Ragion per cui Togliatti, uso ad obbedir tacendo come tutti i quadri del bolscevismo, cambiò la sua politica e accettò gli eventi, che lo estromisero dal potere. De Gasperi approfittò della crisi apertasi tra il PCI e gli USA in seguito alla polemica sui finanziamenti illeciti provenienti dall'URSS per giustificare l'estromissione tattica di Botteghe Oscure dal governo, al fine di non perdere aiuti d'Oltreoceano. Del resto non conveniva andare alle urne con la Dc e il PCI insieme al governo. La Dc aveva registrato qualche flessione nei test elettorali intermedi, e voleva da sola il merito delle realizzazioni dell'esecutivo. Meglio era andare a carte scoperte dall'elettorato. Del resto, anche il PCI poteva guadagnare dal correre come forza di mera opposizione, senza compromissioni col governo. Il monocolore Dc che portò l'Italia alle elezioni fu dunque una soluzione transitoria, al termine della quale ognuno pensava e sperava di governare da solo. Tra l'altro il piano di De Gasperi per lo sgancio dal PCI aveva la subordinata di un lavoro di erosione del PSI: si voleva sganciare l'ala riformista e portarla in campo moderato. D'altro canto, Togliatti mirava a fare lo stesso con l'ala massimalista. Lo schieramento del PSI e del PCI nel fronte popolare non impedì al neonato PSLI - poi PSDI - di conservare il 7% dei suffragi. Ma la DC trionfò al 48%. Segno che tutti i moderati avevano visto nel partito cattolico l'antemurale contro il Comunismo. Ma De Gasperi, che pure avrebbe potuto governare solo, varò la formula del Centrismo, associando a sè tutti i moderati laici: liberaldemocratici (PLI), riformisti (PRI), socialdemocratici (PSDI). Forse avrebbe fatto bene a governare da solo, ma certo diede al Paese una lezione di democrazia. E fu l'unica fase della storia repubblicana in cui non si cedette a consociativismi compromissori. E non è poco..Per tutta la sua carriera, De Gasperi fu sordo alle sirene che lo tentavano al Centrosinistra, e a quelle che lo volevano in un Fronte anticomunista che inglobasse anche il MSI. Diede cioè all'arco costituzionale un ampiezza pari a quella della fede democratica dei partiti. Forse l'Operazione Sturzo, che univa Cattolici e Missini, non era del tutto sbagliata in un'ottica di scontro frontale col PCI, ma l'elettorato la sentì estranea, come l'aveva sentita estranea la nomenklatura Dc, De Gasperi in testa. Ma lo statista trentino sentì bene che la precarietà delle alleanze politiche partitiche e la risicatezza delle maggioranze ottenute in Parlamento con la proporzionale erano delle minacce. Tentò quindi di rafforzare il sistema politico introducendo un premio di maggioranza alla coalizione che arrivasse al 51%. Era una soluzione ottima, che avrebbe risparmiato all'Italia decenni di instabilità e anche i pasticci del Centrosinistra. Ma le opposizioni la bollarono come legge truffa e tale rimase nella memoria collettiva, con una di quelle riuscitissime mistificazioni con cui il PCI ha fatto spesso politica nella sua storia. Certo è che le urne sconfessarono, di un soffio - frazioni di percentuale - De Gasperi e la sua legge. E lo statista non ebbe la fiducia col suo VIII governo, il I della II Legislatura (1953). Il trentino uscì di scena, ma meditando di tornarvi presto, e concependo il governo successivo come "amico" ma non democristiano a tutti gli effetti. La morte lo colse prima, quando già i suoi diadochi avevano fatto sì di emarginarlo. 

Sebbene statista cattolico, De Gasperi non ebbe buoni rapporti con il mondo ecclesiastico. Le esigenze politiche della Chiesa postulavano un anticomunismo più rigoroso, che un premier democratico non poteva garantire. Pio XII sostenne senza riserve la Dc ma considerò sempre troppo morbido il leader Dc. Avrebbe voluto che il PCI fosse messo fuori legge: non lo diceva ma si capiva. Ma l'impresa sarebbe stata troppo ardua. Voleva un antemurale alla scristianizzazione, ma un governo democratico non può più di tanto occuparsi del costume. Certo, Gedda, presidente dell'Azione Cattolica, forse capì più di De Gasperi l'importanza di mass media cattolici, di una cultura militante. E la Dc non fece nulla per impedire al modello gramsciano di intellettuale di soppiantare quello crociano. Non diede alla sua politica un connotato culturale. Non bloccò l'invasione comunista della magistratura. Insomma non si avvide di gravi crepe nella "civitas christiana" che Pacelli e l'Azione Cattolica avevano a cuore, ma da cui pure scaturì la Dc. Ma nel campo strettamente politico il fiuto del trentino surclassò quello del Vaticano, e lo si vide nella bocciatura dell'Operazione Sturzo da parte degli elettori romani. Certo, se Pio XII e De Gasperi si fossero intesi più profondamente, avrebbero operato in modo più incisivo per l'Italia e la Chiesa. Ma le differenze di temperamento incisero quanto quelle culturali. E il Papa non si avvide della gravità dell'emarginazione dello statista dopo il suo VIII Governo, che pure aprì la strada a ciò che più la Chiesa di allora temeva: l'incontro con le Sinistre. 

La sua morte rese vittoriosa la sua sconfitta, e lo consegnò alla migliore tradizione nazionale. Ma nessuno potè ereditare il suo lascito. La Dc di Fanfani, Moro e Rumor - ossia la Dc del Centrosinistra - fu una Dc molto diversa, che non si concepì come alternativa alle Sinistre ma come loro sponda democratica, come loro meta di approdo. E diversi furono Fanfani - dirigista in economia - Moro - più uomo di partito che di Stato - e Rumor da De Gasperi. Neanche chi, programmaticamente, come la corrente Dc del Grande Centro o come Andreotti, si è richiamato a De Gasperi, gli è stato simile. Nè poteva in mutati contesti storici. Oggi poi, con la fine di un partito cattolico di massa e di un gran partito comunista, l'idea di uno statismo alla De Gasperi è impossibile. E inconciliabile con essa è il bipolarismo: la Dc di De Gasperi era destinata a governare da sola. Oggi non c'è posto per un nuovo Alcide. Ma c'è sempre bisogno di altrettanta onestà e capacità politica.


Theorèin - Settembre 2004