LA TEOLOGIA CRISTIANA. APPUNTI PER UN CORSO SISTEMATICO

A cura di: Vito Sibilio
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NOVISSIMA VERBA
Elementi di escatologia cattolica

“Voglio vedere Dio. Ma per vederLo bisogna morire”

(Santa Teresa di Lisieux)

“La Resurrezione della Carne è la fede dei cristiani.
Credendo in essa siamo tali”.

(Tertulliano)

CHE COS’E’ L’ESCATOLOGIA

L’escatologia è quella branca della dogmatica che si occupa delle realtà ultime e definitive della vita dell’uomo e dell’esistenza del mondo. Infatti la parola greca tà èskata indica le cose ultime. Essa verte sul compimento della salvezza e della speranza cristiana, quando la Redenzione giungerà a compimento. Compiuta la Remissione dei peccati nell’economia sacramentale (1), i fedeli giungono alla vita eterna attraverso un percorso progressivo – morte, Giudizio particolare, Oltretomba tripartito (Inferno per i reprobi, Paradiso per i giusti, stazione temporanea in Purgatorio per i fedeli da purificare), Apocalisse, Resurrezione della Carne, Giudizio finale, Vita Eterna- per cui l’escatologia cattolica – e cristiana in genere – è detta mediata, per distinguerla da due concezioni ereticali, l’immediata e la remota. La prima afferma che dopo la morte, in una sorta di curvatura spazio-temporale o addirittura iperspazio-temporale, il singolo già arriva alla Resurrezione del corpo; la seconda sostiene che, dopo la morte, il singolo cessa completamente di esistere in attesa di una rinascita in cui sarà definitivamente premiato o punito. La prima ipotesi è contraddetta dalla sopravvivenza in questo mondo delle spoglie mortali dei defunti, oltre che dalla prosecuzione dell’esistenza del mondo stesso, nonché dalle profezie della Scrittura, che presentano l’escatologia come qualcosa da compiersi ancora. La seconda postula l’inesistenza dell’anima, contraddetta non solo dalla ragione ma dalla promessa che Cristo stesso fa al Buon Ladrone (Lc 23, 43), di essere con Lui, quel giorno in Paradiso, oltre che da numerosi altri luoghi biblici (2).

L’escatologia è la parte più importante, dal punto di vista pratico, della dogmatica. E’ il fine del nostro agire. Lo scopo della nostra esistenza e della storia. La meta a cui Dio ci guida. Il compimento da Lui voluto. Nella sua attesa, l’escatologia è già operante, in una sorta di trasformazione kairologica della vita, che nell’attimo già gusta l’eterno, attraverso la Grazia presente in lei, che è già pregna di immortalità, anche se in modo invisibile. La valenza trasformatrice della speranza escatologica fu già rilevata dal filosofo Heidegger. L’uomo che vive in vista dell’eskaton è come sulla soglia del tempo e dell’eternità, in una sorta di liminalità (3), che nei soggetti più impegnati assume i connotati di una esistenza ascetica se non monastica.

Purtroppo nella predicazione contemporanea la Chiesa spesso dimentica queste dottrine, e l’uomo smette di chiedersi: Quid ad aeternitatem? Cosa giova per l’eternità? Ma l’attenzione deve essere costante. Solo nell’eskaton l’uomo si compie. Se l’attesa cessa, cessa anche la tensione. Se l’eskaton non esistesse e noi avessimo avuto fiducia in Cristo solo in questa vita, saremmo da compiangere più di tutti gli uomini, come già ammoniva San Paolo.

LA MORTE

La prima, drammatica tappa che dobbiamo percorrere per entrare nelle ultime cose è la morte: il nostro, il mio, il tuo morire. La morte, unica certezza della vita, possibilità nullificatrice delle altre possibilità dell’esistenza, pietrificatrice del senso delle nostre scelte, è il massimo enigma del nostro stesso vivere. Esso infatti tende sempre ed inesorabilmente verso di essa. La morte è il grande ostacolo che esorcizziamo ogni momento, ma inutilmente. Come si concepisce dunque cristianamente la morte? Anzitutto va detto che essa è naturale, ossia una fine che Dio ha imposto a tutte le creature viventi, così come ha posto un termine all’esistenza di ogni cosa, purchè materiali. In tal senso la morte non solo è inevitabile, e rivela la limitatezza della creaturalità umana, ma è anche necessaria. Essa permette l’avvicendamento delle generazioni, la sopravvivenza del sistema – mondo, la trasformazione della materia. Morire è la condizione dei corpi viventi. Ma se ogni corpo vivente sfugge la morte – finchè può – per istinto di conservazione – altrimenti perderebbe da subito la vita – è altrettanto vero che l’uomo – unico tra i viventi – si pone il problema della morte, sia dei suoi simili che di se stesso. In questa maniera la morte diviene tema esistenziale, diviene problema insolubile: come mai l’uomo, assetato di vita, deve morire? Cosa soddisfa questo suo bisogno immediato e assoluto, visto che tutti gli altri bisogni sono soddisfacibili? La deduzione è che l’uomo abbia una parte di sé che sopravvive al morire, la stessa che coglie la problematicità della morte stessa. Ma se questa parte – l’anima, di cui dicemmo sin dall’inizio – fa sopravvivere la persona umana, come mai l’uomo muore in modo traumatico? La morte appare così come una punizione, un retaggio del peccato: quello Originale e attuale. Dell’uno e dell’altro castigo, la morte diviene problema essenzialmente perché, in seguito al peccato, l’uomo è in distonia con se stesso. Obliato della sua parte spirituale, credendo che con il corpo scompaia tutto se stesso, spaventato della sofferenza che accompagna il morire, l’uomo teme e fugge la morte inutilmente, spesso in una vita che si affanna nei piaceri per fingere di procrastinarla. Proprio in tal maniera morire è castigo: sia nel suo compiersi, che nell’attenderlo. Solo la dottrina del Peccato Originale spiega all’uomo il senso ancestrale del suo morire come condanna, chè altrimenti esso sarebbe sempre incomprensibile ingiustizia. E proprio perché peccatore, privato di uno stato originario in cui il morire fosse meno traumatico o addirittura – preternaturalmente – un addormentarsi, l’uomo viene redento. La sua morte diviene così un passaggio, una liberazione, una conformazione al mistero redentivo. L’uomo passa tramite la morte da questo mondo all’altro; da una vita all’altra. Egli è liberato dalla precarietà della condizione terrena, dalle sue sofferenze, dalle sue gioie effimere. Egli può, accettando il suo inevitabile destino, con i dolori che in genere l’accompagnano, uniformarsi al Suo Redentore e contribuire alla salvezza del mondo con il sacrificio più grande, quello della vita, che viene ricompensato con un vivere migliore. Si nota qui lo stile di Dio, Che ha voluto sottrarre all’imperio del peccato le sue maggiori conseguenze, per farne strumento di salvezza. Perciò la morte è la porta che, al termine della vita, apre l’accesso all’eternità. E’ la meta agognata dei Santi. E’ la promessa mantenuta per gli Eletti. E’ Dio stesso Che ci chiama nel morire, e noi aneliamo alla morte come mezzo per vederLo, per vivere pienamente, per raggiungere il nostro compimento. Ci prepariamo al morire nella consapevolezza del distacco, del giudizio, della vita eterna. Ci avviciniamo al trapasso raccomandandoci a San Giuseppe, che della buona morte – serena e soprattutto in Grazia – è patrono. Perciò il nostro cristiano morire è un appuntamento con Dio, ovviamente serio e impegnativo, ma non distruttivo, non annichilitore. Ma la morte è anche lo spauracchio delle anime prave: esse non possono sfuggirle, né scampare a ciò che viene dopo (4). La fede non toglie alla morte né la sua drammaticità né il suo dolore, ma le attribuisce un senso e uno scopo (5). In questa prospettiva, la cosa più importante del morire non è tanto il quando o il come, ma il fatto stesso che accadrà.

IL GIUDIZIO PARTICOLARE

Come recita la Lettera agli Ebrei (9, 27) “è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopodiche viene il Giudizio” (6). L’anima di ogni defunto, appena liberata dal corpo, si trova alla presenza di Dio, attraverso un processo metafisico compiuto dagli angeli (7). Costituita innanzi alla Maestà del Creatore Uno e Trino, Che è anche Redentore nella Sua Seconda Ipostasi, può contemplare – per divina permissione – l’Essenza Divina, ossia Ciò per Cui è stata creata. Essa si riempie di quella Bellezza e scopre immediatamente di esserne assolutamente bisognosa. Nel frattempo, Dio giudica l’anima: lo stato in cui è morta- se di grazia o meno- la mole di peccati commessi, la quantità e la qualità del bene fatto (8). Se l’anima è morta nel bacio di Dio, accettando la Sua Grazia o perseverando in essa, è accolta nella Beatitudine eterna (il Paradiso). Se essa invece ha rifiutato la Salvezza o non l’ha cercata, ossia se si è ostinata nei peccati, magari persino in punto di morte, o in tal frangente non ha ritenuto di doversi riconciliare col suo Dio, allora è avviata alla Dannazione eterna (l’Inferno). Quelle anime elette che sono ancora da purificare, in quanto non si sono pentite del tutto o per nulla delle loro colpe veniali – pensieri, parole, opere e omissioni – o pur essendosi pentite delle mortali non lo hanno fatto per puro amore di Dio ma solo per timore del castigo, e che non hanno fatto in tempo in terra a purificarsi di tali scorie – la pena dovuta alle colpe rimesse - sono avviate ad una fase di purificazione transitoria, per poi essere accolte in Cielo (il Purgatorio). I tre verdetti sono connessi alla visione di Dio: il primo è la conferma della visione stessa; il secondo è l’interdizione perpetua di tale visione; il terzo è la sospensione temporanea di tale visione. L’uomo, che ha in Dio il Suo Bene e Fine, trova premio, castigo temporaneo o definitivo proprio godendone o essendone privato.

Nel Giudizio particolare trionfano la Giustizia e la Misericordia di Dio. La prima, perché ognuno è chiamato, senza appello, alla valutazione di Colui Che tutto sa. La seconda, perché solo essa rende possibile la giustificazione e la salvezza nel loro compimento. Coloro che si dannano non rendono disonore alla Divina Misericordia, perché in vita ricevettero il dono gratuito della giustificazione e i mezzi per salvarsi. Coloro che si salvano non oltraggiano la Giustizia di Dio, perché Egli realmente li ha giustificati. In ogni Giudizio particolare trionfa il Padre nel compimento del Suo disegno, il Figlio nella Sua funzione di Giudice che fa il consuntivo dell’opera redentiva da Lui stesso compiuta a vantaggio dell’anima, lo Spirito Santo che illumina l’anima stessa sullo stato in cui è vissuta e in cui Lui stesso ha albergato. Di questo Giudizio sono resi edotti i Santi e gli Angeli con la Vergine SS. Costoro, se in terra ancora fino all’ultimo possono intercedere per la Salvezza del morente, unendosi a Cristo stesso che media nello Spirito Santo presso il Padre, dopo la morte possono solo chiedere, per i loro meriti, una abbreviazione del processo purificatorio, compiendo così un atto di carità, qualora la Bontà di Dio glielo ispiri. Tuttavia tali richieste possono essere respinte, in quanto solo il Giudice, ossia Gesù Cristo, Che emette il verdetto in Nome della Trinità degli Eguali – tutto vedendo e potendo nell’Unica Natura Divina – può commutare, permutare e valutare ciò che ognuno merita, e sovranamente concedere in base alla Sua Misericordia.

I REGNI DELL’OLTRETOMBA

Superato il Giudizio ogni anima entra in uno dei tre regni oltretombali citati: l’Inferno, il Purgatorio o il Paradiso. Essi sono definiti luoghi o stati, ma nessuno di questi due termini rende appieno l’idea. Infatti essi sono popolati di anime, e le anime sono prive di estensione spaziale. La loro è una estensione logica e metafisica, per cui terminano di essere laddove cessa il loro modo di essere, per cui, ad esempio, ogni anima non è un’altra. Ragion per cui parlare di spazio in relazione all’Oltretomba non è molto esauriente. Certo le anime non sono infinite come Dio, per cui anch’esse sono localizzate, sia pure in senso non fisico, in una modalità che ci sfugge. Inoltre esse, essendo libere dalla materia, sono al di fuori di ogni luogo fisico, sebbene possano interagire con il mondo sensibile. Da questo noi spesso arguiamo che i Regni dell’Oltretomba sono contigui al mondo sensibile. Più propriamente dovremmo dire che il mondo sensibile è in un certo senso dentro quello metafisico, perché è vincolato da leggi che per esso non valgono, sebbene anche quello metafisico abbia le proprie (9). In un certo modo, sono dimensioni parallele e convergenti ad un tempo, stringhe che si legano pur rimanendo differenti e diverse. Non a caso la Genesi esordisce dicendo che in principio Dio creò il Cielo e la Terra. Quel Cielo non è il firmamento, di cui parla in seguito l’Autore Sacro, ma è la dimensione ultraterrena nella quale il Creatore colloca le entità immateriali o angeli e poi anche le anime. La Terra invece è tutto l’Universo materiale. Sono dunque diversi, ma legati, perché connessi in una sola realtà creata. E’ il Cielo detto intellettuale da Sant’Agostino, ossia una dimensione legata solo alle realtà intellegibili, e non a quelle sensibili. Questo Cielo – il mondo oltretombale o iperuranico o metafisico che dir si voglia – è dunque il luogo delle anime e degli spiriti angelici; è il Paradiso; in esso diciamo che vi è Dio, ma propriamente è esso stesso che è in Dio, il Quale, essendo infinito, è ovunque o, ancor meglio, non è da nessuna parte, perché nulla Lo può contenere.

Seguendo il filo della concezione spaziale dell’Oltretomba, in contrapposizione al Cielo si concepisce l’Abisso, ossia quel luogo metafisico in cui precipitano gli Angeli ribelli. Esso è il contrario del Cielo intellettuale, ossia è il luogo dove non vi è possibilità di comprendere l’Essenza suprema. E’ creato da Dio come luogo del castigo. E’ contiguo al mondo materiale più di quello celeste, perché più simile al primo – anche se infinitamente peggiore – che al secondo. Infatti sempre nella Genesi leggiamo che, quando ancora la Creazione era in fieri, le tenebre ricoprivano l’Abisso. E’ un naturalismo per indicare come appunto al di sotto della terra deserta e informe vi era già il luogo della dannazione angelica, destinato ad accogliere anche le anime dei peccatori, ossia l’Inferno. Si parla di abisso proprio per indicare la assoluta e incolmabile distanza esistente tra quel luogo e quello celeste. Sebbene anch’esso non sia esterno a Dio ed esista per Suo volere, in esso di Dio, per Sua volontà, non vi è traccia.

In una stazione intermedia vi è il Purgatorio, contiguo - continuando a sviluppare la concezione spaziale dell’Oltretomba – all’Abisso perché parzialmente privo di Dio, ma anche al Cielo, perché preparatorio ad esso.

Più recentemente la teologia ha cominciato a concepire l’Oltretomba come una serie di stati differenti. Poco importa dove siano le anime, purchè si sappia come stiano. In questa concezione il tema della localizzazione dello spirito rispetto alla materia e viceversa è bypassato. Non è perciò semplificata la questione, ma anzi diviene più complessa. Le anime potrebbero essere in questo mondo, e fare la loro eternità in mezzo a noi, in una condizione diversa. Questo è sicuramente vero, purchè c’intendiamo sul fatto che esse sono in questa dimensione come se la loro propria fosse incastrata nella nostra e viceversa. Altrimenti la differenza tra i due stati – terreno e ultraterreno – non avrebbe senso. In tale concezione, il Cielo è la felicità dell’anima in Dio, l’Abisso la sua disperazione senza Lui, il Purgatorio la sofferenza temporanea. Il pregio di questa concezione è il superamento di immagini infantili e animistiche dell’Aldilà, anche se consacrate dalla tradizione umana (10). L’una e l’altra concezione – la locale e la condizionale – sono compossibili: l’Aldilà diviene un luogo in cui si entra per la condizione che si vive; è una condizione che è vivibile solo mediante l’uscita dalla pienezza di questa dimensione. Obiettivamente, di più non si può dire.

Il regno più temuto, più spaventoso, più orripilante nella mente umana – a giusto titolo – è quello dell’Inferno. Gli inferi o ade sono etimologicamente i luoghi sotterranei, come appunto anche l’Abisso. Ossia sono i luoghi della condizione più bassa. All’Inferno sono i demoni – che però, nonostante il loro stato di dannati, possono infestare la Terra – e le anime dei cattivi (11). Esse vi precipitarono da subito dopo la morte, anche prima di Cristo. Infatti prima di Lui non si poteva ricevere il premio, ma si poteva già avere il castigo. Coloro che muoiono in peccato mortale – ossia senza essersi pentiti delle loro gravi colpe – precipitano lì. Tali colpe mortali sono per tutti gli uomini le violazioni dei Dieci Comandamenti, che la ragione può conoscere; per i cristiani anche le mancanze alla morale soprannaturale basata sulla Fede, la Speranza e la Carità (12). La condizione infernale è eterna. Chi muore in peccato mortale non può più modificare la propria scelta di vita, è pietrificato per sempre nella sua cattiveria. L’uomo può scegliere di cambiare solo in questa vita. Ragion per cui l’anima all’Inferno non può mutare il suo stato. Non vi è dunque alcuna redenzione finale per i dannati, come erroneamente insegnato da alcuni, sin dall’antichità (13), a dispetto del chiaro insegnamento evangelico – Gesù dice che il fuoco della Geenna (ossia la valle dei rifiuti) è eterno (14) – e biblico in genere. Non vi è neanche una insensibilità e incoscienza, quasi che i dannati muoiano una seconda volta, come altri pure sostengono errando. Seppure si parla di morte eterna nella Bibbia, il senso dell’espressione è fissato nell’Apocalisse, quando vi leggiamo che la Seconda Morte consiste nell’esser gettato nello Stagno di Fuoco, per esservi torturati in eterno (15). Ma in che cosa consiste la tanto nominata dannazione?

Essa è la perdita di Dio. Tale perdita è la pena del danno. La perdita di Dio è il vero unico irreparabile danno che l’uomo può subire, perché solo Dio è il Bene vero, supremo, eterno, di per sé, e in cui sono goduti tutti gli altri; solo per Dio l’uomo è fatto; solo in Dio l’uomo trova compimento e realizzazione. Ma il peccatore, che ha preferito il male al bene in questa vita, il non-essere all’essere, la creatura al Creatore, nell’altra vita, quella vera, in cui potrebbe vedere Dio, ne è logicamente privato. Siccome poi Dio è infinito, nel momento in cui l’anima lo vede, prova una gioia infinita, che diviene tormento infinito quando tale vista le viene tolta. Tale tormento è eterno, perché le anime sono immortali e conservano per sempre il dolore di tale perdita. In tale perdita, che è quella del Bene Sommo, l’anima perde ogni altro bene, per cui l’Inferno è il luogo e lo stato di tutti i mali, o meglio, di nessun bene. Il più grande orrore che la mente possa concepire non sarà mai pallidamente simile alla più lieve pena infernale.

In questa atroce e tremenda condizione si distingue la pena del senso, ossia il fuoco eterno.

Tale fuoco, spirituale, tortura l’anima con la consapevolezza del male compiuto, del dolore che ne deriva, della disperazione della propria condizione. E’ cioè la pena infernale subita come castigo del male fatto, intesa come punizione speculare alla ricompensa perduta. E’ essa anche eterna, perché solo una punizione eterna può scaturire da un danno eterno, e solo una pena eterna può essere comminata a chi ha offeso l’Essere Infinito ed Eterno. Questa pena, spesso oggi tralasciata perché ritenuta infantile, non è certo più grande della prima, di cui è una modalità. Ma è altrettanto vero che esiste ed è il castigo di cui Gesù parla più diffusamente nei Vangeli. Se noi uomini fossimo sempre consapevoli di ciò che ci attende in caso di dannazione, peccheremmo molto meno. Meglio salvarsi per paura che dannarsi per iattanza.

L’Inferno è quindi un oceano sconfinato di dolore in cui l’anima, limitata, si perde. Ad alcuni tale luogo sembra incompatibile con la Bontà Divina. Ma tale obiezione è fragile. Innanzitutto Dio è anche giusto, ed è proprio della Giustizia dare a ciascuno il suo. E il peccatore che Lo offende merita un castigo proporzionato, ossia infinito come Lui; non potendo l’uomo essere infinitamente punito, lo è eternamente. Inoltre Dio crea esseri razionali – uomini e angeli – che devono scegliere tra bene e male: tale scelta, per quanto dilazionata, dovrà pure essere una volta definitiva, e sarà eterna perché sia le anime che gli spiriti angelici sono immortali. In aggiunta, Dio ha creato la Beatitudine, non la Dannazione. Essa nasce, sia pur per decreto divino, come antitesi: non vi si trova nulla di ciò che vi è nella prima. Infine, Dio, per salvare l’uomo, Che ha creato capace di pentimento, non ha esitato a sacrificare per lui il Suo Figlio Unigenito, il Quale ha preso carne per soffrire infinitamente – ossia per compensare quelle pene che l’uomo avrebbe meritato senza sconti nell’Inferno. Possiamo dire che Cristo ha patito l’Inferno sulla Croce, Lui innocente, per noi peccatori, per non mandarci in quel luogo. Ci ha salvati prima ancora che noi stessi potessimo desiderare la nostra stessa salvezza. Ha restaurato la nostra libertà; ci ha ridati la Grazia santificante; ci ha fornito la Grazia attuale e di stato per compiere il bene; previene, sostiene e compie ogni nostra buona opera; ci nutre col Suo Corpo e il Suo Sangue; ci inabita del Suo Spirito; ci unisce al Suo Corpo Mistico che è la Chiesa; ci dà l’ausilio della Madre Sua, degli Angeli, dei Santi; suscita in noi il pentimento del male e lo sprone al bene; incessantemente ci perdona, ci purifica e ci rinnova; ci parla con la Sua Parola; ci guida coi Suoi ministri e i Suoi dottori, con la loro dottrina e con il loro esempio; ci predestina, ci elegge, ci chiama, ci santifica. A tutti gli uomini ha concesso, concede e concederà la possibilità della Salvezza mediante le vie ordinarie e straordinarie della Grazia. Dio non è insensibile al dramma dell’Inferno, anzi è Lui Che ci allerta sul rischio che la sola ragione ci fa balenare agli occhi. Quale destino vi può essere infatti per i malvagi, oltre la vita, quando vedranno quel Dio Che follemente disprezzarono, scambiando la Sua mitezza per debolezza o addirittura credendo che Egli non esistesse? Solo per questo ognuno dovrebbe temere un castigo eterno. Ma la Rivelazione, in aggiunta alla nostra riflessione, ce lo conferma. E come potremmo noi credere che, senza pentimento alcuno, all’altro mondo, magari dopo un Inferno temporaneo, accanto alla Vergine SS. ci possa essere, tanto per dire, un Adolf Hitler o uno Stalin? Dicono bene quei Santi che insegnano che sulla soglia dell’Inferno vi è Cristo Crocifisso. Per entrarvi, bisogna calpestarlo senza ritegno. Certo, la vita è spesso difficile, e la via della salvezza è aspra e stretta. Ma la Grazia è onnipotente e la Misericordia Divina inesauribile. Dove non arriva la santificazione, arriva il perdono. L’antidoto all’Inferno è la fiducia nella Bontà Divina, nel cui volere c’è tutta la ragione e l’efficacia della forza che vuole tutti salvi.

In quest’ottica, molti oggi sostengono che nessuno si danni, proprio per un trionfo assoluto della Bontà Divina che tutti santifica. Tuttavia la Scrittura presenta una folla di dannati (16). Non bisogna dunque credere che tale svuotamento dell’Inferno sia necessariamente reale. E’ una possibilità perfettamente confacente alla Bontà Divina, ma non è uno sbocco necessario. L’infallibile azione della Grazia, concessa a tutti, non annulla la responsabilità umana e quindi non permette di postulare la salvezza necessaria di ognuno. La Grazia è sempre efficace: se salva, perché accolta; se non salva, perché rifiutata, senza inficiarne la capacità. Perciò dannarsi non è incompatibile con la Bontà Divina, anzi contribuisce a farla risaltare, perché donata gratuitamente e nonostante ciò respinta, rendendo ancor più meritata la sorte del castigo.

La condizione del dannato è semplicemente tremenda e terribile. Gesù esorta a qualunque sacrificio per evitare il fuoco eterno, compreso il paradossale taglio della mano e del piede.

Il dannato non sa niente, non può niente, non è moralmente niente. E’ il fallito totale, per sempre. Ogni dannato soffre in modo diverso, in base ai propri peccati, nel senso. Ma tutti soffrono per sempre, e senza confini nella pena del danno.

Coloro i quali, morti prima di Cristo, terminarono la loro vita nella Grazia, con una fede almeno implicita nel Redentore venturo, sia nel Popolo Eletto che fuori di esso, andarono in un luogo – o si trovarono in uno stato – provvisorio, ossia lo Shèol o Limbo. Luogo di sospensione e attesa, esso fu popolato da tutti i giusti da Adamo fino a San Giuseppe e a San Giovanni Battista. Nella Parabola di Lazzaro Gesù lo descrive come seno di Abramo, luogo di abbraccio con il Patriarca. In esso scese Cristo stesso dopo la Morte, per annunziare – come dice San Pietro (17) – ai defunti la loro liberazione. E questi santi morti tornarono in vita spiritualmente –avendo la piena Grazia – ed entrarono nella Celeste Gerusalemme, come dice San Matteo (28, 51-53), descrivendo ciò che avvenne dopo che Gesù spirò. Per loro la terra si scosse e le rocce si spezzarono; sono loro i corpi dei santi che risuscitarono. Oggi questo Limbo, detto dei Padri, perché vi stazionarono i Santi del Vecchio Testamento, è vuoto o, se vogliamo, nessuno si trova nella condizione che lo contraddistingue.

Controversa invece è la questione del Limbo dei Bambini. Essendo il Battesimo – di desiderio o sacramentale – indispensabile per la salvezza, si deduce che i bambini morti senza di esso e privi di colpe proprie non possano avere la Beatitudine. Perciò la Chiesa ha insegnato per secoli che essi andassero in un luogo di felicità naturale, appunto il Limbo, dove rimarranno anche dopo la Resurrezione dei Corpi (18). Oggi, contrariamente a quanto si dice, non è negata l’esistenza del Limbo, ma si mette in evidenza che la Volontà Universale di Salvezza di Dio può raggiungere anche coloro che non hanno ricevuto il Battesimo senza colpa e non hanno commesso peccato. Per cui la necessità teologica di un Limbo pieno di abattezzati scompare, perché tutti i non battezzati sarebbero anch’essi raggiunti dalla Grazia in modi sconosciuti, sebbene rimanga valida l’istanza teorica per cui un non battezzato non possa essere né dannato senza colpa propria né ammesso alla beatitudine. Su tali modi ho detto io stesso – a livello personale – nella parte sulla Giustificazione. Essi però non sono definiti per fede e rientrano nelle modalità operative della Misericordia di Dio a cui i non battezzati sono affidati. Perciò non si tratta di negare che esista un Limbo per i non battezzati, ma di affermare che anche essi possono essere messi in condizione di raggiungere il Cielo, mediante l’azione invisibile di terzi, che per la loro fede ottengono per essi un battesimo di desiderio. Rimane fermo il principio, infatti, che senza battesimo non ci si salva. Il Cielo non è un diritto. E’ un dono. Certo Dio lo offre a tutti, ma non è detto che tutti lo debbano accettare. E se c’è chi merita volontariamente l’Inferno, vi può essere chi non merita, involontariamente, il Paradiso e soggiorni, sia pure ipoteticamente, nel Limbo.

Il Purgatorio è il Carcere biblico dal quale Gesù dice che non si esce senza aver pagato anche l’ultimo spicciolo (Lc 13, 59). E’ il luogo dove erano le anime per cui i Maccabei offrivano suffragi già nell’AT (2 Mac 12, 40-46). In esso dunque si andava anche prima dell’apertura del Cielo. E’ il fuoco mediante il quale si salvano coloro che agiscono in modo imperfetto (1 Cor 3, 10-15). E’ il luogo in cui vengono perdonati i peccati non rimessi, in quanto alle pene – se mortali – o anche alle colpe – se veniali – in terra (Mt 12, 32). La parola Purgatorio, ossia luogo o stato di purificazione, nella Bibbia non c’è. Ma è nella Tradizione, sia greca che latina, almeno fino alla divisione delle Chiese (19). Vanno in Purgatorio tutti coloro che, morti in Grazia di Dio, non hanno ancora soddisfatto il debito contratto con la Sua Giustizia. Tale debito si commisura sulla legge naturale per i non cristiani e sulla Legge Evangelica per i battezzati. I cristiani sono degni del Purgatorio se debbono ancora espiare la pena dovuta per i loro peccati, sia mortali perdonati che veniali, questi ultimi anche non confessati (20). La pena aumenta se i peccati veniali da espiare non sono mai stati perdonati, perché non sono stati confessati o non sono stati oggetto di pentimento perfetto. In genere, tutte le colpe, anche gravi, di cui non si ha il pentimento perfetto o contrizione (21), ma solo l’imperfetto o attrizione (22), vengono espiate in Purgatorio, se non già in questo mondo. Ciò che non hanno espiato in terra volontariamente o per sventure a loro inflitte da Dio e debitamente sopportate o con pene canoniche o con le indulgenze (23) vanno ad espiarlo in Purgatorio. Ciò che le anime, non rispondendo pienamente alla Grazia proveniente da Cristo, non hanno voluto lavare in se stesse, lo purgano in quel luogo oltretombale. Anche innanzi al Purgatorio vi è infatti il Crocifisso, e anche lì si entra solo se si vanificano le Sue sofferenze, nella misura in cui sono orientate ad espiare le pene, oltre che le colpe. Le une e le altre sono infatti lavate dal Sangue di Gesù, e Lui ha sofferto per eliminarle entrambe, completamente, in tutti. Ma non tutti attingono ai mezzi messi a disposizione per tale scopo: i Sacramenti (24), il pentimento, le opere buone, la penitenza, la preghiera (25). Allora la Bontà di Dio accende un fuoco di amore che permette a chi è impuro di essere degno della Visione celeste che altrimenti non potrebbe vedere. Non sarebbe infatti giusto né privarli della Beatitudine, né introdurli in essa alla pari di chi è morto senza macchia. In Purgatorio si espia dunque mediante una pena del senso, infinitamente inferiore a quella dell’Inferno, ma incomparabilmente superiore a qualunque tormento terreno, anche solo immaginato. Tale pena esisteva da prima che Cristo venisse in questo mondo. Nel Nuovo Testamento, in cui viviamo oggi, le anime defunte in Grazia ma bisognose di purificazione, sono private della visione di Dio Uno e Trino che hanno avuto nel Giudizio Particolare (26). Tale pena della privazione di Dio non è una dannazione, perché non è né eterna né totale. Le anime purganti infatti, pur non vedendo Dio essenzialmente, sono unite a Lui in modo reale più di qualunque santo in terra, perché non possono più perderLo. In questa privazione esse soffrono altre perdite, parziali e temporali, di beni che così completano la loro purificazione. Questa stazione in Purgatorio è una fase preparatoria dell’Eternità, un prolungamento del tempo: infatti essa finirà, e solo dopo inizierà il soggiorno beato, senza fine.

Le Anime Sante del Purgatorio, anche se non battezzate in vita se non per desiderio, sono parte della Chiesa stessa, sono anzi una delle Tre Chiese della Comunione dei Santi, la Sofferente. Esse sono infinitamente felici nel loro immenso dolore, perché possiedono Dio stabilmente e definitivamente. Esse sono rassegnate e conformate al Divino Volere; si amano perfettamente tra loro e amano noi; amano Dio immensamente e perfettamente e da Lui sono riamate; conoscono nel Signore moltissime cose, a cominciare da ciò che riguarda loro, i propri cari e argomenti che li toccano, fino a segreti passati e futuri; intercedono per i vivi; spesso comunicano con essi nel sogno o in visione, e se prendono cura. Le loro sofferenze sono diseguali, essendo diverse le colpe da purgare. Spesso Dio le concentra per liberarle prima, o accetta l’azione di suffragio fatta dai vivi o dai Santi del Paradiso; in genere la durata del Purgatorio è abbastanza lunga, anche se non eccederà la Fine del Mondo, quando anche quel luogo sarà chiuso e nessuno sarà più in quello stato. Per ora molti fanno il Purgatorio nei luoghi ove vissero, mentre altri sono privi di ogni contatto con questo mondo. Da noi attendono il suffragio, come dicevo, sotto forma di preghiera, sacrificio, elemosina e soprattutto attraverso la Santa Messa. Essi non soffrono nulla nelle Messe offerte per loro. In particolare tra le preghiere le indulgenze, applicate ai defunti come suffragio – ossia valide in base alla devozione di chi le lucra – possono liberare del tutto dalle pene le Anime Purganti, quando sono plenarie. Nessuno deve abbandonare la soprannaturale speranza della salvezza dei propri cari, redenti da Cristo col Suo Sangue. Perciò tutti devono ricordare i defunti, venerarne i corpi cristianamente sepolti (27), suffragarli e consolarsi con la certezza morale di rivederli un giorno.

Le anime di coloro che si sono purificate in Purgatorio o che, al momento della morte, non hanno più bisogno di purificazione, vanno immediatamente in Paradiso. Il termine indica in greco il Giardino, quindi un luogo ameno e gradevole. Ma ben più ricca del significato del termine è l’esperienza che attende i Beati. Essi, che sono i predestinati, gli eletti glorificati, i chiamati che hanno corrisposto, vengono da oriente e occidente, da settentrione e mezzogiorno; sono una moltitudine incalcolabile, che hanno la palma del martirio – ossia della testimonianza – nelle mani e hanno lavato le loro vesti nel Sangue dell’Agnello. Così li descrive l’Apocalisse. Sono di ogni lingua, tribù, popolo e nazione. Vengono da fuori e dentro la Chiesa visibile. Sono pienamente, stabilmente, eternamente incorporati nel Pleroma del Cristo, e con Lui già regnano sulla Terra e sul Cosmo. Essi hanno la Grazia suprema, la Visione Beatifica, attraverso il Lume della Gloria: contemplano l’Essenza Trinitaria e Unitaria di Dio. Tramite tale Lume, donato da Dio a compimento della vita virtuosa, essi vedono Dio come Egli è. La Sua Natura Onnipotente, Onnipresente, Onnisciente, Eterna, Immutabile, Ingenerata, Imperitura, Perfettissima è palese alle loro intelligenze; la Sua Sostanza di Amore, di Bontà, di Giustizia, di Benignità, di Benevolenza, di Misericordia, di Bellezza, di Soavità, di Gaudio e di ogni perfezione inimmaginabile è offerta al loro amore; la Sua Essenza meravigliosa, affascinante, seducente, irresistibile, appagante, soddisfacente, inebriante, coinvolgente, stupefacente oltre ogni dire e immaginare, semplicemente ineffabile, è oggetto unico della loro volontà. In Dio, Sommo Bene e Fonte di ogni bene, Principio Unitario e Fontale del Bene, Termine fisso di ogni desiderio, le anime elette trovano la piena, stabile, traboccante, inesauribile, interminabile, esondante, esorbitante, soffocante felicità, l’appagamento di ogni aspirazione, il dono di tutti i doni e di quanto neanche si pensava esistesse, il premio di tutte le azioni compiute e la ricompensa immeritata, la pace, la gioia, la serenità, la felicità, la realizzazione, il successo, la ricchezza, la passione spirituale, la conoscenza e la fama, l’amore che le ama senza limite alcuno, senza termine, senza condizioni. Le anime si inabissano nella Infinita Grandezza di Dio: passano l’eternità a scendere sempre di più nell’abisso luminoso della Divinità, a ubriacarsi della Divina Ebbrezza, a nutrirsi della Sostanza Celeste, a vivere la Vita Eterna, a illuminarsi dello Splendore abbacinante, ad acquietarsi nella Pace senza fine, ad abitare nella Casa immensa. Mai finirà la contemplazione trasformante che infonde scienza, gioia e ogni bene in proporzione a Chi è contemplato; mai si esaurirà. Gli eletti possono immergersi nella Potenza del Padre, nella Sapienza del Figlio, nell’Amore dello Spirito. Possono comprendere il Mistero del Dio Uno e Trino, delle Relazioni tra le Ipostasi Divine, della Doppia Natura e dell’Unica Sussistenza del Verbo. Il mistero dell’Incarnazione, della Nascita, della Vita, della Passione, della Morte, della Resurrezione e dell’Ascensione di Gesù è per loro chiaro, e per essi fonte di felicità. Misurano la immensità del Dolore e dell’Amore della Passione e Morte di Cristo, e Lo amano immensamente per questo. Capiscono il grande prodigio della Giustificazione, gli arcani della Predestinazione, dell’Elezione, della Chiamata, della Santificazione, della loro stessa Glorificazione. Comprendono il grande mistero della Chiesa quale Corpo Mistico. Contemplano la verità ascosa dietro le mistagogie liturgiche e i simboli sacramentali, cominciando dalla Presenza Reale di Cristo nell’Eucarestia. Sanno come avverà la Resurrezione dei Giusti. Possono insomma capire tutti i misteri della Fede. Tale comprensione non è solo un atto intellettuale, ma anche e soprattutto una scoperta d’amore, un oggetto di desiderio pienamente soddisfatto. Chi potrà mai descrivere la gioia elettrizzante, oserei dire folle, dei Beati? Ciò che loro sono non è ancora rivelato, ma sappiamo che vedendo Dio saremo come Lui è! Ossia saremo nella perfezione. Per sempre.

Tale contemplazione è aperta dalla Morte di Cristo, quando il velo del Tempio si strappò da cima a fondo. L’accesso si aprì e tutti i Giusti del Limbo salirono in Cielo con l’Anima Santissima di Cristo, scesa nella Fossa a prenderle. Da quel momento essi e tutti i morti contemplano già l’Essenza Divina Trinitaria. Dall’Ascensione di Gesù, contemplano anche la Sua Umanità glorificata, la Sua Sussistenza diofisita, e tramite Essa ricevono il Lume della Gloria e la Visione Beatifica. Tramite Lui, ossia, sono beati, perché Egli è il Mediatore. Il Paradiso dunque è il godimento di Dio tramite Cristo, e di Lui direttamente, e in Lui di ogni bene. Possono contemplare l’inesauribile Bellezza, Bontà, Verità e Perfezione del Verbo Incarnato, la Cui Umanità, per la Comunicazione degli Idiomi, splende della stessa gloria di Dio. Possono comprendere tutti i palpiti del Cuore di Cristo per ognuno di loro e, in Lui, dello stesso Dio. Capiscono il senso della loro vita e di tutte le vite, il senso stesso del cosmo e della storia, e ne ammirano la saggezza. Comprendono il significato di ogni gioia e dolore, della vita stessa e della morte. Sono loro rivelati persino i segreti più nascosti dell’Universo, che mai nessuno scoprirà, e tutti gli arcani di Dio. E’ noto loro il passato, il presente, il futuro, a cominciare da quello dei loro cari.

Completamente pieni dello Spirito Santo, effuso a profusione in loro dal Verbo Incarnato e Glorificato, amati in Lui dal Padre perché simili al Figlio Suo, gli eletti corrono come scintille nella stoppia, come sole brillano. Amano Dio con perfezione, e in Lui si amano gli uni gli altri, senza reticenze, invidie, gelosie, contese, in una armonia senza fine e limite. Amano anche le anime ancora in Purgatorio e nel mondo, e al loro servizio mettono i loro meriti, nella preghiera costante. Ognuna di loro fà corona a quelle più perfette tra esse, e le migliori passano alle minori la Luce che esse vedono in Dio, in una Comunione dei Santi perfettissima. I meriti e la santità di ognuno sono contemplati, amati da tutti e riverberati su tutti. Perciò tutti contemplano, in Dio, oltre al Verbo Incarnato e tramite Lui, la bellezza incomparabile della Mamma Sua, la pienezza dei Suoi splendidi misteri, la Sua Concezione Immacolata, la Sua Santità Perfetta, la Sua Maternità Divina, la Sua Concezione Verginale, la Sua Perpetua Verginità, la Sua Corredenzione, Assunzione, Regalità, Mediazione. E’ tramite Lei che il Verbo dispensa la Beatitudine, perché anche Lei continua in eterno la Sua Mediazione. Al di sotto di Lei, i Beati contemplano la perfezione dei Santi, da Giuseppe di Nazareth fino all’ultimo. Contemplano anche la Gloria dei Cori angelici, ai quali sono in un certo senso assimilati, in base ai meriti avuti in vita. Ci sono infatti Beati che ricevono funzioni come di Angeli, scienza come di Cherubini, amore come di Serafini e altre cose ancora in Cristo, Signore degli Angeli. Questa Comunione è fonte di gioia per tutti, accresce la felicità di tutti. E la relazione tra i Beati e di questi con gli Angeli, i Santi, la Vergine SS., con Cristo stesso, con Dio non è statica: essi parlano, conversano, hanno una grande intimità.

In questa perfetta felicità i Beati hanno la loro piena pace, il loro riposo in Dio Padre stesso, in Lui coloro che si sono immersi più profondamente nelle Piaghe di Cristo possono dissetarsi alla Fonte Stessa della Divinità. Partecipi del Suo Potere in Cristo, Pantocratore con Cui regnano per sempre, possono influire sugli eventi del cosmo e della storia, sono i signori del mondo. La potente intercessione dei Santi ne è una prova.

Bene dicevano gli antichi sulla felicità del Cielo, con quattro futuri latini: Vacabimus, Amabimus, Videbimus, Gaudebimus; Riposeremo, Ameremo, Vedremo, Godremo. Non finirà mai. Abbiamo sempre il Cielo innanzi agli occhi: lì è la nostra meta, lì Dio ci vuole; lì saremo felici; lì dobbiamo tendere; lì c’è ricompensa, lì dimora stabile; lì giustizia e misericordia; lì si realizzano le Beatitudini. Una tale bellezza può sola spronare per una vita intera; se per i nostri obiettivi ci sacrifichiamo anni, cosa non faremo per lo scopo stesso per cui fummo creati? Se l’Inferno ci trattiene dal peccare, il Paradiso ci insegna ad amare. Perché in Paradiso si compie il prodigio eterno e splendido della nostra Redenzione; la Caduta di Adamo è capovolta, e l’Umanità nuova è innestata in Cristo. Ben migliore è il Cielo, dello stesso Eden. In Cielo certo ogni anima avrà una beatitudine proporzionale al merito, ma tutti avranno il possesso immenso di Dio.

L’APOCALISSE

L’escatologia individuale non esaurisce il discorso sull’argomento, che esige quella collettiva. Infatti Dio ha un disegno non solo sui singoli, ma anche sull’umanità e sul cosmo.

L’escatologia collettiva è dunque quella che verte sulla Chiesa come Pleroma, e sulla conseguente trasformazione della Creazione, che geme sotto la caducità, in cui è caduta per conseguenza del Peccato dell’Uomo, e da cui sarà liberata con la restaurazione di tutte le cose nel Cristo (28).

Tutta la storia infatti è retta da Dio nella Sua Provvidenza, che è il concetto chiave della teologia della storia stessa. La Creazione va dalla nascita del cosmo a quella dell’Uomo (cosmogonia cristiana). Questi doveva vivere una storia senza contrasti nell’Eden, ma la Caduta ha spezzato l’armonia, restaurata dalla Redenzione, che permette a tale storia di replicarsi e migliorarsi appunto nell’età escatologica. Già Sant’Agostino divideva la storia in sei fasi: dalla Caduta al Diluvio, dal Diluvio a Mosè, da Mosè a David, da David all’Esilio Babilonese, dal Ritorno dall’Esilio a Cristo, da Cristo alla Fine. Queste sei epoche possono condensarsi in tre ere: Senza la Legge, Con la Legge, Con la Grazia. Esse a loro volta si scindono in Due Testamenti: l’Antico, provvisorio, e il Nuovo, definitivo. Siamo dunque già negli ultimi tempi, quelli definitivi. Nuove ere non vi saranno. Chi lo insegna mente (29). Lungo la storia, retta da Dio e quindi suscettibile di un numero infinito di letture, l’unica chiave interpretativa esauriente è solo quella della Salvezza progressivamente e infallibilmente realizzata. Come diceva San Pio da Pietrelcina, solo la Storia Sacra è oggettiva (30). Essa culmina nella Redenzione e si compie nella Fine, quando il mondo è trasformato. La Chiesa, in vista della quale è stata fatto il mondo, per entrare nell’eternità dovrà affrontare molte prove, perché gli eletti siano saggiati in modo definitivo. Nostro Signore, nei Discorsi escatologici dei Sinottici, ci descrive il futuro, inaugurato dalla distruzione del Tempio. Essa infatti chiude ciò che rimane aperto dell’Antica Alleanza. Altri elementi ci sono rivelati tramite gli Apostoli nelle Lettere. Infine, l’affresco più compiuto è dato dall’Apocalisse, che non a caso, pur significando “rivelazione”, indica ormai la fine stessa, drammatica, del mondo. La Sacra Scrittura non ha il compito di indicare quando il mondo finirà, pur dando i segni di quella fine, per tener desti i credenti. Ciò che infatti conta è la fine del mondo che per ognuno è la morte, non l’attesa della distruzione dell’Universo. Lo stesso Cristo non lo sa di scienza comunicabile. Perciò chi predica incentrandosi sulla previsione della Fine non è un profeta di Dio (31). Tuttavia la Chiesa tiene viva l’attesa e si fa pronta; peraltro la Fine è preparata da tante fini, dalla continua distruzione del male e salvezza del mondo (32).

I tempi ultimi – cioè i nostri – sono punteggiati di falsi profeti, persecuzioni ai buoni, guerre, carestie, catastrofi. Ma nell’imminenza della Fine, in circostanze non note, saranno maggiori, come monito, prova e castigo. I falsi profeti attenteranno alla vera fede e le persecuzioni tenteranno di sradicarla. La Chiesa, come Gerusalemme, sarà assediata, desolata, apparentemente distrutta. Nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi San Paolo profetizza la grande apostasia dei popoli cristiani (33) e l’avvento del falso profeta per eccellenza, l’anticristo, il destinato alla dannazione, il cui verbo infernale – individuale o collettivo – strapperà a Cristo le anime di coloro che non sono scritti nel Libro della Vita (34). L’Apocalisse descrive questa offensiva diabolica lungo i secoli, a partire da quando il demonio tenta inutilmente di divorare il Bambino partorito dalla Donna (35), e culminante alla Fine, quando si potrà scatenare come flagello, dopo i mille anni simbolici che vanno dalla Redenzione a questo periodo oscuro (36). In esso il dragone rosso, ossia satana, trasmetterà il suo potere alla bestia, che avrà con sé una seconda bestia che fungerà da falso profeta (37). Costoro, con tutti i poteri umani, sedurranno tutta la terra e perseguiteranno chi non si piega (38). La loro potenza è simboleggiata dalla grande città, che rappresenta, come Babilonia, la pienezza dei poteri blasfemi dell’uomo: essa è la grande prostituta, assisa sulla bestia stessa e che fornica in mezzo alle acque coi re della terra (39). Essa ucciderà i due testimoni simbolici inviati da Dio, Enoc ed Elia (40), segno dell’ultima estrema violenza verso la Verità. Ma di tale città viene descritta la tremenda distruzione, tramite castighi cosmici che però non convertono i malvagi (41). Solo nel combattimento escatologico (42), localizzato simbolicamente nella Valle di Meghiddo – Armagheddon – il Cristo, con la Sua Parola, distruggerà i Suoi nemici, assieme a tutta la potenza dell’Inferno e alla Morte stessa. Allora vi sarà lo sterminio dei pagani – ossia dei cattivi – essenzialmente mediante il Giudizio Universale. Allora la Celeste Gerusalemme scenderà dal Cielo come una Sposa per lo Sposo: sarà la Chiesa assunta nella Gloria. Il cielo e la terra di prima non ci saranno più e il mare, simbolo del male, scomparirà. Non vi saranno due giudizi, come alcuni erroneamente credono, ma uno solo: quello alla Fine (43). I superstiti delle catastrofi, dopo che il mondo sarà distrutto in una conflagrazione – simbolica o reale non sappiamo, ma è il termine della Seconda Lettera di Pietro – saranno testimoni del Ritorno di Cristo. Allora, su un mondo apparentemente devastato, si realizzerà la definitiva restaurazione. Sarà il tempo della Resurrezione della Carne e del Giudizio Universale.

LA RESURREZIONE DELLA CARNE E IL GIUDIZIO UNIVERSALE

Allora, ad uno squillo di tromba, i morti risorgeranno. Questo è l’approdo ultimo dell’esistenza umana, il risultato ultimo della Redenzione, la sconfitta della morte, in senso fisico. Le anime dei giusti scenderanno dal Cielo, quelle degli empi risaliranno dagli Inferi, e con loro quelle ancora in Purgatorio. Tutti i corpi allora, come profetizzato per la prima volta da Ezechiele, e poi ripetuto da Gesù stesso, oltre che dagli Apostoli, ritorneranno in vita. Sarà un apposito miracolo, perché Dio ha fatto i corpi destinati alla decomposizione. Ma per i meriti di Cristo tutti risorgeranno, ma alcuni per la vita e altri per la morte eterna. Quella immortalità corporea promessa a Adamo nell’Eden tornerà. Esaurita la discendenza di Adamo peccatore, esplicitata tutta la malizia della sua colpa e raggiunti tutti gli uomini dalla Redenzione, anche se non tutti avranno corrisposto, allora si compirà la piena restaurazione di tutte le cose come Dio le voleva.

I corpi non saranno ricreati, quasi fossero nuovi, ma saranno gli stessi, nonostante la trasformazione della materia, successiva ad ogni decomposizione, nonostante essa sia la medesima per quantità in tutto l’universo. E’ perfettamente inutile cercare di capire o spiegare come possa accadere. Avverrà in un batter d’occhio. Quel Dio che ha creato tutto dal nulla, potrà rifare i corpi senza una nuova ricreazione, violando le leggi della identità e della non contraddizione che Lui stesso ha posto alla base della Sua opera. Parliamo di Resurrezione della Carne perché la carne, biblicamente, è il corpo, che a sua volta è la persona (44). Vi è dunque la Resurrezione della persona completa, proprio nel recupero della corporeità. Una volta che tutta l’umanità sarà risorta e trasportata in Cielo, avverrà il Giudizio Universale. Anche i superstiti dell’Armagheddon saranno assunti in Cielo, senza morire. Infatti il Figlio dell’Uomo verrà sulle nubi del Cielo, alla destra della Potenza, il Padre. Così predisse Gesù a Caifa, quando fu processato.

Il Grande Giudizio avverrà innanzi a tutti. Il Cristo, non più Salvatore ma Giudice inesorabile, sarà misericordioso e terribile: infatti i salvati sono tali per misericordia e i dannati per giustizia. Per coloro che già saranno morti, il Giudizio sarà la conferma: mentre il Purgatorio sarà svuotato, i dannati soffriranno col loro corpo e i beati gioiranno con la loro carne (45). Per i superstiti del Giorno di Dio il Giudizio sarà ex novo. Gli Angeli raccoglieranno in Cielo i salvati, alla destra del Re, mentre i malvagi andranno a sinistra, sempre per mano loro. Accanto al Figlio dell’Uomo siederanno la Madre Sua e i Dodici Apostoli (46). Il Giudizio sarà basato sulla carità: Gesù nel Vangelo dice che chi avrà praticato le Opere di Misericordia si salverà e chi non le avrà fatte si dannerà, perché in ogni sofferente c’è Lui stesso (47). Naturalmente in tale formula evangelica è sussunto tutto il verdetto sui Comandamenti, le Beatitudini, la Fede, la Speranza, la Carità. Ognuno udirà con le sue orecchie di carne la sentenza: assoluzione eterna o inappellabile condanna. Tutta la storia dell’uomo e dei singoli sarà ripercorsa. Guerre, rivoluzioni, persecuzioni, stragi, violenze, sopraffazioni, depredamenti e ogni altro male causato dall’Uomo sarà giudicato. Sarà il momento in cui i poveri di spirito, i miti, i misericordiosi, i perseguitati, pacifici, i puri, gli afflitti, gli affamati di giustizia riceveranno il pieno premio promesso nel Vangelo, mentre i ricchi, i gaudenti, i malvagi saranno puniti senza appello, sempre secondo la Parola del Cristo. Ciò avverrà rapidamente. In Dio ognuno saprà tutto di tutti, il destino di tutti, per le colpe e i meriti di ciascuno. Quale terrore inabiterà tutti, anche i giusti, innanzi alla tremenda maestà del Signore. Quale sollievo nel dono della Salvezza, lo scopo supremo della nostra vita! Quale sgomento disperato nella condanna ! Facciamo sì che noi possiamo sperare di essere tra i salvati. I giusti, membri del Corpo di Cristo, saranno definitivamente e pienamente, anche col loro corpo, inserite nel Suo Pleroma. Sarà l’eterno e compiuto Cristo Totale, che regnerà per sempre su un mondo trasfigurato e spiritualizzato, sussunto nella nuova umanità, in modo misterioso. Il Cristo Totale, inabitato dallo Spirito Santo, sarà perfettamente unito al Padre tramite il Suo Capo, il Figlio, al Quale gli eletti saranno finalmente conformi. Il Cristo Totale assumerà le funzioni dei Cori Angelici, a Lui uniti per la comunanza della Grazia.

Gli esclusi scenderanno nell’abisso coi demoni, eternamente dannati con i corpi e le anime (48). Inizierà così la Vita Eterna, di gioia per alcuni e di dolore per altri (49).

LA VITA ETERNA

La Vita Eterna può essere da noi descritta soprattutto in funzione delle caratteristiche dei corpi resuscitati, uguali a quelli attuali perché umani, ma diversissimi per le proprietà, e perciò detti corpi gloriosi. I corpi resuscitati saranno innanzitutto bellissimi. Senza perdere le proprie caratteristiche fisiche, essi manifesteranno al di fuori la bellezza degli eletti, facendo cessare la dolorosa dicotomia tra l’aspetto esteriore e l’interiorità dell’uomo stesso: i corpi smetteranno di essere maschere e diverranno proiezioni dell’animo. Poi saranno agilissimi, ossia svincolati dalle leggi spaziali e temporali in ogni movimento, e come Cristo Risorto potranno essere in più posti immediatamente, o anche contemporaneamente, come i Santi in bilocazione. Saranno incorruttibili, ossia privi di malattie, dolore, passioni e senza i limiti che la sensibilità mette alla conoscenza. Rientreranno cioè nella condizione preternaturale dell’Eden. Saranno naturalmente immortali, come le anime, e in una eterna giovinezza, anzi svincolati dalla successione del tempo, perché capaci di tornare nelle fasi pregresse della vita terrena a piacimento, come il Cristo nelle Sue apparizioni, quando compare Bambino, per esempio, o anche mentre soffre nella Passione. Ma soprattutto saranno spiritualizzati: la materia assumerà le proprietà dello spirito e lo spirito avrà quelle dello Spirito Divino, almeno in parte. I corpi potranno compenetrarsi, passando ovunque. Potranno muoversi con la sola volontà. Potranno ingrandirsi o rimpicciolirsi a piacimento. Potranno assumere più aspetti. Avranno cioè le caratteristiche proprie del Corpo Risorto di Cristo, esattamente come Egli ancora si manifesta ai veggenti oggigiorno. Tali corpi, nelle persone degli eletti, saranno in Dio, nel Cielo (50). Saranno fuori dello spazio come lo concepiamo per la materia, saranno nella localizzazione logico-metafisica delle realtà spirituali, saranno in una dimensione di eternità. Parteciperanno con le anime alla felicità della beatitudine. Avranno la Visione Beatifica con gli occhi un tempo mortali. Saranno inondati dalla Luce della Gloria come il Cristo sul Tabor. Rivedranno i loro cari così come furono, e non ne saranno più separati. Ogni lacrima corporea sarà asciugata. Ogni gioia legittima restituita, ampliata, perfezionata. Non sarà più né lutto né lamento, perché le cose di prima saranno passate. Potranno relazionarsi corporalmente tutti gli eletti tra loro, e con i santi e la Vergine e Cristo stesso. E con il Padre e lo Spirito Santo. Anche gli Angeli saranno loro amici. Cosa si farà in questo Cielo senza fine non si può dire da ora, ma certo sarà una vita sempre nuova e bella, inesauribilmente soddisfacente, affascinante, seducente, amabile, appagante. Un eterno banchetto, una danza senza fine, una festa stupenda senza limiti. Gli eletti saranno, in anima e corpo, con Dio. La Redenzione sarà così compiuta. Voltandosi indietro, gli Eletti vedranno la brevità della vita mortale e sorrideranno della sua fatuità ormai passata, dei sacrifici finiti, delle gioie trascorse. Ogni cosa sarà finalmente compiuta e chiara. Inizierà l’Eternità immensamente beata. E non finirà mai. La gloria sarà proporzionata al merito, ma le proprietà dei corpi gloriosi saranno uguali per tutti.

Anche i dannati saranno nella eternità, ma di dolore. I loro corpi, ripugnanti come le loro anime, in perpetua corruzione, prigionieri di una morte continua di angoscia e disperazione, forzati dell’abisso, isolati gli uni dagli altri e persino da sé, appesantiti dalla materia trasformata in strumento di tormenti, soffriranno gli orrori della dannazione con le rispettive anime. Lì né visione né udito, né movimento, né parola, né gusto; lì né sanità o riposo; lì né serenità o pace, ma pianto senza fine, tenebre fitte e orrorifiche, stridore di denti, abbraccio disgustoso con tutta la cattiveria della storia, propria e altrui, e con quella, abominevole, di satana. Maggiore sarà stata la cattiveria e maggiore sarà l’orrore, ma la dannazione sarà uguale per tutti. Sia la nostra unica preoccupazione sfuggire a tale destino, a costo di tagliarci la mano o cavarci gli occhi, come Gesù ammonisce.

In che modo vivremo l’eternità, ritrovando le cose buone del mondo e quelle sagge fatte sulla terra, non sappiamo ancora dire. Ma la promessa di Colui Che è verace ci garantisce l’esaudimento. Perciò anche noi, come i primi cristiani, diciamo: Maran atha, Signore nostro, vieni!


1. Oggetto di trattazione più sacramentale e liturgica che dogmatica, pur essendo una verità di fede professata nel Credo. Le linee portanti le descrivemmo nel capitolo sulla Giustificazione.

2. Cfr. p. es. Lc 16, 22; 2 Cor 5, 8; Fil 1, 23; Eb 9, 27; 12, 23.

3. Termine dell’antropologo V.Turner.

4. Oltre la morte non vi è che una sola vita. Anche se l’uomo vivesse miliardi di vite, dovrebbe sempre entrare una volta nell’eterno. Per questo Dio non ha creato reincarnazione. In effetti la credenza orientale della metempsicosi o metensomatosi non ha senso, per due ragioni. La prima è che, se l’anima è il principio personale, non dovrebbe perdere la consapevolezza di sé nelle varie vite che vive, e invece ciò avviene, per cui paradossalmente ciò che gode di continuità e che determina la personalità è reso discontinuo da esistenze diverse ed è determinato da diverse corporeità nel momento stesso in cui le vivifica, e questo è un controsenso. La seconda è che, se l’anima si reincarna per premio o castigo, dovrebbe saperlo, e invece oblia completamente ciò che ha fatto prima, nelle altre vite, per cui di fatto non può essere corretta né premiata. Questa critica stringente fu fatta già da Origene. Il Cristianesimo, insegnando che l’anima è la parte personale dell’uomo, giustamente postula che essa dia la vita e la forma e non che le riceva dai corpi in cui alberga. Insegnando che ogni uomo è anima e corpo, non ammette che la prima possa unirsi ad altre materialità, senza perdere la propria identità. Insegnando che l’uomo è punito o premiato in questa vita e nell’altra in modo consapevole – cosa che la ragione può intuire se non condizionata da culture di nascita – dà valore pedagogico all’uno e all’altro atto.

5. Essi annullano il binomio ateo e nichilista della psicanalisi freudiana, eros e thanatos, per cui l’uomo sfugge la morte e segue il desiderio in modo sempre incompiuto, e lo sostituisce con quello evangelico della karis e anastasis, la gratuità dell’amore donato e la bellezza della Resurrezione. Nessuna vita è sprecata, anche la più dolorosa, perché ogni uomo è immortale, e può vivere già qui per amore di Dio e dei fratelli.

6. Il Giudizio è stato rivelato sin dall’AT. Anzi esso è verità di ragione: se oltre la morte l’uomo non fosse giudicato – pur essendo dotato di anima e pur esistendo Dio – quando i buoni sarebbero premiati e i cattivi puniti? Che il Giudizio sia necessario è stato espresso anche, in modo parziale da Kant, quando parlò dell’Essere Supremo che unisce virtù e felicità. In modo mitico, tutte o quasi tutte le religioni parlano di un Giudizio e di un verdetto susseguente, sia prima che dopo Cristo.

7. Gli Psicopompoi, già citati.

8. Tutti si presenteranno innanzi al Suo giudizio: coloro che Lo conobbero pienamente in terra e coloro che non ebbero tale grazia. Costoro saranno giudicati in base alla rispondenza che ebbero alla legge naturale o ai frammenti di legge divina da essi conosciuti.

9. In virtù di ciò le anime dei giusti possono comparire a noi dall’aldilà e in genere interagire con noi.

10. A volte di grande spessore estetico. Si pensi alla Divina Commedia con i luoghi fisici dell’Oltretomba, o agli Imrana irlandesi come la Navigatio Sancti Brendani o al Libro delle Tre Scritture. In ogni caso l’uomo ha bisogno di legare, finchè è nel corpo, i luoghi metafisici a visioni sensibili, per cui Inferno e Purgatorio sono voragini di fuoco, il Paradiso è tra le nubi. Anche i mistici vedono, attraverso immagini fantastiche, un oltretomba simbolico: si pensi alle visioni di Santa Maria Maddalena dei Pazzi sul Purgatorio.

11. Per molti Padri i demoni abitano l’aria. Segno che la loro dannazione è uno stato, almeno rispetto a quella parte del cosmo materiale che essi possono infestare. Più propriamente, ancora la loro dannazione non implica una segregazione completa. Ossia, sebbene colpiti senza remissione e pienamente, possono ancora operare, per permissione divina.

12. Non c’è bisogno di essere battezzati o anche di essere ebrei per essere condannati da Dio per ateismo, empietà, irreligione, sacrilegio, bestemmia, omicidio, violenza, furto, rapina, frode, menzogna, adulterio, fornicazione, stupro, impudicizia, oltraggio ai genitori, sedizione, desideri malvagi veementi, ecc. La ragione li scopre come peccati. Così come detesta come peccati gravi le forme cancrenose dei vizi: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia, che nuocciono a sé e al prossimo e oltraggiano Dio. In genere, i non cristiani sono giudicati sulla base della Legge dell’Alleanza a cui appartengono in buona fede: quella mosaica o quella naturale di Noè. I cristiani aggiungono a questa legge naturale la Legge evangelica, e sono tenuti all’amore di Dio e del prossimo, al perdono, alla Fede e alla Speranza soprannaturali in Dio in vista della Vita Eterna, allo spirito se non alla lettera delle Beatitudini e dei Consigli evangelici. L’odio di Dio e del prossimo, la ricerca smodata dei beni terreni costituiscono una colpa grave passibile d’inferno. Lo stesso dicasi del rifiuto di obbedire ai precetti positivi e gravi della Chiesa, sulla penitenza, il culto e la carità, dati in Nome di Dio. Peccati straordinariamente gravi sono lo scisma e l’eresia, per chi volontariamente abbandona la Chiesa Cattolica o la rifiuta. La disperazione della salvezza e la presunzione di salvarsi senza merito sono gravi peccati contro la speranza. L’ostinazione nei peccati, l’impenitenza finale sono forme di peccato che rifiutano la Grazia e conducono alla condanna.

13. La famosa apocatastasi di Origene.

14. Cfr. p. es. Mt 25, 41.

15. Ap 20, 14.

16. Cfr. Mt 25, 40 ss.

17. 1 Pt 3, 18-22.

18. La Tradizione patristica è molto forte in questo senso, specie nel Medioevo. Prima invece si sosteneva – in alcuni casi – persino l’Inferno per i non battezzati. Non c’è dunque una definizione dogmatica del Limbo, ma una sua postulazione da una dottrina certa.

19. La dottrina è sistematica a partire dal XII sec., legata allo sviluppo delle Indulgenze. E’ definita progessivamente dalla teologia alta e dal magistero. E’ oggetto di definizione dogmatica nei Concili di Lione (il Secondo, 1274), di Ferrara-Firenze-Roma (1239), di Trento (1547). Padri come Tertulliano, Cipriano, Efrem, Cirillo di Gerusalemme, Basilio Magno, Agostino, Cesario di Arles, Gregorio Magno lo attestano come dottrina della fede. Con buona pace della teologia protestante che lo respinge come contrario alle Scritture. Le Chiese Orientali oggi non hanno una posizione chiara sull’argomento, anche in polemica con la Cattolica.

20. Ogni peccato implica colpa e pena. La prima è imputata a chi non si pente e se è mortale manda all’Inferno. La seconda è imputata anche a chi si pente, anche se ridotta, e consiste in una espiazione, di valenza purificatoria. Il peccato confessato non è più imputabile come colpa e quindi non è passibile di castigo in quanto tale. Si devono confessare tutti i peccati mortali, pentendosene. Essi infatti uccidono l’anima alla Grazia. I veniali, degni di perdono, possono anche essere non confessati, ma in tal caso la colpa dev’essere espiata come la pena, anche se non eternamente.

21. Esso è il dolore per aver offeso Dio Padre infinitamente buono, di averne oltraggiato la maestà; è il dolore di aver causato la morte di Cristo; è il dolore di aver cacciato da sé lo Spirito. E’ cioè un dolore perfetto, da figlio, che rimette colpa e pena. Esso esige la Confessione sacramentale, ma in caso di morte è sufficiente, qualora non si possa confessarsi, per essere salvati.

22. Esso è il dolore di chi teme di aver perduto il Paradiso e meritato l’Inferno; di aver meritato i castighi di Dio; di chi vede la bruttezza della sua colpa. E’ dolore servile, ma valido per la remissione della colpa. E’ indispensabile che sia unito alla confessione, altrimenti non salva. Il dolore dei non cristiani, legato al loro rimorso di coscienza per l’amore naturale che hanno per Dio così come lo conoscono, oltre che per l’anima loro, può essere efficace per la preghiera d’intercessione della Chiesa, a cui essi sono parzialmente uniti come Mistico Corpo. Nessun rito non cristiano può aprire il Cielo.

23. Ossia, come dicevamo, con la remissione della pena per i peccati confessati, in base alle disposizioni dell’autorità ecclesiastica, purchè si abbia la volontà di procedere in futuro al pieno perfezionamento spirituale.

24. La Confessione rimette tutti i peccati; la Comunione i veniali; l’Estrema Unzione rimette i peccati veniali e i mortali che non possono essere confessati; il Battesimo i peccati attuali e l’Originale, in chi lo riceve da adulto.

25. Queste azioni sono praticabili anche dai non cristiani.

26. Nell’AT le anime morivano senza vedere Dio, ma solo il Suo riflesso nella natura angelica, come Mosè sul Sinai. Soffrivano dunque per una perdita parziale, perché minore era ciò che veniva loro promesso. Nel NT maggiore è la promessa e più severa la purificazione richiesta. Ma tutti, alla fine, giungono alla Beatitudine.

27. La sepoltura cristiana esige l’intangibilità del corpo, come forma ordinaria di fede nella Resurrezione. Il corpo del battezzato è in attesa della Resurrezione stessa, quindi è una specie di reliquia. Tuttavia in caso di necessità i corpi possono essere cremati. Anticamente erano sezionati per ragioni pratiche o devozionali – se dei santi.

28. Conformemente alla natura umana, creata e poi innalzata gratuitamente alla immortalità per dono preternaturale, così anche la natura creata venne, ai tempi in cui l’Uomo risiedeva nell’Eden, innalzata al rango di incorruttibile, che non le spettava di suo. La Caduta tolse anche al creato, di cui l’Uomo è vertice, la condizione di grazia concessale, per cui anch’esso attende la piena Redenzione in Cristo. E’ l’Apostolo Paolo che parla della creazione assoggettata alla caducità come castigo divino e come conseguenza della malizia dell’Uomo.

29. L’errore che fu già di Gioacchino da Fiore – che pure la Chiesa venera come beato – e in genere oggi di gruppi esoterici, come quelli della New Age, che parla dell’avvento di una o più ere cosmologiche e metafisiche da venire e da attendere, è sempre serpeggiante. Ma l’unica attesa, quella del Messia, si è compiuta. Ora rimane solo il Suo Ritorno, che chiude l’età messianica sulla terra.

30. Non tanto nei fatti, ma nel senso.

31. I gruppi millenaristi e catastrofisti, che generalmente collegano questo evento a una palingenesi religiosa e quindi a una nuova alleanza, sono in grave errore. L’Avventismo, oggi rappresentato in senso pieno dai Testimoni di Geova, si basa su un uso non evangelico dell’attesa, pur doverosa, della Fine.

32. Specie l’Apocalisse, che è un libro chiuso, di altissima profezia, il cui senso ci sfugge, serve per la lettura globale della storia umana. Scritta in relazione alla lotta di Roma contro la Chiesa, trova in questo evento la chiave per interpretare un futuro paradigmatico: persecuzione, castigo dei malvagi, liberazione. In tal senso il mondo è distrutto e rifatto più volte, e l’attesa che decodifica i segni dei tempi serve proprio a capire come il mondo stesso si avvii al castigo maturato per i peccati commessi in una certa epoca.

33. Ossia l’abbandono in massa della fede dei popoli battezzati.

34. Questa figura misteriosa generalmente è considerata una persona. Egli, non credendo in alcun Dio, farà di sé un dio e si siederà nel Tempio del Signore. Molti sono stati e sono i precursori dell’anticristo, dagli Imperatori romani pagani sino ai dittatori atei, ma egli è da venire. Non necessariamente userà violenza, anzi probabilmente sedurrà con soavità come satana, suo maestro.

35. La Donna è la Vergine – Maria, tipo della Vergine-Chiesa, e il Bambino è Cristo. Il drago vorrebbe divorarlo, ma Egli è rapito verso il Trono di Dio – l’Ascensione. Allora satana attacca la Donna, che però fugge nel deserto. Allora il diavolo le lancia dietro un fiume d’acqua – l’Impero Romano persecutore – ma la terra si apre e lo inghiotte. Tutto questo per un tempo, due tempi e metà di un tempo, ossia per trecentocinquant’anni, dalla Morte e Resurrezione di Cristo nel 30, all’Editto di Tessalonica di Teodosio nel 381, che proclama il Cristianesimo religione di Stato. Da dopo questa offensiva, satana sarà tenuto a freno fino agli ultimi tempi, quando potrà scatenare un attacco altrettanto orrendo.

36. Dalla Morte di Cristo, satana è incatenato, ossia il suo potere è drasticamente ridotto, in un mondo in cui tutti sono Figli del Padre, Membra di Cristo stesso, Tempio dello Spirito. Ma dopo un periodo simbolicamente calcolato in mille anni – ossia il grosso dell’età messianica in terra – il diavolo sarà scatenato, perché un ostacolo, che ora lo trattiene, sarà rimosso, e potrà sottoporre il mondo ad un’ultima prova, all’ultimo scoppio del suo furore disperato. Quale sia l’ostacolo, non si sa. In linea di principio, potrebbe anche essere stato rimosso, e noi potremmo essere negli ultimissimi tempi. Ma non lo può dire nessuno con certezza.

37. Queste figure simboliche rappresentano a grandi linea l’anticristianesimo e le potenze – politiche, sociali, culturali, scientifiche – che lo supporteranno. Già molte volte nella storia il dragone ha allevato bestie arroganti supportate da ampi poteri umani, che hanno sovvertito l’ordine del mondo e generato distruzione, addirittura nell’Antico Testamento, che parla con raccapriccio dei Babilonesi, di Alessandro Magno, dei Seleucidi, dei Romani. Questo specie negli ultimi due secoli. Ma sono eventi antitipici, che preparano all’ultima offensiva. Le due tetre figure apocalittiche sono la stessa sagoma dell’anticristo, che nell’Apocalisse vede scisse in due entità le sue funzioni di governo e seduzione, in quanto la bestia è adorata come un dio, per istigazione del falso profeta. In questo senso, la bestia, il falso profeta e l’anticristo sono la stessa cosa, o almeno lo sono la bestia e l’anticristo.

38. La persecuzione dei giusti, dei credenti, è tipica dell’anticristo e dei suoi precursori. Dove è versato il sangue battezzato c’è satana. Una figura forte dell’anticristo è stato il marxismo-leninismo, la cui persecuzione dei fedeli ricorda e supera quello dell’Impero Romano. Alcuni vi vedono – a titolo privato – un segno della Fine.

39. E’ il simbolo della civiltà umana costruita senza e contro Dio. La prostituzione indica la capacità di corrompere con l’idolatria; coloro che cadono in essa sono appunto gli apostati, di fatto o di diritto. Chi adora altri e non Dio è idolatra. Le acque sono il simbolo del male. Il crittogramma Babilonia nell’Apocalisse indica Roma, per prudenza. Infatti il famoso crittogramma numerico 666 indica Cesare-Nerone o Cesare-dio, in antitesi all’888 che si scioglie in Cristo-Dio.

40 Figure di Pietro e Paolo che evangelizzarono Roma, dove furono uccisi.

41. Noi non sappiamo come materialmente finirà il mondo. Non sappiamo neanche se l’umanità sarà sulla terra quando il suo tempo finirà. Né se tutto l’universo sarà distrutto col suo mondo, sebbene sembrerebbe logico. Però la Bibbia descrive la Fine in termini catastrofisti, ed è un fatto.

42. Neanche di questo combattimento possiamo dire come accadrà, se sarà realmente cruento. Ma la Parola annienterà di sicuro i nemici. E il sangue, simbolico o reale, scorrerà a fiumi.

43. Interpretando erroneamente l’Apocalisse, molti credono che ci sarà un primo Giudizio, poi Mille anni di felicità terrena, indi l’attacco diabolico, e poi il Giudizio ultimo. Ma l’Apocalisse si riferisce al tempo presente col Millennio, quindi vi è un solo Giudizio, né nuovo Paradiso in terra prima di esso. E’ l’errore del millenarismo. Analogamente, non vi sono due Giudizi plenari, ma uno. Molti millenaristi sostengono che tutti risorgeranno prima del Millennio, perché sia data a tutti la possibilità di convertirsi. Poi, scaduto il Millennio, chi passerà a satana sarà distrutto e i buoni confermati nella gioia. Ma tale dottrina è incongruente, perché Dio non fa e disfà le sue creature, oltre a non essere attestata nella Bibbia.

44. In ebraico la parola basar indica la carne intesa sia come materia carnale che il corpo. Ma siccome l’uomo non ha un corpo, ma è il suo corpo, nell’AT gli uomini sono “ogni carne”. Nel NT la conoscenza antropologica è migliore e inoltre si usa il greco, che distingue il soma, ossia il corpo, dal sarx, la carne; il soma è informato dalla psyke, a sua volta sovrastato dallo pneuma, ossia l’anima – come vita – e lo spirito – come principio immortale. Tuttavia rimane l’impianto semitico della teologia e della terminologia, specie nelle parti più arcaiche della fede, anteriori al contatto con l’Ellenismo. Perciò si parla di Resurrezione della Carme, esprimendo un concetto pregreco, sia nel VT che nel NT. Ma solo la carme umana risorgerà, e nessun’altra. Animali e piante non risorgeranno, perché non hanno anime a cui riconiungersi e non sono state redente.

45. Gli eventuali abitanti del Limbo saranno nella loro felicità naturale con il loro corpo.

46. In genere tutti i Beati saranno partecipi del Giudizio, perché condivideranno il verdetto.

47. Sono sette, dette corporali, perché legate ai bisogni del corpo: Dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare i malati; visitare i carcerati; seppellire i morti (aggiunta dalla Chiesa).

48. Non vi è seconda morte per i dannati, come alcuni, per un malinteso pietismo, sostengono. Dio non dà la morte a nessuno. Ma ognuno sceglie se vivere nella gioia o nel dolore, se nel bene o nel male.

49. Oltre tale frontiera, mai questo mondo rinascerà. Così come non fu mai prima. Questo mondo è stato creato una volta e finirà una volta, senza ripetizioni cicliche, senza eterni ritorni. Diversa è la questione di mondi paralleli e diversi.

50. Non sulla terra, come alcuni millenaristi insegnano, scindendo il destino di un numero ristretto di eletti da quello di una folla di salvati. Nulla nella Bibbia giustifica tale interpretazione. Il numero degli assunti in cielo è infatti incalcolabile e simbolicamente adombrato nella cifra apocalittica di centoquarantaquattromila, su cui inutilmente arzigogolano molti curiosi. Esso è ricavato dalla somma delle dodici migliaia di salvati provenienti da ciascuna delle XII Tribù di Israele.


Theorèin - Settembre 2010