LA TEOLOGIA CRISTIANA. APPUNTI PER UN CORSO SISTEMATICO

A cura di: Vito Sibilio
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EGO SUM DOMINUS DEUS TUUS
Brevissima introduzione al Decalogo

“Ego Sum Dominus Deus tuus,
Qui eduxi te de terra Aegypti,
de domo servitutis”.

(Il Signore Dio a Mosè)

“Se non credete che Io Sono,
morirete nei vostri peccati”

Nostro Signore Gesù Cristo

Il Decalogo è, come ho accennato nel saggio precedente, l'insieme delle Dieci Parole – intese come ordini – che Dio dà sul Sinai a Mosè perchè il Suo Popolo le segua e trovi in esse la salvezza. Di essi abbiamo due versioni, che differiscono solo per la parte introduttiva: Esodo 20, 2-17, in cui Dio si presenta dicendo: Io Sono il Signore Dio tuo, Che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione di schiavitù, e Deuteronomio 5, 6-21, dove invece l'Altissimo dice di Sè: Io Sono il Signore Dio tuo, Che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile. Come si vede, nessuna significativa divergenza.

Queste Dieci Parole sono rivelate da Dio, sebbene sarebbero accessibili alla sola ragione umana. Egli le ha manifestate non a tutti, ma al Suo Popolo, peraltro sulla Montagna Sacra. Sono proferite dalla bocca stessa di Dio, ossia sono divisioni del Suo stesso Logos, anche se communicate mediante il ministero angelico, perchè il Cielo era ancora chiuso dopo la Caduta di Adamo. Sono scritte con il Suo Dito, ossia dallo Spirito Santo, sulle tavole di pietra. Sono promulgate dal fuoco, dalla nube, dall'oscurità, che simboleggiano la carità, la maestà e la sapienza dello Spirito Santo. Sono sancite nella più grande teofania mai avvenuta, fino ad allora, dalla Creazione del mondo e mostrano la grande volontà di Dio di ricostituire una alleanza stabile con l'Umanità, dapprima scegliendone una parte, poi abbracciandola tutta, cominciando con la purificazione della sua stessa razionalità per poi elevarla ad un ordine soprannaturale. Dio dà la Legge dopo aver proposto il Patto, per fornirne le condizioni; quando queste sono accettate, l'Antico Testamento è stipulato. Per questo le tavole sono dette Testimonianza, in quanto attestano questo Patto (nè mai le loro Leggi sono ricordate fuori del suo quadro), e sono conservate nell'Arca dell'Alleanza, segno della Presenza di Dio tra gli uomini. Quest'Arca è figura della Chiesa e della Vergine, che si contengono l'una con l'altra ed entrambe contengono la Parola di Dio, il Cristo, Autore e Perfezionatore della Legge. Essa è la prima e basilare comunicazione del Volere Divino all'uomo, il piedistallo su cui il Signore ha mostrato la Sua Gloria e la Sua stessa Essenza, di cui le Parole sono emanazione morale, per cui realmente Egli le pronunziò parlando a Mosè e al popolo faccia a faccia (cfr. Dt 5, 4), laddove la faccia è la manifestazione della Sua Essenza o Natura, non della Sua Tripersonalità. Ciò fa anche intendere che solo la Potenza di Dio libera dal peccato e dalla schiavitù, solo essa dà la forza di seguire la Legge che promulga, anche se il tempo della Rivelazione della pienezza della Grazia era riservato al NT. Questa Legge è proferita in prima persona, in quanto Dio parla secondo l'Unità della Sua Natura, ed è rivolta sempre ad una sola seconda persona, che rappresenta il popolo e il singolo. E' Legge di tutti e ancor più di ognuno, come di ognuno più di tutti è in alleanza con Dio. Egli dà la Sua protezione e chiede la risposta di amore, di riconoscenza, di omaggio, di culto spirituale, di cooperazione al piano del Signore. E' un Patto tra diseguali, ma è un Patto, a cui Dio sarà sempre fedele per Sua Natura, e che si incrina solo per l'infedeltà dell'uomo.

Dall'arcaico momento di gloria e speranza della loro promulgazione, le Parole sono diventate la Legge, la Torah, a cui le altre parti del Pentateuco fanno da glossa e integrazione – nelle loro componenti normative, date sempre da Dio – e da introduzione e attualizzazione – nelle loro narrazioni. Dalla Legge scaturisce la norma cultuale, data anch'essa da Dio, ma provvisoriamente, in attesa del culto conforme pienamente ad essa e non a caso detto Culto secondo Parola da Paolo. Il senso ultimo di tale Legge è profetico, perchè si compie e si svela in Cristo Che è Egli stesso la Parola, normativa e vivificante, proferita dal Padre nel silenzio trinitario. Ma nell'AT, sebbene tale senso appaia ancora oscuro, la Legge è continuamente ripresa, citata, meditata, vissuta: essa è la fonte della Bibbia, che ne è una completa esplicazione. Essa è data dopo la liberazione dall'Egitto e durante l'Esodo, perchè l'una indica la liberazione dal peccato e l'altro simboleggia il cammino verso il Cielo. Ha una valenza sociale, giuridica, politica, perchè tutti questi ambiti sono riscattati nella liberazione dall'Egitto, simbolo del potere infernale, e su tutti Dio vuole estendere la Sua Signoria salvifica. Essa si ricapitola nel comando di amare Dio, camminando nelle Sue vie, osservando i Suoi comandi, le Sue leggi, le Sue norme, perchè l'uomo viva e si moltiplichi, come insegna Mosè nel Deuteronomio (Dt 30,16). Le benedizioni terrene promesse nell'AT sono infatti segno e simbolo di quelle eterne, che non le escludono ma le superano.

Nella Nuova Alleanza, Colui Che, col Padre nello Spirito, diede la Legge, fattoSi Carne, insegnò che solo l'osservanza dei Comandamenti conduce alla Vita eterna e sostanzia di sè l'amore per Dio. Infatti il più grande Comandamento di Gesù è quello che ordina: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Esso riunisce in sè tutti i comandamenti, e da esso discende il secondo, che è simile al primo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Il prossimo infatti è amato per amore di Dio, e i primi tre Comandamenti afferiscono all'amore di Dio, i successivi sette riguardano l'amore per Dio, a causa di Lui per chi Lui ci comanda di amare (cfr.Mt 5, 21-22). Perciò da allora il duplice precetto della perfezione cristiana, quello della carità, è ora epitome, sussunta e superamento del Decalogo, al Quale Cristo aggiunge esplicazioni di senso e puntualizzazioni di azione, integrazioni di norma e approfondimenti di significato, specie nelle intenzioni, attraverso quella Nuova Legge che è promulgata nel Discorso della Montagna, culminante nelle Beatitudini e perfezionante nei Consigli evangelici. Sul Monte, Cristo legifera come Dio e consegna la Legge come Uomo, per cui completa e supera il ministero di Mosè. Nelle Beatitudini e nei Consigli il fedele non è più solo un osservante della Legge, ma è un discepolo che imita le azioni dello stesso Legislatore, della stessa Legge Vivente. Il precetto della carità rende positiva la forma prescrittiva dei comandamenti, basati sulla proibizione. La Grazia da Cristo elargita permette l'osservanza perfetta dei comandamenti, anzi è il frutto maturo della Giustificazione. La loro osservanza perfetta avviene solo da parte di chi è incorporato a Cristo, tanto che egli ama Dio come Cristo l'amò, ama il prossimo come ama Dio e come Dio stesso lo ama.

L'Apostolo Paolo, meglio di chiunque, mostra che l'uomo, da solo, non può osservare la Legge, che anzi sopraggiunge solo per renderlo consapevole dei suoi peccati; solo la Grazia dà all'uomo, redento, la possibilità di vivere come Dio vuole; essa fa sì che il giusto, che vive per la Fede, compia le opere della vita stessa, venendo confermato nel suo stato. Da San'Agostino in poi, i Dieci Comandamenti sono parte essenziale della catechesi della Chiesa, Dal XV secolo si sono sunteggiati nelle formule classiche che tutti conosciamo, liberando i precetti dalle aggiunte tipicamente veterotestamentarie. La morale cattolica è dunque insegnata tramite il Decalogo, generalmente nella divisione agostiniana, diversa leggermente da quella dei Padri greci e ancor più da quella delle Chiese evangeliche. I Comandamenti obbligano tutti gli uomini nella voce della coscienza e ancor più i cristiani battezzati, che hanno in Cristo la forza di osservarli sempre e comunque, come è stato ribadito solennemente fino al Concilio di Trento. Essi sono un tutt'uno, per cui non possono essere osservati realmente se non nella loro totalità. Esprimono i doveri e quindi i diritti fondamentali dell'uomo nell'etica; a causa del peccato l'uomo ne ha perso la chiara cognizione, sempre sballottato dal dubbio, ragion per cui Dio li ha promulgati personalmente. Per conseguenza, noi vi siamo legati dapprima per Rivelazione e poi per voce di coscienza. Il contenuto essenziale di ognuno di essi vincola gravemente, determinando appunto la materia detta grave della colpa, se commessa. Essi sono immutabili, non dovendosi confondere con le circostanze contingenti in cui sono vissuti (1). Sono vincolanti sempre e ovunque. Nessuno può dispensare dalla loro osservanza. Sono scritti, per opera dello Spirito, in ogni cuore nell'Era messianica, anche se solo nella Chiesa si è consapevoli dell'origine di questa rinnovata certezza interiore, che stupefaceva anche agnostici come Kant. Implicitamente contengono anche materie morali veniali, che non obbligano in modo grave.

NON HABEBIS DEOS ALIENOS CORAM ME
Appunti di teologia morale del Primo Comandamento

“Ego Sum Dominus Deus tuus,
qui eduxi te de terra Aegypti, de domo servitutis.
Non habebis deos alienos coram me”

“Egò eimi Kyrios o Theòs sou
òstis ex''gagòn se ek ghès Aigyptou ex oìkou douleìas
ouk èsontaì soi theòi èteroi plèn emou”

(Il Signore a Mosè)

Sta scritto: Adora il Signore Dio Tuo e a Lui solo rendi culto

(Nostro Signore Gesù Cristo)

Il Primo Comandamento dice: Non avrai altro dio al di fuori di me. E' sia una prescrizione di monolatria – solo un Dio va adorato – sia di monoteismo, per cui esiste un solo Dio. Sin dall'origine, Dio si mostra all'uomo come Unico. L'insorgere del politeismo e l'oblio pressochè totale del vero Dio fa sì che Egli prescriva al Suo popolo di adorare solo Lui, proscrivendo la fabbricazione di idoli e il loro culto: Non ti farai idolo nè immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo nè di ciò che è quassù sulla terra, nè di ciò che è nelle acque sotto terra. Non ti prostrerai innanzi a loro e non li servirai. (Es 20, 2-5). Questo Comandamento è dunque una tappa importante della Rivelazione, non solo etica, ma anche teologica: un solo Dio è da adorare, perchè un solo Dio esiste. Anche in questo dunque Dio sostiene la ragione umana, che da sola scopre il monoteismo, ma non ha la forza di aderirvi.

Dovremo dunque esaminare cosa prescrive il Comandamento moralmente, che rapporto c'è la prescrizione morale del monoteismo e la libertà religiosa, quale obbligo c'è di diffondere la vera fede, che rapporto c'è tra la vera fede e coloro che ne professano forme imperfette, nonchè con coloro che professano false fedi e addirittura con coloro che non ne professano affatto, fino a giungere al rapporto tra la conoscenza acquisita in virtù di tale fede e la conoscenza razionale.

LE PRESCRIZIONI DEL PRIMO COMANDAMENTO

Il primo Comandamento prescrive il monoteismo. Quel solo Dio che la ragione scopre non può non essere adorato, in quanto Creatore e Ordinatore del mondo e di ciascuno di noi. A Lui spetta il culto di latria o appunto adorazione. Essa è l'omaggio dell'intelligenza, della volontà, dell'amore fatto in modo incondizionato, con tutte le forze, sia con l'anima che con il corpo. Il solo Dio peraltro si rivela e in virtù di ciò chiede direttamente l'adorazione, nella medesima forma, in quanto Provvidenza e Redentore, ossia come Essere che si mette in relazione personale con tutti e ciascuno. Nell'AT Dio è redentore di Israele dall'Egitto, ma nel NT Egli, nel Figlio, è Redentore del mondo dal peccato. In tale rivelazione Egli appare ancora più adorabile e si esplicita maggiormente il nesso tra la gratitudine affettuosa e l'adorazione per il Dio a cui tutti devono tutto. Dio infatti è infinitamente amabile perchè è infinitamente adorabile e viceversa: ciò sta a Lui molto a cuore perchè Egli non chiede un omaggio estrinseco ma una adesione intima, che può scaturire solo dall'amore verso di Lui. Proprio per suscitarlo, Dio crea, si rivela, redime e prescrive la Legge. Chiedendo un amore di cui non ha bisogno e una adorazione che non accresce la Sua gloria, Egli mette l'uomo in condizione di partecipare alla Sua grandezza e alla Sua bontà. Dando gloria a Dio, l'uomo ne riceve, essendo Sua creatura; amando Dio, entra in comunione col Suo amore che previene e che vuole donare tutto Se stesso, ossia l'assoluto. Solo adorando Dio noi ci immergiamo nel mare dell'essere e della perfezione dal quale usciamo e al quale dobbiamo tornare. Dio, con le Sue infinite perfezioni, è infinitamente adorabile. L'uomo, adorando Dio, aderisce alla natura sua propria più profonda: egli infatti è stato creato proprio per godere del Suo Signore. L'adorazione, in cui sono in germe contenute la Fede, la Speranza e la Carità, è già in terra il godimento di Dio, che sarà perfezionata in cielo, dove la latria sarà la conseguenza della stessa visione dell'Altissimo.

Tale adorazione si concretizza nell'obbedienza della Fede come obbligo primario, sia normativo che esistenziale, nell'affidamento alla Provvidenza di un Dio onnipotente, infinitamente sapiente e buono. Il primo male da cui dobbiamo dunque liberarci è l'ignoranza di Dio, intesa come eclissi dell'intelligenza che privandoci della cognizione di Lui causa ogni male: l'uomo deve cercare Dio così da poter trovare se stesso e la regola della propria vita. Bisogna dunque credere in Dio, testimoniare la Fede, nutrirla, custodirla e respingere tutto ciò che vi è contrario. Il dubbio volontario trascura o rifiuta di credere ciò che Dio ci ha rivelato e garantisce con la Sua autorità, proponendocelo tramite la Chiesa. Il dubbio involontario è l'esitazione a credere, la difficoltà a superare le obiezioni contro la Fede e l'ansia legata alla sua oscurità. Se deliberatamente coltivato, conduce all'accecamento dello spirito. L'incredulità è la noncuranza della verità rivelata o il rifiuto di assentirvi. L'eresia è la negazione in tutto o in parte della verità rivelata da Dio e definita dalla Chiesa. Lo scisma è la ribellione al Sommo Pontefice che rappresenta Cristo in terra o la rottura della comunione con i pastori e i fedeli a lui soggetti. L'apostasia è il rinnegamento della Fede. L'empietà è il disprezzo di Dio e la sfida e la ribellione a Lui. L'ateismo è la negazione dell'esistenza di Dio, evidente nelle perfezioni del creato. L'agnosticismo è il rifiuto di prendere posizione sull'esistenza di Dio o sulla Sua relazione con il mondo, a dispetto dell'evidenza della Rivelazione. Siccome noi conosciamo per ragione e fede un solo Dio, la professione di una religione diversa da quella vera, quando avviene con colpevole ignoranza di essa o addirittura per suo ripudio, costituisce colpa, tanto più grave quanto più si allontani dalla Verità. La forma più perversa di tale allontanamento è l'idolatria, che attribuisce ad esseri inferiori a Dio, spesso neanche senzienti o viventi (come nel feticismo), il culto a Lui dovuto; è una forma di idolatria l'attribuire centralità nella propria vita alle cose del mondo mettendole di fatto al posto del Signore, siano la ricchezza, la fama, il sesso, il denaro, il potere, lo Stato, la razza, la nazione, l'ideologia politica, la ragione, i valori, gli affetti o se stessi. La forma più ignobile e falsa è l'adorazione di satana, che è assolutamente incapace e impotente nel sostituirsi a Dio in alcun modo. Sempre in virtù del monoteismo, è proibita la superstizione, che devia dal vero culto o attribuisce alle sue forme una valenza indipendente dalle disposizioni con cui si compie. Ad essa è collegata la vana osservanza, che attribuisce a certe cose qualità e poteri che non hanno, come ad esempio i talismani. E' peraltro da evitare la divinazione, perchè solo Dio conosce il futuro, per cui è colpa grave affidarsi o praticare l'evocazione dei demoni, dei morti – che non possono uscire dal Purgatorio o dagli Inferi senza il consenso di Dio – l'oroscopo, l'astrologia, la chiromanzia, la cartomanzia, l'oniromanzia, l'interpretazione delle sorti e dei presagi e di altri elementi naturali, la veggenza, l'arte medianica e ogni mantica. Tutte queste pratiche, promettendo di realizzare ciò che solo Dio può fare, ingannano e usurpano ciò che appartiene a Lui solo, Che perciò le ha proibite tutte. Esse tradiscono la volontà umana di dominare tempo e spazio, piuttosto che affidarsi a Dio. La magia è anch'essa proscritta, volendo asservire potenze occulte vere o presunte, per fare il bene o addirittura il male: essa non solo usurpa le prerogative di Dio in modo surrettizio, ma infeuda l'uomo a satana, che si nasconde dietro le coltri ingannatrici del mondo magico. Nella stessa condanna incorrono la stregoneria e lo spiritismo, come ogni pratica di occultismo, a qualunque scopo sia praticata. Infallibilmente, chi cade nella magia e nella divinazione non ottiene il bene che si era prefisso e causa molti mali, anzitutto a se stesso (2). L'irreligione è invece l'atto che mostra irriverenza se non disprezzo di Dio: la tentazione di Dio, chiedendogli interventi non necessari se non addirittura che mettano in dubbio la Sua bontà e onnipotenza; la simonia, che vende e compra le cose sacre, con doni, denaro, blandizie fraudolente a chi può elargirle, ossequi non dovuti a chi può concederle o le concede in modo abusivo (3); il sacrilegio, che profana o tratta indegnamente con le azioni o con le cattive intenzioni le persone sacre (sacrilegio personale), le cose sacre (sacrilegio reale) e i luoghi sacri (sacrilegio locale). Il sacrilegio reale si compie specie nella ricezione in stato di peccato grave dei Sacramenti che invece vanno ricevuti in grazia, ossia l'Eucarestia, la Cresima, l'Ordine, il Matrimonio, o col nascondere i peccati gravi in Confessione. Il più grave sacrilegio reale è il furto e la profanazione dell'Eucarestia. 

In relazione alla speranza, il Primo Comandamento prescrive la fiducia in Lui in attesa del Suo aiuto salvifico per evitare il male e fare il bene, così da meritare il premio e fuggire il castigo. Essa è anche l'ancora di salvezza nelle lotte della vita, che possono essere affrontate e superate nel suo spirito, ottenendone anche la rimozione. Peccati contro la speranza sono la disperazione della salvezza, a dispetto della bontà di Dio, e la presunzione di salvarsi senza merito, come nel Luteranesimo e nel Calvinismo, o senza l'aiuto di Dio, come l'antica eresia pelagiana.

In ordine alla carità, il Primo comandamento, come dicevamo, secondo quanto prescritto da Cristo stesso, ci ingiunge di amare Dio sopra ogni cosa, sopra la nostra vita, sopra noi stessi. Ingiungendocelo, ci mostra l'amabilità di Dio e quindi ci muove ad un amore reale, di volontà, di intelligenza, di sentimento, che resiste ed è fedele nelle prove, nelle persecuzioni e all'occorrenza fino al martirio, che infatti può essere tecnicamente sia per fede che per carità, se fatto per testimoniare l'una o l'altra, sebbene in esso entrambe siano inestricabilmente congiunte e tutte e due lo siano alla speranza. Non a caso la parola “martirio” significa testimonianza. Esso apre immediatamente il Cielo. Contro l'amore di Dio si può peccare per indifferenza, rimanendovi incurante o non volendola prendere in considerazione, misconoscendone l'inizativa e negandone la forza; per ingratitudine, che lo tralascia e lo rifiuta, trascurando di ricambiarlo col proprio amore; per tiepidezza, che esita o è negligente nel rispondere all'amore e che può implicare il rifiuto di abbandonarsi al dinamismo della carità nelle vocazioni proprie; per accidia, che per pigrizia rifiuta la gioia che viene da Dio e addirittura prova repulsione per il bene divino; per odio di Dio, di cui rifiuta le proibizioni e nega la bontà, fino a conculcare il Suo diritto di giudicare l'uomo, maledicendolo.

Gli atti di Fede, Speranza e Carità si compiono continuamente e specialmente nel culto. Etimologicamente esso indica l'insieme degli atti coi quali diamo onore a Dio. Considerato come oggetto dell'etica, esso rientra nel Primo Comandamento in senso generico, mentre il Terzo prescrive quello liturgico. In questa sede va rammentato che esso dev'essere interno ed esterno. L'interno si compie con l'omaggio dell'intelligenza, che crede nella Rivelazione per Colui Che l'ha fatta, e della volontà, che ama Dio, si conforma al Suo volere ed adempie I Suoi precetti. Da ciò scaturisce il sentimento verso Dio, che però è elemento accessorio, se considerato solo come sensibilità interiore. Il culto esterno a sua volta è sia individuale che collettivo. Il primo è costituito dalla preghiera solitaria, in tutte le sue forme, anche sotto forma di meditazione, contemplazione, lettura. Il secondo invece è fatto in gruppo, sia privatamente che in chiesa. La sua forma più alta è quella liturgica, regolata dal Terzo comandamento. L'uno e l'altro culto sono indispensabili. Entrambi sono atti compiuti nel Corpo Mistico di Cristo. A coloro che professano il culto collettivo, Gesù ha promesso la Sua presenza in mezzo a loro (Mt 18,20). In quanto al rapporto tra il culto interno ed esterno, va detto che il primo è causa e fine del secondo, ma quest'ultimo, sia pure come mezzo, è necessario e indispensabile, sia perchè l'uomo ascende alle cose celesti mediante segni sensibili, conformemente alla sua natura, sia perchè esso è una manifestazione spontanea dello stesso culto interno, che se è autentico vuole manifestarsi e unirsi a quello degli altri. E' altresì indispensabile perchè manifestazione unica possibile della devozione collettiva, che non ha una sua sfera intima se non nei soggetti individuali, e che è dovuta a Dio, Che è Creatore e Signore delle società umane. Ancora a parte è il culto liturgico, che è il culto dell'unico Corpo Mistico, unendo così i fedeli al Sacrificio stesso di Cristo e fondendo la dimensione individuale e collettiva in una sola sussistenza in relazione al Capo.

Espressione qualificata del culto è dunque la preghiera, ossia l'elevazione dello spirito a Dio, per adorazione, lode, rendimento di grazie, intercessione e domanda. Senza preghiera non si ha la grazia per obbedire ai Comandamenti ed è essa stessa una grazia da assecondare. Bisogna pregare sempre, senza stancarsi. Essa è prescritta dal Primo comandamento. Esso prescrive anche la pratica del sacrificio, da offrire a Dio in adorazione, riconoscenza, implorazione e comunione. Ogni azione compiuta in unione con Dio è un sacrificio, perchè etimologicamente rende sacro ciò che si fa (sacrificio di lode). Esso deve dunque prima avvenire in ispirito e solo poi assume valore all'esterno, specie se è compiuto mediante atti materiali. La sofferenza è chiaramente il sacrificio più alto, se cercata o accettata in unione all'immolazione di Cristo sulla Croce, l'unica che rimette i peccati. In tale unione completiamo ciò che le manca a vantaggio di tutta la Chiesa. Il Primo Comandamento implica anche la possibilità di fare promesse e voti. Le promesse connesse ai doveri cristiani, formulate coi Sacramenti, vincolano in coscienza e sono condizione di salvezza. Quelle cose che si promettono liberamente a Dio per acquisire un merito è doveroso mantenerle per il rispetto a Lui dovuto, come una preghiera, un sacrificio, una buona azione ecc. Il voto è invece la promessa solenne e irrevocabile con cui l'uomo offre a Dio un bene in vista di un altro maggiore. Esso è atto di devozione e va osservato sotto vincolo di colpa grave. Perciò va fatto solo con piena consapevolezza e adeguata preparazione, se necessario col permesso del confessore. I voti più meritori sono quelli connessi ai Consigli evangelici, nella professione della povertà volontaria, della obbedienza perfetta e della castità perpetua. Solo la Chiesa può, per gravi motivi, dispensare dall'osservanza dei voti. Il proposito è invece un semplice proponimento di compiere una buona azione, senza vincolo di peccato nè mortale nè veniale.

Il Primo Comandamento prescrive la latria a Dio ma, implicitamente, prescrive anche la venerazione o dulia. Essa piò essere la venerazione superiore della Madre di Dio, in virtù della Sua Santità sovraeminente, e la venerazione semplice per i Santi, gli Angeli e i Defunti, in cui Dio ha operato e opera. Essa non è paragonabile all'adorazione, perchè non è incondizionata, ma ne è complemento, perchè rivolta a Chi ha reso venerabili coloro che ne sono oggetto, emanando in essi la Sua Santità. La venerazione infatti non è un'ossequio incondizionato delle facoltà umane, ma nella misura in cui coloro che sono oggetto di essa furono a loro volta conformi al Divino Volere e servono da tramite per condurci a Dio stesso, Che rimane l'unico Che può essere ringraziato per se stesso, Che può accordare il perdono, Che può concedere grazia e quindi può essere amato di per Se'. Non è peccato contro il Primo Comandamento effigiare Cristo, la Madonna, i Santi, gli Angeli e altri soggetti sacri, come intesero sia gli iconoclasti che i Protestanti, sia pure con diverse gradazioni della proibizione del culto iconico. Nell'AT è vero che Dio ha vietato di farsi idoli e di adorarli; essendo poi Egli invisibile, nessuna figurazione di Lui poteva essere fatta. Non mancavano tuttavia oggetti che riproducevano figure celesti, anche se non venivano venerate nè tantomeno adorate, pur essendo sacri, come l'Arca dell'Alleanza, su cui erano cherubini. Quando però Cristo ha reso visibile il Dio invisibile, allora il divieto di raffigurazione è venuto meno; l'immagine è diventata degna di venerazione o dulìa, sia pure relativa, perchè orientata a Chi è rappresentata. Analogamente, l'immagine della Vergine e dei Santi rende onore a coloro cui si riferisce, che in vita e in cielo furono ripieni dello Spirito Santo e sono quindi degni di per sè di venerazione. Tale discorso vale anche per le Reliquie. Ovviamente, tributare alla Vergine, ai Santi, ai Defunti l'adorazione, o venerare in modo assoluto se non addirittura adorare le Reliquie e le immagini è peccato mortale ed eresia (4). Una forma di colpa grave nel culto è quello che chiamiamo culto sconveniente, ossia tributato in modo contrario alle regole stabilite dalla Chiesa docente, come ad esempio preghiere da recitarsi per forza o da propagare necessariamente, con la minaccia di gravi castighi e la promessa di sicuri vantaggi, quasi che essi non dipendessero dalla Fede ma dalle parole pronunziate.

MONOTEISMO E LIBERTA' RELIGIOSA.

L'argomento è assai complesso, non tanto per difformità di vedute su di esso che al giorno d'oggi non esistono, quanto per i mutati atteggiamenti della Chiesa Cattolica nei confronti della libertà di religione, che lascia supporre erroneamente una mutabilità dell'etica o una colpevolezza passata nell'inadempienza dell'autentica Volontà Divina. L'una e l'altra asserzione sono senza fondamento. Esporremo, allo scopo di mostrarlo, dapprima dei concetti introduttivi all'argomento; poi la dottrina della Chiesa su di esso, nel suo sviluppo storico sia pure a sommi capi, per mostrarne la costante congruenza con la Rivelazione; indi l'insegnamento magisteriale contemporaneo. Questo perchè il problema non è etico, ma culturale, ossia verte sul rapporto tra l'etica, che di per sè è immutabile, e le circostanze storiche in cui essa è vissuta, che sono di per sè mutevoli.

L'argomento esige anzitutto alcune puntualizzazioni previe. Ogni precetto dei Comandamenti si delimita nel suo contrario, perchè generalmente riguarda il rapporto tra pari, ossia tra gli uomini, che devono reciprocamente rispettarsi. Ad esempio, l'uomo non deve uccidere, ma non è tenuto a farsi uccidere per non compiere tale azione, avendo un diritto alla difesa che può anche causare la morte dell'aggressore. Ma il Primo Comandamento, riguardando Dio, non rientra in tale regola, non ha un concetto che lo delimita col suo inverso, non riguarda due parti. L'unico suo limite è la libera coscienza che l'uomo ha di Dio. Una volta che l'uomo sa che Dio esiste, è tenuto ad adorarlo. Non può esimersi. Anzi la stessa ricerca di Dio è un dovere morale, perchè è la ricerca della prima causa del nostro essere, a cui, se esiste, siamo legati per gratitudine e a cui evidentemente tendiamo. Perciò la professione di una fede religiosa non è moralmente indifferente. Solo quella vera è moralmente lecita. Le altre no. L'uomo non è libero, innanzi a Dio, di sceglierLo o meno. La libertà umana è un requisito indispensabile per compiere un'azione autenticamente morale, ma non è nè il solo requisito nè, tantomeno, è essa stessa un valore morale. La libertà di coscienza e la conseguente libertà di religione sono le forme principali di esercizio della libertà umana, perchè vertono sulle scelte principali che l'uomo deve fare, ma le modalità concrete del loro esercizio sono state e sono ancora valutate e tutelate diversamente nelle varie civiltà e culture. Ragion per cui la libertà umana e la Fede non sono sullo stesso piano, essendo solo la seconda un valore mentre la prima è tenuta a seguirla. Per questo motivo la Rivelazione, che svela all'uomo solo le cose che egli non potrebbe mai scoprire da solo o ciò di cui ha perduto, anche solo in parte, consapevolezza, e che vertono su Dio, non contiene nulla che riguardi la tutela della libertà stessa in campo religioso, quando essa è male usata. Tantomeno la Rivelazione imposta i rapporti tra libertà religiosa personale e vera Fede nel modo oggi vigente, sebbene tale modo sia perfettamente confacente con i contenuti della Rivelazione stessa e sebbene spetti al Magistero della Chiesa pronunziarsi autenticamente sull'argomento, nelle varie circostanze storiche, vista la stretta attinenza di questo tema storico-culturale puramente umano con il tema morale dell'ossequio dovuto solo al vero Dio.

Nell'antichità, l'uomo non ha mai avuto la libertà di scegliere singolarmente la propria fede religiosa e la propria morale tra più modelli; ognuno nasceva in un popolo denotato da una propria legge, con un preciso fondamento religioso; era la comunità che garantiva al singolo la sicurezza delle verità vissute e professate. Il popolo ebraico, calato nella storia di quelle epoche, non poteva fare eccezione, ma esso ricevette la sua Legge in un modo unico, storico e non mitico. Dio stesso diede i Comandamenti - compreso il Primo - al popolo, senza la mediazione di alcuna istituzione umana. La libertà richiesta per aderirvi era dunque quella del soggetto collettivo, in cui erano riunite tutte le libertà individuali, di tutti coloro che assistettero al prodigio dell'Alleanza e videro l'autorevolezza di Chi dava la Legge e chiedeva il culto solo per Se', negando l'esistenza di altri dei. Il popolo si impegnò per se stesso e per tutti i suoi membri, anche quelli che sarebbero venuti in seguito, perchè gli individui muoiono, ma il soggetto collettivo sussiste sempre.

La norma che Dio diede era innanzitutto morale, vietando altre fedi religiose, ma conteneva anche la sanzione giuridica, la pena, di cui l'infedele è degno, ossia la morte. Tale pena era perfettamente legittima, perchè inflitta dal Giudice dei vivi e dei morti e perchè annunziava quella ben più grave della dannazione eterna, quando ancora la sua nozione non era ben chiara. Tuttavia nel Nuovo Testamento la Legge antica, fatta di decreti e prescrizioni, è decaduta, per cui oggi vale, nel tempo, solo il Comandamento e non più la pena prescritta per l'inadempiente. Tuttavia questi ne rimane sempre passibile, essendogli stata già comminata e attendendolo una ben più grave.

Nel Nuovo Testamento la libertà richiesta per l'adesione a Dio non è più solo quella del popolo, ma del singolo, chiamato alla conversione, ossia al cambiamento di mentalità, nel suo cuore, sia tra gli Ebrei che tra i pagani. Il singolo deve liberamente aderire a Dio. Egli non è libero di non aderire, per cui la sua scelta religiosa non è moralmente indifferente, ma nello stesso tempo è necessario che la sua adesione sia interiore e non solo esteriore. La libertà umana è quindi, nella Bibbia tutta, indispensabile perchè l'adesione a Dio sia moralmente valida, prima solo del popolo, poi di questo e del singolo, tanto che se questo non appartiene al popolo prima della scelta di Dio, una volta che la fa, entra a pieno titolo in esso. Tuttavia la libertà è qui un mezzo, non un valore morale. Ragion per cui, una volta che il popolo cristiano smise di essere perseguitato, attraverso i suoi Stati, produsse delle legislazioni che hanno esercitato delle coazioni non sulla scelta religiosa in quanto tale, ma sulle sue conseguenze, premiando chi aderiva alla vera Fede e punendo chi la rifiutava, l'ostacolava o l'abbandonava. Ciò allo scopo di scoraggiare l'adesione al male costituito dalle false religioni, o la loro diffusione, o anche solo di favorire la diffusione del bene della vera Fede e l'adesione ad essa. Ciò, come si vede, è perfettamente conforme alla Rivelazione, ma non è l'unico modo con cui il problema del rapporto tra libertà religiosa e dovere etico di aderire a Dio può essere risolto. Era l'unico modo per quel contesto storico. Questo processo infatti fu reso possibile dal fatto che nel diritto romano la religione era regolata dal diritto pubblico. La cristianizzazione dell'Impero unì quindi la concezione giuridica latina con l'istanza cristiana dell'adesione alla Fede in modo libero e necessario. Tutte le religioni pagane, ormai in via di sparizione, furono prescritte da Teodosio I nel 381, perchè politeiste, tranne l'ebraica, mentre il Cristianesimo divenne la religione dello Stato.

Anche la Chiesa, successivamente, rivendicando a sè l'esercizio di una potestà coattiva materiale sui suoi membri come requisito proprio della sua natura sociale e come conseguenza della superiorità del potere spirituale su quello temporale – che deve essere quindi al servizio del primo – legiferò contro coloro che, nel suo seno, tradivano la Verità infliggendo loro castighi temporali. Anche questo ordinamento giuridico ecclesiastico è conforme alla Rivelazione, ma non era nè indispensabile nè immutabile, ma solo conforme alla situazione storica.

In genere, nel corso della storia dell'Impero cristiano e della Cristianità, salvo alcuni abusi, anche gravi, stigmatizzati spesso dagli stessi contemporanei, o isolate posizioni teologiche e giuridiche, nessuno ha mai teorizzato e applicato il principio di estorcere l'adesione alla Fede a prescindere dalla coscienza; si è invece sistematicamente punito qualunque delitto contro di essa, a cominciare da quelli esterni e palesi, sino a quelli interiori, arrivando anche ad infliggere la pena di morte, conformemente alla Legge mosaica (5). Questa distinzione nella pratica non viene quasi percepita ed è certamente sottile, ma è essenziale. Ciò è conforme alla Rivelazione, ma non è inscindibile dal dovere morale di aderire a Dio, perciò è mutabile. In quest'ottica agì, per diversi secoli, il tribunale della Santa, Universale ed Apostolica Inquisizione della pravità ereticale, e in essa si comprende l'autorizzazione ad agire contro gli eretici organizzati anche con le armi. Se non mancarono esagerazioni e abusi, avvertiti come tali anche dai contemporanei, è tuttavia esatto affermare che tali prassi furono perfettamente legittime, perchè insegnate dal Magistero, argomentate dai teologi, vissute dai fedeli e modellate sull'Antico Testamento. Nessuno in quei secoli pensò mai che il singolo avesse il diritto di scegliere una religione falsa e non dovesse per questo pagare. Anche gli eretici oggetto delle sanzioni, se avessero avuto il potere, avrebbero applicato tali norme contro i cattolici.

La situazione cambiò quando la Cristianità occidentale si divise in due tronconi, il cattolico e l'evangelico: ora non vi erano più sparute pattuglie di dissidenti, respinte prima dal sentire comune e poi dalle sanzioni giuridiche ai margini della società e poi puniti. Vi erano due gruppi di popoli che non accettavano i dissidenti al loro interno e che volevano distruggersi l'uno con l'altro in nome dei principi giuridici applicati per secoli. L'insuccesso delle conseguenti Guerre di Religione nella Controriforma fece sì che i due gruppi, a livello continentale, dovessero coesistere ignorandosi nel campo spirituale reciprocamente; fece sì che la politica e il diritto internazionali si dovessero laicizzare; fece prendere avvio all'idea della mutua tolleranza tra cristiani. La tolleranza, come necessità pratica, venne teorizzata e poi agganciata al concetto di libertà individuale, di coscienza e di religione, nel clima dell'Illuminismo. Fu una riflessione laica, perchè terza alle parti in lotta. Ma non potè essere accettata per i suoi presupposti: che l'uomo fosse libero di scegliere la sua fede in quanto nessuno può sapere qual è quella vera o addirittura perchè tutte sono false, e che tale scelta non ha ricadute sociali, non dev'essere fatta anche dalla collettività e in ogni caso è solo un fatto intimo. Questi concetti sono in contraddizione con quanto la Rivelazione dice espressamente. Per cui, sebbene di fatto la tolleranza si affermasse, con tutti i suoi vantaggi, progressivamente in tutti gli Stati cristiani e cattolici, la sua teorizzazione giuridica su base teologica giunse tardi. Ancora nel XIX sec. il Magistero condannò la libertà di coscienza e religione sulla base dei presupposti che abbiamo indicato, constatando come peraltro le società rivoluzionarie scaturite dall'Illuminismo non avessero mancato esse stesse di perseguitare la Fede cristiana.

La svolta avvenne quando, a partire da Leone XIII (1878-1903), il Magistero mise progressivamente in evidenza che, nella società contemporanea – diversa dalle precedenti non solo dal punto di vista giuridico, politico e sociale, ma anche nella concezione antropologica – il singolo individuo può scegliere la sua fede senza coazione, non perchè l'oggetto della scelta sia moralmente indifferente, ma perchè la stessa scelta possa avvenire in modo assolutamente libero, anche a prezzo della depenalizzazione del suo cattivo uso non solo nello Stato, ma anche nella Chiesa, sia pure soltanto per le pene materiali. Non a caso nel Codice di Diritto Canonico Pio-Benedettino del 1917 non entrò nessuna norma canonica sulla coazione materiale sugli eretici, gli scismatici e gli infedeli. Questo è perfettamente conforme alla Rivelazione, che pone solo l'obbligo in coscienza di aderire al vero Dio, senza dare indicazioni di sorta sul conseguente ordinamento giuridico. Inoltre, lo sviluppo nel XX sec. dei totalitarismi anticristiani e persecutori spinse la Chiesa ad un insegnamento ancora più organico sul diritto dell'uomo ad aderire liberamente alla vera Fede, che può essere tutelato solo garantendo al massimo l'esercizio della libertà stessa, indipendentemente dalle sue modalità. Questo si ravvisa negli insegnamenti di tutti i Pontefici Romani da Benedetto XV (1914-1922) ad oggi. In tal senso il Magistero contemporaneo non è tanto una sconfessione di quello antico, medievale e moderno, quanto piuttosto una definizione esauriente delle relazioni che devono esistere tra la Fede, la libertà individuale e il potere politico e religioso nella società in cui viviamo. La prospettiva appare modificata rispetto al passato: prima l'individuo e poi il popolo, come soggetto libero esercitante la scelta religiosa, mentre nella storia biblica era il contrario. Ciò è senz'altro più conforme non solo alla società contemporanea ma alla stessa morale evangelica, che contiene in se stessa il germe dell'esaltazione della persona nella comunità di cui è parte.

Il punto culminante di questo riassettamento concettuale è il Concilio Vaticano II (1962-1965), che con la dichiarazione Dignitatis Humanae ha chiuso la questione di cui andiamo parlando apertasi dal Settecento in poi e ha creato i presupposti per una forma nuova di giurisprudenza e cultura cristiana in materia religiosa basata sulla valorizzazione della persona umana singola. Sebbene la tipologia della dichiarazione sia la meno impegnativa del Magistero conciliare, il documento partecipa in pieno del carattere di Magistero supremo e ordinario che caratterizza tutta la produzione del Vaticano II. La sua dottrina è stata recepita dal Catechismo della Chiesa Cattolica, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, dalla vita spirituale, liturgica e di preghiera del Popolo di Dio e dalla riflessione dei suoi teologi. La bellezza di questa impostazione ancora non arriva al suo pieno sviluppo a causa del perdurante spirito laico della civiltà odierna, ma lo farà nei secoli a venire. In attesa di elementi nuovi della cultura umana che esigano sintesi magisteriali ulteriori, che integrino senza abrogarle quelle già formulate e vincolanti.

Cosa insegna dunque oggi la Chiesa in materia di libertà religiosa? Senza dubbio che tutti sono tenuti a cercare il vero Dio e, una volta che l'hanno conosciuto, ad adorarLo e rimanerGli fedeli. Tale dovere è naturale, nè esclude il rispetto delle parziali verità contenute nelle religioni umane o la carità da adoperarsi verso chi è nell'errore e nell'ignoranza religiosa. Il dovere morale di cercare Dio e di aderirvi riguarda non solo i singoli ma anche i popoli e le società di ogni genere, così come la Chiesa, evangelizzando continuamente, fa sì che gli uomini informino dello spirito cristiano la mentalità, i costumi e le leggi della comunità e spinge i suoi membri a chiamare tutti i loro simili, direttamente o indirettamente, con la parola e le opere, alla conoscenza del Vero Dio. Ciò mostra la signoria di Dio su tutte le cose. Tuttavia in materia religiosa è bene che nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza o impedito, entro debiti limiti, ad agire in conformità ad essa, sia in forma privata che pubblica, sia in quella individuale che associata. Tale diritto scaturisce dalla natura stessa della persona umana, la cui dignità la fa liberamente aderire alla Verità divina che trascende l'ordine temporale. Per questo perdura anche in coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la Verità e di aderirvi. Non è perciò nè un diritto all'errore nè la licenza di aderirvi in deroga alla Legge, ma un diritto naturale alla libertà civile, ossia all'assenza di coazione esteriore, entro giusti limiti, da parte del potere politico, in materia religiosa. Esso dev'essere riconosciuto dall'ordinamento giuridico per diventare un diritto civile. Rimane fermo il principio che, in base alle circostanze peculiari dei popoli, in essi una comunità religiosa possa avere uno speciale riconoscimento civile, senza che però questo misconosca il diritto personale alla scelta libera. Ciò implica da un lato una accettazione provvisoria della Chiesa di forme di religione di Stato che non siano la propria, dall'altra la sua aspirazione al riconoscimento del Cristianesimo come religione di ogni Stato perchè di ogni popolo. La libertà religiosa non è nè illimitata nè semplicemente definita dall'ordine pubblico concepito in modo naturalista. I suoi giusti limiti sono determinabili di situazione in situazione sociale con prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, ratificati dall'autorità civile secondo un ordinamento giuridico conforme all'ordine morale oggettivo. Ossia possono avere diversa applicazione per esigenze collettive che però mai possono misconoscere la libertà umana in quanto tale e il diritto di Dio ad essere adorato.

ADNEXUM I

ITE AD GENTES
Appunti di missionologia

“Andate ed ammaestrate tutte le nazioni
insegnando loro a praticare
tutto quanto vi ho comandato”

(Nostro Signore Gesù Cristo agli Apostoli)

La missione ai pagani è la missione per eccellenza della Chiesa. Cristo è in fondo il primo missionario, mandato dal Padre presso di noi. Tramite Lui, tutta la Trinità dice a ciascuno degli uomini: Non avrai altro Dio al di fuori di me. Il precetto di evangelizzare tutte le genti è un precetto fondamentale, aggiunto da Cristo alla Legge, che ragionevolmente può essere trattato in appendice al Primo Comandamento. La missionologia o missiologia è la teologia delle missioni. Di nascita recente, nonostante la missione sia antica come la Chiesa, contempla sia l'aspetto teorico che quello pratico della missione. Quello che segue è una breve esposizione sulla scia di due documenti fondamentali della Chiesa Cattolica sull'argomento, il decreto Ad Gentes del Concilio Vaticano II (1962-1965) e l'enciclica Redemptoris Missio del beato Giovanni Paolo II, del 1990, con un breve excursus introduttivo sulla storia delle missioni stesse.

TEORIA E PRASSI DELLA MISSIONE

Per mandato divino la Chiesa è missionaria, in quanto Sacramento universale di salvezza. Essa non ha mai smesso di evangelizzare, dai tempi degli Apostoli, il cui nome vuol dire proprio “inviato”, e che percorsero tutto il mondo conosciuto, generando una Chiesa ex gentibus accanto ad una ex circumcisione, poi scomparsa e oggi embrionalmente rinata dopo quasi duemila anni. Nell'Impero Romano ciò avvenne senza un piano specifico, ma fu cristianizzato tutto già entro la fine del IV sec. Al suo interno interi popoli dell'antichità aderirono alla Fede in forme specifiche di Cristianesimo nazionale, creando Chiese ancora esistenti (Copti egiziani, Assiri, Siriani aramei, Caldei, Etiopi, Armeni, Indiani del Malabar). Ai barbari in Occidente andarono, in tempi differenti, grandi missionari: San Severino Abate nel Norico e in Pannonia, san Patrizio in Irlanda, san Cesario di Arles e san Gregorio di Tours tra i Franchi convertitisi con il loro re Clodoveo, san Gregorio Magno, alle cui iniziative si dovette la conversione dei Visigoti, dei Longobardi e degli Anglosassoni, san Willibrordo in Frisia, san Bonifacio in Germania, sant'Anscario in Scandinavia, i santi Cirillo e Metodio in Moravia e nei Balcani. Con il Sacro Romano Impero l'espansione missionaria è accompagnata dalla conquista militare e dalla civilizzazione, specie dei Germani del nord e degli Slavi del Baltico. Dal XII sec. in quella zona si combattono Crociate per difendere la missione e renderla possibile. Ciò non è in contrasto con la Rivelazione ed è perfettamente funzionale allo spirito dell'epoca, sebbene non sia mai stato parte integrante della missione stessa. Molto raramente infatti, e chiaramente in modo abusivo, la Fede è stata estorta con la violenza, mentre solo pochi teologi hanno sostenuto che i popoli pagani dovessero essere assoggettati come condizione previa per la loro evangelizzazione (6). Molti popoli d'Europa si convertirono in blocco sull'esempio dei loro sovrani, dando inizio alle moderne nazioni (Danimarca, Svezia, Norvegia, Russia, Ungheria, Bulgaria, Polonia, Georgia). E se nel Basso Medioevo la grande spinta missionaria è imbrigliata dall'espansionismo islamico e molti progetti di evangelizzazione dell'Estremo Oriente abortiscono, nella Controriforma con la scoperta dell'America nuovi popoli sono introdotti nel Corpo Mistico, grazie a grandi figure come quella di Bartolomeo de Las Casas e alle missioni degli Ordini religiosi. Il maggior missionario di allora fu San Francesco Saverio, che battezzò in India, Cina e Insulindia. Una vigorosa espansione del Cattolicesimo si ebbe in Africa e in Asia nel periodo della colonizzazione e delle esplorazioni europee nell'800, con grandissime personalità come il beato Daniele Comboni o Guglielmo Massaia. Ancora oggi procede a ritmo serrato l'attività missionaria, con frutti eccezionali proprio nei Paesi dove ancora vi è persecuzione e con crescite esponenziali nei Paesi africani. Il più grande missionario di tutti i tempi, per quantità di posti visitati, è stato il beato papa Giovanni Paolo II. Va inoltre riconosciuto che lo sforzo missionario è stato enorme e costante anche nelle Chiese separate: gli Ortodossi tra gli Slavi e in Siberia, i Nestoriani in tutta l'Asia, i Calvinisti e i Luterani nell'America del Nord e in Australia, gli Anglicani nel Commonwealth britannico. Non vi è Cristianesimo senza missione. Essa arriva con la civiltà cristiana, occidentale o orientale, ma non è una semplice sovrapposizione della religione alla politica, per cui l'accusa di imperialismo e colonialismo religiosi non ha alcun senso. Nel corso di questa storia di evangelizzazione, costante è stata la testimonianza del martirio, che ancora oggi fa scorrere a fiumi il sangue battezzato, pressochè ovunque.

Di recente si è messo in dubbio il dovere della Chiesa di evangelizzare, in quanto tutti gli uomini ricevono la Grazia attraverso delle vie straordinarie e quindi sono già uniti al Corpo Mistico, anche se in modo non consapevole. In realtà, tali vie sono percorse dalla Grazia solo a partire dalla mediazione sacramentale della Chiesa, che applica in questo mondo i meriti di Cristo a vantaggio di tutti gli uomini, a cominciare dai suoi membri, pienamente incorporati a Cristo, sino poi a tutti gli altri. Costoro ricevono la Grazia in tale maniera solo temporaneamente e in modo imperfetto, per cui hanno assoluto bisogno di conoscere ed aderire al Vangelo. Sebbene i battezzati acattolici e gli stessi non cristiani siano o possano essere, in gradi diversi, connessi al Mistico Corpo, essi devono essere pienamente incorporati ad esso, in un processo di crescita che deve organicamente includere tutti coloro che vivono in questo mondo. La Chiesa si accresce come organismo portando a piena unione con sé questi suoi membri che solo in modo imperfetto, parziale e provvisorio le sono uniti. Essa capovolge così la cattiva generazione in Adamo, inserendo tutti nel Cristo per la rinascita, che avviene pienamente solo attraverso una adesione consapevole a Lui. In ragione di ciò, anzitutto va detto che la Chiesa non potrà mai smettere tale attività, con la preghiera, il sacrificio e la predicazione, che sono un solo trittico missionario, nel quale proprio i primi due elementi sono più efficaci, mediante cui non solo rende efficace la terza ma anche raggiunge coloro che essa non può avvicinare (7); poi va aggiunto che, proprio per il fatto che il cristiano cattolico battezzato è un predestinato a tale incorporazione piena a Cristo, la Chiesa non può mai esimersi dal predicare perchè, sebbene essa non ha ancora potuto convertire tutti, neanche può, con l'inerzia, tralasciare il dovere di aggiungere alle sue fila coloro che Dio ha scelto.

Va perciò innanzitutto detto che la Chiesa è missionaria per volontà di Dio Padre, Che vuole riunire tutti gli uomini in Cristo mediante lo Spirito. In ragione di ciò, la missione di Cristo, Mediatore tra Dio e l'uomo, dev'essere fatta conoscere a tutti, perchè Egli è Capo del Genere umano, perchè ciò che Lui compì in terra deve essere comunicato a tutto il mondo e perchè la Salvezza di Dio non è né un rituale esoterico né un sapere iniziatico, ma una Grazia concessa a ogni persona umana. La salvezza è universale, anche se solo nella Chiesa si può rinvenire. A tale scopo opera lo Spirito Santo nella Chiesa stessa, costantemente, senza alcuna sosta, garantendole efficacia. Essa dunque, inviata da Cristo e supportata dal Paraclito, deve seguire questa strada, che è la stessa lastricata dall'esempio degli Apostoli, fatta di parola, preghiera, segni e sacrificio, anche fino all'effusione del sangue, perchè il chicco di grano che muore porta molto frutto o, come scriveva Tertulliano, il sangue dei martiri è il seme della diffusione della Fede. Questo mandato è conferito innanzitutto agli Apostoli e quindi ai loro Successori, il Papa e i Vescovi, ed è universale, sebbene non è possibile compierlo ovunque alla stessa maniera, in quanto differenti sono le condizioni in cui si esplica e non sempre con i medesimi successi. Il mezzo più comune è la fondazione delle missioni, ossia dei luoghi dove si svolge attività di evangelizzazione e dove si genera l'embrione di una nuova Chiesa. Naturalmente anche quando cessa la fase propriamente missionaria, ogni Chiesa deve evangelizzare i propri membri, sia nati al suo interno sia acquisiti nella ulteriore dilatazione dei confini della Fede. Così si realizza il mandato conferito a tutti i Vescovi e ai fedeli, sia laici che ecclesiastici, a loro uniti. Facendo ciò la Chiesa è strumento di realizzazione del piano salvifico del Creatore del mondo, il Quale lo ha creato per elevarlo alla conoscenza di Sé e che a tale scopo lo ha anche redento nel Figlio Suo, perchè Lo conosca, Lo ami e Lo serva quaggiù per poi goderLo in cielo. L'attività missionaria serve altresì perchè ogni uomo comprenda l'autentica verità su di sé, caduto nella colpa e liberato da Cristo. Essa è congruente alla condizione umana, anche se nessuno può pretendere da Dio di ricevere da Lui il messaggio di salvezza. In questo si vede la gratuità della giustizia di Dio, offerta a tutti proprio perchè nessuno ne aveva diritto. Quindi, attraverso questa azione missionaria, si realizza nel tempo, dopo essersi così manifestato, il piano di Dio.

L'opera missionaria considerata in se' stessa è segnata dalla vastità dell'azione da compiere. Necessita di testimonianza viva e di un dialogo sincero in mezzo a e con coloro che devono essere evangelizzati. In tale prospettiva i cristiani devono essere operosi nella carità, come preambolo, sostegno e complemento dell'azione missionaria che essa stessa è atto di carità soprannaturale. Franchezza e fermezza sono le qualità indispensabili della missione; i convertiti, anche se pochi, per essere frutti sodi vanno seguiti con prudenza e amore in tutto il loro percorso. I motivi delle conversioni vanno esaminati e all'occorrenza corretti. Nessuno deve mai essere costretto alla Fede o attirato in essa con raggiri, così come nessuno, alla stessa maniera, per volere di Dio, non deve esservi allontanato. I convertiti debitamente esaminati sono ammessi al catecumenato, mediante riti liturgici appositi, per la loro formazione spirituale e morale nell'istruzione e nella preghiera. Indi sono uniti alla comunità nei Sacramenti dell'iniziazione cristiana. In genere, per formare una nuova comunità cristiana, bisogna creare i presupposti e sviluppare le condizioni perchè essa arrivi alla maturità, con un clero indigeno ben formato, una vita religiosa florida, un laicato attivo, per continuare a irradiare la luce di Cristo nel luogo in cui è nata, senza che coloro che vi aderiscono si sentano sradicati dalla loro identità culturale, ma con tutta la sua importanza si percepiscano inseriti nell'unico Popolo di Dio. Una cura speciale va dunque riservata alla formazione del clero locale e all'occorrenza del diaconato permanente; in subordine, anche dei catechisti; in parallelo, la promozione di tutte le forme di vita religiosa.

Le Chiese particolari così fondate devono essere in piena comunione con quelle già esistenti, ricevendone gli aiuti necessari nell'ambito spirituale e temporale. Devono essere rodate per svolgere esse stesse la missione nel loro interno, a partire dai propri Vescovi sino ai laici, il cui apporto è quindi indispensabile. Perchè ciò accada, è bene che le nuove Chiese siano adattate alla realtà socio-culturale del territorio, siano cioè frutto di un processo missionario di inculturazione, tenendo tutto ciò che è buono degli ambienti dove si radicano (8).

Una menzione speciale meritano ovviamente i missionari. Sacerdoti, religiosi o laici che siano, essi hanno aderito ad una chiamata speciale. La loro vocazione ha una spiritualità profondissima e particolarissima (lasciarsi condurre dallo Spirito, vivere il mistero di Cristo inviato, amare la Chiesa e gli uomini come li ama Gesù, considerare il santo come unico vero missionario), che esige un coinvolgimento e una abnegazione totali. Perciò il missionario deve ricevere una formazione spirituale e morale particolare, nonché una peculiare in teologia e missionologia. In tale prospettiva è indispensabile l'attività degli Istituti missionari, ossia di quelle famiglie religiose che riuniscono solo missionari e che svolgono attività di missione, spesso in campi sconfinati.

L'attività missionaria va organizzata, perchè tutto avvenga nell'ordine previsto dall'Apostolo (1 Cor 14, 40). Il compito precipuo di coordinare la missione spetta al Romano Pontefice, che lo compie mediante la Sacra Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, in passato retta da lui stesso. Da essa dipendono le Pontificie Opere Missionarie (9). Vi è inoltre l'organizzazione diocesana delle missioni – oggi molto necessaria e spesso trascurata per la presenza di tanti infedeli anche in mezzo a noi – ed è necessaria la cooperazione regionale tra le Chiese per l'attività di propagazione della Fede. Spetta in particolare ai Vescovi coordinare le attività degli Istituti missionari e che essi collaborino tra loro, cooperando tutti con gli Istituti di studi specializzati. La cooperazione in tal senso è fondamentale tra tutti i fedeli. Il loro rinnovamento spirituale è indispensabile per la promozione dell'evangelizzazione. Ogni comunità cristiana ha il dovere della missione e con esse i propri Vescovi, mandati a tutte le genti, anche quando non svolgono più mansioni di governo, e tutti i sacerdoti in quanto loro collaboratori; tale dovere incombe anche su tutti gli Istituti religiosi, sia contemplativi che attivi, ciascuno secondo il suo carisma. Infine, tocca ai laici svolgere attività indefessa di annuncio in tutti i luoghi ove si trovano (10).

In questa predicazione è centrale la consapevolezza che Gesù è il Solo Salvatore, perchè nessuno va al Padre se non per mezzo di Lui. Il Gesù da predicare è quello della Storia: non vi è iato tra la Sua Persona storica e ciò che di Lei si confessa nella Fede. Essa è una proposta alla libertà dell'uomo. La Chiesa è dunque segno e strumento di salvezza, offerta a tutti, a dispetto di tutto, perchè nessuno di noi cristiani può tacere ciò di cui è testimone. L'instaurazione del Regno di Dio è lo scopo della missione: esso è Cristo stesso in ognuno e in tutti. Le sue caratteristiche e le sue esigenze modificano il mondo in cui è instaurato. Il Risorto è il Regno stesso, compiuto e proclamato, secondo quanto Egli stesso ha tramandato alla Sua Chiesa, il cui criterio è quindi l'unico da seguire nell'attività missionaria. Essa è così al servizio del Regno. Protagonista della missione è lo Spirito Santo, che la guida, la porta fino ai confini del mondo, rende tutta la Chiesa missionaria e opera sempre e ovunque in un'opera che è appena agli inizi, perchè immenso è ancora il numero di chi ignora Cristo o lo conosce male. Questi immensi orizzonti costituiscono un quadro complesso e in movimento che rende, oltre ogni dubbio, ancora indispensabile la missione, come sarà del resto fino alla fine dei secoli. Tutti i popoli vanno raggiunti, a dispetto delle difficoltà. La missione ha dunque ambiti variegati, territoriali, sociali, culturali, economici e politici, oltrechè religiosi, da portare alla Luce del Vangelo con sensibilità e strategie adatte. Ciò implica fedeltà a Cristo e impegno nella promozione umana, specie verso i popoli del Terzo e del Quarto Mondo. Le vie della missione sono molteplici: la testimonianza, l'annunzio, la conversione, il Battesimo, la formazione di Chiese locali, l'uso delle cosiddette comunità ecclesiali di base, la citata inculturazione e lo stesso dialogo interreligioso. Tutti questi metodi promuovono lo sviluppo umano e cristiano educando le coscienze; per essi, criterio e fonte è la carità.

Di tutte queste indicazioni si deve fare poi ancora più tesoro oggi in relazione alla nuova grande emergenza dell'evangelizzazione, la laicizzazione e la scristianizzazione dei popoli battezzati, dove appunto si sta cercando di lanciare, con criteri simili, una Nuova Evangelizzazione o ri-evangelizzazione, campo di azione di ognuno di noi.

UNITATIS REDINTEGRATIO
Appunti di teologia ecumenica

“Prego perchè essi siano una cosa sola
come Io e Te, Padre, siamo una cosa sola”

(Nostro Signore Gesù Cristo)

Dopo l'obbligo della missione, il Primo comandamento ingiunge alla Chiesa quello di far sì che tutti i credenti in Cristo siano una cosa sola nel Corpo Mistico, perchè essi abbiano un solo Dio nella pienezza della Sua Rivelazione. Certo, l'annunzio della Verità è prioritario rispetto alla stessa riunificazione della diaspora cristiana, per cui il processo di restaurazione dell'Unità non pregiudica né le conversioni individuali né le riunioni parziali di Chiese separate con la Cattolica. Ma lo scopo ultimo è la restaurazione dell'Unità del Primo Millennio, dell'Antica Chiesa Indivisa. Le Chiese separate, che godono di una unione al Corpo Mistico tanto più perfetta quanto più hanno conservato l'integrità della Rivelazione, devono rientrare nel Cristo Totale. Il movimento deve essere sia da parte loro verso di noi che da parte nostra verso di loro. In quest'ottica si comprende la specificità dell'ecumenismo contemporaneo e la complessità della sua teologia, che deve sintetizzare le dogmatiche simili, reinterpretare le terminologie dottrinali in un solo senso ortodosso, colmare le differenze mediante un processo argomentativo che si sviluppi dall'interno di ogni dottrina, salvaguardare le peculiarità, superare le divergenze in ambiti caduchi. Bisogna evitare da un lato le tentazioni dell'irenismo e del sincretismo, che sintetizzano elementi teologici differenti in modo scorretto, e sono essi stessi dei gravi peccati contro il monoteismo, dall'altro di cadere nell'unilateralismo che attribuisce alla Chiesa stessa, in quanto detentrice della piena verità, una supremazia che trasforma l'ecumenismo in annessionismo religioso: tale prospettiva è senz'altro teologicamente corretta ma pastoralmente improduttiva, come hanno dimostrato i secoli passati. Analogamente, l'obiettivo dell'ecumenismo contemporaneo non deve essere il semplice raccordo, la federazione delle Chiese a livello operativo (ragion per cui la Chiesa Romana rigetta, pur senza condannarlo, il World Council of Churches, di cui fanno parte quasi tutte le Chiese cristiane ed è una sorta di Parlamento ecclesiastico con scopi pratici), ma il ristabilimento della piena comunione gerarchica visibile, segno ed epifania dell'Unione reale in Cristo. Vedremo perciò la mappa generale delle Chiese separate e i principi della nuova teologia ecumenica sulla base del decreto del Concilio Vaticano II (1962-1965), Unitatis Redintegratio, e dell'enciclica del beato Giovanni Paolo II (1978-2005) Ut unum sint (1995), che sono i più importanti documenti magisteriali recenti sull'argomento.

GLI STRAPPI DELLA TUNICA INCONSUTILE

La Chiesa è la veste mistica del Cristo e come la Sua tunica è senza cuciture, tutta d'un pezzo. Essa non può essere lacerata. Eppure chi si allontana da essa è come se la strappasse, senza lacerarne l'integrità ma impedendole di essere tanto ampia e splendida quanto dovrebbe. Nel corso dei secoli eresie e scismi hanno strappato la Chiesa romana, che, conformemente al suo dovere primario, li ha condannati per salvaguardare il deposito ad essa affidata. Molte di quelle eresie e tanti di quegli scismi sono scomparsi e rientrati; altri sopravvivono. Se quando sono nati i loro artefici, i cosiddetti eresiarchi nel caso delle eresie, hanno sicuramente commesso colpa innanzi a Dio, e se in alcuni casi anche nella Chiesa Cattolica non sono mancate responsabilità nello spingere alcuni gruppi alla rottura, coloro che oggi vivono fuori di essa ordinariamente non hanno colpa alcuna ed è lodevole non solo annunziare loro la pienezza del Vangelo ma anche giungere alla riunione mediante un ripensamento delle ragioni della divisione. Da queste lacerazioni sono dunque nate molte Chiese ancora esistenti. Nel Concilio di Efeso (431) fu definita la dottrina della Duplice Natura di Cristo in una sola Ipostasi, condannando la concezione di Nestorio, che sosteneva invece l'esistenza nel Redentore di due Nature con due Ipostasi ciascuna, unite in una sola manifestazione fenomenica o Prosopo. La dottrina nestoriana si diffuse soprattutto tra i cristiani Siriani d'Oriente o Assiri, i quali si separarono definitivamente dalla Grande Chiesa (greco-latina) solo quando fu condannato il maestro di Nestorio, Teodoro di Mopsuestia, sulla cui ortodossia nessuno aveva mai sollevato dubbi fino a quel momento, nel II Concilio di Costantinopoli (553), facendo nascere la Chiesa Apostolica d'Oriente, il cui capo è il Patriarca di Seleucia Ctesifonte. Una frangia di essa, la Chiesa Caldea, retta dal Patriarca di Babilonia, è in comunione con Roma dal 1553 nella Fede cattolica. La Chiesa Assira ha esercitato una certa influenza sulla Chiesa Malabarese, una di quelle dei cristiani indiani detti di San Tommaso – perchè questo Apostolo evangelizzò l'India- che, sia nella sua componente dipendente da Seleucia, sia nella sua frangia autocefala (ossia dotata di un proprio Patriarca), sono anch'esse nestoriane. Esiste altresì una Chiesa Cattolica Malabarese (1599), retta da un Arcivescovo Maggiore dal 1992. Nel Concilio di Calcedonia (451) fu definito il dogma cristologico che affermava l'unione delle due Nature senza mescolanza o alterazione nell'Unione Ipostatica, condannando il monofisismo di Dioscoro e Eutiche, che invece insegnavano il riassorbimento della Natura Umana di Cristo in quella Divina. Alcune Chiese conservarono il monofisismo: la Chiesa Copta sotto il Patriarca di Alessandria d'Egitto, la Chiesa Siriana sotto quello di Antiochia di Siria, quella Apostolica Armena (oggi divisa in tre Patriarcati: Echtmiadzin, il maggiore, Costantinopoli e Gerusalemme), quella Etiope – fondata dai Copti, con un proprio Patriarca autocefalo dal 1959, e da cui si è separata la Chiesa Eritrea nel 1998- e quella Malankarese, ossia una frangia dei cristiani di San Tommaso, dei quali alcuni sono dipendenti dal Patriarca antiochieno, altri hanno un loro Patriarca. Di queste Chiese esistono frazioni unite a Roma: quella del Metropolita malabarese (dal 1930), quella del Metropolita d'Etiopia (1930), quella del Patriarcato di Cilicia degli Armeni (1742), quella del Patriarca di Antiochia di Siria (1757) e quella del Patriarca di Alessandria d'Egitto dei Copti (1741). Tra tutte queste antiche Chiese, dette Precalcedonesi, e la Chiesa Cattolica esiste oggi un intenso dialogo teologico che ha permesso la stesura di dichiarazioni interecclesiali che attestano la comune dottrina a dispetto delle differenti terminologie, debitamente reinterpretate (1997 con la Chiesa Assira; 1973 e 1979 con quella Copta, 1971 e 1984 con quella Sira, 1996 e 1997 con quelle Armene), e che si prolungano in Commissioni teologiche miste permanenti. Un caso a parte è quello della Chiesa Maronita, di rito antiochieno, che non ha mai rotto la comunione con Roma, retta da un suo Patriarca di Antiochia.

A partire dal IX sec., la Chiesa Cattolica Romana si separò più volte da quella Greca Ortodossa per divergenze sul Primato di Pietro e sulla Doppia Processione dello Spirito Santo, oltre che per questioni disciplinari. La rottura del 1054 tra papa san Leone IX e il patriarca Michele Cerulario fu quella definitiva, perchè le riunificazioni tentate sotto Gregorio VII (1073-1085), col Concilio di Bari del 1098, con i Concili Ecumenici II Lionese (1274) e Fiorentino (1431-1439) non sono state stabili, pur avendo rilevanza dottrinale. Oggi esistono le seguenti Chiese Patriarcali Ortodosse: di Costantinopoli, di Alessandria d'Egitto, di Antiochia di Siria, di Gerusalemme, di Mosca e di tutte le Russie, di Serbia, di Bulgaria, di Romania, di Georgia, di Ucraina; vi sono altresì le seguenti Chiese rette da Arcivescovi: di Santa Caterina sul Sinai, di Cipro, di Grecia, di Macedonia, di Albania, di Cechia e Slovacchia, di Polonia, d'America (USA), di Montenegro; vi è la Chiesa Sinodale Russa di Jordanville; vi sono le Chiese metropolitane di Bielorussia all'estero e Ucraina all'estero; vi sono le Chiese autonome di Ungheria, Finlandia, Estonia, Giappone, Cina. Più un buon numero di Chiese minori dissidenti. Tra queste Chiese non mancano quelle unite già a Roma. Innanzitutto vanno ricordati i tre Patriarcati dei Greci Melchiti Cattolici, di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, retti da un solo Patriarca, formalmente uniti a Roma dal 1724; poi vanno menzionate le Chiese greco-cattoliche di Romania e Ucraina (1721 e 1595), rette ciascuna da un Arcivescovo Maggiore (1963 e 2005); la Chiesa Rutena degli USA, col suo Metropolita; le Chiese Bielorussa, Bulgara, Greca, di Krizevci, Slovacca, Ungherese, Albanese, Russa, Italo-albanese. Le relazioni tra Cattolici e Ortodossi sono molto fitte, ma l'intensità cambia da Chiesa a Chiesa. Tutte queste Chiese, la nestoriana, le precalcedonesi, le greco-bizantine e quelle tra esse unite a Roma sono dette Orientali.

Diversa e ancora più complessa la storia delle eresie e degli scismi delle Chiese Protestanti. L'epicentro è la nascita del Luteranesimo nel 1517, con la negazione della Tradizione, del Magistero, dei Sacramenti, del Purgatorio, della Giustificazione per opere; oggi le sue Chiese sono unite nella Federazione Luterana Mondiale (1947), e tra esse sono importanti le Chiese di Stato dei Paesi scandinavi, nonché la Chiesa Evangelica Unita della Germania. Sono Chiese episcopaliane, perchè hanno ancora la gerarchia episcopale. Posteriore è il Zwinglianesimo, del 1523, simile al primo, a cui fanno capo le Chiese Evangeliche Riformate. Esse sono prive dell'autorità episcopale. Il Calvinismo è la più importante delle confessioni presbiteriane, ossia dotate solo di preti. Nato nel 1535, professa la doppia predestinazione. Le sue Chiese sono unite nell'Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate (1970). Diffuso in America, in Olanda, in Scozia, in Australia, al Calvinismo sono collegate le Chiese Valdesi, di origine medievale, e da esso si sono staccate le Chiese Battiste, nel 1607, unite nell'Alleanza Battista Mondiale nel 1905; esse sono caratterizzate dal Battesimo degli Adulti. Nel 1532 invece nacque la Chiesa Anglicana, diffusasi poi in tutto il Commonwealth britannico e oggi comprendente molte Chiese nella Comunione Anglicana. Di esse, molte frange sono confluite nella Chiesa Cattolica dal 2009 con gli ordinariati personali istituiti da Benedetto XVI. Sono gli Anglo – Cattolici, tra cui non mancano anche riformati di altre confessioni. Dall'Anglicanesimo si sono staccati i Metodisti, nel 1740, oggi uniti nel Consiglio Metodista Mondiale del 1881. Senza contare la pletora infinita di gruppi minori, spesso di tipo avventista, ossia in attesa dell'imminente ritorno di Cristo (dal 1831 in poi). Alcuni di questi gruppi, assai chiusi all'ecumenismo, addirittura tracimano fuori dal Cattolicesimo.

Dopo la Riforma Protestante, la Chiesa Cattolica ha visto separarsi da sé l'Unione di Utrecht, giansenista (1723), retta dall'Arcivescovo di Utrecht, a cui ha aderito la Chiesa Vetero-Cattolica, formatasi dopo il 1871 in seguito al rifiuto, da parte dei suoi membri, del dogma dell'Infallibilità del Papa, definito dal Concilio Vaticano I, e in comunione con la Chiesa indipendente filippina, staccatasi da Roma nel 1902. L'ultimo scisma che ha travagliato la Chiesa Cattolica è quello della Fraternità San Pio X, separatasi da Roma nel 1988 per l'ordinazione scismatica di alcuni Vescovi. Essa ripudia alcuni aspetti della dottrina del Vaticano II. La scomunica per i suoi presuli è stata tuttavia rimessa da papa Benedetto XVI, essendo avanzate le trattative per la riunificazione. Diversa la situazione dei numerosi gruppi sedevacantisti e conclavisti, generalmente sparuti di membri, che si sono separati da Roma considerando il Papato eretico dopo il Concilio Vaticano II.

A queste membra lacerate della Chiesa si rivolge l'impegno ecumenico.

PRINCIPI DELL'ECUMENISMO CATTOLICO

Essi sono stati puntualizzati dal Concilio. Innanzitutto si dichiara che l'Unità dei Cristiani è uno scopo precipuo della Chiesa, che il desiderio di essa è vivissimo e che la separazione è una contraddizione grave del Vangelo. Tale Unità ha il suo basamento nella successione apostolica, nella collegialità dell'episcopato che succede ai XII Apostoli, nel Primato petrino. Questi elementi rendono la Chiesa una e unica. Tuttavia i cristiani separati sono costituiti in una certa comunione con la Chiesa per diversi motivi: il Battesimo, per cui spetta loro il nome cristiano, la Parola di Dio, la Grazia, le virtù teologali, i doni interiori dello Spirito, varie azioni sacre legittimamente compiute; le Chiese separate possono essere strumenti salvifici per chi vi è dentro, nella misura in cui esse partecipano della Grazia e della verità cattolica; esse tuttavia non sono l'unica e unitaria Chiesa di Cristo. Il movimento ecumenico vuole dunque rimuovere gli ostacoli e promuovere l'Unità. Tutti partecipano dell'impegno ecumenico, nella preghiera, nel sacrificio, nell'azione, sia promuovendo l'Unità sia mostrando o restaurando la bellezza della vera Chiesa, deturpata dal peccato. L'esercizio fattivo dell'ecumenismo quindi esige l'impegno di tutti i fedeli e la continua riforma della Chiesa stessa. Perciò esso inizia con la conversione interiore, con la carità verso i fratelli, inclusi quelli separati. La preghiera comune e la conversione del cuore sono i pilastri dell'ecumenismo. La comunicazione dei Sacramenti è invece rimandata alla piena unità canonica. In vista di ciò, si celebrano congressi, incontri, seminari, convegni, giornate e settimane di studi, spesso attraverso commissioni, consigli, comitati interecclesiali, per la piena conoscenza reciproca e il superamento delle divergenze. In tale ottica, anche l'insegnamento teologico e storico deve avvenire nello spirito ecumenico. La dottrina cattolica va poi esposta in modo vero, umile e caritatevole, senza finte debolezze e indebite arroganze. Tutti i cristiani devono poi cooperare per il bene e la pace. Una particolare menzione meritano la tradizione liturgica e la ricchezza delle tradizioni stesse degli Orientali, la complementarietà delle loro formule teologiche con le nostre, la legittima diversità della loro disciplina. In quanto alle Chiese occidentali, si sottolinea l'importanza della venerazione che con esse condividiamo per la Scrittura, la loro pietà e carità incentrata su di essa, la comunanza del Battesimo. Si mantiene dunque vivo l'auspicio e con esso la speranza dell'Unione.

Questi principi sono stati ribaditi e integrati dal beato Giovanni Paolo II, che tanto ha fatto per l'ecumenismo nel suo continuo peregrinare tra i popoli. Egli ribadisce che il disegno di Dio è la comunione e che la via ecumenica è quella della Chiesa. Essa implica rinnovamento e conversione, nell'importanza fondamentale data alla sana dottrina. In tale cammino la preghiera ha il primato e il dialogo è il mezzo fondamentale, nelle sue strutture centrali (Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani) e periferiche. Il dialogo è concepito come esame di coscienza e per risolvere le divergenze, nonché per giungere alla collaborazione pratica. I frutti del dialogo sono la fraternità ritrovata, la solidarietà nel servizio all'umanità, la convergenza nella Parola di Dio e nel culto, l'apprezzamento dei beni presenti tra gli altri cristiani, la crescita della comunione, la ripresa dei contatti a volte dopo secoli, l'intensificazione di quelli sempre esistiti, la consapevolezza della fraternità delle Chiese, le stabili relazioni ecclesiali, le concrete realizzazioni raggiunte e le specifiche e progressive trattative chiarificatrici, anche nella teologia, con Orientali e Occidentali. Molto c'è ancora da fare, per cui bisogna continuare e intensificare il dialogo, recepire i risultati, proseguire l'ecumenismo spirituale e testimoniare la santità, adattare l'esercizio del Primato petrino alle autonomie delle Chiese oggi separate pur nella indispensabile tensione verso la piena restaurazione dell'unione con Pietro e sotto di lui, e rilanciare la missione in prospettiva pancristiana, perchè solo la Chiesa unita conquisterà il mondo a Cristo.

Concretamente, nessuna unione sarà possibile se non a certe condizioni:

  1. il rispetto dell'autonomia canonica e liturgica delle Chiese adesso ancora separate
  2. la garanzia del loro autogoverno
  3. l'eventuale riproposizione delle dottrine dogmatiche ortodosse in terminologie atte ad esprimere le tradizioni teologiche dei separati, anche se fino ad oggi eretiche
  4. la ratifica reciproca degli atti ecclesiastici compiuti durante la separazione
  5. l'indispensabile disponibilità degli erranti a integrare la propria confessione di fede
  6. la reinterpretazione ortodossa di prassi fino ad ora intese in senso ereticale o il loro superamento
  7. il ripristino della successione apostolica.

Il percorso iniziato, basato su convegni e dichiarazioni comuni, non potrà sottrarsi agli incontri sinodali, sia locali che generali, per la sanzione della rinnovata unità.

ADNEXUM III
HABITUS AD RELIGIONES NON CHRISTIANAS

“Mantenete tra le genti una condotta impeccabile”

(San Pietro)

La Chiesa ha una particolare attitudine anche verso le religioni non cristiane. Conformemente al Primo Comandamento, essa considera ovviamente false di per sé le altre religioni, perchè incapaci di condurre alla salvezza; ma di recente l'impostazione pastorale del dialogo interculturale, supportata da una precisa teologia la cui massima espressione si ha nella Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e nell'Enciclica Ecclesiam Suam (1964) di Paolo VI (1963-1978), ha fatto si che il paradigma teorico e pratico oggi dominante nella Chiesa non fosse più, come in passato, o l'esclusione o il reciproco ignorarsi, ma la convivenza rispettosa delle persone, cogliendo ciò che c'è di buono in ogni idea religiosa, consci del fatto che esso viene dallo Spirito Santo, e che ogni uomo, nella misura in cui professa una verità, sia pure naturale, sempre più vicina a quella assoluta, è partecipe di una qual certa vera unione del Mistico Corpo, per la quale non è escluso dalla Grazia. Sebbene gli atteggiamenti del passato non siano stati contrari di per sé alla Rivelazione, oggi appare più consono ad essa, nel contesto in cui viviamo, relazionarsi dialogicamente con i membri delle confessioni non cristiane. Lo scopo è la convivenza pacifica, la promozione dell'unità della famiglia umana nella pace e nella giustizia, lo sviluppo del senso religioso dell'esistenza contro il montante secolarismo e naturalmente la preparazione ad una più piena conoscenza di Cristo da parte dei lontani. Così che anche essi giungano a capire che l'Unico Dio da adorare è Quello Che parlò a Mosè.

IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

Sviluppato dal centro (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso) e anche in periferia, il Dialogo interreligioso spesso purtroppo è auspicato unilateralmente, a causa delle forti persecuzioni anticristiane che ancora si compiono nei Paesi indù e musulmani verso i battezzati. A dispetto di ciò, denunciando l'ingiustizia e annunciando il Vangelo, la Chiesa persegue pure l'obiettivo del dialogo culturale, non teologico, essendo le religioni non cristiane prive di elementi rivelati. Di ogni religione possono essere elogiati i caratteri positivi che la Chiesa non rigetta, con la stessa determinazione con cui respinge quelli sbagliati. Se il senso del divino è vivo nell'Induismo e nel Buddhismo, come lo stesso Concilio riconosce, o se la saggezza morale è forte nel Taoismo e nel Confucianesimo, come lo sono il rispetto della tradizione nello Shintoismo e per la vita nel Giainismo, o ancora la monolatria nello Zoroastrismo e il senso della sacralità nelle religioni tradizionali africane e dell'Oceania, è anche vero che a tutti coloro che professano tali dottrine la Chiesa annuncia Gesù Cristo, con carità e fermezza. Una menzione particolare spetta ai Musulmani e agli Ebrei. Passati i tempi della legittima difesa dei Cristiani dalla Jihad islamica, la Chiesa esorta alla reciproca convivenza e al rispetto, valorizzando la consapevolezza che i musulmani hanno conservato intatta la Rivelazione ad Abramo, pur rigettando quella mosaica e cristiana, e sebbene quella di Maometto non sia riconosciuta come tale perchè dopo il Vangelo non vi è altra verità da annunziare agli uomini. In quanto agli Ebrei, conformemente alla Scrittura, di essi si afferma che hanno ricevuto e ancora custodiscono gli inizi della Fede nella Vecchia Alleanza, che le Scritture antiche sono da essi custodite senza che il loro senso, pur da loro incompreso, sia stato alterato, e che da loro sorsero secondo la carne e in base alle Promesse, la Vergine Maria e Gesù stesso, per cui essi prefigurarono ciò che noi siamo in pienezza. Peraltro, è da essi che iniziò la Chiesa, attraverso gli Apostoli, così come, sebbene San Paolo affermi che essi si convertiranno solo alla fine del mondo, è giusto annunziare loro la Fede in Cristo, magari riproponendo le forme del Giudeo-Cristianesimo e accogliendo nella Chiesa stessa coloro che tra gli Ebrei, spontaneamente, già riconoscono Cristo come Messia. Gli Ebrei sono cristiani in potenza. La loro unione parziale al Corpo Mistico è la più forte tra i non cristiani. La teologia che per secoli ha considerato tutto il popolo ebraico come deicida, sebbene abbia avuto largo seguito, non è mai stata sanzionata dal Magistero, che ha solo accettato le misure pastorali di esclusione dalla società cristiana per i circoncisi per evitare la diffusione della miscredenza e dell'errore. Tali misure, che oggi hanno perduto la loro ragion d'essere, pur essendo conformi alla Rivelazione, non ne sono né parte integrante né tantomeno inseparabili, anzi sono oggi più opportunamente abolite. La vecchia teologia è stata sostituita da una nuova, che pur riconoscendo che gli Ebrei sono stati dispersi in conseguenza della loro incredulità in Cristo e per averlo condannato alla Croce, non incolpa tutti loro viventi all'epoca indiscriminatamente della Sua Morte né tantomeno fa ricadere la colpa su quelli di oggi, fatta salva la responsabilità nell'indurimento personale e la conseguenza della fine della Vecchia Alleanza. Il dialogo reciproco serve proprio a scongiurare la ripresa di antichi odi che nella pratica hanno causato moltissimo dolore da entrambe le parti, così come la Chiesa deplora non solo ogni violenza antisemita ma in genere qualsiasi discriminazione inflitta in odio agli uomini che professano una religione diversa da quella vera, così come chiede pieno rispetto per se stessa.

Manifestazione qualificata del dialogo interreligioso e del suo fondamento ecclesiologico è la prassi della preghiera in comune, detta ecumenica, nella quale, in attesa di pregare tutti nello stesso modo e lo stesso Dio, preghiamo ciascuno nelle maniere proprie, consapevoli che l'unico Dio riceve la preghiera di tutti coloro che Lo cercano in buona fede.

IL DIALOGO COI NON CREDENTI

Anche chi non professa alcuna fede è parte della sollecitudine dialogica della Chiesa, necessità pastorale nel mondo contemporaneo, complesso, composito, contraddittorio e libero. Esso si basa sulla condivisione di tutto ciò che è umano e che ha in Dio la Sua scaturigine; mira a condurre delicatamente chi non crede in niente al Mistero della Salvezza, purchè essi non siano mossi da odio o preconcetto, ma siano nobilmente pensosi attorno a quel Dio che noi forse non abbiamo saputo dare loro. Tale dialogo è anche orientato al bene comune, alla pace e alla giustizia. Esso avviene dal centro (Pontificio Consiglio per i Non Credenti) e in periferia, con le persone e con i sistemi di pensiero (Pontificio Consiglio della Cultura). Prudente, fermo e caritatevole, il dialogo è dunque oggi lo strumento principale dei rapporti tra la Chiesa e chi è fuori di essa: i non cattolici, i non cristiani, i non credenti.

ADNEXUM IV
FIDES ET RATIO

breve esposizione dei rapporti tra fede e ragione

“In principio era il Verbo”

(San Giovanni Evangelista)

Il rapporto tra Fede e Ragione è un tema strettamente collegato al Primo Comandamento. Esso infatti prescrive di avere un solo Dio, Quello vero, Che è appunto la stessa Verità. Ragion per cui, una volta prestata a Dio l'adorazione, si omaggia e si riceve anche la Verità che Egli ci comunica. Essa ci viene nella Fede ed esige di essere anteposta a quelle verità che la ragione o trova parzialmente o crede di aver trovato. Perciò il problema che si pone è questo: che rapporto c'è tra la conoscenza della Fede e quella di ragione? In conseguenza, quale relazione c'è tra le due facoltà? E infine, che funzione svolge la Fede nei confronti della ragione nei temi che sono ad essa connessi?

CONOSCENZA DI FEDE E DI RAGIONE

La Fede ci dà di più di una conoscenza,anche se inaccessibile perchè divina: la Fede è una Grazia che ci permette di accedere alla Giustificazione, di cui è fondamento l'atto del credere nel Cristo Redentore. Tutti i contenuti dogmatici, sacramentali, liturgici, etici della Fede sono una esplicazione di questa Verità fondamentale, e sono salvifici non perchè sono conosciuti, ma perchè sono creduti, e in ragione di ciò efficaci perchè modi di agire in noi dello stesso Cristo Che, in quanto Logos, è la Verità stessa, il soggetto costituente ogni verità. In ragione di ciò, ogni conquista della ragione umana, della cultura dell'uomo, se in contrasto diretto o indiretto con la Verità autenticamente rivelata, è falsa ed erronea.

Tuttavia la ragione umana, che crea la stessa cultura dell'uomo come suo modo specifico di vivere, è sovrana e indipendente in tutti quegli ambiti che non hanno a che fare con la Fede. Anzi, è l'unico mezzo che Dio ci ha dato per conoscere, laddove Egli non abbia rivelato nulla, come ha fatto in tutti o quasi i campi naturali. Il Logos dunque è autore della natura e della ragione, Colui Che ha voluto che le leggi del pensiero e dell'essere corrispondessero, Che l'uomo potesse in virtù di ciò conoscere la struttura del cosmo come realtà ordinata, Che lo facesse solo mediante la riflessione intellettuale nelle sue varie forme teoriche e pratiche. Anzi, molto di più, il Logos è la causa del nostro conoscere, perchè la luce dell'intelletto, che scopre e applica le categorie del pensiero, è essa stessa, sia pure nell'ordine naturale, una rifrazione della Luce divina, per cui noi chiamiamo il Cristo, Sapienza divina e universale, Maestro Interiore di ognuno e di tutti. Ogni uomo conosce alla luce di Dio, nonostante il peccato abbia offuscato la mente umana, e la conoscenza stessa è un'azione divina in noi mediante delle cause intermedie proprie della natura dell'uomo.

C'è dunque una triplice relazione tra Fede e ragione: quest'ultima conosce autonomamente ciò che è nella natura; scopre altresì l'esistenza di Dio e dell'anima con la sua sola forza costituendo il presupposto razionale della Fede; infine si eleva a cognizioni che le sarebbero precluse in virtù della Rivelazione di Dio e le esplica indagandole con i modi che rimangono i suoi propri. Da qui l'antico adagio patristico agostiniano: Credo ut intelligam et intelligo ut credam. L'uno e l'altra non sono mai in contraddizione, se rettamente impostate. Se alla ragione non si chiede di indagare sulla Fede e alla Fede non si chiede di surrogare la ragione, non vi sarà mai contrasto. Rimane tuttavia fermo il principio che, per tutto ciò che concerne la Fede, anche la ragione è sottoposta al Magistero della Chiesa. Si evince da ciò il senso dell'epiteto tradizionale della filosofia, ossia di ancella della teologia.

In ragione di ciò, abbiamo un momento positivo e uno negativo di questa dialettica tra l'una e l'altra. Il positivo è la costituzione di sistemi filosofici cristiani, ossia di coordinate sistematiche per interpretare il mondo e armonizzare le conoscenze umane con la Sapienza divina. Il ven. Pio XII (1939-1958) ha giustamente insegnato che la Fede non si identifica con nessuna filosofia, perchè questa è contingente, sottoposta ad evoluzione, e quella invece è immutabile. Ma ha fissato un punto fermo sul rapporto tra l'una e l'altra: la seconda fornisce termini e concetti che la teologia usa per esprimere i contenuti dogmatici, i quali, una volta che hanno adempiuto in modo corretto ed esauriente alla loro funzione, non solo non possono, ma non devono essere rimpiazzati. Termini come natura, ipostasi, sostanza, sussistenza, volontà, operazione, che nel linguaggio teologico hanno assunto significati molto diversi da quelli filosofici, sono parte integrante del modo scelto da Dio per comunicare i Suoi misteri. Possono al massimo essere integrati, magari per ragioni ecumeniche, ma non devono essere sostituiti. Un altro punto fermo del rapporto tra Fede e ragione è quello fissato da papa Leone XIII (1878-1903), che ha adottato la filosofia tomista come filosofia ufficiale della Chiesa, ossia come la filosofia più adatta, almeno fino ad oggi, ad esprimere la visione cristiana del mondo e quindi anche la più confacente a descrivere il modo in cui Dio lo ha fatto e si è comunicato a noi nei contenuti della Fede stessa. Ciò è stato ribadito dal beato Giovanni Paolo II (1978-2005) nell'enc. Fides et Ratio (1998). Certo, accanto al tomismo, ossia al pensiero di Tommaso d'Aquino e alla tradizione che ne deriva, nella Chiesa esistono molti altri sistemi che esprimono la fecondità della relazione tra Fede e ragione (escludendo quelli dei pensatori che furono soprattutto teologi e di tanti autori minori): anzitutto la filosofia di Agostino, poi quella di Anselmo di Aosta, di Bonaventura da Bagnoregio, di Giovanni Duns Scoto, della Scuola di Chartres, di Alano di Lilla, di Gugliemo di Auvergne, di Enrico di Gand, di Alessandro di Hales, di Ramon Lull, di Roberto Grossatesta, di Giovanni Peckham, di Alberto Magno, di Teodorico di Vriberg, di Egidio Romano, di Francisco Suarez, di Blaise Pascal, di Soren Kierkegaard, di Antonio Rosmini, di Vincenzo Gioberti, di John Henry Newman, di Edith Stein, di Francois Maritain, di Emmanuel Mounier, di Etienne Gilson, di Vladimir Solov'ev, di Pavel Florenskij, di Peetr Caadaev, di Vladimir Lossky, di Gabriel Marcel e di tantissimi altri; senza contare tutti coloro che hanno sintetizzato dei sistemi filosofici perfettamente compatibili con il Cristianesimo, pur non avendo una specifica ispirazione religiosa, come Cartesio, Locke, Vico, Leibnitz, Fichte (nella sua seconda fase), Jaspers, Husserl e tantissimi altri. In genere, qualunque filosofia non neghi un punto connesso con la Fede è quantomeno indifferente, se non confacente, alla Fede.

Vi è poi il momento negativo della dialettica tra Fede e ragione, ossia l'eventuale condanna che il Magistero ecclesiastico ha il diritto di comminare alle concezioni filosofiche in contrasto con la Fede. In verità, spontaneamente il senso della Fede respinge le filosofie inadatte ad esso, anche se mai condannate. Molti interventi magisteriali sono comunque stati compiuti nei secoli. Per esempio la condanna della metempsicosi o della preesistenza delle anime all'incarnazione, dell'esoterismo e dell'idolatria di certa astrologia, dell'averroismo latino, della negazione dell'individualità e immortalità dell'anima umana (V Concilio Lateranense, 1511-1516). Assai importanti, tra i recenti, quelli del beato Pio IX (1846-1878) che, nel criticatissimo Syllabus errorum allegato all'enciclica Quanta Cura del 1864, ha anatematizzato il panteismo, che identifica Dio con il mondo; il naturalismo, che esclude o nega l'ambito soprannaturale per la comprensione dell'uomo e del mondo; il razionalismo, che crede di poter conoscere tutto con la sola forza di ragione, anche nella sua forma moderata; l'indifferentismo, che spinge l'uomo a non porsi il problema religioso; il latitudinarismo o relativismo etico, che nega che esistano verità immutabili o valide per tutti; il socialismo e il comunismo, che affermano l'inesistenza di Dio e pretendono di realizzare l'uomo nell'ambito puramente sociale e storico, asserendo che esista solo la materia. Aveva così ridotto ad epitome tutte le condanne dei Predecessori e le sue proprie. Lo stesso Papa aveva fatto condannare il fideismo e il tradizionalismo radicale, per la loro sfiducia nelle capacità naturali della ragione, nonché l'ontologismo per la sua tendenza contraria. Il Concilio Vaticano I (1868-1870), con la costituzione dogmatica Dei Filius, ha ribadito l'esistenza dell'ambito della conoscenza di Fede distinto, separato e superiore da quello della ragione. Tale insegnamento è stato ripreso dal Vaticano II (1962-1965) con la costituzione Dei Verbum. Leone XIII riprese molte condanne di Pio IX. San Pio X (1903-1914) invece condannò il modernismo e la sua pretesa di adattare i dogmi della Fede al sentire moderno, con la Pascendi Dominici Gregis (1907). Pio XI (1922-1939) censurò il comunismo ateo e la sua pretesa di dire la parola ultima sulla natura del cosmo (1937) con la Divini Redemptoris. Pio XII mise in guardia da interpretazioni erronee dei contenuti della Fede basate sull'evoluzionismo, sull'esistenzialismo e sullo storicismo, pur non condannati di per sé, nella Humani Generis (1950). Le censure al marxismo furono riprese da lui e dai Successori. La contaminazione tra marxismo e Cristianesimo nella Teologia della Liberazione è stata censurata da Giovanni Paolo II (1984). Lo stesso Papa nella Fides et Ratio ha censurato le nuove forme di razionalismo e fideismo della teologia, l'eclettismo, che mette insieme spunti non omogenei provenienti da svariate riflessioni filosofiche; lo storicismo, che giudica la validità di una filosofia in base alla sua adeguatezza alla propria epoca; lo scientismo, come rinnovata negazione della conoscenza non scientifica; il pragmatismo, come negazione della riflessione teoretica e della valutazione etica nelle scelte; il nichilismo, come negazione della metafisica e di Dio. Peraltro, la summenzionata enciclica papale è una grande sintesi della dottrina cattolica sul rapporto tra Fede e ragione in genere. Benedetto XVI ha, dal canto suo, stigmatizzato sempre il relativismo etico e la sua negazione di valori morali stabili.

CONOSCENZA DELLA FEDE E DELLA SCIENZA

Un rapporto analogo si crea tra Fede e scienza, anche se l'ambito di convergenza è molto più ridotto. Va innanzitutto ricordato che, praticamente fino all'Età moderna, scienza e religione sono state unite, perchè entrambi i saperi erano tramandati insieme. Il senso dell'unità dello scibile, precristiano, è stato assunto anche dal Cristianesimo, che quindi, attraverso la Chiesa, ha svolto una funzione d'indirizzo anche nelle scienze, rivendicando al Magistero anche un'autorità in tale campo. Questa autorità, fondata nella Rivelazione, è stata esercitata in modi differenti nelle varie epoche, a seconda della concezione culturale propria di ognuna. Bisogna innanzitutto constatare che la stessa Bibbia, composta in più di un millennio, rivela una serie di diverse concezioni cosmologiche nelle varie parti che la costituiscono, andando dall'ingenua convinzione della Terra piatta sovrastata dal Cielo rigido con gli astri incastrati sino alla sofisticata teoria tolemaica, passando persino per nozioni stoiche. I Padri e i Dottori hanno sempre oscillato tra una concezione letteralista – che trattava la Bibbia come testo scientifico, cosa non presente nella Rivelazione ma non in contrasto con essa, anche se di fatto in contrasto con la realtà in molte cose, come proprio la cosmologia – e una concezione simbolista, che invece interpretava i passi composti secondo le scienze dell'epoca degli autori sacri alla luce delle conoscenze acquisite nelle ere successive. Quest'ultima concezione ha avuto più fortuna, perchè confacente sia alla Rivelazione che alla scienza stessa nella sua legittima autonomia. Per esempio Agostino e Tommaso non hanno mai preso alla lettera la descrizione del cosmo e della sua nascita fatta dalla Bibbia. Tuttavia il letteralismo ha avuto una grande influenza nell'età barocca, quando è maturata la condanna di Galilei, conseguenza del senso forte dell'unità del sapere e del ruolo non solo religioso ma anche culturale svolto dalla Chiesa. La tormentata separazione degli ambiti d'azione avvenuta proprio in seguito alla nascita della scienza moderna ha fatto affermare definitivamente il paradigma simbolista nell'interpretazione scientifica della Bibbia risolvendo il problema, anche se in tempi molto lenti. Oggi nessun problema esiste tra scienza e Fede in ordine alle metodologie e all'autonomia di azione, fermo restando che la Chiesa giudica la moralità degli atti umani e quindi anche di quelli scientifici, nonché le implicazioni dogmatiche delle presunte scoperte scientifiche. In ragione di ciò, in ordine al primo punto, la Fede ad esempio appare incompatibile con buona parte delle biotecnologie, che sono illecite sebbene siano possibili. In relazione al secondo, invece, non mancano interventi orientativi, come ad esempio la negazione della poligenesi del genere umano fatta da Pio XII nella Humani Generis, perchè pregiudica la trasmissione del Peccato originale per traducianesimo. Analogamente all'ambito filosofico, il senso della Fede discerne ciò che nelle scienze sia realmente ad esso confacente, rigettandolo autonomamente. Ad esempio, la psicanalisi – in verità più filosofica che medica – con la sua negazione dell'unità dell'io, della determinazione volontaria degli atti umani, col pansessualismo, è inconciliabile con la Fede per tali aspetti. Una svolta importante, sottolineata da Benedetto XVI, è avvenuta grazie alle moderne epistemologie. Se l'epistemologia classica fondava sulla verificabilità la verità scientifica e cercava di battere in breccia la Fede perchè priva della sistematicità del riscontro empirico, la concezione della falsificabilità, della paradigmaticità, della funzionalità e dell'anarchia della scienza stessa, riducendo sempre di più l'ambito della sua sicurezza, ha fatto risaltare di contrasto la certezza della Fede, basata invece sull'autorità della Mente Suprema, la cui esistenza si impone per deduzione o addirittura per epifania storica.


1. I Comandamenti di Dio sono immutabili perchè la ragione, rettamente usata, non può che giungere, nel campo del comportamento, sempre agli stessi risultati. Ostacoli all'uso della retta ragione sono i condizionamenti individuali e collettivi, sia di ordine morale come il peccato, che di ordine caratteriale e psichico, nonché culturale e sociale, che il singolo accetta e subisce credendo anche in buona fede che siano razionali, senza che in realtà lo siano. Per tale ragione molti uomini e popoli hanno fatto e ancora fanno, non senza una loro pur parziale colpa, il male contro la morale naturale. Tuttavia i Comandamenti sono immutabili anche nello sviluppo storico del Cristianesimo, a dispetto di quanto possa a volte sembrare, per quanto segue. Essi vertono su alcuni ambiti comportamentali, che sono quelli fondamentali dell'agire umano: il rispetto verso Dio, verso i genitori e l'autorità, verso la vita, gli affetti, la proprietà e il buon nome altrui, sia nell'intenzione che nell'azione. Tali ambiti, che appunto sono conoscibili per ragione, sono concettualmente delimitati dal loro opposto, per cui, exempli gratia, il rispetto verso i genitori e l'autorità implica che questi riconoscano la dignità di chi obbedisce loro e che compiano i propri doveri nei suoi confronti; il rispetto della vita, della proprietà, degli affetti e del buon nome altrui esige la reciprocità, per cui il dovere di compierlo cessa laddove inizia il proprio diritto alla difesa, alla sopravvivenza, all'onore, agli affetti. Ora, nel corso dei secoli, l'estensione concettuale dell'ambito del dovere e del diritto morali è soggetto ad ampliamento e restringimento, e questo è un fatto culturale e non morale. E' dunque l'estensione dell'ambito morale a modificarsi, non la norma stessa. Per esempio, avviene che, pur essendo sempre intangibile la vita umana, in alcune epoche la nozione di difesa sia più ampia o più stretta, per cui le circostanze concrete dell'applicazione della norma che vieta di uccidere possono essere differenti nel tempo senza che la sostanza etica del precetto sia modificata. In ragione di ciò la norma morale è sempre uguale, il contesto in cui è applicata no, conformemente alla natura storica dell'uomo, voluta da Dio mutevole così come Egli volle immutabile la sfera dei principi.

2. Divinazione e magia dovrebbero essere vietate anche dalla legge civile, perchè perturbano l'ordine naturale creato da Dio nella società.

3. La simonia, da Simon Mago che voleva comprare da Pietro il potere di conferire lo Spirito Santo, è stata più volte condannata, ma è sempre in agguato. Contro di essa legiferarono i Papi riformatori pregregoriani (1049-1073), gregoriani (1073-1153) e i Concili I e II Lateranense (1123, 1138) di Vienne (1311), di Costanza(1415-1418), V Lateranense (1511-1516) e Tridentino (1545-1563). Non è simonia elargire un'offerta, anche quantificata ma in modo orientativo, al Sacerdote che celebra la Messa, perchè non è data per la celebrazione ma per il sostentamento del celebrante.

4. Il culto dei Santi è sempre stato praticato ed è stato definito contro i Protestanti dal Concilio di Trento; la questione delle immagini, sollevata dagli Iconoclasti, fu risolta dal II Concilio Niceno nel 787.

5. Per una disamina della questione e la critica degli errori si veda il documento della Commissione Teologica Internazionale “Noi Ricordiamo. La Chiesa e le colpe del passato”, a margine delle richieste di perdono nell'Anno Santo del 2000 di papa Wojtyla.

6. Per il riconoscimento di questi errori parziali da parte della Chiesa si veda il documento della Commissione Teologica Internazionale “Noi Ricordiamo”.

7. Non è un caso che Patrona delle Missioni sia una Santa carmelitana e quindi contemplativa, che fu missionaria di desiderio, Teresa di Lisieux di Gesù Bambino. Gesù stesso rivelò a Santa Faustina Kowalska che poteva convertire più infedeli di un missionario con preghiere e sacrifici Il grande San Pio da Pietrelcina desiderava essere missionario ma potè esserlo solo con la preghiera e il sacrificio, convertendo migliaia di persone.

8. Sebbene l'inculturazione, come l'evangelizzazione, non possa essere pianificata a tavolino, essendo il punto di arrivo di una fede vissuta, non possono essere taciute né l'importanza dello studio in tal senso né tantomeno la rilevanza di alcuni aspetti delle culture non cristiane e addirittura delle religioni non cristiane che potrebbero facilitare l'ingresso nella Chiesa di chi vi appartiene. Innanzitutto va detto che l'inculturazione si esprime nella liturgia, nella devozione, nelle strategie pastorali e in alcune forme canoniche. Fiorenti sono già dei Riti inculturati, specie in Africa, come lo Zairese. Il processo d'inculturazione è destinato a svilupparsi essenzialmente per aree geoculturali e georeligiose, per cui una sua preparazione appare a mio avviso sempre più necessaria. Come non notare, in vista dell'evangelizzazione dei musulmani, che i quattro pilastri dell'Islam potrebbero essere interpretati in chiave cristiana (l'elemosina, la preghiera delle Ore, il digiuno periodico, il pellegrinaggio, la fede monoteista) per una Chiesa sui iuris ismaelita? O non evidenziare come presso i vari popoli africani nuove forme liturgiche afro-latine potrebbero essere officiate, magari anche con adattamenti più vistosi del diritto canonico alle situazioni locali (magari per il celibato del clero)? O non sottolineare che la cultura cinese e la morale confuciana potrebbero fare da humus per una Chiesa sinica in una Cina ormai ampiamente occidentalizzata, dove già galoppa ogni forma di Cristianesimo? O non rimarcare che i buddhisti e i lamaisti, dal Tibet all'Indocina al Giappone alla Cina, potrebbero ritrovarsi in Chiese monastiche in cui il clero conduce vita religiosa comune, come nell'antico Cristianesimo celtico? Come non sottolineare che la ricchezza culturale dell'India o del Giappone si presta a riti misti latino-indiani o nippo-latini? E che l'inculturazione liturgica è già avviata parzialmente in Oceania o in America Latina? Naturalmente questi sarebbero solo mezzi, come l'idea in genere di Chiese missionarie con liturgie e diritti in tutto o in parte propri, così come è un fatto che già da ora il Cattolicesimo, con tutta la sua tradizione latina, già miete successi immensi in questi luoghi. Ma ciò non significa che esso non possa rimanere Romano e Apostolico diventando ancor più universale, ossia Cattolico.

9. Su questo personalmente mi sento di segnalare l'opportunità di fondarne di nuove, come di riorganizzare più solidamente il finanziamento delle missioni, nonché di riassettarne l'organizzazione, con Visitatori apostolici permanenti nei Paesi di Missione e con Legati a latere con ampi poteri missionari laddove Roma non può lavorare liberamente, pronti ad agire anche in incognito.

10. Con tutti i mezzi, specie quelli della comunicazione di massa. Anche questi saggetti hanno uno scopo missionario.


Theorèin - Novembre 2011