LE “STORIE” DI GIOVANNI CANTACUZENO:
CARATTERI DI UN’OPERA A CONFINE TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
A cura di: Eugenia Toni
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II parte

L'opera

La fiducia: Cantacuzeno dice di essersi sempre fidato di Alessio Apocauco, benché Andronico III avesse ben presto indovinato i disegni del perfido parakoimomenos, e avesse fatto più volte notare a Cantacuzeno che doveva essere più lungimirante in merito ai veri propositi delle persone (30). In seguito, il Nostro fu lusingato dalle promesse di Anna di Savoia e dal patriarca Giovanni Calecas, e si abbandonò alle speranze senza nutrire alcun sospetto (31).

La sincerità: benché Romani e Barbari abbiano riconosciuto la potenza, la saggezza e l’esperienza di Cantacuzeno (32), quest’ultimo si esprime su se stesso in questo modo: “Io sono inferiore in bravura, saggezza e competenza militare a molti illustri contemporanei, ma non sono inferiore a nessuno per ciò che riguarda la rettitudine e la sincerità.” (33)

Confessa come sia incapace di una menzogna o di un’invenzione (34), e contrariamente ad Apocauco si attiene sempre alla verità (35).

La generosità: questa qualità in Cantacuzeno rasenta l’abnegazione. Spesso insiste nel fatto che egli era pronto a sacrificare le proprie risorse per il bene dello Stato (23), come anche era disposto a farsi uccidere se la sua morte avesse contribuito all’annientamento dei barbari (36).

L’equità (ἐπιείκεια): essa era una delle virtù tradizionali degli imperatori e di sicuro non mancava al Cantacuzeno. I Latini conoscevano la sua moderazione, la sua apertura, la sua generosità e benevolenza nei confronti degli amici (37). Tali caratteristiche vengono più di una volta evocate nella Storia (38), e non sono semplicemente qualità astratte e generali, poiché tutte le azioni del protagonista sono intrise di bontà e misericordia. Quando nel 1330 Andronico III era in pericolo di vita, la classe senatoriale propose al Cantacuzeno di assassinare il despota Costantino Paleologo, al fine di evitare il ritorno alla guerra civile. Il Gran Domestico non solo si rifiutò di ricacciare tale proposta, qualificandola come disumana e crudele, ma fu egli stesso ad organizzare la fuga del despota, esortandolo a nascondersi “in capo al mondo”, e dopo essersi preso cura di abbandonare sul fiume Adra una barca rovesciata per fare intendere che Costantino fosse annegato (39).

Cantacuzeno supplica il patriarca Isaia (1323-1334) di perdonare i vescovi che l’avevano tradito, invocando il perdono professato dal Vangelo e l’esempio di misericordia dato dall’imperatore (40).

Allo stesso modo quando Apocauco calunniò Cantacuzeno, Cumno ascoltò questa menzogna con stupore, chiedendosi se fosse possibile il brusco cambiamento di Cantacuzeno che, dimenticata la sua καλοκἀγαθία di un tempo, si era trasformato da uomo buono e tollerante in un uomo collerico e vendicativo nei confronti dei nemici (41).

La modestia: Cantacuzeno non pretendeva che i suoi amici s’inchinassero al suo cospetto (43), né che i senatori di Costantinopoli scendessero da cavallo quando lo incontravano (44), e quando la plebe si mise a reclamare per lui le più alte dignità (45) si arrabbiò, ed ordinò a ciascuno di rientrare in se stesso (46).

La sincerità e l’onestà: gli abitanti di Tessalonica lodavano il Cantacuzeno perché si atteneva sempre all’“amabile verità”, ed anche nelle circostanze più difficili non li ingannò mai con menzogne, ma sempre li informò delle sue opinioni senza alcun giro di parole (47).

Quando Apocauco sollecitò un incontro con Stefano Dušan, Cantacuzeno non ostacolò questo tentativo di alleanza politica, sebbene per lui stesso fosse pericoloso. Sperava che fosse manifesto (φανερὸς) al suo entourage quanto la natura del Gran Duca fosse invidiosa e malvagia, a tal punto che questi non combatteva in guerra per fedeltà all’imperatrice, ma con la speranza di conquistare il potere. Cantacuzeno invece dà più importanza alla verità che alle macchinazioni politiche (48).

La fermezza: secondo Anna di Savoia sarebbe stato più facile spostare una montagna che obbligare il Gran Domestico a modificare, anche di poco, le sue intenzioni (49). Le sue decisioni e il suo carattere (γνώμη) sono immutabili (50). La fermezza d’animo che Cantacuzeno dimostrava nei momenti difficili meravigliavano Dušan e i Serbi (51). Nella disgrazia manteneva salda la sua grandezza d’animo, la sua coerenza, e la sua dolcezza (52).

I tratti che caratterizzano il personaggio della Storia non si configurano dunque nelle tradizionali virtù classiche dell’ ἀνδρεία e della φρόνησις, né è la δικαιοσύνη, ovvero il suo senso della giustizia che è degna di lode, ma sono le qualità passive come la clemenza, la benignità, la bontà, la fermezza d’animo, e l’amore della verità ad essere valorizzate. Questo fa sì che l’uomo di cui pian piano ci formiamo un’idea non sia il politico scaltro ed accorto che potremmo credere, ma il “giusto”, che il destino ha immerso nel turbinio delle forze a cui invano ha tentato di opporsi, e che è riuscito infine ad esercitare lealmente (ἀδόλως) ed onestamente (καθαρῶς) il potere sui Romani (53).

Queste qualità non solo contraddicono le virtù tradizionali dell’uomo politico, ma le superano: egli, dopo aver tanto sopportato e tollerato da parte degli avversari, e dopo essersi trovato al limite della catastrofe, non si abbandonò, dopo la vittoria, all’assassinio e al massacro dei nemici, ma preferì la linea della conciliazione (54). Ecco come Cantacuzeno sembra trascendere la condizione umana, configurandosi in un superuomo (κρείττον εἶναι τῆς ἀνθρωπίνης φύσεως) per la sua eccezionale levatura morale non comune agli imperatori del passato (55).

L’autenticità dell’immagine che Cantacuzeno ci fornisce di se stesso e la corrispondenza dell’autoapprezzamento con la sua effettiva funzionalità reale possono essere confrontati con il duplice ritratto di Giovanni VI presentatoci nella Storia romana da Niceforo Gregora. Nei primi libri dell’opera viene delineato un vero e proprio panegirico del Cantacuzeno. Accanto alle virtù a noi note grazie all’autoritratto, quali la clemenza (56), la bontà e l’equità (57), l’assenza di rancore (58), la forza d’animo (59), l’ impegno per la pace (60) e la fede in Dio (61), viene esaltata la profonda intelligenza (62), qualità che il Nostro lascia discretamente nell’ombra.

Alla fine della sua opera, Gregora cambia brutalmente tono. Mette in rilievo l’arroganza del Cantacuzeno (63), il suo carattere difficile e quasi impietoso (64), la sua inazione ed inoperosità (65), ed il torto che ha procurato ai cristiani alleandosi con i Turchi (66) e obliando Dio (67).

Gregora ha le sue ragioni per cambiare il suo atteggiamento nei confronti del Cantacuzeno (68). Tuttavia insiste nel porre l’attenzione sul cambiamento sopraggiunto nel comportamento dell’imperatore, dopo che questi si era impossessato del potere. Allora il Nostro avrebbe potuto manifestare i migliori doni della sua natura, ma egli si rivelò prigioniero dei suoi vizi (69), e la sua trasformazione fu sorprendente (70) ed enigmatica (71).


30 Idem, I, p. 537, 22-24.

31 Idem, II, p. 52, 1-3.

32 Idem, II, p. 164, 13-15.

33 CANTACUZENO, II, p. 150, 6-9.

34 Idem, II, p. 56, 14-15.

35 Idem, II, p. 450, 5-8.

36 Idem, I, p. 181, 21-23; p. 185, 4-6.

37 Idem, III, p. 297, 6-8.

38 Idem, II, p. 502, 17-20.

39 Idem, II, p. 568, 10-11; p. 572, 20; p. 611, 4-5; p. 611, 13-15.

40 CANTACUZENO, I, pp. 396, 18-399, 4; Egli evoca di nuovo questo episodio in un colloquio con l’imperatore guarito, al quale racconta di come avesse salvato Costantino con la scaltrezza e con l’inganno: Idem, I, pp. 412, 21-413, 2.

41 Idem, I, pp. 317, 10-312, 13.

42 Idem, II, p. 121, 8-12.

43 Idem, II, p. 78, 18-23.

44 Idem, II, pp. 82, 23-83, 2.

45 Idem, II, p. 84, 10-13.

46 Idem, II, p. 85, 4-6.

47 Idem, II, pp. 310, 6- 311, 19-22.

48 CANTACUZENO, II, p. 324, 17-21.

49 Idem, II, p. 32, 2-4.

50 Idem, II, p. 107, 20-22; III, p. 154, 20.

51 Idem, II, p. 266, 11-12; p. 270, 12-23; p. 272, 18-21.

52 Idem, II, p. 422, 18-20.

53 Idem, II, p. 42, 19-21.

54 CANTACUZENO, II, pp. 610, 21-611, 4.

55 KAZDAN, L’Histoire de Cantacuzène cit., p. 292.

56 NICEFORO GREGORA, Nicephori Gregorae Bizantina Historia [CSHB], a cura di L. Schopen, voll. I-III, Bonn 1830, II, p. 615, 6 (da ora sigl. GREGORA).

57 Idem, II, p. 590, 5.

58 Idem, II, p. 643, 19-20.

59 Idem, II, p. 609, 15-18.

60 Idem, II, p. 776, 12-14.

61 Idem, II, p. 615, 12-14; p. 620, 9-10.

62 Idem, I, p. 432, 10-11.

63 Idem, III, p. 107, 18.

64 Idem, III, p. 160, 22-23; p. 197, 3-4.

65 Idem, III, p. 106, 17-20.

66 GREGORA, III, p. 162, 18; p. 196, 11-13.

67 Idem, III, p. 159, 15-16; 160, 4-5.

68 J. DRÄSEKE, Kantakuzenos’ Urteil über Gregoras, in «BZ», 10 (1901), pp. 106-127: l’autore chiarisce i rapporti tra Gregora e Cantacuzeno.

69 GREGORA, III, p. 56, 4-7.

70 Idem, III, p. 57, 20-22.

71 Idem, II, p. 800, 6-8.


Theorèin - Novembre 2010