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Il Vangelo di Giovanni, più di qualunque altro, si pone in termini di complementarietà rispetto agli altri tre. Interi eventi della Passione – l’istituzione dell’Eucarestia, l’Agonia nel Getshemani, il processo dinanzi a Caifa – cardini del racconto tradizionale, sono omessi e dati chiaramente per presupposti. Lo scopo di integrare e completare appare qui evidente più che altrove. Lo stesso andamento kerygmatico ne è sconvolto: la parte relativa alla Cena è ipertrofica a causa della inserzione di numerosi discorsi, e non si può dire che faccia propriamente parte della sezione sulla Passione propriamente detta. In ogni caso non possiamo tralasciarla del tutto, per alcuni rilievi relativi ai passi paralleli dei tre sinottici. Una prima annotazione va fatta tuttavia per il brano della Cena di Bethania, che Gv descrive in una parte ancora anteriore del suo vangelo: 12,1-11. L’episodio qui descritto può essere o lo stesso di Mt 26,6-13 e Mc 14,3-9, o un altro. Da una prima lettura, infatti, sembrerebbe che il racconto di Gv, che parla di una cena – mentre Mt e Mc parlano genericamente di mensa – sia ambientato in casa di Marta, Maria e Lazzaro, mentre nei primi due sinottici si dice che il simposio si tenne in casa di Simone il Lebbroso. Questa divergenza può facilmente appianarsi perché Gv dice che Gesù si recò a Bethania, dove c’era Lazzaro, e che qui epoiēsan oun autō deipnon ekei gli fecero una cena, ossia usa una forma impersonale e non dice che gliela fece la famiglia del redivivo; aggiunge solo che Lazzaro era commensale eis ek tōn anakeimenōn , e non che fosse il padrone di casa, e che Marta diēkonei, serviva. Nulla implica che essi fossero i padroni di casa, anche se – peraltro – nulla vieta che Simone il Lebbroso sia stato il capofamiglia di Maria, Marta e Lazzaro. In effetti, di Simone abbiamo detto che non era mai stato citato prima di quest’episodio da Mt e Mc, e ora diciamo che in Gv non è mai nominato; specularmente, in Mt e Mc mai sono citate Marta e Maria, e neppure Lazzaro. Per cui Mt e Mc potevano ben omettere qualsiasi riferimento a loro tre, e non dare nessun nome alla donna che versa il nardo sulla testa di Gesù, individuando la casa del convivio col nome del padrone, evidentemente noto ai cristiani, come ho rilevato, e soprattutto adeguandosi così alla prassi comune, che appunto identificava case e famiglie attraverso i padri. Gv invece, che aveva descritto la resurrezione di Lazzaro, poteva soffermarsi su di lui e le sue sorelle, tralasciando l’identificazione del padrone di casa, ben noto, e parlare in genere di chi gli fece la cena, ossia il gruppo di discepoli locali, appartenenti tutti a quella famiglia. Un’altra differenza sta nel fatto che in Mt 26,7 e Mc 14,3 la donna versa il nardo sul capo di Gesù, mentre in Gv si parla solo di un’unzione dei piedi e dell’asciugatura con i capelli. E’ ovvio che l’accoglienza onorifica implicasse che l’olio fosse versato sul capo, e che da qui l’olio cadesse su tutto il corpo; Gv vuole sottolineare che Maria, da lui esplicitamente nominata, compì un atto di ulteriore sottomissione, particolarmente umile, ma non nuovo nei confronti di Gesù. In Gv è il solo Giuda a lamentarsi del gesto di Maria, mentre Mc e Mt non specificavano. Inoltre la risposta di Gesù in Mt e Mc è più articolata: difende Maria, la elogia, ricorda che i poveri sono sempre con noi ma lui no, annunzia che l’unzione è in vista della sepoltura, e profetizza fama eterna alla donna. In Gv invece rimprovera solo Giuda e dice: lasciala fare, perché lo conservi per la mia sepoltura ina eis tēn ēmeran tou entafiasmou mou tērēsē auto. Ora, apparentemente non si capisce cosa voglia dire: forse voleva far conservare il nardo che Giuda voleva vendere? Ma facendolo spargere sui suoi piedi, certo non si conservava! A meno che non traduciamo quel tērēsē auto con lo faccia , riferendo il dimostrativo neutro non al nardo, ma all’atto dell’unzione. In questo caso Gv direbbe la stessa cosa di Mt e Mc, pur omettendo il resto del discorsetto riportato da loro. La maggiore differenza tra Gv e Mt-Mc su questo episodio sta nella collocazione temporale: per il quarto evangelista la cena accadde sei giorni prima di pasqua (12,1), ossia il sabato prima della domenica delle palme. Da Mt e Mc si poteva evincere che la cena fosse del mercoledì santo. Tuttavia abbiamo già visto che la collocazione di Mt e Mc era fittizia. Probabilmente proprio per puntualizzare anche il momento in cui accadde, Gv riprese l’episodio nel suo vangelo. Vale la pena di annotare che la libbra di nardo, misurata attentamente da Gv, ed equivalente a 327 grammi circa, corrisponde a quanto può contenere un vasetto come quello citato da Mt, che non quantifica l’unguento. La sezione Gv 13,1-17,26 tratta della Cena di Gesù. In questa sezione Gv non parla della Pasqua che Gesù celebrò secondo il suo calendario, ma si rifà esplicitamente a quello farisaico: dice infatti (13,1b) “Pro tēs eortēs tou paskha Prima della festa di Pasqua”, riferendosi alla festa calcolata secondo il calendario templare. Ad essa farà riferimento in 18,28; 19,14.31.42, e che aveva già indicato ai vv.12,1 e 11,55 in particolare, dove la chiama esplicitamente paskha tōn Ioudaiōn la pasqua dei Giudei, laddove i Giudei sono essenzialmente i farisei, secondo una scelta stilistica e forse teologica tipica di Gv. Se il suo vangelo è infatti posteriore alla Caduta di Gerusalemme e quindi alla Diaspora – come io credo anche se alcune voci, poche ma significative, vorrebbero renderlo anteriore, con motivazioni che non andrebbero sottovalutate – Gv poteva ben identificare i Giudei con i Farisei tout court, essendo scomparse in seguito al Bellum Iudaicum tutte le altre sette ebree, esclusi i cristiani stessi. Gv non narra nulla della Settimana Santa ad eccezione della Domenica delle Palme, in 12, 12-44. Non vi sono i discorsi del Lunedì –Martedì santo, compensati da quelli del Giovedì, con una contrapposizione non solo cronologica, ma anche contenutistica: i primi sono rivolti alla grande folla, i secondi sono per i discepoli, privi del tutto di elementi diatribici, parabolici e apocalittici. Gv omette anche ogni riferimento alla preparazione di Gesù alla sua Pasqua e al banchetto connesso: non vi è nel suo vangelo neanche il racconto dell’istituzione eucaristica. Sono forniti solo alcuni episodi: la Lavanda dei Piedi, a cui Lc aveva fatto riferimento quando aveva presentato Gesù come ho diakonōn colui che serve, la profezia del Tradimento, l’annunzio del Rinnegamento di Pietro; ad essi seguono ampi discorsi, generalmente considerati come un assemblaggio di vari temi trattati da Gesù anche in altri momenti della sua vita, ma che potrebbero benissimo essere stati pronunziati in quell’occasione, sia perché ci fu il tempo, sia perché ci sono riferimenti a ciò che Gesù fece nella serata (come quando si legge: “Egheiresthe, agōmen enteuthen Alzatevi, andiamo via di qui”, segno che da quel momento i discorsi si fanno in cammino, dal piano rialzato del Cenacolo fino al Gethsemani, o almeno che Gesù in quel momento voleva alzarsi, anche se forse differì l’uscita per ragioni contingenti). La lavanda dei piedi è introdotta dalla constatazione di Gv che Gesù amò i suoi fino all’estremo (13,1b), e l’evangelista evidenzia che Egli lavò i piedi durante la Cena (v.2 a), consapevole di ciò che lo attendeva (v.3) e del tradimento di Giuda, a cui pure prestò lo stesso omaggio (v.2). Forse Gesù si alzò per lavare i piedi mentre era sorta la discussione tra gli apostoli per capire chi fosse il più grande, di cui parla Lc 22,24-30, in cui Gesù parla di sé come di colui che serve. Forse le parole di Lc introdussero il gesto, o lo accompagnarono. Il brano giovanneo è ampio e dettagliato, e il suo senso è esplicitato da Gesù stesso, che al termine del rito fa un riferimento al traditore, citando il Sal 40,10 al v.18, che si ritrova pure in Mc in un momento successivo della Cena, quando cioè viene svelato il nome del traditore. Probabilmente Mc, condensando i riferimenti di Gesù a Giuda in un solo momento, non volle omettere la citazione fatta dal Maestro, volta a mostrare che anche il tradimento adempiva le Scritture. Il brano si chiude con una esplicita asserzione della sua divinità da parte di Gesù, perfettamente coerente con i poteri che egli si attribuì subito dopo, affermando di trasformare il pane e il vino nei suoi Corpo e Sangue, e di darli per la salvezza del mondo. Non vi è motivo di dubitare della storicità dell’autointitolazione di Gesù come Io-Sono, nome proprio di Dio nel mosaismo al v. 19, unico mezzo con cui Egli poteva incontrovertibilmente farsi riconoscere come Figlio, e non confondersi con i tanti altri Messia e mediatori semidivini attesi e venerati da vari gruppi e chiamati pure Elohim (ma non YHWH). Ciò è peraltro coerente con il modo in cui Gesù si proclamò Dio più tardi davanti ai Sacerdoti. Saltando a piè pari altri elementi narrativi, Gv, per contrasto con tanta bontà, passa all’annunzio del tradimento, introdotto al v.18 nel modo indicato. Il brano integra alla perfezione ciò che Mt e Mc non avevano descritto: parla della commozione di Gesù nel profetizzare, si sofferma sullo stupore degli apostoli e descrive il modo in cui essi, attoniti, riescono a farsi dire chi di loro lo tradirà, mediante i buoni uffici di Giovanni. Omette invece il continuo domandare dei XII su chi fosse che avrebbe tradito. La risposta di Gesù a Gv è meno articolata di quella di Mt e Mc, proprio perché la suppone, ma la integra descrivendo come egli diede il boccone a Giuda, e narrando come questi lo accettò. E’ un dato importante: anche Mt aveva detto che il traditore era colui che avrebbe ricevuto il boccone, ma non aveva detto chi lo aveva preso, nominando qualche versetto dopo direttamente Giuda chiamandolo traditore. Ossia aveva dato per presupposto che il pubblico sapesse già chi aveva preso il boccone stesso. In Mc poi non si parlava neanche del boccone offerto, ma di un generico mangiare nello stesso piatto. Giuda arrivava poi nel Gethsemani e si svelava l’identità del traditore. Similmente agiva anche Lc. Gv invece finalmente descrive dettagliatamente l’episodio, ma omette la frase di Mt 26,24 dopo quella del v. 26, come la specificazione di Mc 14,20 a. Gesù deve aver detto: “Ekeinos esti ō egō bapsō to psōmion kai dōsō autō, eis tōn dōdeka. Ho men hyios tou anthropou hypaghei, pathos ghegraptai peri autou, ouai de anthrōpō ekeinō, di’ou ho hyios tou anthrōpou paradidotai; kalon ēn autō ei ouk eghennēthē ho anthrōpos ekeinos. E’ colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò [Gv 13,26], uno dei Dodici [Mc 14,20]. Il Figlio dell’Uomo se ne va, comè scitto di lui. Ma guai a colui dal quale il Figlio dell’Uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo che non fosse mai nato [Mt 26,24].” Queste puntualizzazioni sgombravano il campo da eventuali incertezze generate dalla versione del tradimento in Lc, su cui ci siamo già dilungati. Secondo Gv Giuda uscì subito, avendo preso il boccone, per cui l’annunzio del tradimento precede l’istituzione dell’Eucarestia, ma Giuda non fu presente. Aveva assistito solo al rito ebraico. Cosa potè intendere Giuda della frase di Gesù: “Ho poieis poiēson takhion Quello che devi fare, fallo al più presto”? Evidentemente, il traditore aveva capito che Gesù sapeva della sua ambiguità. Fu questo che, imbarazzandolo, lo spinse ad uscire. O forse il contegno di Gesù gli apparve provocatorio, e Giuda decise veramente di farla finita subito con quel sognatore esaltato. Certo, non poteva immaginare che Gesù sapesse con certezza che lui lo aveva già venduto. E forse anche lui, come i XII, credette che Gesù voleva che, sul momento, facesse qualche commissione particolare. In ogni caso, solo Gesù e Giuda capirono che in quel momento la frattura tra loro era divenuta insanabile: gli altri XII sottovalutarono la sua uscita repentina, e credettero che il tradimento sarebbe accaduto più in là nel tempo. Gv dice cosa Gesù affermò all’uscita di Giuda (vv.31-35); a questo breve discorso sul luogo dove Gesù va e dove nessuno lo può seguire si connette il brano della profezia del rinnegamento di Pietro, quello del corpo della Cena, descritto da Lc, e distinto da quello di Mt e Mc che invece si colloca esplicitamente alla fine della serata. Si tratta dunque di armonizzare Gv con Lc. Gesù alla domanda di Pietro “Kyrie, pou hypagheis? Signore dove vai?” rispose così: “Hopou hypago ou dynasai moi nyn akolouthesai, akolouthēseis de hysteron. Dove avdo io per ora non puoi seguirmi. Mi seguirai più tardi”. E a Pietro che protesta la sua disponibilità a dare la sua vita per lui, Gesù ribatte: “Tēn psykhēn mou hyper sou thēsei? [Gv 13, 36-38 a; poi andrebbe Lc 22,32-33] Simōn Simōn, idou ho satanas exētēsato hymas tou siniasai ōs ton siton. Ego de edeēthēn peri sy, ina mē eklipē ē pistis sou. Kai sy pote epistrepsas stērion tous adelfous sou. Ho de eipen autō: Kyrie, meta sou etoimos eimi kai eis fylakēn kai eis thanaton poreuestai. Ho de eipen: legō soi, Petre, ou fōnēsei sēmeron alektōr, eōs tris me aparnēsē mē eidevai [opp.: amēn amēn legō soi, ou me alektōr fōnēsē, eōs ou arnēsē me tris. Gv 14,38, a mio avviso da preferire]. Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli. E Pietro gli disse: Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte. Gli rispose: Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte abbia negato di conoscermi [in verità in verità vi dico, non canterà il gallo prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte].” Dopo questo brano potrebbe con profitto inserirsi Lc 22, 35-38 con il suo riferimento alla imminente lotta. Questo discorso potrebbe aver turbato i discepoli e giustificherebbe la ripresa di Gv 14,1, con tutti i discorsi che seguono, in casa fino a 14, 31 – momento in cui s’inserisce la seconda profezia del rinnegamento di Pietro, insieme a quella di tutti gli altri discepoli, riportata da Mt e Mc - e poi fuori, in una collocazione spaziale imprecisa, che viene lasciata in 18,1, quando si dice che Gesù exēlthen uscì, da Gerusalemme e andò oltre il Cedron. Se però consideriamo l’aoristo exēlthen come coordinato in modo fittizio con peran andò al di là (del Cedron) – come sembra suggerire l’asindeto che li lega – potremmo ritenere che Gesù, una volta uscito dalla città, si sia intrattenuto nella valle del Cedron e lì abbia terminato i suoi discorsi. Infatti, in 18,1 a si dice: tauta eipōn avendo dette queste cose – ossia avendo terminato i discorsi, che a loro volta difficilmente possono essere stati fatti per strada. Nella quiete della valle del Cedron dalla parte di Gerusalemme, Gesù potrebbe aver benissimo continuato a parlare coi suoi. In quanto alla sovrabbondanza dei discorsi stessi, essi attestano ciò che già Lc aveva fatto intuire integrando lo schema essenziale di Mt e Mc, ossia che la Cena non fu solo il momento dell’Eucarestia e dei tradimenti, ma anche l’ultima occasione per una ricca catechesi. Gv evidenzia solo questo aspetto, forte di quelli già sottolineati dagli altri Vangeli. |