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A cura di: Vito Sibilio
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SACRA LITURGIA

“Il mondo potrebbe stare anche senza sole
ma non senza la Santa Messa”

San Pio da Pietrelcina

La trattazione dogmatica della teologia cristiana cattolica esige, come complemento e prosecuzione, una esposizione altrettanto sintetica e icastica dell’economia sacramentale. Essa è la vita stessa della Chiesa, la sua forza olistica. La Remissione dei Peccati, articolo del Simbolo degli Apostoli, intesa come economia sacramentale nel suo complesso, si compie attraverso di essa. Due sono essenzialmente le branche teologiche che si occupano di questo argomento: la teologia liturgica e quella sacramentale. Esse sono strettamente connesse e interscambiabili. Iniziamo dalla teologia liturgica.

NATURA E COMPITO DELLA LITURGIA

La Liturgia è propriamente l’insieme delle celebrazioni liturgiche della Chiesa: la Santa Messa, i Sette Sacramenti (Battesimo, Cresima, Eucarestia, Penitenza, Olio Santo, Ordine Sacro e Matrimonio), la Liturgia delle Ore e le funzioni specifiche (1). Mediante la liturgia il cristiano può partecipare ai meriti del Cristo immolato sulla Croce e Risorto e, in essi, ai meriti della Madre Sua e dei Santi con gli Angeli. Essa è l’esplicitazione, il compimento, la prosecuzione, la replica dell’unico, eterno e inesauribile mistero pasquale, che è la fonte di ogni bene per l’uomo e il mondo. E’ il mezzo scelto da Dio per rendere presente, in tutte le epoche, il Sacrificio redentivo. E’ la connessione meta-spaziotemporale e insieme storica alla Croce di Cristo, da cui venne la nostra salute. Essa dunque non è un insieme di riti, sebbene si esplichi attraverso essi, ma la stessa forza salvifica sprigionata dal Costato trafitto del Redentore e dalle Sue Piaghe, mediante cui Egli stesso instancabilmente opera, santificando le anime e permettendo loro di rendere al Padre, in Lui, il solo culto che gli è gradito. La parola “liturgia” significa infatti “opera pubblica”: essa è l’opera compiuta dal Cristo Totale a gloria di Dio Padre e per la propria progressiva edificazione. Tale opera si dispiega su diversi livelli ricompresi l’uno nell’altro e per differenti finalità convergenti. Innanzi tutto c’è il dovere naturale dell’uomo di adorare Dio: tale dovere implica, oltre la latria o adorazione propriamente detta, anche il ringraziamento (per i doni ricevuti), la richiesta di perdono, la propiziazione, l’impetrazione di grazie. Si tratta di momenti naturali del culto, ossia del modo in cui l’uomo vive con Dio stesso, nel senso etimologico della parola. Questo dovere naturale si compie a livello individuale e comunitario, per cui è ancestralmente atto pubblico e collettivo. Poi c’è il dovere soprannaturale di compiere questi atti nel modo in cui Dio li richiede. Nel corso dei secoli sono stati compiuti in base alle disposizioni date nelle Alleanze preparatorie precristiane (con Noè, Abramo, Mosè), in cui tutto è simbolo del Patto definitivo. In esse infatti l’uomo non può compiere ciò che a Dio piace, ma si prepara a farlo. La molteplicità di atti cultuali e di sacrifici prescritti nella Legge mosaica mostra l’impossibilità dell’uomo di onorare Dio degnamente, in particolare di espiare le proprie colpe. In ragione di ciò Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, viene nel mondo per rendere al Padre l’unico culto a Lui gradito, perché degno della Sua maestà. Esso è tale perché la Persona del Verbo che lo tributa in quanto Uomo è nel contempo anche Dio. Egli inaugura un terzo livello: quello in cui l’uomo, giustificato da Cristo e a Lui incorporato come membro del Suo Corpo, vive la dimensione soprannaturale di un culto filiale, per il quale riceve la Grazia, vive la vita di Dio stesso e giunge alla Beatitudine. In esso il culto meramente umano viene sussunto in quello che il Cristo, Uomo Dio, tributa al Padre. E’ Lui infatti l’unico vero attore della Liturgia, il vero Liturgo. Egli è il Sacerdote, consacrato nell’Umanità mediante l’Unione Ipostatica, e dall’unzione dello Spirito Santo che lo riempie di grazia. Egli offre Se Stesso, l’unica Vittima gradita, mediante un’offerta perfetta e senza macchia, che ottiene il perdono, propizia, impetra ogni grazia, offre un adeguato ringraziamento e adora in modo esemplare (2). Partecipando al Suo sacerdozio, il clero in terra offre la Vittima che è Gesù stesso, che così continuamente è presentato al Padre a nostro vantaggio. Colui che lo presenta è sempre lo stesso Gesù, in qualità di Mediatore: infatti tutti noi, sia che lo offriamo sia che beneficiamo di tale offerta, siamo uniti a Lui. Tale sacrificio è unico e irripetibile, per cui esso non viene ripetuto, ma solo reso presente nel tempo e nello spazio, ossia applicato. Gesù, che fu altare a Se Stesso, è la fonte della sacralità dei tempi e dei luoghi del culto stesso. In esso Egli compie in noi tutte le azioni necessarie per la nostra santificazione, per mezzo dello Spirito Santo, con la mediazione strumentale della Madre Sua, dei Santi e degli Angeli nel mondo celeste e con quella terrestre dei sacri ministri, attraverso le forme (riti) e i segni sensibili (sacramenti) (3). L’uomo viene cosi da Lui ammaestrato e vivificato. Da questa fonte viene ogni bene per tutto il cosmo. In ragione di ciò tutto nella liturgia scaturisce da Cristo e in Lui ha compimento, accompagnando continuamente l’uomo nell’esistenza individuale e collettiva. Tale culto è sincronizzato con la liturgia celeste, in cui sempre Gesù, senza intermediari sensibili (in quanto gli altri coautori sono lassù direttamente uniti a Lui (4)), offre al Padre l’eterno omaggio. Ad essa siamo tutti destinati; essa è il compimento del culto di tutto il Corpo Mistico – sia quello terrestre che quello, non sensibile ma neanche ancora celeste, del Purgatorio (5)- il modo in cui tutti vivremo per sempre con la SS.Trinità, in perfetta comunione tra noi e con gli stessi Angeli (6).

Emerge da ciò la natura più intima del culto cristiano: la sua scaturigine trinitaria. Il Padre è infatti origine e fine della liturgia, vero e proprio movimento cosmico che parte da Lui, raccoglie l’uomo e l’universo e torna a Lui immergendoli in Se’. Il Figlio, che adora il Padre nel seno della Trinità, esce da Essa incarnandosi e portà in Se’ l’Umanità assunta: può così compiere Lui stesso l’atto liturgico e permettere a noi di compierlo a nostra volta con Lui, in Lui e per Lui. Lo Spirito Santo opera attivamente in noi inviato dal Figlio, abitandoci come un Tempio in cui si compie il culto, sia singolarmente che collettivamente. Egli preparò la Nuova Alleanza, e ora la celebra attraverso la Parola e l’Eucarestia (7). Solo lo Spirito fa sì, infatti, che tali azioni siano realmente vivificanti e non solo mere parvenze o inani sforzi. Egli fa sì che Cristo sia realmente presente, qui e ora, negli atti sacramentali, secondo l’efficacia e, addirittura, secondo la sostanza, nell’Eucarestia. A tanto arriva la bontà di Dio. Perciò, la liturgia cristiana è il modo in cui Dio stesso opera in noi perché noi stessi gli siamo graditi. Ossia è il contrario dei falsi culti con cui gli umani onorano i loro finti dèi.

GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA LITURGIA

La liturgia avviene in terra in base a determinati requisiti, legati a cosa, a chi, a come, a dove e a quando si celebra.

Cosa viene celebrato l’ho già elencato: la Santa Messa, che è lo stesso rinnovamento mistico, sotto forma di memoriale (ossia di ricordo attualizzante), della Redenzione operata dal Cristo, specie in quanto Morto e Risorto per noi. Essa è incentrata sull’Eucarestia, in cui è sostanzialmente presente il Cristo stesso, Uomo e Dio, Incarnato, Nato, Vissuto, Morto, Risorto e Asceso al Cielo, dove ora si trova. Essa è uno dei Sette Sacramenti, che producono la Grazia nell’anima umana, ciascuno per il fine suo proprio e per efficacia intrinseca. Su queste cose avremo ovviamente modo di ritornare, trattando ognuno di essi singolarmente. I Sacramentali producono la Grazia per le preghiere della Chiesa e in base alle disposizioni del singolo. La Liturgia delle Ore scandisce la giornata con sette momenti topici di preghiera basati sui Salmi, che costituiscono l’orazione ufficiale della Chiesa. Le celebrazioni minori sono funzionali al loro scopo precipuo: la benedizione degli abati e delle abbadesse, la professione solenne o semplice dei Consigli evangelici, la consacrazione di altari, cappelle e chiese, le Esequie per i defunti. Tutte queste celebrazioni sono dette azioni liturgiche. In ognuna di esse, opera Cristo stesso.

Il celebrante dev’essere colui che ha ricevuto il sacerdozio ordinato, istituito appositamente da Cristo per conferire tale potere liturgico: Vescovo, Presbitero, Diacono che sia, o anche i ministri minori (8). Essi, che presiedono la Comunità essendo al suo servizio nell’esercizio delle loro funzioni, fanno sì che tutti i fedeli siano associati all’atto celebrativo, non come singoli, ma in quanto parte di quel Mistico Corpo di cui i chierici sono membri eminenti. La Chiesa nel suo complesso è soggetto attivo e passivo della celebrazione, perché offre e riceve il frutto dell’applicazione. Solo un chierico però è, come singolo, soggetto attivo e passivo. Il laico è, individualmente, solo passivo, sebbene il popolo, quando presente, cooperi mediante la partecipazione nei modi suoi propri (9). Il Vescovo può presiedere tutte le celebrazioni liturgiche; il Presbitero può celebrare la Santa Messa e tutte le funzioni a cui il Vescovo lo delega; il Diacono collabora con entrambi (10). Tutti e tre sono tenuti alla celebrazione della Liturgia delle Ore. I chierici celebranti agiscono in Persona Christi, ossia al posto della Sua Persona.

La liturgia si celebra mediante dei segni. Il segno è sempre il simbolo di una realtà a cui rimanda. Il segno liturgico ha la caratteristica di rendere presente in modo efficace la Grazia, per cui Gesù Cristo e lo Spirito Santo operano attraverso di esso; in particolare il segno liturgico sacramentale produce la Grazia stessa nell’anima del fedele che riceve il sacramento, indipendentemente dalla disposizione del fedele stesso e della dignità morale del ministro. Chiamiamo i segni liturgici Sacramenti della Fede, perché la istruiscono, suppongono, nutrono, irrobustiscono ed esprimono (11). Considerando a parte il segno sacramentale, di cui riparleremo, distinguiamo più tipi di segni liturgici. E’ segno innanzitutto la Parola di Dio, letta, proclamata, recepita per il tramite di linguaggi umani: com’è noto, la parola in quanto tale è essa stessa un segno. Tale Parola si comunica nella celebrazione appunto anzitutto nelle lingue sacre universali, nella loro successione storica: ebraico, greco, latino (12); poi in quelle sacre particolari delle singole Chiese (copto, siriaco, etiopico, armeno, paleoslavo) e di recente attraverso le lingue volgari. La Parola di Dio da proclamare nelle celebrazioni liturgiche è selezionata in appositi libri, i Lezionari, gli Evangeliari, gli Epistolari (13). E’ poi segno l’insieme delle parole (preghiere) e dei gesti del rito liturgico, considerato sia come singola funzione (ad esempio la Santa Messa), sia come parti della stessa (nella Messa i riti di introduzione, la liturgia della Parola, la liturgia eucaristica, i riti di conclusione), sia come ciclo di funzioni scanditi lungo un arco cronologico (settimana, tempo, anno, triennio), sia come modi complessivi di celebrazione liturgica e sacramentale; questi ultimi sono contenuti nei Libri Liturgici (14). In relazione a ciò distinguiamo i seguenti Riti nella Chiesa universale: il Latino, legato alla Sede di Roma; il Greco-Bizantino, legato a quella di Costantinopoli; il Copto, legato a quella di Alessandria d’Egitto; il Siriaco occidentale e il Maronita, legati alla Sede di Antiochia di Siria; il Caldeo o Siriaco orientale; l’Armeno; l’Etiopico. In seno al Rito latino distinguiamo quello Ambrosiano, legato alla Sede di Milano, più i Riti propri di alcuni Ordini religiosi; sopravvivono in esso le forme dell’antico rito Mozarabico, in Spagna, e del Gallicano, in Francia. Del Rito latino romano abbiamo due forme: una ufficiale (il Messale di Paolo VI) e uno supplementare (il Messale di San Pio V) (15). Nei Paesi di recente evangelizzazione abbiamo forme di Riti inculturati (ad es. lo Zairese) (16). Per gli Anglicani convertiti è stato concesso l’uso di un rito proprio, che potremmo chiamare Anglo-cattolico (17). Strettamente legato ai Riti è il Canto Sacro (18), visto che la liturgia può essere officiata leggendo o cantando. La Danza è entrata nei Riti inculturati, perché in Africa e Oceania essa appartiene alla sfera del sacro, a differenza del mondo mediterraneo in cui nacque il Cristianesimo. Sono anche segni le Sacre Icone. Esse, per coloro che vi sono raffigurati, sono degne di venerazione, se benedette per il culto (venerazione relativa); sono strumenti atti alla celebrazione e nell’uso privato ottengono la Grazia per le preghiere della Chiesa in virtù della disposizione del fedele (sono cioè tra i Sacramentali) (19). L’antica disposizione dell’AT, che proibiva di farsi immagini di Dio, in quanto Egli è invisibile, è decaduta con Cristo, immagine del Dio invisibile, che può a Sua volta essere ritratto, e in Lui dei Suoi Eletti: la Madre e i Santi. Anche gli Angeli possono essere venerati nelle forme che assumono per farsi vedere, appositamente imitate, avendo essi stessi deciso di mostrarsi così all’ossequio dei fedeli.

Tra i segni liturgici annoveriamo anche i paramenti sacri che devono essere indossati dai ministri (20). Senza di essi, salvi casi specifici o consuetudinari, la celebrazione è illegittima. Ad essi legati sono gli arredi sacri per l’esercizio del culto (21). Gli uni e gli altri sono presenti sin dall’AT. Frutto di sviluppo e modifiche storiche, essi sono parte integrante della tradizione liturgica, sebbene non ne costituiscano la parte essenziale. Il loro decoro è il decoro del Tempio e di Colui Che l’abita.

Ultimo segno, perché il più ovvio di tutti, è la presenza del popolo in assemblea, debitamente abbigliato, atteggiato e partecipe, nei momenti e nei luoghi stabiliti.

In ordine al luogo della celebrazione, esso è ordinariamente la chiesa o edificio di culto. Sin dall’AT Dio ebbe i Suoi santuari e poi il gran Tempio salomonico. Cristo è il Tempio vivo del Padre e dello Spirito, ma ciò non significa che non vi debbano essere luoghi deputati alle azioni liturgiche: Gesù stesso agì liturgicamente in luoghi specifici (come il Cenacolo) e la Croce fu il Suo altare. L’elemento fondamentale della chiesa è l’altare, mensa di pietra contenente al centro un incavo, in cui sono contenute reliquie di martiri o santi; la mensa ricorda quella dell’Ultima Cena (22). L’altare è il mistico Calvario dove si celebra il Sacrificio Divino. Su di esso o alle sue spalle – a seconda dei criteri architettonici seguiti prima e dopo del Concilio Vaticano II – vi è il tabernacolo per la conservazione del Santissimo Sacramento, ossia della pisside o ciborio con le Ostie piccole e l’ostensorio contenente l’Ostia magna (23). L’altare – un tempo rivolto verso il tabernacolo e oggi verso il popolo – è al centro del presbiterio, l’area sacra riservata al clero, e fronteggiata dalla navata in cui si affollano i fedeli (24). Fino alla riforma liturgica del Concilio le chiese dovevano avere forma di croce latina – con il braccio verticale più lungo – o greca – con i bracci uguali – e al loro interno dovevano poggiare su dodici colonne, uno per ciascuno degli Apostoli. Inoltre potevano avere altari laterali dedicati ai Santi le cui immagini erano venerate in apposite nicchie: tra essi era fondamentale quello del Crocifisso, oggi spesso sull’altare; frequentemente il Sacramento stesso aveva una sua cappella separata dall’altare centrale o maggiore. Oggi il Sacramento spesso è conservato lontano dall’altare maggiore né vi sono altari laterali o forme obbligatorie e spesso neanche nicchie. L’anarchia dell’arte sacra esigerebbe una seria restaurazione delle forme tradizionali, che non sono state sostituite da altre nuove (25).

Infine, è fondamentale nella celebrazione liturgica il tempo. E’ attraverso esso che la linfa della Grazia scorre per raggiungere tutte le anime in ogni epoca. In esso, “ricordando i misteri della Redenzione, la Chiesa apre ai fedeli la ricchezza delle azioni salvifiche e dei meriti del Suo Signore, in modo che…possano venirne a contatto ed essere ripieni della Grazia della Salvezza (26)”. Nel tempo liturgico noi distinguiamo anzitutto la scansione della giornata; poi il ciclo ebdomadario; indi la teoria delle feste liturgiche secondo i tipi; infine l’anno.

Il singolo giorno è scandito dalle Ore canoniche, celebrate dalla Liturgia omonima, composta di inni e salmi ripartiti tra Lodi, Ora terza, sesta, nona, Ufficio delle Letture, Vespri e Compieta, corrispondenti all’alba, alle nove, alle dodici, alle quindici, al tramonto e alla notte (27); esse, nella liturgia latina, si dispiegano in un ciclo ordinario di quattro settimane, che integra l’ufficio proprio delle giornate più solenni. Obbligatorie per i chierici e i religiosi, queste preghiere sono l’orazione ufficiale della Chiesa, mediante cui essa intercede per i suoi figli. Perciò tutti sono esortati ad associarvisi, senza tralasciare le proprie devozioni. Ogni giorno, in genere, nelle chiese vi è una Messa delle Lodi e una del Vespro (28). La domenica comincia, canonicamente parlando, dal tramonto del sabato o Primo Vespro; per cui essa ha due Vespri, come tutte le feste ad essa equiparate.

La settimana o ciclo ebdomadario è la scansione fondamentale del tempo liturgico. Dal primo giorno della settimana in cui Cristo risorse sino ad oggi, di sette giorni in sette giorni, la Chiesa celebra il Suo memoriale, fedele al Suo mandato: “Fate questo in memoria di Me.” (1 Cor 11, 25). Quel giorno divenne il nostro settimo giorno al posto del sabato ebraico, il vero giorno del Signore, la dies dominica, la domenica, per cui vale il precetto di Dio: Ricordati di santificare le feste e il giorno del riposo. In tale giorno siamo tenuti a recarci alla Messa, per attingere alle sorgenti della salvezza, e ad astenerci da ogni lavoro servile, perché Dio fece il mondo in sei giorni e il settimo si riposò. Così noi, in esso, ci dedichiamo a Lui. Gli altri giorni settimanali sono chiamati ferie. Tra esse, il venerdì è giorno di penitenza con l’astinenza dalle carni o con altre pratiche sostitutive, in ricordo della Passione di Cristo; il sabato è dedicato votivamente alla Vergine Maria (29).

Le feste liturgiche sono divise in base al modo di celebrarle in solennità, feste, memorie obbligatorie e memorie facoltative; anche i calendari delle Chiese locali possono averne di proprie, ma noi indichiamo quelle della Chiesa Universale. Le solennità e le feste sono di precetto quando, equiparate alla domenica, esigono la partecipazione alla Messa e l’astinenza dal lavoro servile (30).

L’anno liturgico contiene la scansione delle celebrazioni che in tutto il suo ciclo ripropongono l’intero mistero della Salvezza (31). La recente riforma liturgica postconciliare ha stabilito la divisione nei Tempi di Avvento, di Natale, Quaresima, Pasqua, Ordinario o Durante l’Anno. Ne diamo la struttura con le peculiarità del rito latino (32). L’Avvento inizia la domenica più vicina al trenta novembre, che è il capodanno liturgico; esso ci prepara alla Nascita di Cristo con quattro settimane, sia in vista del Natale che del Suo ritorno alla fine dei tempi. Il Tempo di Natale è incentrato sulla Nascita di Cristo, celebrata il 25 dicembre. Preparata dalla liturgia della Vigilia, questa solennità ha tre Messe proprie: della Notte – che commemora la Nascita nel tempo di Cristo – dell’Aurora – che ricorda la Nascita di Gesù nelle nostre anime – e del Giorno – che celebra la Nascita nell’Eternità del Verbo dal Padre. Le tre Messe –assieme alla Vigiliare- restituiscono pienamente lo spirito della festa. I misteri dell’Infanzia sono poi ripercorsi nell’Ottava di Natale – ossia l’ottavo giorno dalla festa – in cui celebriamo la Solennità della Madre di Dio (1° gennaio, di precetto), nella Festa della Sacra Famiglia (la prima domenica dopo Natale), nell’Epifania di Cristo ai Magi (il 6 gennaio, di precetto) e nel Battesimo del Signore (la domenica successiva) che chiude il Tempo natalizio. Il Tempo Ordinario ripercorre il Mistero di Cristo nella Sua pienezza ed è scandito in due tronconi: il primo va fino alla Quaresima. Questa, in ricordo dei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel Deserto prima della Sua Vita Pubblica, prepara alla celebrazione del Mistero Redentivo. Periodo di penitenza interna, indivduale, sociale ed esterna, inizia il Mercoledì delle Ceneri con una Messa in cui vengono imposte sul capo dei fedeli delle ceneri appunto, per ricordare ad ognuno il comune destino della morte e la necessità della conversione. Esso, sebbene non sia di precetto, è giorno molto sentito dal popolo. Dopo questo giorno di digiuno e astinenza dalle carni, in ogni venerdì di Quaresima si pratica obbligatoriamente l’astinenza. Dal novero dei quaranta giorni sono escluse le domeniche, per cui di fatto essi sono quarantasette, compresa la Settimana Santa. Fissata in base al calendario lunare su cui si calcolava la Pasqua ebraica al 14 nisan (plenilunio dopo l’equinozio di primavera), essa ripercorre i misteri della Redenzione. Nella Domenica delle Palme la Chiesa ricorda processionalmente l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, riconosciuto Messia, e nella Messa celebra la Sua Passione e Morte. Dopo le ferie del Lunedì, Martedì e Mercoledì Santi, la liturgia celebra il Triduo Pasquale. Il Giovedì Santo la Chiesa celebra due Messe: la Crismale, in cui ogni Vescovo con tutto il suo presbiterio consacra gli Oli per i Sacramenti e festeggia l’istituzione del Sacerdozio; quella In Coena Domini, in cui si commemora l’Ultima Cena e l’istituzione dell’Eucarestia, con la lavanda dei piedi di dodici persone da parte del celebrante in ricordo di quanto fatto da Gesù ai Suoi Apostoli. Dopo la Messa, il Sacramento è esposto alle visite dei fedeli fino alle tre del pomeriggio del Venerdì Santo. In esso, dopo la commemorazione della Morte di Cristo alle tre del pomeriggio, la Chiesa celebra la funzione liturgica dell’Adorazione della Croce, senza consacrare una nuova Eucarestia. Giorno di astinenza e digiuno, il Venerdì Santo è impreziosito da devozioni paraliturgiche che sono in esso celebrate con particolare solennità a seconda dei costumi. Universale è la Via Crucis. Queste giornate, sebbene non di precetto, sono di grande fervore popolare. Il Sabato Santo la Chiesa commemora il soggiorno di Cristo nel Sepolcro e non celebra Messe: è aliturgico. Nella Notte del Sabato si celebra la Grande Veglia Pasquale, che con una liturgia specifica e lunga commemora la Resurrezione di Cristo: benedizione alla porta della chiesa del fuoco nuovo e del cero pasquale acceso da esso; suo ingresso nella chiesa spenta in modo processionale e progressiva illuminazione della stessa; canto all’altare dell’Annuncio della Resurrezione; Liturgia della Parola con dodici letture accompagnate da salmi; canto del Vangelo; omelia; canto delle Litanie dei Santi; benedizione dell’acqua battesimale; rinnovamento delle promesse battesimali; eventuali battesimi dei catecumeni; preghiera dei fedeli; Liturgia eucaristica. Nel giorno di Pasqua si celebrano poi le Messe delle Lodi e del Vespro, con letture proprie. Fissata per tutte le Chiese alla prima domenica dopo il plenilunio post-equinoziale primaverile con decreto del I Concilio Niceno nel 325, la Pasqua è tuttavia celebrata in date differenti tra Oriente e Occidente, non avendo il primo accettato la riforma gregoriana del Calendario giuliano, che ha sfasato il numero dei giorni. Nel Tempo pasquale, per cinquanta giorni, si celbra il mistero della Resurrezione. La domenica dopo Pasqua è al festa della Divina Misericordia, con ampie indulgenze per i fedeli. Quaranta giorni dopo, di giovedì, si celebra la solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo (di precetto); dieci giorni dopo si commemora la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, che chiude il Tempo pasquale, la terza grande solennità liturgica dopo il Natale e la Pasqua. Nel Tempo Ordinario, che ricomincia subito dopo, la Chiesa continua a ripercorrere il Mistero di Cristo nella Sua pienezza; la domenica dopo la Pentecoste è la Solennità della Santissima Trinità; il giovedì successivo è la festa di precetto del Corpus Domini, in cui si onora la Presenza Reale di Cristo nell’Eucarestia: nella Messa Vespertina celebrata dal Vescovo con tutto il presbiterio il Santissimo Sacramento è portato processionalmente in giro per la città cattedrale. Il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini è la festa del Sacro Cuore di Gesù. Il primo luglio è la memoria facoltativa del Preziosissimo Sangue di Gesù (33). Il sei agosto è la festa della Trasfigurazione di Cristo. Nell’ultima domenica dell’anno liturgico, prima del trenta novembre, si festeggia Cristo Re e si medita sul Giudizio Universale.

Nel corso dell’anno si celebrano anche numerose feste della Vergine Maria e dei Santi. La Vergine ha, oltre alla Solennità del Primo Gennaio, quella dell’Annunciazione il venticinque marzo, quella dell’Assunzione il quindici agosto (di precetto); quella dell’Immacolata Concezione l’otto dicembre, di precetto anch’essa; ha inoltre le feste della Presentazione del Signore abbinata alla Sua Purificazione il due febbraio; della Visitazione il trentuno maggio; della Natività l’otto settembre; infine alcune memorie significative, alcune obbligatorie altre facoltative, come quella della B.V.M. di Lourdes, l’undici febbraio; del Cuore Immacolato il sabato dopo il Sacro Cuore; della B.V.M. del Carmelo il sedici luglio; della Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma il cinque agosto; della B.V.M. Regina il ventidue dello stesso mese; del Nome di Maria il dodici settembre; dell’Addolorata il quindici settembre; del Rosario il sette ottobre; della Presentazione al Tempio il ventuno novembre. In quanto ai Santi, oltre alle feste degli Apostoli (tra cui la più importante è la solennità dei SS. Pietro e Paolo il ventinove giugno), abbiamo quelle di San Giuseppe il diciannove marzo (la solennità del suo transito) e il primo maggio (la festa che lo celebra patrono del lavoro); la solennità di San Michele e degli altri Arcangeli il ventinove settembre; quelle di San Giovanni Battista il ventiquattro giugno (solennità della nascita) e il ventinove agosto (festa del suo martirio). Le solennità citate sono tutte di precetto nel calendario universale della Chiesa, anche se spesso i calendari locali non recepiscono questa norma. Il primo novembre la Chiesa celebra in una sola solennità Tutti i Santi, compresi quelli sconosciuti; il due novembre commemora invece tutti i Defunti, il cui suffragio continua fino alla Ottava della celebrazione. La prima è solennità di precetto, la seconda no, sebbene sia molto sentita. Degna di menzione è la memoria degli Angeli Custodi il due ottobre (34). In genere, ogni giorno è dedicato alla memoria di almeno tre Santi, che possono all’occorrenza essere commemorati (ciclo del Santorale). Diversamente si segue il ciclo del Temporale o, in base alle esigenze, si celebrano Messe votive in onore di svariati titolari dell’Ufficio specifico. In quanto poi alle Chiese locali, le feste più significative sono di solito legate ai Patroni. La ricchezza della Liturgia non può non far esprimere l’auspicio della Messa quotidiana per i fedeli.


1. Il Rito delle Esequie, la Professione solenne o semplice dei Consigli Evangelici, la Benedizione degli Abati e delle Abbadesse, e altri minori. Su ciascuna delle celebrazioni torneremo più precisamente.

2. In Lui trovano compimento profetico i sacrifici cultuali dell’antica alleanza: l’olocausto, con la completa distruzione della vittima; il sacrificio di espiazione e quello di riparazione del peccato, che lava colpa e pena; quello di comunione, che riunisce l’uomo a Dio; l’oblazione o offerta di sè; la libagione o spargimento di vino che simboleggia il Sangue. Ma anche il Grande Giorno dell’espiazione e il rituale della Giovenca Rossa, nonché tutti i sacrifici della Legge, quotidiani, settimanali, mensili e annuali. Tutta la liturgia mosaica è una profezia del sacrificio di Cristo, Agnello perfetto, maschio, immolato senza difetti, nato nel tempo, gradito a Dio con soave odore. In tale profezia sono racchiuse tutte le caratteristiche del culto cristiano, e i molti particolari possono essere letti in tale prospettiva.

3. In questa esposizione ci occuperemo della Liturgia in genere e dei suoi riti, rimandando a dopo quella sui Sacramenti in quanto tali.

4. Sono la Madre Sua, i Ventiquattro Vegliardi – i Dodici Apostoli e i Dodici Patriarchi – i Quattro Esseri Viventi (gli Evangelisti), i Centoquarantaquattromila – la folla dei Santi – e i Cori Angelici. La liturgia non finisce con il tempo ma prosegue in eterno senza mediazioni sensibili, mediante la piena unione degli Eletti con Cristo e di Questo col Padre. La liturgia, che è vita, sarà la stessa vita eterna. I suoi tempi sono quelli su cui sono scanditi quelli terrestri, per divina ispirazione. Non essendo legata ad alcun luogo, la liturgia celeste si compie in tutta la dimensione metafisica chiamata Cielo e ovunque gli esseri celesti tributano a Dio il culto che gli è dovuto, anche in terra.

5. In Purgatorio c’è un perpetuo culto di espiazione e gioia, in cui le anime, pur senza vedere Dio, sono già stabilmente unite a Dio.

6. Essi furono i mediatori delle vecchie liturgie, delle quali diedero la Legge, e ora collaborano alla liturgia terrestre e alla celeste. L’angelo santo porta l’Offerta dalla terra al cielo. I Serafini presenziano alla Santa Messa. L’adorazione che i Cori angelici tributano a Dio è eterna, come la venerazione rivolta alla Madre del Verbo. Legioni di angeli adorano il Sacramento sulla Terra.

7. Non tutto della Vecchia Alleanza è preparazione: la Scrittura da leggere, i Salmi da recitare sono ancora validi e vincolanti. Tutta la complessa tipologia cristologica dell’AT è ancora valida per il nostro culto, che ne è la realizzazione profetica (si pensi alla Pasqua, trasformata nel Cristianesimo rispetto all’Ebraismo, perché il nostro passaggio non è solo alla liberazione materiale, ma a quella spirituale, e il nostro Agnello è Gesù stesso). La lettura della Parola rende presente Cristo nella liturgia terrestre in modo operativo, mentre lo è addirittura sostanzialmente mediante l’epiclesi, ossia l’invocazione per consacrare pane e vino. Entrambe sono possibili per lo Spirito Santo. Egli ricorda e attualizza il gran Sacrificio, con l’anamnesi o narrazione dell’istituzione dell’Eucarestia; Egli suscita il ringraziamento nella dossologia. Questi momenti sono appunto i costitutivi della celebrazione liturgica della Messa.

8. Il sacerdozio legale è quello abilitato per legge ad officiare ed offrire, esattamente come quello di Aronne nel VT. Cristo era prefigurato in Aronne ma ebbe un sacerdozio nuovo, universale ed eterno. Egli incorpora in Sé i nuovi ministri, a cui conferisce questo speciale potere. Esso è la somma di tutte le potestà che Egli di volta in volta conferì non a tutti i discepoli, ma solo agli Apostoli. Non basta il battesimo per essere sacerdoti della Nuova Alleanza. Già dalle Lettere Pastorali di Paolo nelle Chiese sono distinti Vescovi e Presbiteri, oltre che Diaconi. Essi sono ben distinti dai fedeli. Il sacerdozio universale protestante non è un sacerdozio sacramentale – come del resto insegnarono gli stessi Riformatori- e non produce grazia di per sè, né le Chiese evangeliche hanno conservato quei sacramenti che esigono il sacerdozio ordinato per essere celebrati, come l’Eucarestia. Essa è solo un simbolo, sia per chi, come i Calvinisti, non professa la fede nella Presenza reale, sia per chi, come i Luterani, crede nella Consustanziazione: i ministri evangelici non hanno infatti alcun potere in quanto hanno perduto la successione apostolica, ossia non sono stati più ordinati da chi a sua volta avesse legittimamente e validamente ricevuto la propria ordinazione in una successione il cui inizio sono gli Apostoli stessi. In quanto agli ordini o ministeri minori, alcuni dei quali possono essere assunti anche dai laici, sono quelli dell’accolito, del lettore, dell’esorcista e dell’ostiario.

9. Il laico può avere dei ministeri ordinati, ma non tali da essere celebrante pieno: ostiario, lettore, accolito.

10. L’accolito collabora col diacono; il lettore legge la Scrittura; l’esorcista caccia gli spiriti maligni; l’ostiario custodisce la porta della chiesa.

11. Costituzione Conciliare sulla Liturgia del Vaticano II Sacrosanctum Concilium, n. 56.

12. Le lingue in cui fu composta l’iscrizione sulla Croce dell’Agnello immolato. Per secoli la Chiesa latina ha pensato che si potesse celebrare solo in esse, fatte salve le lingue sacre delle Chiese orientali.

13. Il Lezionario raccoglie tutte le letture della Messa; l’Evangeliario runisce i brani del Vangelo; gli Epistolari raduna le pericopi delle Lettere degli Apostoli; naturalmente i passi sono quelli per l’uso liturgico.

14. I libri liturgici sono i seguenti: la raccolta delle antifone o Antifonario; la silloge delle formule di congedo o Benedizionale; il Cantatorio, l’Innario, il Sequenziario e il Graduale, per i canti, gli inni, le sequenze e i graduali, ossia i versetti che si cantano prima del Vangelo; il Tropario, o raccolta di quanto si canta sui modi melodici trasposizionali; il Salterio, che raccoglie i Salmi; il Messale, per la celebrazione della Messa in tutti i giorni dell’anno; l’Ordinario, che da indicazioni per le celebrazioni e ne descrive la struttura; il Rituale, che contiene le norme della disciplina liturgica; il Sacramentario, con tutte le parti della Messa riservate al celebrante; il Pontificale, per i riti dei Vescovi – importantissimo il Pontificale Romano per i riti papali – il Martirologio, che contiene le vite dei Santi nell’ordine delle feste loro dedicate nell’anno; il Cerimoniale, che contiene il complesso e la successione degli atti delle cerimonie; il Collettario, che riunisce le orazioni dette collette; il Consuetudinario, che raduna le consuetudini liturgiche; il Processionale, che regola le processioni; il Breviario o Ufficio Divino per la celebrazione della Liturgia delle Ore; il Libro delle Ore che ne è la forma essenziale. Anche i libri per le letture bibliche sono ovviamente liturgici.

15. Ogni Rito risale ad una tradizione apostolica: Pietro a Roma, ad Alessandria e ad Antiochia; Andrea a Costantinopoli; il Caldeo scaturisce dal Siriaco, come l’Armeno; l’Etiopico dal Copto; l’Ambrosiano risale a Sant’Ambrogio; il Mozarabico è della Spagna Visigotica. Gli antichi Riti occidentali sono stati inglobati nella tradizione latina dal VIII all’XII sec. In genere tutti i riti liturgici – compresi quelli caduti in disuso, come il rito celtico, quello di Braga, quello lionese e quello di Aquileia, oltre ai riti giudeo-cristiani non ebioniti - sono luoghi privilegiati per la recezione della Tradizione, ossia hanno valore dottrinale anche dopo la cessazione del loro uso. In quanto al Nuovo Messale, bisogna stigmatizzare due errori: quello dei tradizionalisti che contestano alla Chiesa la possibilità di modificare la liturgia che essa stessa ha fondato secoli prima, oltre che di tradurla nel parlato – quasi che il latino non fosse mai stata una lingua viva nei tempi trascorsi; quello dei progressisti, che presentano la vecchia liturgia di Pio V quasi come eretica e foriera di errori. Deplorevole è anche il rifiuto di accettare la volontà di Benedetto XVI di riesumare il Rito di Pio V.

16. Per inculturazione intendiamo il processo di recezione di elementi culturali ed etnici dei popoli di recente evangelizzazione nella celebrazione liturgica. Può essere parziale o totale. Il processo di inculturazione liturgica è iniziato sistematicamente con il Concilio Vaticano II, che ha promosso l’adattamento parziale dei riti alle culture locali – comprese quelle dei Paesi occidentali. L’auspicio di una maggiore inculturazione per favorire l’evangelizzazione dei Paesi del Terzo Mondo, potrebbe continuare a realizzarsi mediante ulteriori Riti afro-latini (per aree culturali: la segenalese, la ivorese, la ghanese, la nigeriana, la camerunense, la gabonense, la tanzaniana, la kenyota, l’ugandese, la bantu, l’angolese, la mozambicana, la malgascia), latino-asiatici (anche qui per aree: indiana, cinese, mongola, giapponese) e latino-oceaniani (nelle aree polinesiana, micronesiana e melanesiana, oltre quella papuasica) che potrebbero essere utili per la conversione dei popoli con ancora pochi cattolici (India, Cina); per convertiti provenienti da religioni particolari (come l’Islam o il Buddhismo o lo Shintoismo) potrebbero nascere forme inculturate, legate anche a disposizioni canoniche particolari per l’organizzazione di quelle Chiese. Alcune forme potrebbero essere desunte da liturgie antiche in disuso (la liturgia celtica, basata sul monachesimo, ben si addirebbe a convertiti dal Buddhismo). Tali riti dovrebbero essere sempre sussidiari di quello egemone, in genere il Latino. Un presupposto importante per la conversione degli Ebrei sarebbe la concessione dell’antico rito giudeo-cristiano, con la possibilità di conservare le particolarità della Legge mosaica, se non di restaurarle. Alcuni ebrei che riconoscono Cristo come Messia già lo fanno, anche se la loro appartenenza alla Chiesa Cattolica non è definita. Hanno avuto una approvazione orale da papa Giovanni Paolo II.

17. La conservazione dei propri riti è una condizione previa per l’Unità delle Chiese. Semplice per le Chiese orientali, è più problematico per quelle protestanti, che hanno subito una semplificazione che non potrebbe essere conservata integralmente. Ma l’idea di un rito evangelico cattolico, per una eventuale unione con i Luterani, è sicuramente da considerare. Sarebbe la base per una mediazione liturgica anche con i Calvinisti, i Presbiteriani, gli Zuingliani, i Battisti, i Metodisti. La liturgia potrebbe essere il laboratorio teologico in cui sintetizzare la riunificazione dogmatica, partendo dai punti non negoziabili: la Presenza Reale di Cristo nell’Eucarestia, il Sacerdozio ministeriale, l’efficacia oggettiva dei Sette Sacramenti.

18. La grande tradizione latina è quella gregoriana, da Papa Gregorio I (592-605); non dimentichiamo la polifonia della Controriforma con Pierluigi da Palestrina. Oggi è assai diffuso il canto in volgare, spesso scadente. Esso serve più che altro ad animare la celebrazione, non ad officiarla.

19. La grande arte sacra prende le mosse da questa necessità di venerare il sacro in forme sensibili. Le icone sono raffigurate secondo tipi e modi precisi, molto rigidi nelle Chiese orientali, per i significati da comunicare (teologia iconica). Esse riproducono o le fattezze storiche o quelle simboliche assunte dalla Tradizione e dalla Bibbia (p. es. la colomba per lo Spirito Santo). Nelle chiese non può mancare il Crocifisso, la raffigurazione della Vergine SS., quella del Santo titolare e dei Santi in genere. Le raffigurazioni – sia statuarie che come dipinti su vari supporti – del Sacro Cuore di Gesù, della Divina Misericordia, del Cuore Immacolato di Maria, di San Giuseppe, di San Michele, in verità assai note, dovrebbero essere presenti in tutti i luoghi di culto.

20. Nella liturgia latina distinguiamo sei paramenti per il sacerdote che celebra la Messa: l’amitto, panno bianco rettangolare che si lega sulle spalle con al centro la Croce; il camice bianco che copre tutta la persona; il cingolo o cordone per cingere il camice; il manipolo, che si lega al braccio sinistro per chi indossa la cosiddetta pianeta romana; la stola, una striscia di stoffa che si appende al collo e scende lungo i fianchi, con tre croci (sul collo e sulle estremità); la pianeta, un manto aperto ai lati che copre i due lati del petto, di tipo romano o gotico (casula); l’abito per le funzioni minori è il piccolo camice o rocchetto o cotta con la stola. I diaconi indossano la stola trasversalmente. I vescovi possono indossare – come del resto i preti – il manto solenne o piviale; entrano in chiesa con sul capo la mitria – copricapo a due punte con due nastri alla base che scendono sul collo, mentre in oriente hanno una corona- e brandendo il pastorale, un lungo bastone simile a quello dei pastori. Gli orientali hanno anche indosso numerosi medaglioni iconici. Il pastorale può essere ricurvo o ornato di croce. Essa ha un braccio orizzontale per i Vescovi, due per i Metropoliti, tre per i Patriarchi e quattro per il Papa. I metropoliti hanno il pallio, stola a sei croci attorno al collo che pende sul petto. Il Papa aveva, oltre al pallio tutt’ora in uso, molti paramenti particolari oggi caduti in disuso: la falda, che copriva tutta la persona fino ai piedi; il fanone, sorta di collare; il succintorio a sinistra sul camice; il triregno o tiara, copricapo a tre corone. Tutti i prelati celebrano con l’anello pastorale. La celebrazione senza paramenti è un gravissimo abuso, che purtroppo non è perseguito con la dovuta energia in ogni circostanza.

21. I maggiori sono il calice, che contiene il Vino eucaristico; la patena, su cui si pone l’Ostia magna, sia prima che dopo la consacrazione; il corporale, centro quadrato su cui si appoggia il calice; il purificatoio, panno per detergere patena e calice; la pisside, che conserva – come un calice largo munito di coperchio – le Ostie da distribuire ai fedeli; il velo, che copre le Sacre Specie; la borsa; l’ostensorio per mostrare ai fedeli per l’adorazione l’Ostia consacrata; le ampolline e il loro piattino, che contengono l’acqua e il vino da consacrare; il turibolo, in cui si brucia l’incenso; il campanello, per scandire i momenti topici della Messa; il leggio per porre i libri liturgici; la navicella, che contiene l’incenso da bruciare. Essi esigono un ordine nella disposizione: il calice sul corporale, il purificatoio piegato sul calice rettangolarmente che scende ai lati; la patena sopra il calice; la borsa sul velo. Anche il loro uso dev’essere scrupoloso. Quando è possibile è bene che i vasi sacri siano di metallo nobile, se non istoriati di pietre preziose.

22. L’altare sorge su un leggero rialzo o predella; la parte frontale è detta palliotto; la parte superiore mensa; l’incavo centrale è coperto dalla pietra sacra; su di esso si dispongono tre lini: uno piccolo sulla pietra, uno grande sulla mensa, uno ancora più grande su di esso.

23. Coperto dal conopeo o tenda sulla porta chiusa a chiave, il tabernacolo ha sempre una lampada accesa innanzi a sé. Quando era strutturato come un tutt’uno con l’altare, aveva, su due mensole laterali, tre candelieri a destra e a sinistra e sopra il Crocifisso. Oggi, sebbene la prescrizione dei candelabri e del Crocifisso sull’altare non sia venuta meno, l’anarchia architettonica ha fatto sì che spesso non si sappia dove poggiarli. Inoltre il conopeo, di origine veterotestamentaria come la lampada, è caduto in disuso, deplorevolmente.

24. Di solito le navate sono almeno tre: due laterali e una centrale. La parte trasversa, che interseca i due bracci plantari della croce, è detta transetto; oltre esso vi è il presbiterio; la parte bombata che chiude l’edificio oltre il presbiterio è l’abside; in alcune chiese erano sopraelevati i matronei che si affacciavano sulla navata centrale; la facciata della chiesa è preceduta da uno spazio leggermente sopraelevato sul piano stradale o sagrato; su di essa, al di sopra del portale centrale, vi è il rosone, sorta di finestra circolare; su di essa la chiesa tradizionale aveva una serie di archetti, sovrastati dal frontone e dal timpano; sulla facciata a mò di pinnacoli sorgevano statue sacre. La cupola ha alternativamente alla base occhi – o finestre – e tamburi – spazi chiusi; sulla sommità ha una lanterna o specola sormontata dalla palla decorata dalla Croce. L’abside e i lati possono avere i contrafforti. Vi è inoltre il campanile, la torre che contiene le campane che suonano le ore canoniche e il richiamo della Messa. All’interno vanno ricordati, all’ingresso, l’acquasantiera per l’aspersione con l’acqua benedetta in forma di croce per entrare e uscire; il fonte battesimale per la celebrazione del Battesimo; il candeliere per il cero pasquale; sull’altare della Cattedrale c’è appunto la cattedra o trono del Vescovo.

25. Nel corso dei secoli l’arte ha espresso forme architettoniche svariate per le chiese, pur nel rispetto delle norme fondamentali, oggi disgraziatamente cadute in disuso. L’arte basilicale contraddistingue le chiese d’impianto romano, essendo la basilica originariamente un edificio romano per usi profani, rettangolare a tre navate divise da colonne con soffitto a cassettoni; vi è poi quella bizantina, con una grande cupola centrale circondata da minori, e con soffitti, pareti e pavimenti mosaicati, dalla pianta greca; quella romanica ha facciata solida e maestosa, archi ampi, volta a crociera e poche finestre; quella gotica ha linee slanciate e agili, con archi ad angolo acuto, volte alte e leggere, ampie finestre e vetrate policrome; quella rinascimentale ha linee eleganti e semplici, navate centrali spaziose, enormi pilastri e cupola gigantesca; quella barocca ha linee deformate, colonne ritorte, archi tronchi e sovrabbondanti ornamenti.

26. Sacrosanctum Concilium nn.102.105.

27. L’Ufficio delle Letture non ha un’ora fissa.

28. La legge canonica ne prescrive una al giorno e due la domenica, salvo necessità con tre. Ma la prassi consolidata è molto diversa. In effetti nel Tempio c’era il Sacrificio mattutino e quello vespertino, per cui non sarebbe erroneo recepire nel Diritto Canonico questa norma mosaica, e togliere in genere restrizioni di numero alle celebrazioni, anche in ragione della scarsità di clero.

29. Il lunedì è tradizionalmente dei defunti; il martedì degli angeli custodi; il mercoledì di San Giuseppe. Il primo venerdì del mese è al Sacro Cuore, l’ultimo al Prezioso Sangue.

30. A differenza della liturgia protestante che ha ridotto al minimo le celebrazioni, la Chiesa cattolica nella propria conserva la diversificazione dei giorni festivi, conformemente a quanto istituito da Dio stesso nel VT per gli Ebrei. Solo che nella Nuova Alleanza le feste scaturiscono dall’altra fonte della Rivelazione, la Tradizione.

31. L’anno liturgico segue a rotazione la lettura dei tre Vangeli sinottici: Matteo (anno A), Marco (anno B), Luca (anno C).

32. In parallelo ai tempi, i mesi devozionali di matrice controriformista sono in parte decaduti, anche in ragione della traduzione della Messa in volgare. Ma rimangono validi e possono essere complementari alla liturgia: marzo a San Giuseppe; maggio all’Immacolata; giugno al Sacro Cuore; luglio al Preziosissimo Sangue; settembre all’Addolorata; ottobre al Rosario; novembre ai Defunti. Gli anni liturgici sono tanti quante sono le Chiese con un diritto proprio. In oriente abbiamo quanto segue: nella tradizione Alessandrina Copto ed Etiope; in quella Antiochena, il Siriaco, il Maronita e il Siro-Malankarese; l’Armeno; nella Caldea, il Caldeo e il Siro-Malabarese; nella Costantinopolitana, il Bielorusso, il Bulgaro, il Greco, l’Ungherese, l’Italo-Albanese, il Melchita, il Rumeno, lo Slovacco, l’Ucraino, il Serbo e Montenegrino, l’Albanese, il Russo, il Macedone. In quanto al Rito latino, annoveriamo l’anno liturgico romano ordinario, di cui diamo lo schema, e quello extra-ordinario; nonché l’ambrosiano, il mozarabico; il bracarense, il patriarchino, il celtico (decaduti); il gallicano; il beneventano e quello di Sarum (decaduti anch’essi) e quelli di alcuni ordini religiosi quali il certosino. Il rito di Pio V aveva un anno liturgico un poco diverso. Nel rito latino l’anno ordinario ha diversi colori liturgici, a seconda del tempo, che caratterizzano i paramenti: il viola e il rosa per l’avvento; il bianco per il natale; il verde per l’ordinario; il viola, il rosa e il rosso per la quaresima; il bianco e il rosso per la pasqua. In genere, il rosso è per le feste dei Martiri, il bianco per le solennità; il viola per i giorni di penitenza. In genere i Riti hanno in comune le feste più importanti, con qualche variazione di data; il nuovo anno liturgico romano ha qualche tempo in meno rispetto agli altri anni liturgici e al passato. I riti inculturati hanno l’anno liturgico romano.

33. Che sarebbe da riportare al rango di festa.

34. Molte di queste feste sono preparate da novene celebrate a margine della liturgia. In ordine di successione sono quella dell’Immacolata, di Natale, di San Giuseppe, della Divina Misericordia, di Pentecoste, del Sacro Cuore, del Sangue Sparso, dell’Assunta – in Oriente la festa è preceduta da una piccola quaresima di quindici giorni – dei Defunti. Sarebbero da aggiungere quelle al Corpus Domini, al Cuore Immacolato, a Cristo Re. Nel quadro di un riordino delle festività, auspico l’inserimento di una dedicata a Maria SS. Corredentrice, magari l’ultimo venerdì prima della Settimana Santa; di una per Maria SS. Mediatrice, magari il trentuno agosto; di una per le Sante Piaghe, magari il quarto venerdì di Quaresima; nonché il ripristino della solennità del SS. Nome di Gesù lo stesso giorno della Madre di Dio. 


Theorèin - Novembre 2010