LE “STORIE” DI GIOVANNI CANTACUZENO:
CARATTERI DI UN’OPERA A CONFINE TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
A cura di: Eugenia Toni
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V parte

Cantacuzeno e Tucidide

La Storia del Cantacuzeno si configura come l’opera più soggettiva della prosa storica bizantina (263). Il carattere unico della soggettività di Cantacuzeno, che è l’apologista di se stesso, e dà incontestabilmente una relazione personale dei fatti, consiste nell’arte di centrare e focalizzare il racconto sul suo eroe. Prima di lui la stessa prosa storica bizantina ha sempre avuto come obbiettivo non gli avvenimenti ma il tempo, che in questo genere è sempre aperto. Anche nelle Vite dei Santi il racconto non si conclude con la morte del personaggio, ma si prolunga con dei miracoli postumi. La Cronaca, anche quando si fonda sul racconto di diversi regni, è sempre aperta su due fronti: all’inizio si riattacca ad un momento storico iniziale (inizio del mondo, la creazione di Adamo), e alla fine, come nel caso degli storici più originali quali Psello e Coniate, ammette anche una continuazione, un prolungamento del racconto stesso. La Storia di Cantacuzeno è il primo monumentale esempio di prosa storica bizantina, in cui l’obbiettivo del racconto è strettamente limitato nel tempo. Questa delimitazione logica e cronologica si compie in due modi. Innanzitutto noi non abbiamo a che fare con la storia dell’impero bizantino dal 1320 al 1356, ma con la storia della guerra civile, della lotta per il potere, dell’ascesa e della caduta di Giovanni Cantacuzeno. In secondo luogo, il materiale storico raccolto risponde al fine prefissato dall’autore, e si pone in linea con la tradizione del romanzo bizantino, secondo cui egli celebra il superamento degli ostacoli e la vittoria su tutti i nemici grazie all’ “Altissimo” (264). Questo stereotipo, caratteristico dello schema del romanzo bizantino, viene poi contraddetto dalla caduta tragica e fallimentare dell’eroe, come si è accennato agli inizi del capitolo.

La differenza che esiste tra la struttura annalistica dell’opera di Gregora e l’omogeneità della Storia del Cantacuzeno è stata molto rimarcata (265). Mentre nel primo sopravvive l’organizzazione cronologica del materiale storico, nel secondo è la struttura tematica che trionfa, in quanto è un’opera strettamente organizzata e concentrata sul soggetto. L’omogeneità non comporta assenza di ripetizioni, al contrario, Cantacuzeno ricorre volentieri alla reiterazione (266). Così, nell’occasione di una sua conversazione con gli ambasciatori di Galata (nel 1345), riassume le peripezie della guerra civile: “ cominciando dall’inizio, egli racconta loro tutto” (267). Parla di nuovo della sua amicizia con Andronico III, della sua fedeltà ad Anna di Savoia, del complotto di Apocauco, del patriarca ingannatore, dell’assenza di umanità dei suoi nemici, dei suoi numerosi tentativi di ristabilire la pace (268). Cantacuzeno ripete a suo figlio Matteo il racconto della guerra che oppose il giovane contro Giovanni V, sebbene gli avvenimenti siano conosciuti sia da Matteo che dal lettore (269). Lo stesso episodio viene dunque esaminato dal punto di vista obbiettivo dell’autore, e poi dalla prospettiva soggettiva dell’eroe. La tendenza verista dell’opera fa sì che il soggetto dell’iterazione sia sempre Cantacuzeno stesso, permettendo al lettore di convincersi che il racconto dell’autore coincide con quello dell’eroe.

Diversamente da Kazhdan, Teoteoi (270) attribuisce il cospicuo numero di iterazioni nella Storia al fatto che di certo Cantacuzeno non ha riletto le sue memorie dopo averle scritte, per mettere un po’ di ordine nella sua composizione. Il Nostro ritorna su di un fatto o su di un personaggio, e lo caratterizza allo stesso modo, dimenticando (o dando l’impressione di dimenticarsi) di aver già scritto la stessa cosa, come se invece ne parlasse per la prima volta. Ad esempio egli parla molte volte del suo desiderio di ritirarsi in convento: esprime due volte la sua predilezione per il monastero di Vatopedi sul Monte Athos (271). Un altro dettaglio che avvalla l’ipotesi che egli non abbia riletto l’opera è che il testo non contiene mai riferimenti a ciò che è stato detto precedentemente o a ciò che seguirà. Tale comportamento è comunque abituale negli storici bizantini che, preoccupati di dare alla loro esposizione un carattere di più fluido e scorrevole possibile, e conformemente ad un piano strutturale ideale precostituito, impiegano correntemente tale espediente. Nel Cantacuzeno invece, ogni capitolo dei quattro libri della sua Storia possiede una sua individualità. Ad ogni modo, vi sono dei casi in cui fa riferimento al corso ulteriore del racconto. Per esempio, alla fine di un’esposizione sulla questione degli Zeloti di Tessalonica, le cui sommosse crearono difficoltà al Cantacuzeno, poiché penava nel descrivere tali avvenimenti, e stanco di non essere riuscito a completare la descrizione di questo episodio, conclude così: “queste cose saranno raccontate un po’ più tardi” (272).

Si sa che la Storia comincia con la corrispondenza fittizia tra Nilo e Cristodulo, il quale promette al suo interlocutore di redigere obbiettivamente gli avvenimenti. Terminando il suo racconto, Cristodulo dichiara di aver concluso il suo compito: “Caro Nilo, nella misura delle mie forze ho compiuto la missione di cui mi hai incaricato” (273). E ancora i termini della lettera introduttiva di Cristodulo sono ripetuti: “io non mi sono sottratto alla verità” (274), nota, “e il lettore potrà riconoscerlo grazie al racconto della grandezza d’animo degli uni e della perfidia degli altri” (275). Il fine della narrazione non è, come dice Cristodulo a Nilo, una lezione astratta della Storia, ma la lotta di Cantacuzeno contro la malvagità del Megas Dux Apocauco, incarnazione del male diabolico. La Storia, infine, è un monumento letterario che ha prodotto un nuovo tipo di eroe, ed ha creato dei nuovi procedimenti letterari. Se si può parlare di tendenze umaniste nella letteratura bizantina del XIV secolo, queste vanno ricercate senza dubbio nell’opera del Cantacuzeno.

I. 1 Cantacuzeno e Tucidide

In Giovanni Cantacuzeno troviamo molte reminiscenze di Tucidide. Che il nostro autore conosca bene lo storico greco è assolutamente certo. Parisot così si esprime: “La lingua di Cantacuzeno è irreprensibile, tanto che sembra di ritrovarvi quella di Tucidide” (276). Ad una simile lode probabilmente Cantacuzeno si sarebbe rallegrato. Ora analizziamo alcuni passi della Storia presa in esame, evidenziando il parallelismo tra i due autori con alcuni esempi. Il discorso dell’imperatore Andronico III al suo esercito, prima dello scontro contro le truppe turche nel 1329, richiama fortemente il passo tucidideo in cui due condottieri Knemos e Brasidas si rivolgono all’esercito spartano, prima di una battaglia in mare nel 429 a.C. (277) L’analogia consiste soprattutto nella situazione psicologica in cui le due armate, in circostanze storiche del tutto diverse, vengono a trovarsi. I soldati, inoltre, dovevano essere incoraggiati dopo le sconfitte precedenti, perché fossero poi pronti per la missione successiva. Un elemento assente in Tucidide, ma presente in Cantacuzeno, è che Dio ha castigato i Bizantini per i loro peccati, facendo vincere i Barbari. D’altra parte, si trova solo in Tucidide l’elogio della superiorità in mare degli Ateniesi. Brasida confronta a ragione l’inesperienza (ἀπειρία)  con il coraggio (τόλμα), mentre in merito a tali termini così si esprime Andronico III : “…ὑμεῖς δὲ οὔτε ἐμπειρίᾳ τῇ πρός τάς μαχας λείπεσθε τῶν βαρβάρων, ἀλλὰ καί τῇ τόλμῃ πολὺ προέχετε αὐτῶν (278). Era dunque consuetudine, presso gli scrittori bizantini, citare gli autori classici senza nominarli, e a questo gioco intellettuale neanche Cantacuzeno si sottraeva. Egli, nonostante riproponga, come nell’esempio riportato, interi passi tratti da Tucidide, riesce a dare nuovi significati e sfumature ai motivi trattati (279). Ad esempio è chiaro come il Nostro attinga abbondantemente allo storico greco per descrivere l’epidemia di peste diffusasi nell’impero nel 1347. Difficile è che Cantacuzeno si sia ispirato a Procopio di Cesarea, vista non solo la divergenza nell’uso terminologico, ma anche nella proporzione della descrizione della peste, che in quest’ultimo ha quasi un volume doppio rispetto a Tucidide. La proporzionalità del racconto in Procopio, Tucidide e Cantacuzeno è rispettivamente di 6 : 3 : 2 (280). Sia Tucidide che Cantacuzeno iniziano con il descrivere l’origine e la diffusione della terribile epidemia. Tucidide evidenzia l’intensità della peste, il fallimento della medicina, come di qualsiasi rimedio umano e religioso (281), Cantacuzeno esordisce con la notizia che la malattia aveva colpito suo figlio Andronico, a cui fa seguire l’espandersi di questa in quasi tutto il mondo civilizzato (282). L’invincibilità (ἄμαχον)  del male viene affermata dal Nostro, che mette in evidenza come sia i forti che i deboli, e sia coloro che avevano assistenza medica, che quelli che non l’avevano, tutti morivano allo stesso modo: “καί οἱ μάλιστα θεραπευόμενοι ὁμοίως ἀπέθνῃσκον τοῖς ἀπορωτάτοις(283) Cantacuzeno anticipa questo concetto, che al contrario in Tucidide è posticipato. Cantacuzeno continua confermando che, quell’anno, tutte le malattie conosciute degeneravano naturalmente nella peste (284). La sintomatologia è dettagliatamente descritta, sin dall’inizio del racconto, da Tucidide: “πρῶτον μὲν τῆς κεφαλῆς θέρμαι ἰσχυρὰι (285). Cantacuzeno inizia definendo la durata della malattia, da uno a tre giorni circa, differenziandosi obiettivamente da Tucidide che parla di circa 7- 9 giorni; si sofferma allo stesso modo sui sintomi che partono dalla testa; spiega l’inefficacia del bere e la presenza d’insonnia che tormenta gli ammalati; conferma l’immunità di coloro che sono stati contagiati, ma che sono miracolosamente guariti (286). Cantacuzeno poi, dopo aver menzionato, autonomamente da Tucidide, l’effetto differente della medicina sui singoli, si sofferma sulla generale disperazione dei contagiati (287). Lo storico greco nota come l’epidemia superi qualsiasi altra malattia umana, in quanto anche gli animali che venivano a contatto con i contagiati morivano (288). Ciò è ripreso da Cantacuzeno (289) che, a sorpresa, vi inserisce la morale cristiana, in quanto Dio ha mandato questo morbo agli uomini perché si correggessero: “ὑπὸ Θεοῦ τοῖς ἀνθρώποις ἐπενηνεγμένον πρὸς σωφρονισμόν(290). Tucidide parla di disordine e anarchia (ἀνομία): la gente, a causa del mortifero morbo, cancella ogni timore religioso ed ogni rispetto per le leggi umane e divine, si assiste all’obnubilamento della ragione e al crollo di ogni valore, regna l’indifferenza (291). Nel Cantacuzeno abbiamo una situazione ben diversa, probabilmente dovuta all’influenza della morale cristiana che, già nel racconto dell’epidemia di peste a Costantinopoli nel 542 così come è descritta da Procopio di Cesarea, stimola all’uso della ragione anche nelle circostanze più drammatiche (292). Cantacuzeno dice che la peste riconduceva molti alla ragione, (σωφρονισθέντες)  sia coloro che erano stati colpiti dal male, sia quelli che erano sopravvissuti: essi si tenevano lontani da ogni infamia ed esercitavano la virtù (ἀρετή). In gran parte facevano la carità ancora prima di contrarre la malattia, mentre quelli che si erano già ammalati si pentivano dei loro peccati, e sempre con atti di carità cercavano di sottrarsi alla punizione eterna. Vi era, però, chi era cocciuto, e non faceva nulla di tutto questo (293). Notiamo come Cantacuzeno prenda grande spunto da Tucidide, senza che l’emulazione e la mimesis sfocino nel plagio, in quanto, come accennato precedentemente, il Cantacuzeno stesso arricchisce di nuovi spunti e significati un testo pure molto simile. Accanto alla descrizione dell’epidemia di peste, possiamo ritrovare consistenti analogie tra i due autori partendo dal racconto che Cantacuzeno fa della στάσις, ossia della guerra civile. Dopo l’incoronazione del Nostro, avvenuta a Didimoteico (26 ottobre 1341), lo scoppio del conflitto vede lo schieramento di due opposte fazioni: il partito popolare dei Paleologi che, sotto l’egida di Alessio Apocauco, aveva la sua roccaforte nella capitale Costantinopoli, e quello degli aristocratici o δυνατοί che a loro volta sostenevano il Cantacuzeno soprattutto nelle città di Tracia. Analogamente una situazione simile si ritrova in Tucidide nella descrizione della fase iniziale della guerra peloponnesiaca, quando gli Ateniesi sostenevano il partito popolare, e gli Spartani quello oligarchico nelle singole πόλεις. Si spiega facilmente come Cantacuzeno, in occasione del racconto della rivolta popolare ad Adrianopoli, alla fine del 1341, riprenda il noto capitolo di Tucidide, nel quale è descritta la guerra civile provocata dagli aristocratici a Corcira (294).

 

TUCIDIDE III 1. 82, 1: οὕτως ὠμὴ ἡ στάσις προυχώρησε, καί ἔδοξε μᾶλλον, διότι ἐν τοῖς πρώτε ἐγένετο, ἐπεὶ ὕστερόν γε καί πᾶν ὡς εἰπεῖν τὸ Ἑλληνικὸν ἐκινήθη, διαφορῶν οὐσῶν ἑκασταχοῦ  (295).

CANTACUZENO II 177, 5-9: οὕτω χαλεπὴ ἡ στάσις ἐξαρχῆς εὐθὺς ἀνήφθη. ἔδοξε δὴ καί μᾶλλον χαλεπωτέρα ἐκ τοῦ πρώτη παρ᾽ αὐτοῖς γενέσται, ἐπεὶ ὕστερόν γε καί πᾶν τὸ ̒Ρωμαικὸν εἰς ὠμότερα πολλῷ καί χαλεπώτερα ἐξετράπη, τῶν μὲ ἑκασταχοῦ δήμων (296).

 

TUCIDIDE III 2. 82, 2: ἐν μὲν γὰρ εἰρήνῃ καί ἀγαθοῖς πράγμασιν αἱ τε πόλεις καί οἱ ἰδιῶται ἀμείνους τάς γνώμας ἔχουσι διὰ τὸ μὴ ἐς ἀκουσίους ἀνάγκας πίπτειν˙ ὁ δὲ πόλεμος ὑφελὼν τὴν εὐπορίαν τοῦ καθ̉ ἡμέραν βίαιος διδάσκαλος καὶ πρὸς τὰ παρόντα τὰς ὀργὰς τῶν πολλῶν ὁμοιοῖ (297)

CANTACUZENO II 178, 5-11: ε̉ν μὲν γὰρ εἰρήνῃ καὶ πολέμων ἀπουσίᾳ αἱ τε πόλεις καί οἱ ἰδιῶται ἀμείνους ἔχουσι τάς γνώμας καί πρὸς αἰσχρὰς καί φαύλας πράξεις ᾕκιστα ἄν ἐξάγοιντο διὰ τὸ μὴ ἐς ἀκουσίους ἀνάγκας περιπίπτειν. Ὁ δὲ πόλεμος τὴν καθημέραν εὐπορίαν υφαιρούμενος, βίαιος διδάσκαλος γίνεται (299).

3. 82,4:  (298). τόλμα μὲν γάρ ἀλόγιστος ἀνδρεία φιλέταιρος ἐνομίσθη

178, 14: ἥ τε ἀλόγιστος ὁρμὴ ἀνδρία ἐνομίσθη  (300).

Questi sono solo alcuni esempi (301) che dimostrano come le infiltrazioni della lingua di Tucidide nella Storia non disturbano l’intera struttura dell’opera, anzi ne aumentano, anche agli occhi del lettore moderno, il valore letterario come la credibilità storica, a tal punto che, le memorie di Cantacuzeno si pongono come migliore esempio di mimesis bizantina (302). Per concludere, infine, ritornando all’idea generale dell’opera, riassumiamo che il progetto compositivo della Storia di Cantacuzeno è finalizzato alla ricostruzione e alla ricerca della verità. Quest’ultima è il riflesso della Verità, di un piano e disegno divino e provvidenziale che guida la mano dell’autore come dell’attore degli avvenimenti descritti (303).


263 KAZHDAN, L’Histoire de Cantacuzène cit., p. 323.

264 CANTACUZENO, III, p. 261. 7-9.

265 R. GUILLAND, Essai sur Nicéphore Grégoras, Paris 1926, p. 239.

266 Sull’ “iterazione” nel romanzo bizantino: S. V. POLJAKOVA, Iz istorii vizantijskogo romana, Moscou 1979, pp. 106-110.

267 CANTACUZENO, II, p. 505, 7-8.

268 Idem, II, pp. 505, 8-507, 21.

269 Idem, III, pp. 347, 7-348, 18.

270 TEOTEOI, La conception de Jean VI Cantacuzène sur l’état byzantin cit., p. 171.

271 CANTACUZENO, III, pp. 177 e 308.

272 CANTACUZENO, III, p. 105.

273 Idem, III, p. 365, 1-2.

274 Idem,III, p. 364, 7-9

275 Idem,III, p. 365, 3-8.

276 PARISOT,Cantacuzène, homme d’Etat et historien cit., p. 6.

277 TUCIDIDE, La guerre du Péloponnèse, texte établi et traduit par Raymond Weil [Les belles lettres], livres I-VIII, Paris 1967 (da ora sigl. TUCIDIDE); CANTACUZENO, I,  345, 4-15~TUCIDIDE, II, 87, 3; I, 346, 1-5~II, 87, 9.

278 CANTACUZENO, I, 345, 13-15: (=…Voi non per l’esperienza nelle battaglie siete inferiori ai Barbari, ma per il coraggio siete di molto superiori a loro.)

279 H.HUNGER, Thukydides bei Johannes Kantakuzenos beobachtungen zur mimesis, in «Jarbuch der Österreischischen Byzantinischen Gesellschaft XXVI», Wien 1976, pp. 181-193 (da ora sigl. : JByzG).

280 HUNGER, Thukydides bei Johannes Kantakuzenos cit., p. 185.

281 TUCIDIDE, II, 47, 3-4.

282 CANTACUZENO, III, 49, 15-22.

283 CANTACUZENO, 50, 1-4 : (=… Coloro che venivano curati morivano allo stesso modo di chi era senza mezzi [per potersi curare] ); TUCIDIDE, II, 51, 2: ἔθνῃσκον δὲ οἱ μὲν ἀμελείᾳ, οἱ δὲ καί πάνυ θεραπευόμενοι (= …morivano per mancanza di cura, ma [morivano anche] coloro che venivano curati assiduamente.)

284 CANTACUZENO, III, 50, 4-7; TUCIDIDE, II, 49, 1.

285 Idem, II, 49, 2: (=… li assalivano forti vampe al capo).

286 CANTACUZENO, III, 50, 22-51, 1~TUCIDIDE, II, 49, 5-6.

287 Idem, II, 51, 4~CANTACUZENO, III, 51, 23-52, 4.

288 TUCIDIDE, II, 50, 1.

289 CANTACUZENO, III, 52, 4-6.

290 CANTACUZENO, III, 52, 7.

291 TUCIDIDE, II, 53, 1-4.

292 HUNGER, Thukydides bei Jhoannes Kantakuzenos cit., p. 188.

293 CANTACUZENO, III, 52, 16.

294 TUCIDIDE, III, 82, 1-83, 1~CANTACUZENO, II, 177, 5-179, 11.

295 (=…Così feroce progredì la guerra civile, e sembrò di più, perché fu il primo tra i mali, poiché in seguito sconvolse, si può dire, tutto il mondo greco, devastato tutto ovunque).

296 (=…Così grave infiammò subito sin dal principio la guerra civile. Sembrò ancora più penosa per il fatto che fosse la prima presso questi, dal momento che poi tutto il mondo greco si volse a cose più crudeli o molto più gravi, ovunque presso i popoli).

297 (=... Nella pace e nelle circostanze favorevoli, le città e i privati hanno migliori sentimenti, poiché non cadono in necessità inevitabili; la guerra, invece, strappata la prosperità quotidiana, è una maestra brutale ed eguaglia alle circostanze del momento le passioni della folla).

298 (=...La temerarietà irriflessiva venne considerata coraggio in difesa della propria parte).

299 (=...In pace e in assenza di guerra le città ed i privati hanno disposizioni migliori, e si trascinerebbero meno alle turpi e spregevoli azioni poiché non cadono in necessità inevitabili. La guerra, sottraendo la prosperità quotidiana, è una maestra brutale).

300 (=...L’ardore irriflessivo venne considerato coraggio).

301 TUCIDIDE, III, 82, 1~CANTACUZENO, II, 177. 13; 82, 3~178, 11-14; 82, 5~178, 16-20; 82, 8~179, 5-7; 83, 1~178, 23-179, 2.

302 HUNGER, Thukydides bei Johannes Kantakuzenos cit., p. 193.

303 MAVROMATIS, Les historiens à Byzance cit., p. 83.


Theorèin - Febbraio 2011