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A cura di: Vito Sibilio
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COR IMMACULATUM
Elementi di teologia devozionale cordimariana

“Maria conservava tutte queste cose
meditandole nel Suo Cuore”

(San Luca Evangelista)

L’espressione “Cuore Immacolato di Maria” è moderna, essendosi preferite nei secoli passati, anteriori alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, altre locuzioni, come “Cuore purissimo, santissimo, sacratissimo” ecc. Essa si è imposta soprattutto dopo le apparizioni della Vergine a Fatima e la pubblicazione degli scritti della Serva di Dio Suor Lucia dos Santos (1907-2005) – particolarmente la cosiddetta Quarta Memoria- raggiungendo la sua massima diffusione in corrispondenza dell’apogeo del movimento mariano contemporaneo sotto il papato del ven. Pio XII (1939-1958) e della precipua ascesa del culto cordimariano favorita dal b. Giovanni Paolo II (1978-2005). Questo grande Papa, apostolo della Vergine e del Suo Cuore, ha contribuito non poco a superare la fase di stallo del culto in questione iniziata dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965), quando, spesso pretestuosamente, esso fu osteggiato dagli pseudorinnovatori della pietà cristiana. Più opportunamente, coloro che avevano a cuore la rinascita della devozione cordimariana, e papa Wojtyła primo tra di essi, sottolinearono la necessità di ritornare alle vere fonti di tale culto – ossia la Scrittura, la Tradizione e il Magistero coadiuvate da una teologia rinnovata – di ammodernarne le pratiche classiche e di riformulare all’occorrenza in modo più esplicativo il concetto ascetico di riparazione, atto a collegare la devozione in questione ai misteri dell’Incarnazione e della Redenzione.

NATURA E STORIA DELLA DEVOZIONE

In merito al significato antropologico e teologico del termine “cuore” nella Scrittura, valga qui quanto da me detto a proposito del Sacro Cuore. Applicandolo a Maria SS., il termine “Cuore” assume una carica dinamica, capace di sviluppare profonde energie spirituali. La prima valenza che tale culto infatti assume è quella di una devozione all’amore personale e perfetto che Maria nutre per Dio e, in Lui, per noi tutti; amore che l’ha spinta a donarci Suo Figlio e Se stessa con Lui. I testi chiave della devozione sono Lc 2, 19; 35; 51. In essi Maria serba e medita le cose di Gesù, apparendo così come una Sapienza creata la Cui riflessione, alla basa degli stessi Vangeli, diventa per noi fondamentale per avvicinarci al Verbo. Maria dunque, attraverso il Suo Cuore, è per noi la fonte limpida della Fede che irrora con le verità eterne le nostre menti, come scriveva scultoreamente Pio XII nella sua celebre preghiera all’Immacolata. Ma dai testi si evince anche come, proprio nel Cuore, la Vergine si associerà alla sofferenza redentrice del Figlio, dando al culto in oggetto una valenza quindi non solo sapienziale nel senso contemplativo, ma anche operativo, secondo l’esempio dato da Gesù. Questi, Sapienza del Padre, è venuto ad insegnare e a morire per poi risorgere, perché la Vita Eterna consiste nel credere in Colui Che il Padre ha mandato per salvare il mondo; Maria, Sapienza creata, medita gli insegnamenti del Figlio e si unisce al Suo dolore, inducendo noi a fare altrettanto.

Nella grande tradizione patristica, il Cuore Immacolato è stato oggetto di riflessioni ispirate: Origene (182-254) si domandava quale fosse la spada che lo aveva trapassato; San Gregorio Taumaturgo (213-270) lo definiva vaso e ricettacolo dei divini misteri; Simeone Metafraste (X sec.) ne fa il luogo spirituale della Passione di Gesù replicata in Maria; i Padri latini ne fanno il luogo della Concezione del Verbo per mezzo dell’ascolto e della fede. Uno dei primi a farlo fu Prudenzio (348-413). Poi Sant’Agostino (354-430) sviluppo’ il tema della Concezione di Cristo che avviene prima e più felicemente nel Cuore che nel grembo di Maria. Sant’Ambrogio (339/40-397) invece riferì tutta la spiritualità mariana di imitazione al Cuore Immacolato.

I temi patristici furono sviluppati, specie per la Concezione nel Cuore, nel Medioevo dallo Pseudo-Anselmo di Lucca, da Ruperto di Deutz (1075-1130), dal Beato Ugo da San Vittore (1096-1141), dal beato Guerrico di Igny (1070/80-1157), da Sant’Amedeo di Losanna (1110-1159), da San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), da Sant’Aelredo di Rievaulx 81110-1167), da Riccardo di San Lorenzo (†dopo il 1045), da San Bonaventura (1217/21-1274) e da Santa Gertrude (1256-1302). Pratiche devozionali fioriscono grazie al beato Hermann Joseph (†1241), a Ecberto di Schönau (†1184), allo Pseudo-Anselmo, a Gautier di Coincy (†1236). Sulla scia dottrinale menzionata, nel tardo medioevo, si mossero Giovanni Gerson (1363-1429), San Bernardino da Siena (1380-1444), sant’Antonino di Firenze (1389-1459), il beato Dionigi il Certosino (1402-1471) e Tommaso da Kempis (1380-1471). In tutte queste testimonianze è forte l’impianto umanistico e l’equilibrio religioso. Solo alla fine del XV sec. le pratiche esterne divennero eccessive. La lezione umanistica tornò, a dispetto ed argine del Protestantesimo, in San Pietro Canisio (1521-1597) e in San Francesco di Sales (1567-1622). La scuola gesuita e quella sulpiziana (Olier [1608-1657] e de Bérulle [1575-1629]) orientarono poi l’umanesimo salesiano verso uno spiritualismo che ad alcuni critici è parso evanescente.

Un ruolo fondamentale fu poi svolto da San Giovanni Eudes (1601-1680), apostolo dei Sacri Cuori. A lui si debbono congregazioni religiose e feste liturgiche con ufficio e messa proprie in loro onore, opere sistematiche di teologia, storia e pietà, confraternite ad essi intitolate, le prime approvazioni ecclesiastiche, le prime opposizioni e la prima vera diffusione del culto nel popolo. Per San Giovanni il Cuore Immacolato di Maria è la fonte e il principio di tutte le grandezze di Lei, di tutte le grazie che le accompagnano, di tutte le virtù che Lei praticò e che La resero degna di essere Madre di Dio e di possedere le doti e le prerogative che l’accompagnarono. Onorando il Cuore Immacolato, San Giovanni insegna che si onora non solo qualche mistero o qualche azione di Maria, né solo la Sua Persona, ma la fonte e l’origine stessa della dignità e della santità di Lei, ossia la Sua stessa carità, misura del merito e principio della virtù. Con San Giovanni Eudes la devozione al Cuore Immacolato giunge alla sua definizione più matura.

Ai suoi tempi, furono papa Alessandro VII (1655-1667) nel 1666 e papa Clemente IX (1667-1669) nel corso del suo Pontificato ad approvare le prime confraternite cordimariane. Già dal 1648 si festeggiava il Cuore Immacolato ad Autun con un ufficio e una messa composte da Giovanni Eudes. Benedetto XIV (1740-1758) permise alla Confraternita del Cuore Immacolato avente sede in San Salvatore in Onda di celebrare la festa liturgica. Pio VI (1775-1799) concesse la Messa del Cuore Immacolato a Parma nel 1799. Pio VII (1800-1823) concesse di celebrare la festa del Cuore Immacolato a chiunque ne facesse richiesta (1805). Nel frattempo aumentarono le preghiere indulgenziate in Suo onore e le confraternite canonicamente erette. Il culto dell’Immacolata legato alle Rivelazioni di Rue du Bac (1830) e l’apostolato di Sant’Antonio Maria Claret (1807-1870) accrebbero la devozione cordimariana. Il b. Pio IX (1846-1878) concesse la Messa e l’Ufficio propri del Cuore Immacolato nel 1855, mentre nella seconda metà del XIX sec. si diffuse l’aspirazione alla consacrazione del mondo allo stesso Cuore.

Nel XX sec. il culto crebbe enormemente grazie a una serie di eventi assai importanti, che portarono al trionfo del Cuore di Maria predetto dalla Serva di Dio Maria des Vallées (1590-1656), ossia le rivelazioni alla Serva di Dio Bertha Petit (1870-1943) sul Cuore Addolorato e Immacolato di Maria (1), quelle alla beata Alessandrina de Balazar (1904-1955) e naturalmente quelle di Fatima. Esse contengono tutte le pratiche che i buoni devoti cordimariani devono compiere se vogliono onorare Maria SS. e i principi spirituali a cui devono affidarsi.

I veggenti delle apparizioni furono tre ragazzi di Aljustrel, la Serva di Dio Lucia dos Santos e i suoi cuginetti, i beati Francisco (1908-1919) e Giacinta Marto (1910-1920). Il ciclo delle apparizioni inizia nel 1916, quando un Angelo, il Principato del Portogallo, per tre volte comparve ai veggenti. Nella prima insegnò la nota preghiera di riparazione “Mio Dio, io credo spero amo..”. Nella seconda inculcò il sacrificio quotidiano. Nella terza insegnò la preghiera trinitaria per la conversione dei peccatori e somministrò la Comunione mistica ai veggenti, ormai pronti ad incontrare Maria SS.

Costei si degnò di comparire la prima volta il 13 maggio 1917, alla Cova di Iria, su di un albero di un metro tra un cespuglio di lecci, in una luce bianca, nel giorno che poi divenne la memoria liturgica della Madonna di Fatima, con le fattezze di una diciottenne, esortando alla riparazione, alla recita del Rosario e comandando di tornare per sei mesi consecutivi allo stesso giorno e alla stessa ora, promettendo a Sua volta di tornare una settima volta. Poi il 13 giugno la Vergine profetizzò la breve vita di Francisco e Giacinta e quella lunga di Lucia, della quale Dio voleva servirsi per stabilire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato, perché chi la praticasse venisse salvato. Il 13 luglio la Madre di Dio comunicò i Tre Segreti, dei quali le prime due parti furono subito rese note. Erano la visione dell’Inferno e la profezia sui castighi prossimi venturi. La SS. Vergine annunziò che per salvare le anime dalla dannazione Dio voleva appunto servirsi della devozione al Cuore Immacolato. Ella prometteva pace e salute se gli uomini l’avessero ascoltata, diversamente, sebbene la Grande Guerra stesse per terminare, mancando la conversione, ne sarebbe iniziata una peggiore sin dal prossimo pontificato (2). Maria SS. dava come segno di inizio dei castighi tramite la guerra, la fame e le persecuzioni religiose una notte illuminata da una luce sconosciuta, che si identifica con un fenomeno atmosferico che precedette di poco la II Guerra Mondiale in Europa. Per impedire tante sciagure la Vergine annunziava che sarebbe tornata a chiedere la consacrazione del mondo al Suo Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi Sabati del mese. Prediceva che se si fosse dato ascolto all’una e all’altra richiesta la Russia si sarebbe convertita – essa che di lì a pochi mesi sarebbe diventata bolscevica- e si avrebbe avuta pace, mentre diversamente avrebbe sparso i suoi errori nel mondo suscitando guerre e persecuzioni contro la Chiesa, martirizzando molti buoni e facendo soffrire tanto il Papa, mentre molte nazioni sarebbero state annientate (3). Aggiungeva però che alla fine il Pontefice Le avrebbe consacrato la Russia ed essa si sarebbe convertita e un periodo di pace sarebbe stato concesso al mondo. La terza parte del Segreto, rivelata solo nel 2000, era la visione del martirio dei cristiani in una città svuotata, percorsa da una lugubre processione di un Papa con tanti prelati, chierici e fedeli, che camminavano tra cadaveri. Il Papa e il suo misero seguito venivano finiti dai soldati nemici. Tale visione riguardava la piena strage che poteva accadere alla Cristianità se i richiami materni non fossero stati seguiti. Concerneva l’attentato al papa Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981 che la Vergine benignamente non permise fosse mortale, in vista di quanto il Suo Servo avrebbe fatto per abbattere il drago (4). Essa, scritta il 3 gennaio 1944, fu secretata fino al 1960. Suor Lucia fu richiesta di mandarne copia al Papa e questi, il b. Giovanni XXIII (1958-1963), non volle divulgarlo, come nemmeno Paolo VI.

Il 19 agosto avvenne la quarta apparizione, slittando di qualche giorno per l’incarcerazione dei veggenti. In essa la Madre di Dio raccomandò preghiere e sacrifici per i peccatori, molti dei quali si perdono proprio perché nessuno fa tali cose per loro. Vi fu poi l’apparizione del 13 settembre, in cui la Signora deplorò l’oltraggio fatto ai veggenti e annunziò un gran segno per la visione successiva, e infine la sesta, il 13 ottobre 1917. In essa la Vergine si presentò col titolo del Rosario; chiese la costruzione di una cappella in Suo onore in quel luogo; esortò alla recita quotidiana del Rosario; annunziò la fine prossima della Guerra; scongiurò di non offendere più il Signore e infine compì il segno preconizzato: la Danza del Sole, che ruotò vertiginosamente su di sé proiettando in tutte le direzioni i colori dell’arcobaleno, per poi traslarsi tre volte verso terra, sotto gli occhi attoniti di cinquantamila fedeli, credenti ed atei, che rimasero asciutti nonostante la pioggia che aveva scrosciato durante l’evento.

Compiutasi una settima visita in forma privata della Vergine a Suor Lucia, la Stessa Madre di Dio, degnandosi di dare compimento a quanto da Lei annunziato nel luglio 1917, tornò altre due volte alla veggente. Il 10 dicembre 1925 Suor Lucia, postulante dorotea, vide la Vergine nella sua celletta a Pontevedra la Madre del Signore con il Santo Bambino. La Tutta Santa mostrò il Suo Cuore circondato dalle spine confittegli dalle bestemmie e dalle ingratitudini degli uomini. Chiese consolazione alla veggente e instaurò la Pia Pratica dei Cinque Sabati del Mese. Infatti, per cinque primi sabati del mese consecutivi, chiese di confessarsi (anche nell’arco canonico degli otto giorni precedenti), comunicarsi, recitare almeno la terza (oggi la quarta) parte del Rosario e meditare per un quarto d’ora sui suoi misteri con l’intenzione di offrirLe riparazione, promettendo in cambio la Sua intercessione in punto di morte e la perseveranza finale. Da allora il tratto distintivo di questa devozione è tale pratica, per cinque mesi perché cinque sono le colpe più orribili commesse contro il Cuore Immacolato, ossia le bestemmie contro l’Immacolata Concezione, contro la Sua Perpetua Verginità, contro la Sua Maternità divina e verso gli uomini; l’opera di pubblico disprezzo, indifferenza e odio verso la Vergine; quella di profanazione delle Sue immagini sacre.

Nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1929 la Beatissima tornò a trovare Suor Lucia a Tuy. Dopo una abbagliante manifestazione della Santissima Trinità, la Vergine si mostrò alla veggente e le disse che era arrivato il momento in cui il Signore chiedeva che il Papa e i Vescovi con lui consacrassero al Suo Cuore Immacolato la Russia, promettendo così di salvarla. La Madre di Dio rivelò che tante anime si perdono per i peccati commessi contro di Lei e che perciò chiedeva riparazione. Lamentava che la Sua richiesta precedente di consacrazione non era stata presa in considerazione. Prediceva che la consacrazione sarebbe stata fatta, ma quando oramai sarebbe stato tardi e già la Russia avrebbe disseminato errori e violenze nel mondo contro la Chiesa e facendo soffrire il Papa. Con questo drammatico messaggio, sul cui sfondo si vede si la salvezza ma ottenuta a stento a causa della resistenza degli uomini, termina il ciclo mariofanico di Fatima, sebbene le rivelazioni private della Vergine a Suor Lucia siano continuate. Le sue profezie si sono in ogni caso realizzate. Cominciamo innanzitutto dall’instaurazione del culto liturgico.

Pio XII, consacrato vescovo il giorno della prima apparizione di Maria a Fatima, nel 1944 elevò la festa del Cuore Immacolato al rango di rito doppio di seconda classe con ufficio e messa propri, fissandone la data al 22 agosto per tutta la Chiesa Latina. Egli scrisse pagine bellissime sul culto cordimariano nella Haurietis Aquas scritta sul Sacro Cuore. Amò definirsi “il Papa di Fatima” e il 30 ottobre 1950 contemplò anche lui la Danza del Sole, ripetuta solo per i suoi occhi. Il venerabile Paolo VI (1963-1978) la trasformò in memoria facoltativa, per il sabato dopo la festa del Sacro Cuore di Gesù (5). Egli inviò la Rosa d’Oro al Santuario di Fatima nel 1964 e vi si recò pellegrino il 13 maggio 1967 nel cinquantesimo delle apparizioni, presentandosi alla folla con la veggente. In questo modo le apparizioni ricevettero una conferma definitiva. Giovanni Paolo II si recò in pellegrinaggio a Fatima dal 12 al 15 maggio 1982 per ringraziare la Vergine di avergli salvato la vita nell’attentato del 1981. Il Papa, che aveva letto il Terzo Segreto da degente dopo il sacrilego tentativo di ucciderlo, si era ormai convinto che la Vergine aveva profetizzato di lui, anche se non rivelò il contenuto del testo. Incastonò come ex voto nella corona di Maria SS. il proiettile estrattogli dal corpo ed esploso dalla pistola dell’attentatore. Tornò a Fatima dal 5 al 13 maggio 1991 e dal 12 al 13 maggio del 2000, quando beatificò Giacinta e Francisco Marto. In questa circostanza rivelò al mondo il Terzo Segreto e ne fece svelare il significato allegorico dal cardinale Joseph Ratzinger (6). Questi, divenuto Benedetto XVI (2005-2013), si recò a sua volta a Fatima dall’11 al 14 maggio del 2010.

In quanto alla consacrazione del mondo al Cuore Immacolato, essa fu fatta tre volte: da Pio XII (1942), che però non fu sufficiente perché la Vergine aveva chiesto quella della Russia; da Paolo VI nel 1964 alla chiusura della terza sessione del Vaticano II, che pure apparve limitata nella sua portata, e da Giovanni Paolo II il 25 marzo 1984. Lo stesso Papa che sin dalla Redemptor Hominis (1978), scrisse parole nobilissime sulla devozione cordimariana, riagganciandosi alla tradizione patristica della conceptio in corde, decise di dare corso senza remore diplomatiche alla richiesta della Regina del Cielo. Questa consacrazione, fatta in comunione con tutti i Vescovi del mondo, non tardò a dare i suoi frutti. Tale consacrazione stornò dal mondo una Guerra atomica che sarebbe scoppiata nel 1985, come attestò la Vergine a Suor Lucia in una visione avuta nel 1984, in cui la ringraziava per il ruolo svolto nel processo di consacrazione del mondo al Suo Cuore. Avvenne infatti subito dopo l’incidente di Severomorsk, umanamente inspiegabile, che il 13 maggio 1984 distrusse l’intero sistema offensivo missilistico sovietico europeo e costrinse l’URSS ad abbandonare i piani per una III Guerra Mondiale caldeggiati da Konstantin Černenko (1984-1985), la cui morte spianò la strada a Mikhail Gorbacev (1985-1991), il cui nuovo corso politico, assecondando l’azione non violenta iniziata da Karol Wojtyla prima ancora di diventare Giovanni Paolo II, volta a sostenere la fede e l’identità cristiana in tutto il blocco comunista, avviò il processo di disgregazione e disintegrazione dei regimi bolscevichi atei e persecutori, suggellato dallo scioglimento dell’URSS decretato l’8 dicembre 1991, solennità dell’Immacolata Concezione, e attuato il 25 dicembre 1991, Natale di Gesù Cristo.

In quanto poi alla carica profetica ed apocalittica delle rivelazioni di Fatima, essa è ancora attiva e gravida di conseguenze, per cui ancora è necessario il processo di riparazione ed espiazione innanzi alla corruzione del mondo, coonestata dal dragone bolscevico. Infatti Benedetto XVI ha chiaramente detto a Fatima che la persecuzione della Chiesa non è solo da fuori di essa ma anche da dentro, e che il ciclo di morte innestato dall’uomo ancora non si è interrotto. Infatti i danni venuti all’umanità dai peccati del bolscevismo e da quelli che lo hanno causato sono anche la radice dei tanti mali esistenti nella Chiesa e nel mondo, in cui ancora persiste la mentalità sessantottina e ancora esistono potenze e nazioni conuniste. Inoltre il monito mariano, della necessità della penitenza per salvare i peccatori, non si esaurisce certo con la sconfitta del comunismo, né con il riflusso della sua onda lunga, ma è una esigenza della pietà cristiana che, come contempla Maria associata al Figlio nell’espiazione, così desidera uniformarsi a Lei per completare nel corpo dei fedeli ciò che manca alla Passione Divina a vantaggio della Chiesa.

TOTA PULCHRA
Elementi di devozione immacolista

In Conceptione Tua, Virgo, Immaculata fuisti.
Ora pro nobis Patrem, Cuius Filium
de Spiritu Sancto peperisti

(Dalla Liturgia)

Essere devoti di Maria significa essere devoti della Sua Immacolata Concezione. Se la devozione cordimariana è quella esistenzialmente e personalmente più profonda, affondando lo sguardo nel centro della Madre di Dio, quella immacolista, che in senso generico la ricomprende, è la forma ontologicamente più importante, perché Maria potè essere tutto quello che fu perché generata Immacolata; peraltro, non vi è mistero mariano in cui l’Immacolata non sia un prerequisito, dogmatico e morale. Perciò possiamo ammirare e cantare Colei Che l’antico inno Tota Pulchra così acclama: Tota pulchra es Maria- et macula originalis non est in Te. Tu Gloria Ierusalem- Tu Laetitia Israel. Tu honorificentia populi nostri- Tu Advocata peccatorum. O Maria, Virgo prudentissima- Mater clementissima, ora pro nobis – intercede pro nobis ad Dominum Jesum Christum.

NATURA E STORIA DELLA DEVOZIONE

Dio stesso, nel Protovangelo, dice: Ella ti schiaccerà il capo (Gen. 3, 15), rivolto a Satana, riferendosi alla Donna, ossia a Maria. L’Immacolata Concezione è l’atto per cui Maria è concepita e nel contempo il suo risultato, ossia Maria stessa. In quanto Immacolata, Maria SS., pur essendo progenie di Adamo, non contrasse il Peccato originale per traducianesimo, ma ne venne preservata in vista dei meriti del Figlio Redentore. Chiamiamo questa forma completa e preventiva di santificazione redenzione preservativa. E’ la forma più completa di Redenzione che Cristo può operare; essa però è straordinaria e avvenne in vista di quella ordinaria riservata agli altri mortali. Infatti Maria SS. fu preservata in vista di Colui Che avrebbe generato e dell’ausilio che Gli avrebbe dato per redimere l’Umanità. Il contatto futuro che l’umanità di Maria avrebbe avuto con quella del Verbo Incarnato la liberò, al di là delle leggi del tempo e dello spazio, da ogni macchia di colpa contraibile in Adamo. Il Verbo trovò così una degna dimora, il grembo della Madre, nel momento in cui si fece carne. Questa Madre non potè generarlo nel Peccato, essendone immune; ma Lei non ne fu preservata per non infettarne il Figlio, ma perché la Santità di Questi aveva riempito anche Lei stessa, con effetto retroattivo. In ragione di ciò, Maria è la Donna che schiaccia il capo del serpente – ossia di Satana – perché lo neutralizza, in quanto egli non ha su di Lei alcun potere. Tale vittoria avviene sia direttamente per l’Immacolata Concezione in quanto tale, sia indirettamente tramite il Figlio, Che redime innanzitutto la Madre e poi i fratelli, che pure sono stirpe mariana, perché Lei contribuisce a generarli alla Grazia. Infatti, Gesù stesso, nel Vangelo, chiama Maria non Madre, ma Donna, sia alle Nozze di Cana che sul Calvario. Adempie così la profezia del Genesi, identificandone la destinataria. La Donna è presente anche nella Lettera ai Galati 4, 4-5 e nell’Apocalisse, e in entrambi i casi rimanda – o può rimandare – all’Immacolata.

Preservata immune da ogni colpa, Maria SS. ha l’umanità più perfetta dopo quella di Gesù. L’equilibrio tra anima e corpo è assoluto, per cui ha la perfezione della natura che sarebbe toccata ad Adamo. Maria poi è adornata dei doni preternaturali, destinati all’uomo nell’Eden: scienza infusa, assenza di passioni, immunità dalla morte, per cui alla fine dei suoi giorni si addormentò e fu assunta in Cielo. Solo il dolore non Le fu risparmiato, perché Maria, essendo innocente, avrebbe potuto offrire la Sua sofferenza in subordine a quelle del Figlio per la salvezza del mondo, divenendo Socia del Redentore. Infine Maria è stata ricolmata della Grazia Santificante, che le è stata comunicata nel modo più sovrabbondante possibile e che è stata efficace nella maniera massima. Il segno più eloquente della perfezione di santità di Maria è il suo Cuore Immacolato, che è il simbolo del Suo amore personale per gli uomini, un amore perfetto perché provato da una creatura d’incomparabile bellezza interiore. Di esso abbiamo detto in precedenza.

In virtù dell’Immacolata Concezione, Maria SS., sin dal primo istante del concepimento, ha avuto una relazione speciale con tutte e tre le Persone Divine. Infatti l’Immacolata Concezione, che contiene in sé, come in germe, tutte le altre grazie mariane, è l’opera del Padre, pensata nel Figlio e amata nello Spirito. Maria è adorna della Potenza del Padre – per cui ha tutte le grazie e virtù – della Sapienza del Figlio – che la costituisce Signora del Cielo e della Terra – e dell’Amore dello Spirito Santo – che la riempie di una carità incomparabile. Queste prerogative fanno si che Maria, per analogia e dono, sia simile ma non uguale alla perfezione divina: Ella non avrebbe potuto essere diversamente. In tal senso, Maria è resa partecipe della necessità essenziale della Natura di Dio e, in seno alla Trinità, Ella è Colei Che è. Le tre grazie trinitarie, in Lei costantemente presenti, costituiscono un eccelso e mistico Triregno che la adorna in eterno. Perciò l’Arcangelo San Gabriele potè salutarla kekaritomēne, ossia “Tu che sei stata e rimani ricolma della Grazia divina”, reso in modo meno pregnante dal Gratia plena della Vulgata e tradotto Piena di Grazia in volgare. In tale frase celeste il NT rivela il mistero dell’Immacolata, dando compimento alle profezie, dal Protovangelo in poi, e alle figure simboliche veterotestamentarie: l’Arca di Noè, che scampa al comune naufragio; la Scala di Giacobbe, che unisce terra e cielo; il Roveto ardente, che brucia di Dio ma non si consuma nella colpa; la Torre inespugnabile al peccato da cui pendono le armature dei forti (i Santi); l’Orto chiuso, in cui non entra nessun male; la Città di Dio, abitata solo da Lui, che ha fondamento nei monti santi, ossia in luoghi incontaminati; il Tempio di Dio, pieno della Sua Gloria; il Tabernacolo celeste, contemplato da Bezaleel in visione e degno di accogliere il Dio Vivente più di quello dell’Esodo; la Casa dell’Eterna Sapienza costruita dalle Sue mani; il Trono eccelso di Dio; la Regina ricolma di delizie che uscì dalla bocca dell’Altissimo; la Colomba pura; Eva, Madre dei Viventi; Jael, benedetta tra le donne della tenda, che annienta Sisara, simbolo di Satana; Giuditta, guidata da Dio a troncare il capo dei suoi nemici e benedetta tra le donne di Israele. Tali figure, spesso adeguate innanzitutto all’Umanità di Cristo e in subordine a Maria, sono echeggiate nel macarismo di Elisabetta: Benedetta Tu..e benedetto il Frutto del Tuo grembo, che a sua volta riprende l’eulogia di Giuditta (Gdt 13, 10).

Andando a ritroso nella storia dei dogmi, vediamo che l'Immacolata Concezione, definita dal Beato Pio IX (1846-1878) nel 1854, ebbe una gestazione lunga e difficile. In effetti, nell'ambiente giudaico-cristiano esso era stato sempre affermato, e aveva trovato un'espressione mitica nel racconto della concezione verginale di S. Anna nel Protovangelo di Giacomo. La patristica la riaffermò indirettamente, calcando la mano sulla santità di Maria e sulla sua libertà dal diavolo; i pelagiani la proclamarono esplicitamente, e così facendo consegnarono la dottrina ad una polemica plurisecolare. Infatti, nonostante il sensus fìdei dei credenti non accettasse l'idea che Maria avesse avuto il Peccato Originale, la teologia alta ebbe difficoltà ad argomentare in favore di questo privilegio, per la pregiudiziale antipelagiana: infatti proprio il traducianesimo di Agostino si oppose all'Immacolata Concezione come noi la concepiamo. Tuttavia la fede popolare nella dottrina immacolista rimase intatta, e ciò apparve come argomento probante del fatto che facesse parte della Rivelazione divina ad Eadmero (†1134 ca.), da cui prese le mosse una corrente teologica basata sul concetto di redenzione anticipata, ossia usufruita dalla Vergine prima di contrarre la colpa. Ma le concezioni antropologiche dell'epoca rendevano più difficile una costruzione teologica più precisa, e Alessandro di Hales (1183-1245), sant’Alberto Magno (1193-1280), san Tommaso d'Aquino (1225-1274), san Bonaventura (1221-1274) e persino sant’Anselmo di Aosta (1033-1109) e san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) furono sostanzialmente macolisti. Assai ostile all'Immacolata Concezione fu Giovanni XXII (1316-1334), anche se espresse quest'opinione come parere personale in alcune omelie. Nonostante una così agguerrita opposizione, il Beato Giovanni Duns Scoto (1266-1308) riprese da Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298) la tesi della redenzione preservativa, che perfezionava quella di Eadmero: la Madonna era stata preservata dal Peccato originale, in vista della funzione che avrebbe dovuto svolgere. Questa tesi non era stata presa in considerazione perché Pietro di Giovanni Olivi era un eretico, ma grazie al magistero di Duns Scoto, essa ora riacquistava una credibilità e veniva formulata in modo impeccabile. Il dottore, peraltro, con tatto e prudenza, definì l'Immacolata Concezione probabile nelle sue lezioni oxfordiane, dove l'empirismo rendeva più accettabile la sua riflessione teologica, e possibile a Parigi, dove più forte era la tradizione teologica precedente. Da Duns Scoto prende le mosse una corrente immacolista nuova, tipicamente francescana, a cui aderirono presto tutte le università, compresa la Sorbona, e che fece proseliti persino tra i tomisti. Sisto IV (1471-1484) vietò poi ai macolisti e agli immacolisti di accusarsi reciprocamente di eresia ed estese la festa liturgica dell'Immacolata, da secoli fissata all’8 dicembre (7), a tutta la Chiesa. In questo modo si formarono i cardini della definibilità dogmatica dell'Immacolata Concezione: il sensus fidei dei fedeli, come elemento probante espresso attraverso la lex orandi, e la dottrina della redenzione preservativa. Su questa scia, il Concilio di Trento (1546) escluse Maria SS. dal novero di coloro che avevano contratto il Peccato d’Origine; Alessandro VII (1655-1667), nel quadro delle polemiche sulla giustificazione sollevate dal Giansenismo, nella bolla Sollicitudo (1661), si dichiarò favorevole alla dottrina immacolista vietando di denigrarla; Clemente XI (1700-1721) estese la festa liturgica dell’Immacolata a tutta la Chiesa (1708). I maggiori teologi difesero il privilegio mariano lungo tutta l’età moderna (san Pier Canisio [1521-1597]; san Roberto Bellarmino [1542-1621]; sant’Alfonso Maria de’Liguori [1696-1787]; san Leonardo da Porto Maurizio [1676-1751]). La teologia mistica, dalle Rivelazioni di santa Brigida (1303-1373) nel ‘300 alle apparizioni di Rue du Bac (1830) e di Sant’Andrea delle Fratte a Roma (1846), ha sempre puntellato la fede nell’Immacolata Concezione, supportata anche dalle pratiche di pietà e dalle espressioni artistiche.

In particolare, diciamo prima delle apparizioni di Rue du Bac di Parigi, che diedero l’avvio alla devozione della Medaglia Miracolosa. Mostrata dalla Vergine a Santa Caterina Zoe Labourè (1806-1876), perché la facesse coniare, è il pegno della protezione di Maria su di noi che a Lei, Immacolata, fervorosamente ci raccomandiamo.

La Santa vide la Vergine tre volte nel 1830, quando era novizia presso le Figlie della Carità a Parigi. Il 18 luglio la Santa ricevette consolazioni spirituali, profezie e una missione che sarebbe stata definita in seguito. Il 27 novembre alle 17,30 la Vergine tornò, come in un quadro, nella posa dell’Immacolata Concezione: “era vestita di bianco e indossava un manto di colore azzurro argentato, con un velo aurora. Dalle Sue mani scaturivano come dei fasci di raggi di uno splendore meraviglioso. La Suora udì contemporaneamente una voce che diceva: “Questi raggi simboleggiano le grazie che Maria ottiene agli uomini. Intorno al quadro, ella lesse la seguente invocazione, scritta in lettere d'oro: - “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi! ». Io spando (queste grazie) sulle persone che Me le chiedono.. Alcuni istanti dopo, quel quadro si voltò: sul rovescio, la veggente distingue la lettera M sormontata da una piccola Croce e, in basso, i sacri Cuori di Gesù e di Maria. Dopo che la suora ebbe attentamente osservato la visione, la voce le disse: Si deve far coniare una medaglia su questo modello; le persone che la porteranno indulgenziata e che reciteranno con pietà questa breve preghiera, godranno di una specialissima protezione della Madre di Dio ». Una terza apparizione si ebbe il 27 dicembre 1830, alla stessa ora. Sente una Voce che dice: Questi raggi simboleggiano le grazie che la Vergine Santa impetra alle persone che gliele domandano. Non mi vedrai più, ma sentirai la mia voce durante le tue orazioni. Da questi eventi iniziò la diffusione universale di quella Medaglia che, coniata a miliardi di esemplari, fu detta Miracolosa per le grazie che ottiene. La Santa non volle mai testimoniare, ma la Chiesa ha tacitamente riconosciuto le apparizioni. Portata con zelo da Gregorio XVI (1831-1846) e Pio IX, fu considerata una mina che faceva saltare il cuore di chi la portava espugnandolo a Cristo da Santa Teresa di Lisieux (1873-1897), da San Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), da San Pio da Pietrelcina (1887-1968). Il 27 di ogni mese, alle 17, si può recitare la Supplica della Medaglia.

Per quanto riguarda l’apparizione immacolista di Sant’Andrea delle Fratte in Roma, l’israelita Alfonso Maria Ratisbonne (1814-1884), di Strasburgo, con un’apparizione dell’Immacolata com’è coniata nella Medaglia Miracolosa, istantaneamente illuminato dalla grazia si convertì al cattolicesimo. Il barone Teodoro de Bussières gli aveva donato una Medaglia Miracolosa. Il 20 gennaio 1842 andò insieme al barone Teodoro nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte per predisporre il funerale di un amico. Mentre il barone disbrigava le pratiche, Alfonso passeggiava tra le navate della chiesa osservando le opere d'arte. All'improvviso l'intero edificio sparì dai suoi occhi e vide solo una cappella laterale sfolgorante di luce, nella quale apparve la Beata Vergine come è raffigurata sulla Medaglia Miracolosa, ossia Immacolata, e con la mano gli fece segno di inginocchiarsi. La Madonna non disse nulla, ma Alfonso capì tutto e scoppiò in lacrime di commozione. La Madre di Gesù lo aveva folgorato, e per il resto della sua vita non dimenticò più quello sguardo celestiale. Si fece istruire sulla Dottrina Cattolica e ricevette il battesimo assumendo il nome di Maria. Alfonso risolvette di donarsi al Signore. Entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù e divenuto sacerdote si dedicò alla predicazione dei ritiri spirituali e delle missioni popolari, ma successivamente ottenne il permesso di trasferirsi tra i Padri di Nostra Signora di Sion, ordine dedito all'apostolato per la conversione dei giudei. Venne spedito in missione in Terra Santa, dove visse 30 anni gestendo orfanotrofi per bambini e fanciulle. Che cosa avvenne di preciso nell’ora della grazia, lo descrive lo stesso Ratisbonne: “Vidi come un velo davanti a me. La chiesa mi sembrava tutta oscura, eccetto una cappella, quasi che tutta la luce della chiesa si fosse concentrata in quella. Alzai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce, e vidi sull’altare della medesima, in piedi, viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria, simile nell’atto e nella forma, all’immagine che si vede nella Medaglia Miracolosa dell’Immacolata. Mi fece cenno con la mano di inginocchiarmi. Una forza irresistibile mi spinse verso di Lei, che parve dicesse: Basta così. Non lo disse ma capii. A tal vista caddi in ginocchio nel luogo dove mi trovavo; cercai, quindi, varie volte di alzare gli occhi verso la Santissima Vergine, ma la riverenza e lo splendore me li faceva abbassare, ciò che, però, non impediva l’evidenza di quell’apparizione. Fissai le di Lei mani, e vidi in esse l’espressione del perdono e della misericordia. Alla presenza della Santissima Vergine, benché Ella non mi dicesse parola, compresi l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica, in una parola compresi tutto”. Il 3 giugno 1842 la Chiesa riconobbe l’apparizione. La strada per la definizione del dogma era spianata.

Perciò, quando ogni polemica era oramai sopita, Papa Mastai potè interpellare l’Episcopato con l’enciclica Ubi Primum (1849), ne ottenne un consenso plebiscitario e definì il dogma con la bolla Ineffabilis Deus. La definizione dogmatica diede un ulteriore impulso alla devozione immacolista, e la Novena che solennemente prepara all’8 dicembre divenne ancora più sentita. Da quel momento, pensare alla Madonna e all’Immacolata fu, ancor di più, un tutt’uno, anche in considerazione del fondamento immacolista di tanti altri attributi della Vergine. Il mese mariano immacolista di maggio, già affermatosi in età barocca e consolidatosi tra Seicento e Settecento, ebbe ulteriori sviluppi nell’Ottocento, con le indulgenze di Pio VII (1815), Gregorio XVI (1833) e del B. Pio IX (1859), I Papi del XX sec. lo raccomandarono tutti.

Le apparizioni della Vergine a Lourdes nel 1858 diedero un ulteriore e autorevolissimo suggello alla dottrina, essendosi Maria SS. presentata come Immacolata Concezione. Santa Bernardette Soubirous (1844-1879) ne fu la protagonista. Eccone un breve racconto (8).

L’11 febbraio 1858 Bernadette, umile fanciulla di piccola condizione, si trovava davanti alla grotta di Massabielle, dove sentì un forte rumore di vento, simile ad un tuono, ma quando si voltò vide che tutto era calmo e che gli alberi non si erano mossi. Sentì una seconda volta il rumore, allora vide una nube color oro e, all’interno della grotta, una Signora giovane e bella, dell’età di sedici o diciassette anni, vestita di bianco, con un velo che le copriva la testa, una fascia azzurra legata in vita che scendeva lungo l’abito, una rosa gialla su ciascun piede e sul braccio destro un Rosario con dei grani bianchi uniti da una catenella d’oro. Bernadette all’inizio si spaventò, ma poi prese coraggio e fece il segno della Croce e cominciò a recitare il Rosario insieme alla Signora. Mentre la ragazza recitava il Rosario la Signora restava in silenzio, accompagnandola solo col “Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto” alla fine di ogni decina. Dopo la preghiera la bella Signora scomparve improvvisamente.

Il 14 febbraio 1858 Bernadette sentì una forza interiore che la spingeva a tornare alla grotta, munita di una bottiglietta di acqua benedetta. La ragazza iniziò la recita del Rosario e dopo la prima decina vide comparire la Signora. Allora Bernadette gettò verso la figura l’acqua benedetta che aveva con sé. La Vergine sorrise e chinò il capo; terminata la preghiera scomparve.

Il 18 febbraio 1858 due signore accompagnarono Bernadette alla grotta. Quando la Signora apparve si inginocchiarono e si misero a pregare. Bernadette porse alla Signora un foglio di carta chiedendole di scrivere il Suo nome. Ma Ella le disse: “Ciò che devo comunicarti non è necessario scriverlo. Vuoi avere la bontà di venire qui per quindici giorni? Io non ti prometto di renderti felice in questo mondo ma nell’altro”.

Il 19 febbraio 1858 Bernadette tornò alla grotta accompagnata dai genitori e da centinaia di persone, portando con sé una candela benedetta e accesa. Da quel gesto nascerà la tradizione di portare le candele per accenderle nella grotta.

Il 20 febbraio 1858 la Signora insegnò a Bernadette una preghiera personale che reciterà per il resto della sua vita.

Il 21 febbraio 1858 la Signora apparve di buon mattino. La ragazza osservò che la Vergine era triste, allora le chiese cosa poteva fare per Lei. Ella rispose: “Prega per i peccatori”. Più tardi venne interrogata dal commissario di polizia Jacomet, che voleva che gli raccontasse che cosa aveva visto. Uno dei medici di Lourdes, il dottor Dozous, si dedicò a studiare la veggente. Egli giunse alla conclusione che in Bernadette non c’erano segni di allucinazioni, di isteria o di fughe dalla realtà.

Il 23 febbraio 1858 la Signora le comunicò tre segreti che riguardavano solo lei e che non avrebbe dovuto rivelare a nessuno.

Il 24 febbraio 1858 la Signora allora esclamò per tre volte: “Penitenza! Penitenza! Penitenza!” e fece ripetere ad alta voce queste parole alla ragazza.

Il 25 febbraio 1858 sulle rive del Gave erano presenti circa trecento persone. La Madonna disse a Bernadette: “Vai a bere e a lavarti alla fonte, e mangia dell’erba che è là”. Bernadette si guardò intorno ma non vedeva nessuna fonte. Pensò che la Vergine la mandasse al torrente e si incamminò in quella direzione. La Madonna la fermò e le disse: “Non andare là, vai alla fonte che si trova qui”, e le indicò il fondo della grotta. Bernadette andò vicino alla roccia che le era stata indicata, cercò la fonte con lo sguardo ma non la trovò e, nel desiderio di compiacere la Signora, rivolse lo sguardo verso di Lei per ricevere maggiori indicazioni. Ad un nuovo segnale, Bernadette si inginocchiò e scavando la terra con la mano, vi fece un buco. Improvvisamente il fondo di quella piccola cavità diventò umido e comparve dell’acqua che presto la riempì completamente. Mescolata con la terra fangosa, Bernadette avvicinò l’acqua per tre volte alle labbra, non riuscendo a berla. Ma superando la sua naturale ripugnanza all’acqua sporca, la bevve, poi ne prese altra e se la passò sul viso, infangandosi tutta. Poi strappò qualche ciuffo d’erba e lo masticò a lungo. Tutti cominciarono a burlarsi di lei e a dire che era diventata matta. Bernadette rispose soltanto: “È per i peccatori”.

Il 27 febbraio 1858 si erano raccolte nei pressi della grotta circa ottocento persone. Bernadette bevve l’acqua della sorgente e compì i gesti abituali di penitenza. I presenti la videro più volte chinarsi e baciare la terra, poi d’un tratto la ragazza si volse verso questi e disse a tutti di baciare la terra. E tutti ubbidirono. Al termine dell’apparizione, la veggente dirà che la Signora l’aveva invitata a far penitenza per i peccatori, e le aveva comandato: “Vai e bacia la terra per i peccatori”. Poi la Signora disse: “Vai a dire ai Sacerdoti che qui si deve costruire una Cappella”.

Bernadette raccontò allora al parroco la sua prima visione e poi tutte le altre. L’abate Peyramale esigette che la Signora dicesse il Suo Nome e che poi provasse che esso Le appartiene.

Il 28 febbraio 1858 circa duemila persone assistettero all’estasi. Bernadette pregò, baciò la terra e camminò sulle ginocchia in atto di penitenza.

Il 1 marzo 1858 più di millecinquecento persone erano presenti. Durante la notte, una donna di Lourdes, Catherine Latapie, era andata alla grotta per immergere il suo braccio infermo nell’acqua della sorgente: il braccio e la mano recuperarono la loro piena funzionalità. La mattina Bernadette era davanti alla grotta. Un’amica l’aveva pregata di usare la sua corona durante l’apparizione. Ma quando la bianca Signora apparve, le disse dolcemente: “Avete il vostro Rosario?”. “Sì”, rispose Bernadette cercandolo nella tasca del suo grembiule e levandolo in alto. “Servitevi di quello”, riprese la Signora. Tutte le persone che avevano visto il gesto di Bernadette, levarono in alto le corone del Rosario e pregarono insieme.

Il 2 marzo 1858 la Vergine le disse: “Ed ora, figlia mia, va a dire ai Sacerdoti che qui, in questo luogo, si deve erigere una Cappella e che si deve venire in processione”. Bernadette andò immediatamente alla Chiesa per dare il messaggio a don Peyramale. Il Sacerdote, dopo averla ascoltata, le fece capire che lui voleva sapere una sola cosa, il nome della Signora, ed esigeva inoltre un segno come prova: veder fiorire in pieno inverno le rose selvatiche della grotta.

Il 3 marzo 1858 Bernadette andò alla grotta. Durante l’apparizione Bernadette chiese nuovamente alla Signora il suo nome e le riferì le parole del parroco che voleva la fioritura del rosaio. La risposta fu un sorriso.

Il 4 marzo 1858 era l’ultimo dei quindici giorni di cui la Signora aveva parlato a Bernadette. Circa ventimila persone erano convenute attorno a Massabielle da tutta la Francia. Bernadette arrivò con la mamma. Durante l’apparizione la Signora le raccomandò ancora una volta di pregare per i peccatori e la salutò.

Durante i venti giorni seguenti, Bernadette non andrà alla grotta. Il parroco intanto rimaneva irremovibile sulle sue posizioni. Il 25 marzo 1858, quando la ragazza arrivò, richiamata irresistibilmente dalla bella Signora, nella valle c’erano trentamila persone. La veggente levò gli occhi in alto: la Signora era lì, e l’aspettava. Per tre volte le chiese: “Signora, volete avere la bontà di dirmi chi siete?”. Dopo la terza volta sorrise, e levando le mani e congiungendole al petto rispose: “Io sono l’Immacolata Concezione”.

Appena si seppero queste parole e si divulgò la voce che la bianca Signora era la Vergine Maria, Concepita senza peccato originale, s’accese un entusiasmo incredibile. L’invocazione: “O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”, fu ripetuta e scandita ad alta voce da tutti. Finita l’estasi, dopo aver raccontato ciò che la Signora le aveva detto, la veggente partì veloce, correva ripetendo quelle parole che lei non comprendeva. Bernadette non conosceva questa espressione teologica che indica la Santa Vergine. Quattro anni prima, il Papa Pio IX aveva definito il dogma. Bernadette riferì al Parroco le parole che Signora aveva pronunciato, lasciandolo sconvolto.

Il 7 aprile 1858 Bernadette durante l’apparizione teneva in mano una candela accesa. Ad un certo momento la fiamma, rafforzata da una forte corrente d’aria, s’introdusse tra le sue dita per un tempo prolungato senza lasciare alcun segno di ustione.

Il 16 luglio 1858 Bernadette sentì interiormente una misteriosa chiamata della Vergine e si diresse verso la grotta; ma l’accesso era stato interdetto, la grotta era chiusa da una recinzione. Allora andò dall’altra parte del fiume, di fronte alla grotta. Improvvisamente il volto di Bernadette si trasfigurò: la Madonna era lì, per l’ultima volta, nella nicchia che s’intravedeva sopra la palizzata di chiusura. Bernadette dirà: “Mi sembrava di essere proprio alla grotta, alla stessa distanza delle altre volte; vedevo solo la Madonna; mai l’avevo vista così bella!”. La bianca Signora chinò il capo verso Bernadette, la guardò con tenerezza materna, le sorrise ancora una volta, e scomparve.

La sera del 2 luglio 1862, di nascosto, Bernadette si recò a salutare per l’ultima volta la sua grotta di Massabielle prima di entrare nel noviziato delle Suore della Carità di Nevers. Iniziava così il culto universale di Lourdes, segnato da migliaia di prodigi, apogeo della devozione all’Immacolata. Lourdes è oggi il più celebre dei luoghi mariani, famoso anche e soprattutto come Santuario per gli ammalati, che vi giungono da tutte le parti del mondo. Molto più numerose sono le conversioni e i ritorni alla Fede che quotidianamente vengono registrati in questo luogo di altissima spiritualità. Incalcolabili sono le Grazie spirituali che i fedeli ricevono dalla Madonna a Lourdes, non possono essere quantificabili, le testimonianze che si diffondono nel mondo sono inestimabili. Oltre le guarigioni ritenute impossibili e riconosciute a Lourdes, sono pure innumerevoli le guarigioni non registrati al Bureau. Milioni e milioni di fedeli hanno visitato Lourdes nel corso di un secolo; si calcola che annualmente vi giungano cinque milioni di pellegrini e quarantamila ammalati.

Nel 1858 Beltrando Severo Laurance, vescovo di Tarbes, istituì una commissione per studiare i fenomeni di Lourdes. Dopo quattro anni di indagini gli esperti dichiararono che “l’Immacolata Maria, Madre di Dio, è realmente apparsa a Bernadette Soubirous l’11 febbraio 1858 e per 18 volte, alla grotta di Massabielle presso la città di Lourdes; giudichiamo che questa apparizione rivesta tutti i caratteri della Verità e possa essere ritenuta certa dai fedeli” (lettera pastorale del 18 gennaio 1862).

Nel 1871 fu costruita, sulla roccia soprastante la grotta, la Basilica dell’Immacolata Concezione o Basilica superiore, consacrata nel 1876, e nel 1901 fu consacrata un’altra Basilica sotterranea e molto più vasta della prima, detta del Rosario o inferiore, unita all’altra da arcate e scale. Nel 1882, essendosi nel frattempo verificate numerose guarigioni fra i pellegrini che si erano bagnati con l’acqua della fonte, fu istituito a Lourdes il Bureau des Constatations Médicales, con il compito di raccogliere la documentazione e di formulare le diagnosi mediche relative ai singoli casi, onde comunicarle alle autorità diocesane competenti a decidere sul fatto miracoloso.

Nel 1891 Leone XIII (1878-1903), papa ardentemente mariano, fissò all’11 febbraio la festa di Nostra Signora di Lourdes; lo stesso Papa inculcò la recita del Rosario e la festa venne estesa da San Pio X (1903-1914), nel 1907, a tutta la Chiesa di rito latino. Ad essa ci si prepara con una Novena e coincide con la Giornata Mondiale del Malato. Lo stesso Papa Sarto promulgò un’enciclica sulla Vergine Immacolata, la Ad Diem Illum (1904).

Nel 1958 il cardinale Roncalli (poi papa Giovanni XXIII) consacrò la nuova Basilica sotterranea, dedicata a San Pio X. Il ven. Pio XII (1939-1958), sotto il cui Papato ci fu il primo apogeo del movimento mariano contemporaneo, autore di una indimenticabile Preghiera all’Immacolata per l’Anno Mariano da lui indetto nel 1954 e di stupende encicliche mariologiche (tra cui quella dottrinale proprio sull’Immacolata, la Fulgens Corona del 1953), voleva recarsi a Lourdes ma non visse abbastanza a lungo. Il venerabile Paolo VI riprese il suo magistero con l’enciclica Mense Maio del 1965 sul mese devozionale immacolista. Il Beato Giovanni Paolo II (1978-2005) la visitò nel 1983 e il suo ultimo pellegrinaggio internazionale lo fece lì nel 2004. Lo stesso Papa Wojtyla ha visitato Rue du Bac il 31 maggio 1980. Benedetto XVI si è recato nel 2008.

Il XX sec. è stato, sostanzialmente, un gran secolo mariano. Accesi dal fervore portato nel mondo dalla Tutta Bella, molti Santi lo diffusero in esso. Tra loro ricordiamo il folle dell’Immacolata, quel francescano polacco, San Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), che spese la sua esistenza per diffondere il culto della Gloria di Gerusalemme, fondando la Milizia dell’Immacolata, costruendo due Città dell’Immacolata in Polonia e Giappone per inondare il pianeta di mezzi di devozione mariana, percorrendo il globo per annunziare la Letizia di Israele e, dopo la prigione e le torture naziste, dando con gioia la vita, come martire di carità, nell’inferno di Auschwitz, al posto di un condannato a morte per rappresaglia. Nell’estrema prova, nudo, lasciato morire di fame assieme ad altri dieci disgraziati colpevoli solo di essere compagni di prigionia di un fuggitivo, li confortò fino all’ultimo, pregò per loro e con loro e morì, finito dall’acido fenico, mentre Dio lo traeva in estasi. La consacrazione all’Immacolata, fiorita tra Ottocento e Novecento, ebbe in lui il suo maggiore apostolo, che si definiva cosa e strumento, proprietà e possesso di Maria, allo scopo di conquistarLe il mondo, imponendo agli ascritti alla Milizia dell’Immacolata la formula consacratoria da lui composta. Non è un caso che lo abbia canonizzato e proclamato martire il Papa più devoto della Madonna mai esistito, quel Giovanni Paolo II che, oltre all’ultima grande enciclica sulla Vergine (1987), ci ha lasciato il ricordo dell’Anno Mariano del 1987. Perché è nel segno dell’Immacolata che si è chiuso il secolo XX e aperto il XXI, avendo Lei trionfato mediante i Suoi servi devoti sulle forme più oscure del male.

MATER DOLOROSA
Elementi di teologia devozionale dell’Addolorata

“Stabat Mater Dolorosa
Iuxta Crucem Lacrymosa
Dum Pendebat Filius”

La devozione all’Addolorata ha come oggetto le sofferenze della Madre, patite per la nostra salvezza, e la Sua stessa persona sofferente. Infatti, mediante l'attribuzione alla Beata Vergine Maria del titolo patristico di Nuova Eva, e mediante lo sviluppo in tutti i suoi aspetti dell'equiparazione tra la Prima donna e la Madre di Dio, la Chiesa ha ormai acquisito, sia nel suo sensus fidei che nella sua lex orandi, la consapevolezza che la stessa Vergine ha cooperato in modo particolare alla Redenzione operata dal suo Figlio mediante il sacrificio della Croce. La sua ormai massiccia presenza nei testi liturgici, nel magistero pontificio ed episcopale, nella letteratura teologica giustifica la richiesta di una definizione dogmatica che, alla pari di quanto è successo per il movimento immacolista e per quello assunzionista, chiuda e coroni il dibattito con un suggello più che autorevole, così da mostrare tra l'altro l'intima armonia tra l'infallibile sentire del popolo di Dio e l'altrettanto infallibile insegnamento del Romano Pontefice. Questo è l’auspicio nell’iniziare la trattazione della devozione a quella Vergine Che è Addolorata perché Corredentrice, e che Corredentrice perché Addolorata.

NATURA E STORIA DELLA DEVOZIONE

La Maternità Divina fa sì che Maria SS. sia stata la Corredentrice del Genere Umano o, come si preferisce dire oggi, la Generosa Socia del Redentore, la Cooperatrice del Salvatore o, patristicamente, la Nuova Eva associata al Nuovo Adamo nella rigenerazione dell’Umanità (9). Questa verità, sebbene non dogmaticamente definita, è tuttavia parte della dottrina certa, perché è universalmente creduta dai fedeli, ispira profondamente la devozione unanime del popolo cristiano, è fondata nella Scrittura, è espressa nella Tradizione, è insegnata nel Magistero. Maria SS. ha cooperato formalmente alla Redenzione acconsentendo all’Incarnazione, generando e nutrendo il Cristo, Sacerdote e Vittima, unendo a quelli del Figlio i Suoi dolori, specie ai piedi della Croce, bramando di unirsi a Lui nel sacrificio salvifico attraverso la fede, la speranza, la carità e l’ubbidienza. Questa associazione di Maria al Figlio è universale (perché dura per tutta la Storia della Salvezza), è integrale (perché partecipa alla stessa Salvezza a vantaggio di tutti e per tutte le grazie), è completamente subordinata e dipendente (perché vi partecipa a titolo limitato, per un merito congruente ma non sufficiente). In quest’ottica, i Dolori di Maria, che la tradizione raggruma in sette circostanze, sono il corrispettivo delle Piaghe del Figlio, e le Sue Lacrime l’equivalente del Sangue di Lui, anche se gli uni e le altre acquistano valore solo per la Passione di Cristo. In ragione di ciò i Dolori e le Lacrime – simbolo, queste, della vita di Maria, vissuta ma non perduta nel dolore –sono degne della venerazione dei fedeli.

La maggior parte dei teologi ritiene che la cooperazione di Maria alla Redenzione sia stata immediata, perché Dio ha disposto che la nostra salvezza dipendesse anzitutto dai Dolori di Gesù – in modo principale, indipendente, autosufficiente e necessario – e poi da quelli di Maria – sebbene, come accennavamo, in maniera secondaria, dipendente da Lui, insufficiente e solo ipoteticamente necessaria. Maria, prima redenta, offrì i Suoi Dolori –che altrimenti sarebbero stati inutili, in quanto Lei non aveva nulla da espiare – per la salvezza degli altri uomini, associandosi volontariamente al Sacrificio, di per sé già efficace, del Figlio, secondo quanto suggeritole dallo Spirito Santo (redenzione obiettiva)(10). Un’altra ipotesi, la cooperazione immediata passiva, non è a mio avviso esclusa dalla prima, anche se di solito sono considerate alternative: Maria, a nome della Chiesa e dell’Umanità, accetta e riceve ai piedi della Croce i meriti di Cristo e li rende trasmissibili a tutti. Ossia ai piedi della Croce Maria avrebbe ricevuto i meriti del Figlio, col Suo assenso ad essere salvata con gli altri, e vi avrebbe aggiunto i propri, quale primizia dell’Umanità redenta e quale Eva obbediente per il bene della Sua progenie. La terza e ultima ipotesi, la cooperazione mediata, anch’essa alternativa alle altre due, può tuttavia pure armonizzarsi con quelle. In questa teologia la collaborazione mariana alla Salvezza, concepita appunto come mediata e remota, è previa, perché Maria acconsentì all’Incarnazione e perché ai piedi della Croce, proprio per il Suo doloroso assenso alla Morte del Figlio, ricevette il diritto di applicare attivamente i meriti di Lui alla salvezza di ognuno (redenzione subiettiva). Queste due ultime tesi potrebbero fondare il diritto specifico di Maria SS. alla Mediazione, di cui diremo, e quindi costituirsi come fondamento della Sua assoluta causalità strumentale di salvezza (11).

Del resto, questo è quanto - con efficace sintesi - insegna la Lumen Gentium al capitolo VIII, ai nn. 58, 60 e 62, echeggiando il venerabile Pio XII (1939-1958) nella Mystici Corporis (1943), Pio XI (1922-1939) nella Miserentissimus Redemptor (1928), San Pio X (1914-1922) nella Ad diem illum (1904), Leone XIII (1878-1903) nella Adiutricem Populi (1895), nonché Padri come Sant’Andrea di Creta (660 ca.-740) nel Sermo in Nativitatem Mariae, San Germano di Costantinopoli (640-730) nella In Annuntiationem Deiparae e nella In Dormitionem Deiparae, San Giovanni Damasceno (676-749) nella Homilia in Dormitionem B.V.Mariae. Alla Corredenzione manca oggi solo la definizione dogmatica, a suo tempo richiesta a papa Benedetto XV (1914-1922), autore dell’enciclica Inter Socialicia (1918), la prima, breve e densa espressione della dottrina della Corredenzione nella storia del magistero papale; l’ultimo ad insegnarla è stato il Beato Giovanni Paolo II (1978-2005) nella enc. Redemptoris Mater del 1984.

Questo sentire è in perfetto accordo con l'archeologia, che ci mostrano la presenza, nelle viscere del Calvario, di luoghi di culto del I secolo, in cui il Redentore era associato ai Dolori della Madre, specie nel Sabato Santo. Non sarebbero stati venerati dai cristiani, se fossero stati dettati da miscredenza. Gli scavi del 1958 e del 1973-1977 di Mallios, Katsimbinis e Diéz, restituendoci alcuni elementi del Calvario originale e del monumento sacrilego voluto da Adriano (117-138), hanno portato alla luce l'ambiente detto dai testi post - crucem e la famosa "grotta dei tesori", legata al ciclo di Adamo col sepolcro del nostro progenitore e con la dottrina della descensio ad inferos di Cristo, come ricorda San Luciano di Antiochia (240-312) nella Passione. Tale luogo era legato anche al planctus della Nuova Eva che nel Triduo Pasquale aspettava la Resurrezione del Figlio. Qui si conservava la Santa Lancia, la spugna che dissetò il Crocifisso e l'immagine dell'Addolorata. Da qui trassero ispirazione i testi liturgici della Staurotheotókia. Non a caso Adriano volle sovvertire questo culto con quello di Venere che piange per risuscitare Adone. Segno che i Giudeo- Cristiani avevano già strettamente congiunto i Dolori di Maria a quelli del Figlio. Perciò la erronea teologia della Scuola antiochiena e dei suoi continuatori va addebitata proprio alla mancanza di collegamento alla storia, ed è dettata più che altro dal pregiudizio per cui anche la Vergine dovesse peccare, per essere redenta da qualcosa. Il peccato, mostruoso, era proprio compiuto col dubbio ai piedi della Croce ! E' incredibile come il clima teologico dell'epoca abbia ottenebrato la sensibilità spirituale di autori tanto illustri e peraltro così devoti di Maria. Grazie al magistero di Sant’Ambrogio (339/340-397) - e, per inciso, al macolismo di certa patristica, che faceva redimere Maria dal peccato originale - la dottrina della Corredenzione si è riaffermata, riallacciandosi sia pure inconsapevolmente, alle sue origini giudeo-cristiane, ed è continuata in tutta la letteratura sacra.

Si è peraltro materiata della fervida devozione popolare, che è appunto all'Addolorata, il cui percorso cultuale è una strada privilegiata per constatare come, lungo i secoli, la credenza nella Corredenzione è stata parte della fede del Popolo di Dio, il quale non si inganna nel suo sentire soprannaturale. Un sentire che, si badi bene, ha avuto sempre illustri conferme di magistero.

La devozione all’Addolorata nella Grande Chiesa è certamente molto anteriore alle sue prime attestazioni. Ab immemorabili il Triduo Pasquale ha i suoi momenti mariani, particolarmente espliciti nella liturgia greca e in quelle orientali in genere. Del resto, Sant’Ambrogio non avrebbe potuto insegnare che la Beata Vergine partecipava ai dolori del Figlio se il popolo non fosse stato predisposto ad aderire ad una simile dottrina, avendola professata nella sua pietà: i casi moderni della devozione all’Immacolata e all’Assunta lo dimostrano come esempi. Possiamo ritenere quindi che la Chiesa latina già dal Tardo Antico si avviasse verso tale forma di devozione. Della pietà per i dolori della Compatiens presso i Giudeo-Cristiani abbiamo detto, e risalgono al I secolo. L’influenza di queste credenze nella tradizione siriaca fa supporre che presto anche le Chiese antiochiene abbiano recepito tale devozione. Che i Greci avessero devozione all’Addolorata è attestato almeno dall’epoca delle icone dette Blachernitissa – che lega con Gv 19, 26 e con la croce la Theotókos – e Calchopratìa – in cui la Mater Dolorosa è compresa dalla dottrina della Corredenzione e della vittoria di Cristo Crocifisso che redime col Suo Sangue i giusti del limbo – che sono del V sec. In Occidente abbiamo un oratorio dedicato a S.Maria ad Crucem a Paderborn nel 1011. Sant’Anselmo di Aosta (1033-1109) parla della Cumpatiens tra il 1063 e il 1093. Nel XIII sec. la devozione alla Mater Dolorosa si sviluppa, e nel XIV si precisa in quella ai Sette Dolori, con formule di esercizi devoti che, basati su un ciclo settenario, scandivano la meditazione dei Dolori della Vergine, e che costituiscono la preistoria della Corona dell’Addolorata o dei Sette Dolori, nata per impulso del Capitolo generale dei Servi di Maria nel 1646 e da esso confermata nel 1652. La Via Matris Dolorosae, che ricalca la Via Crucis con un ciclo di Sette Stazioni, risale alla Spagna del XVIII secolo, nelle chiese dei Servi di Maria. Anche il pio esercizio dell’Ora Santa della Desolata – che sarebbe da rendere obbligatorio o il Venerdì Santo dopo l’Adorazione della Croce, o il Sabato Santo – risale al XVIII secolo. Dal ‘500 – ‘600 si sviluppò il mese devozionale di settembre all’Addolorata, particolarmente sentito ovviamente dai Serviti. Purtroppo, non ancora nessun papa ha fatto per questo mese devozionale ciò che Leone XIII ha fatto per ottobre, o Pio VII (1800-1823), Gregorio XVI (1831-1846) e Pio IX (1846-1848) per maggio.

La Commemoratio angustiae et dolorium B.M.V. è attestata per la prima volta in Occidente dal decreto del Concilio provinciale di Colonia, che la istituiva per il venerdì dopo la III domenica di Pasqua, probabilmente ricalcando l’uso liturgico dei Servi di Maria, a Colonia dal ‘200. Se il valore di questa liturgia era essenzialmente commemorativo della commendatio di Maria a Giovanni, la messa di « Nostra Signora della Pietà » inserita da Sisto IV (1471-1484) nel messale romano nel 1482 ha un sapore squisitamente soteriologico. Da papa Della Rovere in poi, le messe incentrate sul mistero dei dolori mariani si moltiplicano e si disseminano per tutto l’anno liturgico. Ma è il formulario sistino ad essere concesso ai Servi di Maria per la Missam de Septem Doloribus B.M.V. la terza domenica di settembre il 9 giugno 1668 da Alessandro VII (1655-1667), ricalcando quella del messale di San Pio V (1565-1572) per il Venerdì Santo. Clemente XI (1700-1721) nel 1714 concesse quest’ultima festa ai Servi, e il venerabile Benedetto XIII (1724-1730) nel 1727 la estese a tutta la Chiesa latina. Pio VII nel 1814 invece istituiva la festa dei Sette Dolori la terza domenica di settembre per tutta la Chiesa. San Pio X la spostò al 15 settembre, aderendo all’uso ambrosiano. Il venerabile Paolo VI (1963-1978) ha soppresso la commemorazione del Venerdì Santo e ha ridotto a memoria la festa settembrina, peraltro dedicata all’Addolorata. I Serviti conservano la festa del venerdì dopo la V domenica di quaresima, e quella del 15 settembre. Bene sarebbe fissare per tutta la Chiesa, in un venerdì di quaresima, una commemorazione della Corredentrice per preparare i fedeli alla celebrazione della Passione, ed elevare la memoria dell’Addolorata a solennità della Corredentrice.

Oggi, le antiche devozioni rifioriscono per impulso di recenti esperienze mistiche. Ho citato il culto e le rivelazioni sul Cuore Addolorato di Maria scrivendo di quello Immacolato. Una Corona delle Lacrime di Maria è stata annunziata da Cristo l’8.11.1929 e rivelata da Maria l’8.3.1939 alla Serva di Dio suor Amalia di Gesù Flagellato, come eredità particolare per l’Istituto delle Missionarie del Divin Crocifisso, a Campinas in Brasile. Una conferma celeste dell’attribuzione a Maria del titolo di Corredentrice è venuta dalle apparizioni di Amsterdam, dove dal 1945 al 1959 la Beata Vergine Maria si è presentata a Ida Peerdeman (1905-1996) come Signora di Tutti i Popoli e ha chiesto esplicitamente la definizione del dogma della Corredenzione e della sua Mediazione Universale (12).

Bisogna poi ricordare la lacrimazione della Madonna a Siracusa, avvenuta nel 1953, perché come dicevamo le Lacrime di Maria sono parte del Suo dolore corredentivo. La Vergine non potrebbe oggi piangere sui peccati dell’uomo, se non avesse partecipato alla loro redenzione. Le lacrime di Maria nel corso della storia sono una esplicitazione di quelle sofferenze che Lei già ha patito, in previsione, per espiare le colpe che la commuovono. Tale sofferenza si ripete misticamente, in quanto la Madre gloriosa non può più patire, ma può contristarsi attraverso quel Mistico Corpo del Figlio di cui Lei è Madre sin dal Calvario. Veniamo dunque ai fatti siracusani. Due giovani coniugi, Angelo Iannuso e Antonina Lucia Giusti, sposatisi il 21 marzo del 1953, abitavano in una modesta casa in Via degli orti di S. Giorgio a Siracusa. Antonina era in attesa del primo bambino, ma la gravidanza a volte le procurava l’abbassamento della vista; il 29 agosto verso le 3 di notte, quel disturbo si acuì a tal punto, da renderla completamente cieca. Inaspettatamente verso le 8,30 del mattino, la vista tornò come prima e alzando lo sguardo verso il quadretto di gesso attaccato a capo del letto vide grosse lacrime scendere sul viso della Madonnina. Immediatamente gridò: “La Madonnina piange”. La notizia si sparse velocemente in tutta Siracusa e da lì nel mondo; la casa dei coniugi Iannuso si trasformò in meta di pellegrinaggio, che le foto dell’epoca documentano, perché tutti volevano vedere la “Madonnina che piange”.

La statuetta-quadretto era un mezzo busto di gesso, raffigurante il Cuore Immacolato di Maria ed era un regalo di nozze, ricevuto dai giovani sposi (13). La misteriosa lacrimazione si protrasse a più riprese dal 29 agosto al 1° settembre; l’atteggiamento della Chiesa in questo frangente, fu di opportuna prudenza; il parroco, con il permesso della Curia arcivescovile di Siracusa, si recò il 1° settembre verso le 11 in casa Iannuso, con alcuni dottori del Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia. Questi esperti, tra cui il dottor Michele Cassola, dichiaratamente ateo, che presiederà la Commissione scientifica, divennero testimoni oculari della lacrimazione; gli occhi di Maria si manifestarono gonfi di lacrime come di una persona presa da forte emozione, che presero a scendere rigando il delicato volto, andando a raccogliersi nel cavo della mano. I chimici con la loro provetta, riuscirono a raccoglierne una parte di circa un centimetro cubo.

Il quadro fu poi nei giorni seguenti sottoposto all’esame di una Commissione scientifica, che ne diede un’ampia relazione il 9 settembre 1953; la parte di apparente maiolica dell’effige della Vergine, fu staccata dal vetro nero di supporto e si poté constatare che era costituita da uno spessore di gesso da 1 a 2 cm circa, e che al momento dell’esame era completamente asciutta; poi il liquido raccolto venne sottoposto ad una serie di analisi chimico-fisico-biologiche, che facevano riscontrare la stessa composizione e le stesse sostanze escretorie del tipo di lacrime umane.

Il 12 dicembre 1953, l’episcopato della Sicilia, unanimemente dichiarò autentica e senza dubbio la lacrimazione prodigiosa. Il venerabile papa Pio XII, il 17 ottobre 1954 diffuse nel mondo un radiomessaggio, dicendo tra l’altro: “Comprenderanno gli uomini l’arcano linguaggio di quelle lacrime? Oh, le lacrime di Maria!”, riferendosi alla Chiesa del silenzio. Il 19 settembre 1953, il quadro ripristinato nella sua interezza, fu sistemato in una stele di pietra bianca in Piazza Euripide, fino al 1968, quando fu spostato sull’altare della cripta dell’erigendo santuario; qui rimase dal 1968 al 1987 e dall’1 maggio 1994 al 4 novembre 1994. Il nuovo tempio fu iniziato nel 1989; la sua forma sembra indicare una lacrima caduta dal cielo; venne consacrato con solennità dal Beato Giovanni Paolo II il 6 novembre 1994. Le lacrime sono state raccolte in un artistico e prezioso reliquiario, opera di Biagio Poidimani di Siracusa, a tre ripiani sovrapposti con alla base, ai quattro angoli, vi sono le statuine di Santa Lucia, patrona di Siracusa, San Marziano, primo vescovo della città e quelle dei santi apostoli Pietro e Paolo. E questo reliquiario fu richiesto sul letto di morte nel 1973, dal dottor Cassola, il quale se lo strinse al petto e dopo un po’ singhiozzando, chiese un confessore, dicendo: “Prima, vedevo davanti a me come una muraglia invalicabile. Ora quella muraglia, grazie al pianto della Madonna, è crollata” (14).

Una esplicita mariofania dell’Addolorata si è avuta in Rwanda, il 28 novembre 1981, in un collegio di studentesse, tenuto da Suore di una Congregazione religiosa locale in Kibeho, presso Mubuga, nella regione naturale del Nyaruguru. Lì apparve la Nostra Signora del Dolore. Alle 12,35, le ragazze del collegio erano nel refettorio; Alphonsine Mumureke (nata nel 1965 e attualmente suora delle Povere Clarisse) stava servendo le compagne a tavola quando sentì distintamente una voce che la chiamava: “Figlia mia, vieni qui” e che proveniva dal corridoio. Alphonsine si diresse da quella parte e lì vide, per la prima volta, una giovane Donna, sconosciuta, vestita di bianco, con un velo sulla testa, che nascondeva i capelli, e che sembrava unito al resto del vestito. Non aveva calzature. Le mani erano giunte sul petto con le dita rivolte al Cielo. Era la Madonna, apparsa con un colore non proprio bianco di pelle, ma neppure nero. Alphonsine affermerà, nella sua testimonianza, di non riuscire a dire con esattezza come fosse la sua pelle. La Madonna era la sua bellezza incomparabile.

Alphonsine, piena di timore, chiese alla Signora Chi fosse. La Beatissima le rispose: “Io sono la Madre del Verbo”. Il dialogo avvenne in lingua rwandese. Le compagne di collegio, presenti, udivano le parole di Alphonsine, ma non quelle della Signora. “Allora tu sei la Madre del Verbo?”, chiese la veggente, che a sua volta si presentò alla Madonna dicendo: “E io sono Alphonsine”. La Madonna proseguì: “Nella tua vita cristiana, cosa è per te la cosa più importante?”. Alphonsine rispose: “Amo Dio e Sua Madre Che ha messo al mondo per noi il Redentore”. La Signora aggiunse: “Veramente ?”. “Sì, è proprio così”, continuò la veggente. E allora la Beata Vergine disse: “Se è così, Io vengo a consolarti, perché ho ascoltato le tue preghiere. Voglio che le tue compagne abbiano fede, perché non ne hanno abbastanza”. La Signora le chiese pure di insegnare alle sue compagne a pregare perché non sapevano pregare o non lo facevano abbastanza, nonché a tenere in stima la devozione a Maria, loro Madre. Alphonsine allora disse: “Madre del Salvatore, se veramente sei Tu che vieni a dirci che qui nella scuola abbiamo poca fede, Tu ci ami! È per me una grande felicità vederTi con i miei propri occhi”. Alla fine, Alphonsine recitò tre Ave Maria e la Sequenza dello Spirito Santo. Quindi la Signora scomparve lentamente ritraendosi verso l'alto. L’apparizione durò circa un quarto d'ora.

Le compagne di Alphonsine pensarono subito che fosse isterica o vittima di allucinazioni. La ragazza pregò, quindi, in una delle successive visioni, la Vergine di apparire anche alle altre ragazze in modo che potessero credere. La Madonna la accontentò. La sera del 12 gennaio 1982, la Vergine Madre apparve anche a Nathalie Mukamazimpaka (nata nel 1964). Alphonsine insistette presso la Madonna affinché apparisse anche ad altre ragazze e la Madre di Dio la accontentò ancora. Il 2 marzo 1982, la Madonna apparve a Marie-Claire Mukangango (1961-1994). Questa nuova apparizione fu determinante, dal momento che Marie-Claire era la più scettica e, data la sua età, condizionava anche il comportamento delle sue compagne collegiali. E da quel momento il collegio prestò più attenzione a quei fenomeni.

I messaggi della Madonna di Kibeho non riguardarono solo la popolazione rwandese. Lo disse esplicitamente la Vergine a Marie-Claire: “Quando Io Mi faccio vedere e parlo a qualcuno, intendo rivolgermi al mondo intero”. La Madonna volle stigmatizzare che il mondo vive senza Dio, ignorando i valori dello spirito. La Vergine disse di essere venuta a consolare i Suoi figli, invitandoli all’unità ed alla pace, attraverso la conversione, la preghiera, la penitenza e la partecipazione alla Passione di Cristo. Ecco perché si presentò come “Vergine della sofferenza” o “dei dolori” o “Addolorata”. La Vergine raccomandò la recita della Corona dei Sette Dolori, in una forma rinnovata, a Marie-Claire, il 31 maggio e il 15 agosto 1982. Alphonsine e Nathalie, inoltre, ebbero modo di compiere diversi viaggi mistici con la Madonna nell’aldilà, dove poterono constatare l’esistenza di Giudizio dopo la morte, del Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno. Proprio nell’apparizione del 15 agosto 1982, le veggenti ebbero una chiara visione di ciò che sarebbe accaduto alcuni anni più tardi nel loro Paese. La Vergine apparve alle ragazze molto triste, in lacrime; le stesse ragazze piansero, tremarono e batterono i denti dalla paura; raccontarono, poi, di aver visto “un fiume di sangue, persone che si uccidevano a vicenda, cadaveri abbandonati senza che nessuno si curasse di seppellirli, un abisso spalancato, un mostro spaventoso, teste mozzate”. Ed in effetti, quando in quel funestato Paese scoppiò la guerra civile tra etnie, Tutsi e Hutu, ci furono massacri spaventosi, che confermarono la veridicità di quell’apparizione. Nel corso di essi morì anche Marie Claire.

Dopo un accurato esame, condotto da due commissioni, una medica e una teologica, ed un accurato processo canonico, il 29 giugno 2001, il primo vescovo di Gikongoro, Augustin Misago, in cattedrale, alla presenza di tutto l'episcopato rwandese e del nunzio apostolico Salvatore Pennacchio, lesse il decreto di riconoscimento dell'autenticità delle apparizioni avvenute a Kibeho, in cui dichiarava solennemente, per conto della Chiesa, “Sì, la Vergine Maria è apparsa a Kibeho nella giornata del 28 novembre 1981 e nel corso dei mesi successivi. Ci sono più buone ragioni per credere che non di negare. A questo riguardo, solo le tre veggenti dell’inizio meritano di essere ritenute come autentiche: si tratta di Alphonsine Mumureke, Nathalie Mukamazjmpaka e Marie Claire Mukangango. La Vergine si é loro manifestata sotto il nome di “Nyina wa Jambo”, cioé “Madre del Verbo”, che é sinonimo di “Umubye-yi w 'fmana”, cioé “Madre di Dio”, come essa l'ha spiegato. Queste veggenti di Maria dicono di vederla sia a mani giunte, sia a braccia aperte”.

Il 31 maggio 2003, alle 10,00 del mattino, mentre il cardinale Crescenzio Sepe, allora Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e oggi Arcivescovo di Napoli, legato apostolico dal Beato Giovanni Paolo II per la consacrazione del Santuario di Nostra Signora del Dolore a Kibeho, celebrava la solenne Messa con tutti i vescovi rwandesi, aveva luogo, dinanzi ai fedeli lì radunati, il fenomeno della danza del sole, come a Fatima, il 13 ottobre 1917. Esso durò otto minuti e fu filmato e fotografato e tanto da escludere ogni tipo di suggestione.

IL MISTERO DELL’ADDOLORATA NELLE LITANIE A LEI DEDICATE

Nelle Litanie dedicate all’Addolorata, il Suo mistero viene liricamente evocato. Ella è chiamata anzitutto Madre del Crocifisso, perché si capisca l’intensità del dolore di Lei innanzi al Cristo inchiodato sul legno e la profondità del Loro legame di dolore e amore; Madre addolorata, per sottolineare che la maternità diventa per Maria causa di sofferenza particolare, unica, come sola può essere quella di Colei Che vide il Figlio torturato a morte; Madre lacrimosa, per evidenziare come la maternità dolente si sia concretizzata nel profluvio di lacrime sparse fino alla Crocifissione, quando Ella smise di piangere per sopportare nella pienezza il tormento; Madre desolata, perché umanamente finita e sconfessata in tutti i Suoi diritti materni; Madre abbandonata, perché abbandonata da tutti; Madre del Figlio privata, per l’orrenda esperienza di vedersi sottratto l’Unigenito e di vederLo morire; Madre trafitta dalla spada del dolore, perché si realizzasse la profezia di Simeone; Madre consumata dagli stenti, perché l’ansia e l’angoscia La divoravano in quelle ore drammatiche, conducendoLa sulla soglia della morte; Madre piena di angustie, perché sopraffatta dalle insolubili preoccupazioni per il Figlio; Madre crocifissa nel Cuore, perché lì viveva le stesse sofferenze di Gesù, per quanto Le fosse possibile, e lì desiderava, qualora a Dio fosse piaciuto, immolarsi Lei al Suo posto; Madre mestissima, per la tristezza infinita che inondava il Suo animo; Fonte di lacrime, chè esse tutte hanno in Lei la cagione di sgorgare, non essendoLe stato risparmiato alcun dolore; Cumulo di patimenti, chè essi si abbatterono su di Lei quasi ammucchiandosi per stenderLa a terra moralmente e fisicamente; Specchio di pazienza, per aver sopportato tutto con confidenza e rassegnazione; Esempio di penitenza, per aver tutto offerto con e al Figlio Suo; Rupe di costanza, per aver resistito a tanta pressione psicologica, morale e fisica, oltre l’umana natura, nella fedeltà al piano di Dio; Ancora di confidenza, perché saldamente piantata nel fondo del mare della speranza e della fede a dispetto delle procelle crudeli su di Lei abbattutesi; Rifugio degli abbandonati, perché essi possono nascondersi in Lei che per prima lo fu; Difesa degli oppressi, perché Ella ne è lo scudo, essendo stata nella loro stessa condizione e in grado sommo; Debellatrice degli increduli, perché la Sua testimonianza di fede non può che essere autentica prova di verità che apre gli occhi anche ai ciechi di spirito; Medicina dei languenti, perché Lei prima languente diviene farmaco, nella Sua forte debolezza, per chi è nella medesima condizione; Forza dei deboli, perché per prima fu forte, Lei Che aveva solo ragione di debolezza, per cui la Sua intercessione li corrobora; Porto dei naufraghi, perché in Lei trovano sicuro rifugio coloro che la vita ha capovolto nel mare delle disgrazie, essendo rimasta salda in mezzo a tanto dolore; Guida nelle tempeste, perché Ella le attraverso’ uscendone illesa e può condurre gli altri; Ristoro dei miseri, perché Lei fu la più degna di commiserazione e la più provata e non trovò conforto se non in Dio, e quindi può soccorrere gli altri che provano analoga sofferenza ma hanno meno grazia; Terrore degli insidianti, perché il demonio, il mondo e la carne hanno paura di Colei Che tanto sopportò; Tesoro dei fedeli, perché la Grazia così meritata è per loro; Occhio dei profeti, perché tramite Lei misticamente essi videro la Passione del Redentore, essendo Lei l’unica che la contemplò e la comprese; Sostegno degli Apostoli, perché la Sua mantenne quella di Giovanni e meritò la conversione di quelli fuggitivi, a cui recò conforto prima della Resurrezione; Corona dei Martiri, che divengono in parte come Lei e partecipano della Sua gloria; Guida dei Confessori, che attraversano le prove come Lei sotto la Sua guida; Perla delle Vergini, chè Ella fu tra esse la Perpetua e mise a frutto tale offerta di castità nell’amore oblativo ed espiatorio, quindi fecondo; Consolazione delle Vedove, che come Lei affrontano la solitudine e la prova in spirito di fede; Letizia di tutti i Santi, corredenti da Lei e partecipi della Sua beatitudine.

APPROFONDIMENTO: FONDAMENTI BIBLICI DELLA DEVOZIONE

La Sacra Scrittura, però, ci permette di leggere in modo più preciso i contenuti della Corredenzione, andando oltre la riservatezza che la stessa LG si impone sulle questioni dottrinali non definite, al n. 54. Numerosi passi biblici si prestano ad una lettura profetica e simbolica che, coerentemente col sentire della Chiesa, confermano la fisionomia della Vergine quale Socia del Redentore.

Anzitutto, in Lv 3, 1-17, il sacrificio di comunione può essere un capo di bestiame grosso sia maschio che femmina, purchè senza difetto. Sono cioè profetizzati Cristo e Maria, immacolati. Ciò significa che nel NT quella comunità di vita, quella relazione di alleanza e di amicizia tra Dio e il Suo popolo che scaturiva dall'antico rito sarebbe venuto dal duplice sacrificio del Redentore e di Sua Madre, fermo restante che l'olocausto, in cui la vittima è totalmente per il Signore, è sempre e solo un maschio senza difetto, ossia Cristo. Egli infatti non è redento da nessuno, ed è immacolato per virtù propria, e non per redenzione preservativa come la Madre. L'olocausto è infatti un rito espiatorio, in cui il kipper, il sacrificio, vale come un kofer, ossia come riscatto. Invece laddove la vittima è divisa tra Dio e l'offerente, ossia quando la pace tra i due è data per restaurata, allora è possibile offrire un sacrificio di comunione in cui il capo di bestiame femmina simboleggi la Vergine Corredentrice che, già redenta essa stessa, si offre, sempre col Figlio, a Dio per coloro che rappresenta, ossia i fedeli della Chiesa, secondo l'interpretazione dello Scheeben, del Köster, di Semmelroth e di Müller. Realmente si fa carico dei meriti e dei demeriti dell'offerente, che gli pone la mano sul capo e l'offre davanti a Dio, e viene offerta all'ingresso della tenda, quasi che la piena relazione con Dio non sia ancora restaurata - e infatti solo dopo la Redenzione si squarcia il velo del tempio. Sono i sacerdoti che spargono il sangue attorno all'altare, perché sarà il Sinedrio a causare il dolore di Maria presso la Croce. E di tale sacrificio si parla in termini di profumo soave, bruciato sull'olocausto - ossia compiuto col presupposto del sacrificio di Cristo, che lo abilita .

In Lv 4, 27 ss. il sacrificio per il peccato si può fare con una capra o una pecora femmina, purchè senza difetto. Non si compiono con essa i sacrifici per i sommi sacerdoti o per l'assemblea o per un capo, che simboleggiano la pienezza della Redenzione e che perciò esigono un capo di bestiame maschio, simbolo di Cristo, né quelle che implicano sette aspersioni di sangue sul velo, perché esse profetizzano le Sette effusioni dalla Circoncisione alla Lanciata al costato, ma un sacrificio subordinato, immolato nel luogo degli olocausti - ossia subordinato alla Redenzione di Gesù - il cui sangue contribuisce a rendere legittimo il culto - bagnando i corni e la base dell'altare degli olocausti - e pur sempre relegato in un ordine profano, per cui il suo sangue non entra nella tenda santa. E tuttavia è anch'esso un profumo soave, che fa perdonare i peccati, come rito espiatorio. E ai vv. 5, 5-6, ancora sono quei capi di bestiame che redimono dalla colpa, anzi, da qualsiasi cosa per cui gli uomini diventano immondi. C'è troppa stretta connessione tra il tema dell'immondezza legale, che prefigura quella morale del peccato, e il sacrificio di una femmina, perché ciò non abbia il suo peso in una esegesi allegorica di questi testi in chiave mariologico-soteriologica.

Ci si potrebbe però chiedere come mai, visto che nell'AT le vittime - anche femmine - sono sgozzate e versano sangue, Maria non è stata uccisa. Non sarà forse questa una smentita della nostra lettura profetica? Non sarà una prova che Lei non è Corredentrice, in quanto senza effusione di sangue non vi è perdono? In realtà, appare fin troppo evidente che il sacrificio di un capo di bestiame di sesso femminile è valutato molto meno e va fatto in casi minori - cosa in cui appunto ravvisiamo la sussidiarietà del sacrificio mariano. Ora, realmente tutta la Legge preparava l'unico sacrificio di Cristo, sostituendo il Suo a tutti quelli inutili di montoni e capri, come ben argomenta l'Autore della Lettera agli Ebrei. Dunque tutto il sangue dell'AT si raduna profeticamente in quello di Cristo. E il sangue a cui fa riferimento la Legge nelle norme sul sacrificio di comunione è proprio quello, che è del capo di bestiame femmina, ossia della Vergine in profezia, in quanto Cristo è realmente figlio di lei, e il suo sangue è sangue di Maria.

Ciò è ampiamente dimostrato dall'esegesi che si può fare di Nm 19, 1-9, quando si descrive il rito di immolazione della giovenca rossa. Rituale premosaico di origine non ebrea, è la più chiara asserzione del concetto che anche una femmina può espiare, sia pure nel quadro di una liturgia sacrificale imperniata sull'agnello della pasqua. Ebbene, Maria è la giovenca come il Cristo, in tanti altri luoghi, è il giovenco sacrificale. E' rossa per il sangue. E' senza macchia, senza difetti e non ha mai portato il giogo del peccato. Eleazaro, attraverso i sacerdoti suoi successori, la porta fuori dell'accampamento, ossia di Gerusalemme, presso il Calvario, e la martirizza tramite il Figlio. Essa versa il sangue attraverso il Figlio, che appunto fa Sette aspersioni, dalla Circoncisione alla Lanciata al costato, in quanto il sacrificio di Cristo e quindi anche quello di Maria iniziano dalla nascita del Redentore. Inoltre è consumata dal fuoco, ossia dal martirio della carità. Al rogo in cui viene consumata nello spirito si aggiungono, per dargli valore, il cedro - legno incorruttibile che simboleggia l'Immacolata Concezione e la perfetta santità di Maria, senza le quali non avrebbe valore il suo sacrificio - l'issopo - che indica la divina Maternità, con cui Lei è benedetta fra le donne e con cui benedice il mondo - e il colore scarlatto - segno delle Sue sofferenze precedenti alla Passione di Cristo, ma che pure concorrono a salvare il mondo. Le acque che mondano con le ceneri della giovenca sono quelle del Battesimo, rese efficaci appunto dal sacrificio di Cristo, su cui si innesta e che coonesta quello di Maria, che pure ci è comunicato nel Battesimo. L'immondezza dei sacerdoti è lo stato di peccato che contrarranno in quanto crocifissori di Gesù e seviziatori di Maria; il battesimo che li potrà rigenerare è figurato nel lavaggio rituale; l'uomo mondo che porta le ceneri fuori dal campo è Giuseppe d'Arimatea, che porta il Corpo di Cristo al sepolcro e rimane immondo simbolicamente per il contatto col cadavere, carico dei peccati dell'umanità.

La stretta connessione tra la ritualità sacrificale mosaica e l'orientamento soteriologico della missione mariana è stata intuita, almeno implicitamente, dai Padri della Chiesa. Non a caso Melitone di Sardi (†180) scriveva: "E' Lui l'agnello muto / è Lui l'agnello sgozzato / è Lui che è nato da Maria l'agnella pura / è Lui che dal gregge fu preso / all'immolazione fu trascinato / sul far della sera fu ucciso / di notte fu sepolto / sul legno non fu spezzato / in terra non fu corrotto / dai morti risorse / e risuscitò l'uomo dal fondo della tomba.

Ancora, nel Libro dei Giudici, il ruolo redentivo di Giaele è da sempre letto come figura della vittoria di Maria sul male, ma può diventare preannunzio della Corredenzione se lo leggiamo in senso lato, in quanto la partecipazione della Vergine alla Redenzione sarebbe un aspetto, anzi il più efficace perché a vantaggio di tutto il Popolo di Dio - proprio come il gesto di Giaele - della Sua battaglia vittoriosa. Non a caso l'eulogia di Giaele nel cantico di Debora fa il paio con quella di Giuditta, alla quale si addice, quale figura mariologica, la stessa riflessione. Entrambe le eulogie infatti preparano quella di Elisabetta, che però fa un'equiparazione tra la Madre e il Figlio: entrambi benedetti, perché la prima è la copia più fedele dell'altro, in tutto, e quindi anche nell'essere operatrice di redenzione. Così si dà compimento al Protovangelo, il cui senso profetico mariano implicito è soteriologico alla stessa maniera in cui lo è il senso esplicito cristologico. E' questa l'obbedienza che i Padri, fautori della dottrina della Nuova Eva, avevano individuato, partendo proprio dal Protovangelo, come apporto soteriologico di Maria.

Fino all'Esilio dunque Dio comunica i simboli che, nella pienezza della Rivelazione, mostreranno il ruolo della Corredentrice e la opportunità della sua funzione.

A ridosso dell'Esilio, grande figura della schiavitù del peccato, lo Spirito Santo invece comincia a descrivere le sofferenze della Corredentrice, sempre assieme a quelle del Figlio. Come infatti non vedere una profetica asserzione della cooperazione attiva nelle Lamentazioni I e II ? Se ormai sia nel magistero conciliare che nella teologia mariana e biblica possiamo accettare come valida l'equiparazione Maria - Figlia di Sion, come non leggere in senso mariologico-soteriologico quei passi biblici, che già la pietà popolare ha applicato da sempre all'Addolorata ?

Al v. 1,1 si descrive proprio l'abbandono della Vergine da parte dei seguaci di suo Figlio. Già grande e signora, perché partecipe della magnificenza del Cristo, entrato pochi giorni prima in Gerusalemme, ora è tornata ciò che era prima, una vedova, ed è sottoposta al tributo imposto da Dio in espiazione delle colpe.

Alla passione interiore del Figlio, profeticamente il v. 2 oppone la sofferenza notturna della Madre, e riafferma che tutti i discepoli di lui, gli amanti e gli amici qui nominati, hanno tradito, arrivando alla fuga o al rinnegamento, e diventando nemici. Costoro sono raffigurati in Giuda, emigrato per la miseria umana e la schiavitù della colpa fuori della grazia di Cristo, senza però che la persecuzione romana ed ebraica dia garanzie di risparmiarli. Lo stato miserevole del loro animo, ormai privo del nutrimento spirituale dispensato dalla parola di Cristo, ben si evince dal testo. Sono descrizioni allegoriche che tornano poi sotto l'immagine della Sion in lutto, sotto il potere dei nemici, applicabili poi alla Corredentrice, che è afflitta per i misfatti senza numero, che sono Suoi non perché da Lei commessi, ma perché a Lei imputati perché li espii. In questo senso vanno intese le espressioni che attribuiscono a Gerusalemme - Maria di aver peccato gravemente e di essere, Lei immacolata, come un panno immondo, e di avere la veste sozza ai lembi. E la nudità che coloro che la disprezzano, considerandola ingiustamente colpevole - come gli astanti del supplizio del Servo del Signore nel Deutero-Isaia - hanno contemplato, è quella del Figlio, appeso nudo alla croce: Egli è carne di Maria, quindi Sua nudità.

Lam 1, 6-7 ben descrive lo stato fisico e morale della Vergine ai piedi della Croce: lo stato vissuto al momento della caduta del suo popolo, ossia la fuga dei discepoli e l'arresto di Cristo, è profeticamente ricordato dal veggente in persona Matris. Di Lei giustamente si dice che l'avversario ha steso la mano sulle sue cose più preziose: la vita e l'onore del Figlio, e altrettanto rettamente diciamo che i pagani sono penetrati nel Suo santuario: essi hanno fisicamente violato il vero tempio, il Corpo del Cristo .

Il trènos dei vv. 11 d - 16 ancora suggerisce la valenza soteriologica: il disprezzo e la sofferenza vengono presentati a Dio e agli uomini, perché lo considerino; il dolore non ha eguali ed è punizione dell'ira divina, che notoriamente si accende per il peccato; esso viene dall'alto, cioè da Lui, giustiziere. Inoltre è descritto come un'angoscia profonda, simile a quella di una Madre che perda il Figlio, che rimanga desolata. La Figlia di Sion vede aumentare le pene che espiano le colpe, e da esse non può liberarsi. Il Signore ha radunato le forze che hanno disperso i giovani - ossia i discepoli - e ha pigiato la Vergine figlia di Giuda, ossia Maria, come uva nel tino. Da Lei è lontana Colui Che consola - e potrebbe dire come Cristo: Eloì, Eloì, lemà sabactàni ?- e le Sue lacrime si moltiplicano.

Nella seconda parte del lamento (18-22), alla Vergine che si fa carico delle colpe applichiamo la confessione del v. 18 a b. La sofferenza di Maria è data dall'apostasia dei fedeli, dalla morte del Figlio all'esterno e dal senso interno di prostrazione, ma anche dalla sua assoluta solitudine: e Geremia lo profetizza a chiare lettere. Inoltre, come avverrà per gli artefici della Passione del Redentore, anche i persecutori della Vergine saranno puniti. Ella stessa, per bocca del profeta, non per vendetta, ma per giustizia, lo richiede.

Ancora la Lam II descrive le sofferenze redentive di Maria: è Lei che è oscurata, come il Figlio sulla Croce che non avverte più la consolazione paterna; è Lei la Gloria di Israele, scagliata dal cielo alla terra; è Lei lo sgabello dei Suoi piedi, su cui comparve come Uomo, di cui Lui non ha avuto memoria nel giorno del furore. E' Lei, assieme al Figlio, la Dimora che Dio aveva in Giacobbe, e che ha moralmente distrutto; è Lei la Figlia di Giuda le cui fortezze sono state abbattute; è Lei, col Figlio, ad essere Regno di Dio e capo del Regno, ora profanati e prostrati. E' Lei la potenza d'Israele, vincitrice del peccato perché Panaghìa e Immacolata, Che Dio ha infranto. Sempre Maria è, col Figlio, il vero Giacobbe che Dio ha acceso all'intorno. Dio non solo ha ucciso la delizia dell'occhio, ossia Cristo, ma ha rovesciato su Maria la Sua ira, senza però farla morire. L'Israele distrutto sono loro due: Loro i veri palazzi e le vere fortezze, dimore sontuose perché adorne di virtù, inespugnabili perché senza peccato. Ancora Cristo e Maria sono la Dimora devastata dal ladro, sono il luogo della Riunione. Cristo infatti è l'Uomo Dio, Colui Che abbattè l'inimiciza tra Giudei e Pagani nel Suo Corpo, Colui Che riappacifica cielo e terra; Maria è Colei in Cui Umanità e Divinità si sono riuniti. Tali sofferenze sono accadute in prossimità della festa di Pasqua, così che i due martiri non la potessero vivere: il Re Sacerdote, Cristo, è stato rigettato in quei giorni. Maria e Cristo sono ad un tempo altare e santuario, ora abbandonati. Le Loro mura, ossia la protezione sempre accordata loro, sono cadute, in quanto sono in potere dei Giudei. E infatti il Sinedrio, che si radunava sotto il Tempio, festeggiò la cattura e il supplizio di Cristo. Ogni fortezza della Figlia di Sion è demolita, perché nessun dolore Le è risparmiato; Lei è il bastione, e Cristo il baluardo, entrambi desolati, in rovina. Il Re, ossia Cristo, è tra le genti, perché alla mercè dei Romani; i capi, ossia gli apostoli, sono anch'essi nascosti tra la folla, per paura del procuratore Pilato. La legge non c'è più, perché arriva fino a Giovanni Battista, e finita con lui è anche la profezia. Ancora sono descritte le miserrime condizioni morali dei discepoli dispersi. Il profeta contempla straziato la sofferenza di Maria, ma anche lo stato delle anime, simbolicamente adombrate nei lattanti morenti, dominate da satana, e per la cui liberazione Cristo e la Vergine soffrono. La rovina della Vergine, Figlia di Sion - si rifletta sull'uso di quell'aggettivo in questo contesto ! - è grande come il mare, ossia come il male del mondo, di cui le acque sono simbolo e che ricadono su di Lei. Non a caso si dice che i profeti – ai tempi di Geremia e ai tempi di Gesù- non hanno previsto la sorte della Vergine: se avessero ammonito gli uomini dei loro peccati - ossia le iniquità addossate a Maria - si sarebbero redenti, e la Sua sorte sarebbe stata cambiata. Invece hanno vaticinato un messianismo indolore, che ha spinto a credere che nessuno avrebbe sofferto. Poi i vv. 15-16 descrivono gli scherni della folla e dei sacerdoti rivolti, nella Passione, almeno implicitamente a Maria. Ma non loro sono gli artefici di tutto questo, bensì il Signore, che ha adempiuto la Sua parola di redenzione, decretata dall'eternità, consegnando Lei e suo Figlio al nemico. E il tema della sofferenza appare profeticamente impetrativa, se interpretiamo il v. 19 e come un vantaggio da ottenere per i bambini, figura delle anime, figlie della Vergine Maria. E infatti l'ultimo lamento è d'intercessione per le vittime, evidentemente del peccato, mentre si dice che nel giorno dell'ira, il venerdì santo, coloro che Lei portò in braccio, plurale generico che indica Cristo, sono stati sterminati.

Nel solco di questa tradizione possiamo leggere l'oracolo di Is 51, 17 ss., in cui si ridescrivono le sofferenze di Gerusalemme, di cui però si dice che non si ripeteranno mai più. Questo oracolo non si realizza in Sion, che fu devastata ancora dai Seleucidi e dai Romani addirittura due volte; dunque la città è necessariamente una figura, e la sua identificazione migliore, anche perché tradizionale, è Maria. Se ne descrive l'abbandono da parte dei discepoli, chiamati figli perché generati da Lei alla grazia tramite Cristo. La Vergine ha bevuto il calice, come lo berrà Cristo. E' la misera per eccellenza, l'ebbra di dolore. I mali che la colpiscono sono due, ossia sovrabbondanti, come si addice a una Corredentrice: sono i Suoi e quelli del Figlio, ossia le Sue desolazione e fame, e la distruzione e Morte di Cristo. A Lei è inflitta una umiliazione suprema, espressa in modo figurato dal fatto che il dorso è usato come un suolo - letteralmente come la terra - quasi in parallelo con la kenòsis di Cristo descritta da Paolo. Questo versetto potrebbe essere l'equivalente mariologico del brano paolino. Ma solo una volta berrà quel calice, così come Cristo si immolerà una volta sola, poi esso sarà ritorto contro i peccatori che ne sono stati causa.

Ancora, il Libro di Ester fornisce a mio avviso uno spunto soteriologico in chiave mariana. Questo libro di sicuro presenta più elementi funzionali alla dottrina della Mediazione Universale della Vergine, ma c'è un passo che, comparato ad un altro della Genesi di sicuro significato soteriologico, può suffragare la teologia della Corredenzione. E' il passo in cui Ester si presenta ad Assuero per salvare gli Ebrei a rischio della vita, perché non convocata. Il passo parallelo è il Sacrificio di Isacco. Isacco è figura di Cristo, che dà la vita per volontà di Dio, anche se poi è salvato dall'Angelo del Signore. Il sacrificio di Gesù, simboleggiato nell'ariete immolato da Abramo, darà compimento a ciò che non si compì in Isacco. Ester è figura di Maria, che espone la sua vita per volontà di Dio, ma ne è salvata perché il cuore di Assuero è convertito. Ester salva il suo popolo rischiando la sua vita, ma non la perde e compie, sopravvivendo la sua missione. Maria espone la Sua vita, attraverso quella del Figlio. Non la perde, e per questo è Corredentrice, in quanto solo il sangue di Gesù era necessario. Di Lei, era necessaria solo l'adesione al progetto di Dio, anche a rischio della vita stessa.

Nel NT, la dottrina della Corredenzione è suffragata anzitutto dalla partecipazione di Maria a tutte le sofferenze del Figlio, sin dall'inizio. In Mt, dove Maria appare come il trono della gloria di Cristo Dio, e quale ghebirah nel racconto dei Magi, subito dopo Ella viene associata alla sua sofferenza nell'esilio. Cristo è Re, ma la Sua regalità troverà compimento nella Croce, e le Sue Piaghe e il Suo Sangue saranno glorificate. A Tommaso appare con le Piaghe, e il Suo Sangue risorge con Lui, per cui in terra non ve ne sono reliquie, come già insegnava la scolastica. Ma allora anche le sofferenze di Maria, Regina anche lei, debbono essere glorificate, e sono per Lei fonte di sovranità. La Redenzione è regalita. Ma Maria è Regina, quindi è associata alla redenzione.

In Lc, l'intima associazione tra Maria e Cristo è pienamente affermata nell'eulogia di Elisabetta, come già ho detto: l'assoluta equiparazione tra le benedizioni dell'uno e dell'altra giustifica una duplicazione mariana di ogni caratteristica e funzione cristologica, anche se ovviamente in chiave subordinata. Del resto, il Benedictus profetizza chiaramente la funzione salvifica di Cristo, per cui il contesto giustifica l'asserzione che l'equiparazione Cristo-Maria sia valida anche in senso soteriologico. E tutto il Vangelo dell'Infanzia di Lc, insistendo molto sulla regalità della Vergine, si presta alla riflessione che abbiamo appena fatto sul rapporto tra essa e la sofferenza espiativa. La stessa Elisabetta, dopo l'eulogia, saluta Maria quale "Madre del mio Signore", ossia regina-madre. Tale nesso si coglie più chiaramente quando, terminata la rivelazione del Bambino quale Redentore e Re, a Maria si profetizza la spada nell'anima, il cui senso soteriologico, legato com'è al culto dell'Addolorata, è ormai fuori discussione.

Inoltre, se l'eulogia di Elisabetta, come del resto la Salutazione angelica sono interpretabili come attestazioni scritturistiche anche dell'Immacolata Concezione e dell'Assunzione al cielo di Maria - dottrine di fede e quindi indiscutibili - per esse possiamo porci un quesito che scaturisce proprio dalla parallelismo Cristo - Maria. Se Cristo è immacolato in vista della Redenzione, e se risorge dopo la Passione salvatrice, perché anche Maria non può essere stata concepita immacolata anche in vista della partecipazione alla sofferenza giustificatrice? Perché, conformata al Cristo glorioso nell'Assunzione, non lo può essere al Christus passus nella Corredenzione ? Insegna Pio XII, commentando il Protovangelo della Genesi quale sostegno biblico - inter alia - dell'Assunzione: "Come la gloriosa Risurrezione di Cristo fu parte essenziale e segno finale di questa vittoria (scil. sul peccato), così anche per Maria la lotta che ha in comune col Figlio Suo si doveva concludere con la glorificazione del Suo Corpo verginale." Ma, se l'equiparazione tra la gloria di Cristo e quella di Maria fu talmente assoluta da segnarli con una escatologia immediata, allora anche quella della Loro sofferenza, di cui la glorificazione è parte integrante, dev'essere assoluta, e quindi implica l'unione della Madre alle sofferenze salvifiche del Figlio, con un valore analogo, anche se inferiore gerarchicamente.

Peraltro, anche il dogma dell'Immacolata (che trova nei passi del Pentateuco che abbiamo citato a sostegno della Corredenzione continue prefigurazioni, quando leggiamo che il capo di bestiame dev'essere senza difetto, senza macchia e non deve aver mai portato il giogo), essendo biblicamente fondato sul Protovangelo, lega indissolubilmente questo dogma alla Corredenzione, specie attraverso l'esplicitazione di senso fatto negli altri passi biblici, specie in quelli del Levitico e dei Numeri che abbiamo commentati. Peraltro, molte figure bibliche della Ineffabilis Deus per la dottrina dell'Immacolata Concezione si prestano ad una lettura soteriologica in chiave mariana. Così l'Arca di Noè, che scampa dal comune naufragio del peccato originale, ma fa scampare anche coloro che ospita, ossia svolge una funzione salvifica. Così la torre inespugnabile del Cantico dei Cantici, a cui ben si addice l'aver resistito all'assalto del maligno nel giorno dell'ira.

Tutto ciò dà un senso più preciso alla già indiscutibile valenza soteriologica di Gv 19, 25-27, su cui peraltro non credo ci sia bisogno di aggiungere alcunché. Il commento che ne fa Ambrogio (339/40-397) ancora oggi è insuperato per afflato lirico, sensibilità esegetica, acutezza dogmatica: "La Madre stava ritta ai piedi della Croce, e mentre gli uomini fuggivano Ella rimaneva là, intrepida. La Madre mirava con occhio pietoso le Piaghe del Figlio, dal quale sapeva che sarebbe venuta la Redenzione del mondo. Stava ritta, offrendo uno spettacolo non dissimile da quello di Lui, mentre non temeva chi l'avesse uccisa. Il Figlio pendeva dalla Croce; la Madre si offriva ai persecutori. Se l'avesse fatto anche solo per essere abbattuta prima del Figlio, già sarebbe lodevole il suo affetto materno, per il quale non voleva sopravvivere al Figlio; ma se invece l'ha fatto per morire col Figlio, è perché bramava di risorgere con Lui, non ignara del mistero di aver generato Colui Che sarebbe risorto. Sapendo inoltre che la morte del Figlio avveniva per il bene di tutti, si affrettava semmai anche Lei avesse potuto apportare qualcosa al bene comune con la Sua propria morte."

E' storicamente credibile che Maria sapesse cosa stesse facendo ai piedi della Croce ? La domanda è tutt'altro che peregrina, in quanto ogni dogma della vita di Gesù e Maria è anzitutto un fatto storico. Diventa ancor più angosciante, se ricordiamo che, a partire da Origene (182-254) , tutta una tradizione patristica, rappresentata tra gli altri da Anfilochio (340-403), aveva interpretato la spada di Simeone come un dubbio sulla fine miserevole di Gesù sulla Croce. Un dubbio che, storicamente parlando, sembra più umano e suffragato dalle fonti, visto che Lc parla della spada dopo aver detto che Gesù sarà segno di contraddizione. Sembrerebbe voler dire che lo è stato pure per la Madre Sua.

In effetti, il messianismo di Gesù di Nazareth era molto diverso da quello comune ai suoi tempi: l'insegnamento - peraltro per i soli apostoli - della sofferenza e della Resurrezione era una sua sostanziale rivisitazione di certa letteratura profetica, come i Canti del Servo del Signore, sul cui senso messianico non si era affatto in accordo. Ma proprio il fatto che Gesù stesso insegnasse ai Suoi questa dottrina fa credere che Maria non fosse sconvolta dalla fine, che il Figlio stesso aveva preventivato. Del resto, Lei lo aveva concepito verginalmente, e non aveva motivo di dubitare dell'adempimento della profezia dell'Angelo, che le aveva vaticinato per il Figlio un regno eterno, e quindi la Resurrezione. Possiamo addirittura supporre che la Madre si fosse consapevolmente ritagliata un ruolo mistico nella missione del Figlio, esattamente come suppone Ambrogio, facendo di Sé quella che appunto noi oggi chiamiamo la Socia del Redentore

REGINA MUNDI
Elementi devozionali della Regalità mariana

“A che debbo che la Madre
del mio Signore venga a me?”

(Santa Elisabetta alla B.V.Maria)

La devozione alla Regalità della Vergine è sempre esistita. Salutata come Regina dalla notte dei tempi, Maria è ancora e più che mai oggi, in tempo di democrazie e repubbliche, acclamata con questo titolo, invocata e pregata. Al Suo diadema sono sottoposte virtù e condizioni spirituali, come la Pace o la Misericordia, nonché città, paesi, villaggi, nazioni, regioni, popoli, che spesso La incoronano in effigie (15). Tanto fervore, innestatosi su una dottrina certa e rivelata, spinge i Suoi devoti non solo ad un omaggio alla Regalità mariana che sia speculare e complementare a quella del Cristo, ovviamente più eccellente, ma anche a caldeggiarne la definizione dogmatica.

NATURA E STORIA DELLA DEVOZIONE

Alla destra del Figlio, l’Assunta fu incoronata Regina dell’Universo. Questa regalità conforma Maria SS. a Nostro Signore. Come Egli è Re perché Creatore, Redentore e Santissimo, così Maria è Regina perché Madre del Re, Corredentrice e Immacolata. Ella è, conformemente alla tradizione biblica, la vera Regina Madre, che aveva una funzione ben precisa alla corte davidica, per cui in tale figura ha il suo tipo profetico (16). La Regalità mariana è dunque Materna. In Maria SS. Regina dell’Universo si compie il senso del saluto di Elisabetta, che l’appella Madre del mio Signore (Lc 1,43) e i titoli regi del Figlio si riverberano su di Lei (Lc 1,32.33.34; Is 9,6; Ap 19,16 (17)): le prerogative del Regno e della Regalità di Gesù sono partecipate anche alla Madre, a Cui pure fu annunziata la perennità del dominio di Lui, nella stessa Annunciazione. In effetti, se il Regno di Dio è Gesù stesso e ognuno di noi è “Regno” incorporato a Lui – per cui tale Regno è in mezzo a noi- a maggior ragione Maria SS. è “Regno” e Regina in modo pieno, anzi il vero “Regno del Figlio”, così come Lui lo è del Padre Suo. Anche questa dottrina, sebbene non dogmaticamente definita, è parte del deposito della fede, come autenticamente insegnato dal Magistero della Chiesa.

Resa conforme alla Regalità del Risorto, Maria SS. completa così il trionfo dell’Assunzione e comincia ad esercitare il primato su tutte le cose assieme al Figlio, per opera ed azione dello Spirito Santo. La totale comunione di Lei con la SS. Trinità si manifesta ora in modo glorioso e la Potenza, la Sapienza e l’Amore delle Tre Ipostasi Divine prendono solennemente possesso della Madre del Verbo. Ella, come primizia dell’Umanità sia nella pienezza di santità che nella liberazione dalla morte, esprime in modo supremo la sovranità del Popolo di Dio, la Chiesa, che è Nazione Santa e Regno di Sacerdoti che governerà la terra. Il dominio di Maria, conforme a quello di Gesù e a Lui subordinato, è totale: esso schiaccia le forze del male. Realmente Maria SS. partecipa di quell’influsso mediante cui il Figlio regna sulla nostra mente e sulla nostra volontà (Sal 44,10).

Fu il ven. Pio XII (1939-1958) ad esprimere questa dottrina in modo più solenne, nell’enc. Ad Caeli Reginam, del 1954. Tale dottrina, dice Pio XII, è contenuta nei documenti antichi della Chiesa e nei libri della Sacra Liturgia, che interpretano i luoghi biblici corrispettivi; essa è sempre esistita col titolo corrispondente, attestato almeno dal IV sec. La dottrina è stata riproposta dalla Redemptoris Mater del Beato Giovanni Paolo II (1978-2005).

La Regalità di Maria è spesso espressa dall’immagine della Donna vestita di Sole, la Madre dei Viventi tratta dal Nuovo Adamo di Cui è rivestita. Attorno a Lei in visione molti mistici hanno visto l’ardente servizio di schiere angeliche, mentre altri Padri e Dottori ne hanno esposto la Maestà senza poterla mai eguagliare, e altri Santi ancora privilegiati ne hanno contemplato la bellezza (18).

Anche essa perciò dovrebbe essere, a coronamento del processo di appropriazione fattone dalla Chiesa, definita dogmaticamente in modo solenne, data la chiara presenza di questa dottrina nella Rivelazione e la sincera convinzione dei fedeli nel venerare Maria come nostra Regina.

MEDIATIO MATERNALIS
Elementi di devozione mariana mediazionista

“Nessuno può entrare in Paradiso
se non passa per Maria
che ne è la Porta”

(San Bonaventura)

La devozione alla Mediatrice Universale di Tutte le Grazie è parte della dottrina e della pietà della Fede cattolica. Ad essa fanno riferimento titoli come Madonna delle Grazie, Maria SS. Ausiliatrice (19), Maria SS. del Soccorso o del Perpetuo Soccorso e simili (20). Nella Bibbia la Mediazione mariana è esemplificata in tante figure ed esempi: Rebecca che conduce Giacobbe al posto di Esaù a Isacco; Ester che porge la supplica a Assuero; Maria Che dà il Suo consenso all’Incarnazione; Che è chiamata Piena di grazia, sovrabbondante per Se’ e per gli altri; Che porta la grazia a Elisabetta e a Giovanni Battista con la Sua voce e la Sua presenza avendo in grembo il Cristo; Che intercede a Cana; Che ai piedi della Croce riceve dal Figlio tutti noi come figli in Giovanni. Ad oggi tale devozione è ovunque professata. Diamone conto.

NATURA E STORIA DELLA DEVOZIONE

L’ultima gemma che orna la corona della Vergine Maria è la Mediazione Universale. Anch’essa dottrina certa, anche se non ancora oggetto di definizione dogmatica, quella della Mediazione indica la funzione di Maria SS. di impetrare da Dio e distribuire ogni tipo di grazie agli uomini, dalle temporali a quelle della salvezza eterna. Essa è l’ultima e più completa scaturigine della Maternità Divina di Maria SS. e della Sua Verginità, l’esplicazione e il coronamento pieni della Sua Regalità e della Sua Maternità Ecclesiale, il complemento della Sua Corredenzione, il frutto maturo della Sua Immacolata Concezione. Tornando ai suoi luoghi biblici, i principali sono l’Annunciazione (dove Maria pronuncia il Suo assenso mediativo all’Incarnazione, somma di tutti i doni di Dio all’uomo), le Nozze di Cana (dove intercede attivamente per gli uomini), il Calvario (dove assume la Maternità degli uomini in aggiunta a quella del Figlio). Le ipotesi teologiche sulla modalità di tale mediazione sono tre. La prima la presenta come causalità o influsso morale, perché Maria SS. intercede per i fedeli spingendo Dio a operare direttamente in loro (21). La seconda la mostra come causalità o influsso fisico-strumentale che dispone alla Grazia o procura un titolo esigitivo di essa. La terza la manifesta come causalità o influsso fisico-strumentale che produce ed effonde la Grazia negli uomini, ed è la più conforme alla fede cattolica (22). Ma non esclude, anzi ingloba, dentro di sé la prima ed esplicita il senso della seconda. Infatti tale Mediazione può essere intesa solo se rettamente rapportata alla Mediazione del Cristo e alla funzione della Chiesa. Il Cristo è l’unico vero Mediatore, perché in Sé congiunge la Natura Umana e la Divina, e riconcilia l’umanità con Dio. La Sua Ipostasi è il ponte tra cielo e terra. Vittorioso sulla morte e sul peccato, come Redentore libera gli uomini e li santifica. Egli media per loro le grazie della salute eterna e temporale, e lo fa proprio attraverso la Sua Umanità glorificata. E’ tramite essa che effonde lo Spirito Santo, il Quale opera in Sua vece nel cuore dell’uomo. Cristo è dunque causa agente di salvezza e lo Spirito Santo è causa efficiente consapevole. Il Primo ottiene la Grazia, il Secondo la produce. Strumento eletto di tale duplice causalità è la Chiesa, Mistico Corpo del Cristo e sacramento di salvezza. Essa infatti è efficace nel comunicare la Grazia, che produce non in senso assoluto come lo Spirito, ma introducendola in questo mondo. Maria SS. è al vertice di tale funzione: è Lei Che, consapevolmente, nell’economia salvifica che si compie nella Chiesa, è lo strumento di cui lo Spirito, per conto del Figlio, si serve per comunicare la Grazia e, in essa, tutte le grazie. Nella bella immagine di San Pio X (1903-1914) (23), Maria SS. è il “collo” del Corpo Mistico, inferiore solo al Capo, tramite irrinunciabile tra l’Uno e l’Altro, nel quale scorre, verso le membra, l’influsso salvifico del Cristo, sia come Grazia creata che come Grazia increata, ossia lo stesso Spirito Santo. Perciò Maria SS. produce la Grazia non dal niente – cosa che solo Dio fa – ma perchè la introduce in questa dimensione, o meglio essa passa tramite Lei, vera Porta del Cielo, non senza il Suo consenso amorevole. Ossia lo Spirito Santo, come si effonde dall’Umanità Gloriosa del Redentore, così passa attraverso quella Assunta della Madre, associata alla funzione della santificazione e che continuamente intercede per noi, perché abbiamo la Grazia preveniente, santificante, sufficiente, efficace, di stato, attuale, concomitante, susseguente. E tali grazie, concesse, passano attraverso la Mistica Porta, Maria SS. Per essa defluiscono anche le grazie naturali (24). Non si tratta di immaginare una Madonna che decide Lei la salvezza, ma una Madre che consapevolmente compie una funzione inferiore solo a quella del Figlio di Dio e del Suo Spirito, e che la compie secondo quello che Dio stesso le dice di fare, essendo identica, nella beatitudine, la Volontà del Signore con quella della Vergine. La Mediazione Materna si estende anche al Purgatorio, dove la Madre impetra, distribuisce, dispensa i suffragi e gli aiuti alle Anime espianti, per cui è chiamata Nostra Signora del Suffragio (25). A perpetuo coronamento di tutti gli eletti, tramite Maria SS., Madre di tutti loro riuniti nel Cristo totale e loro Corredentrice, splende innanzi alla folla dei Beati la Gloria del Risorto, da cui promana la grazia del Lume della Gloria, per cui essi, in eterno, contemplano l’Essenza della Trinità Divina e le Sue Sussistenze sublimi. In quest’ultima mediazione materna, senza fine, Maria SS. è per l’ennesima volta lo strumento consapevole del Figlio, unico Salvatore.

Nella storia vediamo che dal III sec. Maria è invocata come interceditrice qualificata nella preghiera liturgica; i Padri esprimono lo stesso concetto e dal VI sec. usano il termine Mediatrice, che diviene comune dal XII sec. e passa ad esprimere una precisa posizione teologica dal XVIII sec. (26) Essa si configura nel modo attuale a partire dal XX sec., sotto l’impulso del magistero di Leone XIII (1878-1903), che chiama la Vergine “Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice”, forte della devozione dei fedeli e dell’insegnamento di tanti Santi. San Pio X proseguì con questo magistero. La tematica mediazionista all’epoca racchiudeva in sé anche quella della Corredenzione, e per chiedere una definizione dogmatica in tal senso si mosse la Chiesa Belga nel 1921, che promosse un approfondimento sistematico dell’argomento. A richiesta della stessa Chiesa locale, Benedetto XV (1914-1922) le concesse la celebrazione della Messa e dell’Ufficio della Mediatrice, si disse pronto a concedere altrettanto a qualunque diocesi ne avesse fatto richiesta, ma non si pronunciò sulla definizione dogmatica (che avrebbe riguardato anche la Corredenzione). San Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941) fu un ardente fautore della definizione dogmatica mediazionista. Fu il Concilio Vaticano II (1962-1965) a dare una dottrina organica sull’argomento, anche se non usò il titolo di Mediatrice né quello di Corredentrice, preferendo quelli di Serva del Signore, Madre del Salvatore, Socia del Redentore, Figlia di Sion, tutti di profondissimo contenuto biblico e spesso attestati nella stessa Scrittura. Il Concilio insegna la funzione materna verso gli uomini di Maria SS. e la Sua funzione salvifica subordinata. Non dichiara però che la Vergine sia necessaria nell’intercessione e nella distribuzione di tutte le grazie, anche se non lo esclude. La prudenza è dettata sia dal dibattito teologico in corso che dalla preoccupazione ecumenica. La sua dottrina è stata riproposta con vigore dal Beato Giovanni Paolo II (1978-2005) nella enc. Redemptoris Mater, nella quale tutto, a partire dal titolo, evidenzia l’unione della Madre alla Redenzione, e in cui si parla esplicitamente di Mediazione Materna di Maria SS.: in tale tematica sono reinserite anche le dottrine della Cooperazione alla Redenzione, della Regalità e della Maternità spirituale di Maria, così come suggerito dal movimento mediazionista mariano degli Anni ’20-’30 del XX sec. Perciò la sintesi dottrinale del Papa travalica i termini della questione come è qui impostata e sussume tutte le posizioni dottrinali certe sul tema delicato del rapporto tra Cristo e Maria nella Redenzione compiuta dal Figlio. Noi, per motivi di chiarezza abbiamo separato la trattazione della Mediazione propriamente detta dalla Corredenzione, a cui rimane strettamente ed intimamente connessa nell’economia salvifica.

La costanza dell’insegnamento magisteriale e teologico, l’universalità della devozione e della fede, l’esempio dei Santi fanno sì che questa sublime verità che fa parte della Rivelazione di Dio meriti di essere definita dogmaticamente.

MARIANA DEVOTIO
Elementi di mariologia devozionale

“Chi onora sua Madre
è come chi accumula tesori”

(Siracide)

La devozione mariana è fondamentale nella pietà cristiana. La Santissima Vergine Maria, come già dicevamo, nei modi subordinati Suoi propri, è causa meritoria, esemplare e Mediatrice di Grazia universale. Elle infatti ha meritato come Corredentrice, dopo essere stata Lei stessa la prima Redenta, contribuendo alla salvezza del genere umano in modo complementare e non sufficiente all'opera del Figlio, Che volle questo proprio per innalzare al massimo fastigio la natura umana rinnovata. Ella è causa esemplare perché primo modello perfettamente uniforme all'archetipo costituito da Cristo stesso. Ella è Mediatrice Universale perché riceve dal Figlio le grazie e le distribuisce secondo il Divino Consiglio a Lei comunicato. Appare evidente quindi la fondazione mariologica dell'ascetica; se ne deduce che, dopo Cristo, Maria è Colei alla Quale è indispensabile votarsi per vivere di preghiera. Anche alla Vergine esistono diverse devozioni, che esprimono in modo differente il Suo unico mistero. Al di là di queste forme, la devozione mariana è, nella sua natura, coadiutrice di per sè di quella a Cristo e, nel piano divino, indispensabile per la Salvezza, sebbene di per sè sia insufficiente. Vediamo dunque la natura di questa devozione, le sue motivazioni e le sue forme.

NATURA DELLA DEVOZIONE MARIANA

La devozione alla Madonna è la donazione di sé a Lei, amorosa, volta a giungere, progressivamente, alla pratica della consacrazione, in cui vi è l’espressa offerta di tutta la propria persona alla Madre onde Ella possa condurci all’eternità nella santità e servirsi di noi nei modi che più Le piacciono. Si adempie così la parola dei Proverbi: Chi trova Me trova la vita. Come fece anni orsono in un suo bel libro il padre Stefano Maria Manelli (27), si può articolare il percorso spirituale nell’essere anzitutto figli di Maria, poi essere come Gesù per Lei, infine essere come Lei per Gesù.

Per essere figli di Maria, l’esempio primigenio di devozione alla Vergine lo troviamo in Cristo, il Quale, incarnandoSi in Lei, si diede pienamente alla Madre con la devozione propria di un Figlio a cui unì la scelta che poteva essere propria solo del Creatore e Redentore. Essendo imitatori di Dio e conformandoci a Gesù, anche noi dobbiamo darci a Maria per essere realmente Suoi figli, e fratelli di Cristo, come suggeriscono, tra gli altri, Teresa di Gesù (1873-1897) e Pio XII. Non si può somigliare a Gesù se non si ha Maria per Madre, anzi Lei è la strada che conduce a Lui e la devozione alla Sua Persona è indispensabile alla salvezza, secondo l’unanime giudizio dei Padri e dei Dottori (28).

Essere figli di Maria implica quindi nella nostra devozione un amore filiale, a differenza di quella per qualsiasi Santo, e che contraddistinse proprio i Santi canonizzati . San Bonaventura (1221-1274) diceva scultoreamente: Dirti che mi sei Madre è poco o Maria ! Tu sei tutto il mio amore ! Mentre le Visite a Maria SS. di Sant’Alfonso de’Liguori (1696-1787) sono senz’altro un monumento di pietà filiale utile ancora oggi per le devozioni del cristiano. Perciò il vero devoto di Maria le chiederà innanzitutto l’amore filiale.

Naturalmente ciò implica una ferma lotta contro il peccato, non essendo compatibile l’amore per la Madre e la pratica di ciò che la disgusta, la ferisce, le tortura e uccide il Figlio sotto gli occhi. San Pio X (1903-1914) avverte che la devozione mariana che non allontana dal peccato o che non lo rende orribile non è genuina ed è ingannevole. La devozione implica altresì la difesa delle prerogative mariane da parte dei fedeli, i quali trovano nella pietà verso la Vergine e nei Suoi dogmi una specificità cattolica, rivelata da Dio, da salvaguardare dinanzi agli eretici e agli increduli, e non da sacrificare in nome di un malinteso ecumenismo o di un malcelato rispetto umano.

Per essere Gesù per Maria, bisogna innanzitutto constatare che il modello santissimo dell’amore a Lei come figli è proprio il Signore. I più grandi devoti di Maria sono quelli che più somigliano a Gesù e che in ragione di ciò Le appartengono. Il loro amore è lo stesso di Gesù, perché mosso dalle medesime intenzioni e dall’identificazione con Lui. In conseguenza, l’amore che in tal guisa si ha per Maria non è mai eccessivo, come del resto sentenziavano sia Alfonso de’ Liguori che il Servo di Dio Anselmo Treves (1875-1934), la quale avrebbe voluto avere miliardi di vite per viverle tutte ai piedi di Maria. Tale amore ovviamente si concretizzerà nelle cose quotidiane, attraverso i gesti semplici che rassodano la vita dello spirito: la preghiera mattutina e serale, il Rosario, l’omaggio mentale e i gesti d’affetto, la fuga del peccato. Il fulcro di questo amore cristotipico sarà l’Eucarestia, anche quotidiana, mediante cui noi mostriamo a Maria la Presenza Reale di Gesù in noi, cosa che non può non rallegrarla infinitamente, come già sottolineava Sant’Ilario di Poitiers (300-368), per cui la devozione mariana diviene la ragione di una più perfetta assimilazione al culto liturgico per il Cristo e, in Lui, al Padre nello Spirito. Lo stesso amore cristomimetico si avrà nelle Comunioni spirituali e anche nelle Visite al Santissimo Sacramento, presso il quale è sempre spiritualmente presente la Vergine Maria.

Infine, siccome lo scopo ultimo della devozione mariana è Gesù stesso, per essere Maria per Gesù, per giungere al nostro Fine ultimo, dobbiamo camminare lungo la strada della perfezione avendo la Vergine come compagna, come modello, come via stessa. La Vergine è come un meraviglioso palazzo, secondo la felice espressione di San Francesco d’Assisi (1182-1226) e di San Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941). Entrando in esso, si trova Gesù. La trasformazione in Maria, la trasfigurazione in Lei, la transustanziazione in Lei, come diceva il Kolbe, fa sì che Ella sola rimanga in noi, per cui possiamo amare Gesù nel modo sommo realizzato solo da Lei, compiacendoLo, allietandoLo, facendoGli vedere in noi i lineamenti materni e sentire palpiti analoghi a quelli del puro amore di Lei. Ciò avviene per grazia unitiva, orientata all’unione vera e piena con Gesù, mediante cui Colei Che è già unita ci porta Ella stessa alla piena identificazione, amando il Figlio con il nostro cuore, e facendo si che il Figlio, vedendoci proprietà e parte della Madre – come sempre argomenta san Massimiliano – ami Lei in noi e per noi. Ciò combacia con l’insegnamento della Lumen Gentium, per cui l’unione con Maria non solo non impedisce, ma facilita l’immediato contatto con Cristo.

La vera e perfetta devozione a Maria ci fa dunque arrivare a Lui sulla strada più splendida, scelta e percorsa già da Cristo per venire a noi, la sua stessa strada regia, come la chiamava San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). Ella è strada facile, breve, perfetta, sicura per l’unione con lui, come sentenziano Massimiliano Kolbe e San Luigi Maria Grignon de Montfort (1673-1716), in quanto maternamente rende soavi le cose aspre e dolci le amare. Non a caso San Pio da Pietrelcina (1887-1968) definiva la Vergine la scorciatoia per giungere a Dio. La via della devozione mariana è anche simboleggiata dalla celebre scala bianca vista da Frate Leone (†1271) in visione. Essa era sovrastata dalla Vergine e su di essa lesti salivano coloro che ambivano al Cielo, mentre arrancavano e cadevano coloro che iniziavano a scalare quella rossa, sovrastata da Gesù e dallo stesso San Francesco, il quale esortava i suoi figli a intraprendere allora la prima scala.

Essere dunque Maria per Gesù significa donarsi a Lui nella maniera più soave e delicata ma anche forte e radicale. Ciò ci rende immagine e somiglianza di Lei e quindi di Gesù stesso. Un obiettivo davvero alto e mirabile per noi. Perciò ricordiamo che nessun Santo ha mancato di devozione speciale a Maria e che l’aspirazione di essi era quella di Teresa di Lisieux, ossia di essere, dopo Gesù, la persona che più ha amato Maria.

Naturalmente questa devozione mariana si sostanzia di atteggiamenti concreti, di venerazione, di amore, di imitazione, senza i quali non avrebbe un senso particolare.

La venerazione dev’essere filiale, grande e forte, conforme alla dignità di Colei Che è ricca di doni celesti più di qualsiasi altra creatura umana o celeste – come scriveva il Beato Pio IX (1846-1878) nella Ineffabilis Deus- e Che è senza pari, Santa più santa dei Santi, tesoro santissimo di ogni santità – come esclamava Sant’Andrea di Creta (660-740)- e inferiore solo a Dio. La venerazione di Costei è dunque un bisogno prima ancora di una istanza, e nel Vangelo Dio stesso sollecita l’adesione consapevole di Maria ai Suoi piani nell’Annunciazione, mandandole un Arcangelo, Gabriele, che è pieno di reverenza. Atteggiamenti di venerazione sono chiaramente rintracciabili in Santa Elisabetta e in San Giuseppe, che con parole ed opere ossequiano amorevolmente e trepidamente la Madre di Dio. Su questa scia si sono mosse la Chiesa nella Liturgia, i Santi nelle azioni, i fedeli nelle opere di pietà. Se non tutti possono offrire a Maria grandi gesti di venerazione, quella iperdulia che spetta solo a Lei, tutti possono compiere gesti piccoli ma gravidi di amore: preghiera quotidiana a Maria, culto delle immagini mariane, visita ai Santuari, alle chiese, alle cappelle e agli altari della Vergine, saluto delle edicole mariane incontrate per strada, recita di pie giaculatorie in Suo onore, offerta di fiori alle Sue immagini, una Sua immagine in casa, un Rosario in tasca, una Sua medaglia al collo, un’immaginetta della Vergine nei propri oggetti o luoghi personali. Così la devozione mariana sostanzia di sé la nostra vita, come l’amore di Lei per noi orientò la Sua. In questa prospettiva è fondamentale per noi la devota e frequente recita dell’Ave Maria, preghiera insegnataci nello stesso Vangelo e ricchissima di merito. Da non sottovalutare l’uso di offrire fiori alla Mamma Celeste. Ognuno poi potrà scegliere un segno particolare della sua devozione, attingendo a piene mani degli esempi dei Santi.

L’amore, che è susseguente alla venerazione, è senz’altro il cuore della devozione. San Pio da Pietrelcina lasciò ai suoi figli spirituale questa consegna prima di morire: Amate la Madonna e fatela amare; recitate sempre il Rosario. E’ la consegna specifica del cristiano per quanto abbiamo detto ed andremo a dire. Scriviamo nel nostro spirito con l’inchiostro della volontà quanto scrisse col suo sangue San Pietro Maria Chanel (1803-1841): Amare Maria e farLa amare. In effetti il rapporto d’amore è quello più naturale tra Madre e figlio, né potremmo essere Suoi figli se non l’amassimo. Il nostro sarà amore di donazione, così come Lei stessa si donò a noi e ancora si dona con sollecitudine materna. In questo amore ci sarà la conoscenza di Lei, mediante lo studio delle verità di Fede che La riguardano. Tale conoscenza e tale studio non saranno solo libreschi, ma approfonditi e acquisiti nella meditazione, nella contemplazione, nella preghiera, attraverso quel sensus Fidei che scaturisce proprio dalla pratica dell’orazione. E’ questo il senso della celebre frase di Massimiliano Kolbe, per il quale la conoscenza di Maria si acquista con le ginocchia. Progressivamente, l’amore diverrà – e contemporaneamente sarà – esigenza di unione, di compenetrazione. Come siamo una cosa sola in Gesù, così, subordinatamente e conseguenzialmente, siamo e dobbiamo esserlo in Maria. Viviamo dunque sempre uniti a Lei in pensieri, parole ed opere, camminiamo alla presenza di Lei, che è quella di Dio. Trascorriamo il giorno della vita nascosti con Gesù sotto il velo di Maria, come poeticamente scriveva Teresa di Lisieux. Questo amore di unione in tal senso si sostanzierà di atti concreti di amore. Tra di essi la preghiera mariana, che infiorò la vita dei Santi, è quello fondamentale, specie se compiuta col Rosario o col Piccolo Ufficio della Beata Vergine. Naturalmente la preghiera non è solo esercizio vocale, ma è l’ingresso di Maria e di Dio in tutte le cose della vita quotidiana, per cui in ogni piccola cosa dipendiamo da Lei, ci affidiamo a Lei, ci leghiamo a Lei. Un esempio significativo viene dagli esercizi di pietà del Beato Contardo Ferrini (1859-1902), laico e docente universitario: la visita quotidiana a Gesù e Maria, il frequente ricordo di entrambi, l’amore alla purezza e la raccomandazione alla Vergine in tal senso, la preghiera mariana prima di ogni conversazione e di ogni pasto, il Rosario, l’Angelus, la Comunione spirituale e l’Ave Maria ogni ora. Naturalmente, per un vero devoto di Maria, l’amore sarà il terreno su cui fare germogliare le azioni più significative della vita, non essendo possibile che si compiano azioni importanti non ispirate dalla Vergine per conto di Dio. Un posto particolare spetta nella vita del devoto amante di Maria la cura della verginità. Se chi la consacra a Dio spesso lo fa in un giorno dedicato a Maria, in genere non vi è custodia di purezza al di fuori della retta devozione a Maria. A ravvivare la forza dell’amore mariano vi sarà poi il sacrificio, senza il quale esso non avrebbe valore, come diceva papa Giovanni Paolo II (1978-2005). Se non vi è sacrificio, l’amore è illusorio. Ma se vi è vero amore, vi è addirittura ricerca del sacrificio e suo desiderio. Non vi è sosta in questo amore, per sua natura volto a scalare il Cielo. Vi è profonda ed intima compassione dei dolori della Madre, donataci sul Calvario. Vi è zelo incondizionato nella propagazione della devozione per Lei, ossia nella dilatazione dei confini di questo stesso amore. C’è in questo senso da fare in tutti i modi e luoghi, ma alcuni modelli di universale e indefesso amore mariano sono senz’altro, in tempi recenti, il Beato Giovanni Paolo II e San Massimiliano Maria Kolbe.

Infine, come frutto maturo dell’amore, avremo l’imitazione di Maria nella nostra devozione. Essa è giustamente detta figlia dell’amore, perché coloro che amiamo li imitiamo e imitandoli siamo uniti a loro. Se non vi è, non vi è amore. Ma se vi è, nel caso di Maria, vi è anche santità, perché imitandoLa ci si appropria delle Sue virtù. Diversamente avremmo una mera e vaga forma di credulità, come ha ammonito anche il Concilio Vaticano II. Sicuramente la maniera più semplice di imitare Maria è chiedersi cosa farebbe Lei in ogni circostanza e agire di conseguenza. Naturalmente, non si tratta solo di una casistica di azioni, ma di atteggiamenti virtuosi che, riscontrati nel modello, devono essere ricalcati proprio con questo sistema. San Luigi Grignon di Montfort elencava le grandi virtù di Maria: la profonda umiltà, la fede viva, l’obbedienza cieca, l’orazione continua, la mortificazione universale, la purezza divina, la carità ardente, la pazienza eroica, la dolcezza angelica, la sapienza divina. Ma altre ne potremmo affastellare senza fine.

La fede di Maria brilla nell’accettazione della rivelazione che del Suo futuro Le fa l’Arcangelo: Madre di un Figlio Uomo e Dio, per opera dello Spirito Santo, rimanendo Vergine per sempre; con Lui Corredentrice, Assunta, Regina e Mediatrice. Non a caso Elisabetta qualche giorno dopo La saluta beata, perché ha creduto.

La Sua povertà l’accompagnò in ogni momento della vita, come si vede dai resti archeologici delle Sue dimore e come si evince dalla Nascita di Gesù in una stalla. La preghiera mariana è scandita dalla contemplazione e dalla ruminazione dei Misteri del Figlio.

L’umiltà di Maria sta nelle parole con cui, definendosi ancella del Signore e parlando di Sé come di una oscura piccolezza, accolse e magnificò i Suoi doni incommensurabili. La Sua verginità, di abbagliante candore, fu suggellata dalle scultoree parole che persino all’Arcangelo ricordarono che Lei era perpetuamente votata alla castità. Se non a tutti noi è concessa la vocazione verginale, a tutti è chiesta la purezza, come condizione di beatitudine e di visione divina, che proprio la Madre deve e può custodire.

Infine la carità, che spinse Maria a votarsi alla donazione di Sé per la salvezza del mondo col Figlio, ma anche a darci esempi di grande altruismo, assistendo la cugina anziana e incinta quando Lei stessa era in attesa e di un Figlio ben più importante, recandosi da lei con un lungo viaggio; sollecitando Gesù a compiere il Miracolo di Cana; cercando con premura il Figlio disperso a Gerusalemme e dando, nella descrizione dell’angoscia, la precedenza a quello di Giuseppe; seguendo discretamente il Figlio nelle peregrinazioni apostoliche e prendendosi cura dei Dodici dopo la Resurrezione e l’Ascensione.

Consideriamo tutto questo, e in particolare il fatto che Maria è come vetta di monte altissimo, che si immerge in un Cielo sconfinato, che è Dio stesso. Ella, come insegna Massimiliano Kolbe, è il nostro ideale, una vetta che nessuno potrà mai scalare, ma alla quale è impossibile non aspirare. Contempliamone dunque le bellezze, che ci attirano come una calamita. Di questo diremo adesso.

MOTIVAZIONI DOGMATICHE DELLA DEVOZIONE MARIANA

Il cuore del mistero mariano si colloca nella Maternità Divina. Tutto ciò che segue quest’altissimo evento nella vita della Beata Vergine Maria ne è l’esplicazione, tutto ciò che lo precede ne è la preparazione. La Beata Vergine Maria mostra la pienezza del Suo essere, suggerito dal Suo Santo Nome, che significa eccelsa, sublime, signora (Myriam) proprio nella Sua Maternità Divina, per cui Ella svetta su tutte le creature con uno splendore incomparabile, e s’immerge negli abissi celesti di Dio come una torre di incommensurabile altezza ; in ragione di ciò, la designazione della funzione – Theotòkos, Deipara, Madre di Dio – passa a definire la Persona che la svolge, essendo stata quest’ultima creata in vista di quella. Inoltre, siccome in vista di tale eccelso compito Maria SS. fu – come vedremo – adornata di altre straordinarie e incomparabili grazie, ognuna di esse è opportunamente un Nome della stessa Madre, che può essere adoperato per indicarLa ed esprimere, da angoli visuali differenti, la ricchezza inesauribile del Suo mistero (30).

Alle origini di esso vi è il decreto di Dio Uno e Trino, che ha sancito la Predestinazione di Maria. Come scrisse Dante, Ella fu, è e sarà termine fisso di eterno consiglio. Maria è la Predestinata per eccellenza, Colei la Cui Giustificazione, operata per il Sangue del Figlio Suo, è superiore e anteriore – in senso logico e non cronologico – a quelle di tutte le altre creature. Infatti la Scrittura attesta, in relazione alla Madre di Dio sia considerata di per Sé che in rapporto al Figlio, che Lei può dire: Il Signore mi ha creato all’inizio delle Sue attività (Prov 8, 22) (31). Nel decreto trinitario della Predestinazione della Theotòkos sono comprese tutte le ricchezze spirituali che, liberamente elargitele, sono state da Lei assecondate nel modo più perfetto possibile.

La prima di queste ricchezze è la Immacolata Concezione, di cui abbiamo detto appositamente.

In conseguenza logica della Immacolata Concezione, Maria è la Panaghìa, la Tutta Santa (32).

Sebbene priva del Peccato Originale, la Madre del Verbo, esattamente come Adamo, avrebbe potuto peccare, ma a differenza sua e in conformità al Figlio- che pure fu tentato –non lo fece. Conforme in tutto alla Grazia, inabitata dallo Spirito Santo – Che è l’Immacolata Concezione increata – la Madre non solo mai peccò, sia pure involontariamente, ma si adornò di tutti i meriti possibili, anche in mezzo alle prove più dure, dalla persecuzione, all’esilio, alla povertà, al nascondimento, all’abbandono, fino all’atroce spasimo della Morte di Gesù, avvenuta sotto i Suoi occhi, nella Sua completa impotenza. Per questo Maria, obbedientissima, riparò alla disobbedienza di Eva ed è stata esaltata e ha avuto, dopo Gesù, il Nome più alto di tutti, in cielo, in terra e in ogni luogo. Ella è la Bellissima Bellezza di tutte le Bellezze (Giorgio di Nicomedia).

Perfettamente Santa, destinata ad essere Madre di Dio, Maria SS. ebbe una Perpetua Verginità (33). La Madre di Dio infatti ha, tra i Suoi Nomi gloriosi, quello di Aèiparthenos, Sempre Vergine. Questa verità è rivelata dalla stessa Maria, quando, all’Arcangelo che le annunzia che concepirà un Figlio, obietta: Com’è possibile ? Non conosco uomo (Lc 1, 34).

Questo presente storico indica l’intenzione di perseverare nella castità anche nel matrimonio imminente. Che la Madre di Dio abbia concepito per partenogenesi (Virginitas ante partum), è esplicitamente attestato dal Vangelo di Matteo (1,16.18.20.24-25) e di Luca (1, 34-35; 2, 6-7); tale concezione verginale è attribuita esplicitamente allo Spirito Santo, Colui Che fecondava le acque all’inizio della Creazione, e che ora dà inizio a quella Nuova. Il NT ravvisa in ciò il compimento delle profezie di Isaia 7,14 (La Vergine concepirà e partorirà un Figlio, che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi). Numerosi altri luoghi biblici, sottoposti ad acute esegesi, suffragano la Concezione Verginale di Maria e la Sua Verginità Inviolata nella generazione (Gal 4,4; Rm 8,3; Fil 2,7; Gv 1,13). Tale partenogenesi, con la conseguente conservazione della integrità fisica e morale della Madre, che sono un tutt’uno nell’identità di spirito e corpo che contraddistingue tutti gli esseri umani, è il sigillo dell’origine divina di Gesù. Egli è Figlio di Dio, e non vi è bisogno di concorso umano nella Sua nascita, per cui la Vergine Maria rimase sempre intatta nella Sua gloria di purezza. Ella è il Giardino chiuso del Cantico dei Cantici, ove entra solo Dio; è la porta chiusa di Ezechiele; è il Roveto Ardente. In questa concezione eccezionale trovano compimento le figure profetiche, anche se incomplete, delle donne veterotestamentarie che concepirono in modo miracoloso, sebbene non verginale: Sara, moglie di Abramo; la Madre di Sansone; la Madre di Samuele. In effetti la concezione verginale è un unicum nella storia sacra: nessuno l’aveva pienamente vaticinata, perché a nessuno era stato chiaramente rivelato che Dio Si sarebbe fatto Uomo e che perciò non avrebbe avuto bisogno di un padre umano.

Gli stessi luoghi biblici – compresa la profezia di Isaia sull’Emmanuele – rivelano altresì che Maria SS. mantenne anche la Virginitas in Partu. Ella infatti non avrebbe potuto perdere nella Nascita del Figlio ciò che aveva conservato in vista di tale evento; il Corpo del Cristo venne alla luce senza intaccare l’integrità materna, anzi consacrandola definitivamente; nonostante ciò, tale parto fu naturale e fisico, in una modalità che anticipa il mistero della Resurrezione, che è lo scopo della stessa venuta nel mondo di Gesù, mediante cui Egli non è più soggetto alle leggi dello spazio e del tempo: in questa maniera Gesù entra nel mondo così come ne esce. Inoltre il parto di Maria SS., esente dalla condanna di Eva, non ha il dolore del travaglio; diverso da quello impuro delle altre donne, non ha spargimento di sangue, segno e causa della trasmissione del Peccato. Perciò Maria SS. partorì verginalmente. Anche questo parto verginale, parte integrante della generazione del Verbo, è opera del Paraclito.

Infine, Colei Che aveva generato di Spirito Santo, non ruppe il patto che Dio stesso aveva contratto con Lei, e non generò all’uomo: la sua Virginitas post partum, rivelata nel proposito di perpetua castità formulato da Maria SS. all’Annunciazione, conforme alla profezia dell’Emmanuele, legata agli altri passi biblici citati, è l’ultima tappa della Castità perfetta della Sposa del Paraclito. La debole obiezione al dogma, per cui Gesù avrebbe avuto fratelli e sorelle uterini, frana sotto gli stessi dati biblici: essi infatti, se ci informano che Giacomo, Joses, Giuda e Simone sono i fratelli del Signore (con un semitismo tecnico, che usa il termine greco nella stessa accezione lata di quello ebraico corrispondente, in quanto consolidata dall’uso nell’ambiente giudaico-cristiano, e vuole perciò intendere i parenti, i cugini), ci danno anche i nomi dei genitori: Alfeo e una Maria, sorella della Madonna, per i primi tre fratelli; Cleofa, fratello di San Giuseppe, e un’altra Maria ancora, per Simone. Delle sorelle, anonime, si può evidentemente dire lo stesso. Duole perciò che buona parte della teologia contemporanea, per soggezione nei confronti del naturalismo, del razionalismo, della psicanalisi e della lettura mitica del testo sacro, si sia macchiata di eresia, ripudiando il dogma della Verginità Perpetua e riesumando le antiche dottrine gnostiche e docetistiche. Separando il dato biologico della verginità dal contenuto della fede, tale pseudo teologia ha senz’altro pagato il suo tributo alla mentalità del mondo, ma non ha arricchito, anzi ha impoverito, la nozione di Maria e di Dio stesso presso i cristiani, relegando l’intervento divino nella storia nelle anticaglie del mito e spossessandolo della sua signoria sul creato.

Al centro della vita di Maria SS., preparata da tutte le grazie descritte, vi è la Maternità Divina, per cui in senso fisico Ella potè dire, riferendosi a Gesù che portò in grembo: In Me ogni speranza di vita e virtù (Eccli 24, 25). Di questo mistero sono pieni i Vangeli, specie quelli dell’Infanzia di Luca e Matteo, che illuminano il senso delle profezie del VT (come Sof 3,14-15; Zc 2,14; Rt 2,4; Is 7,14) e che sono a loro volta illuminati dai passi degli scritti degli Apostoli nel NT (Gal 4,4; Rm 8,3; Fil 2,7; Gv 1,13 ecc.). La Persona divina del Verbo, Figlio del Padre e da Lui eternamente generato in seno alla Trinità, per cui è della Sua stessa Natura, decise di assumere una Natura umana, la cui Anima sarebbe stata creata direttamente da Dio e il cui Corpo sarebbe stato concepito di Spirito Santo in Maria Vergine. In conseguenza di ciò, la Immacolata Sempre Vergine Maria divenne Madre di Dio, perché generatrice della Sua Umanità. Infatti, ogni Madre è tale rispetto alla persona del figlio, tramite la natura di questi; ma siccome il Figlio di Maria SS. era preesistente come Persona alla Sua stessa Umanità, in virtù della Sua Divinità, ecco che Maria stessa diviene ed è ancora e per sempre sarà la Madre di Dio. Ossia non genera ovviamente la Divinità della Persona di Cristo ma, generandone l’Umanità, ne è costituita Madre in ordine a questa. Questa eminente dottrina fu definita dal Concilio di Efeso nel 431, come corollario della condanna della cristologia di Nestorio, che invece asseriva che in Cristo vi fossero due Persone per ciascuna delle Nature e che il loro legame fosse estrinseco, per cui Maria SS. potesse essere tecnicamente solo Madre di Cristo – ossia dell’Uomo Gesù unito al Verbo del Padre (34). Per la Divina Maternità, Maria SS. realmente generò nel Suo corpo verginale il Figlio di Dio, la Cui Umanità fu tratta dal Suo grembo come ogni umanità è tratta da quello della propria madre; in tale generazione il concorso dell’uomo fu eliminato e agì direttamente lo Spirito Santo: fu Lui a fecondare il seno della Madre e a plasmare in Lei la parte mancante del genoma del Nascituro. Il tutto al di fuori di qualunque cornice sessuata e senza alcuna compromissione con i mezzi umani di generazione, e tantomeno con la degradazione connessa ad essi dopo la Colpa originale, che Maria SS. non aveva. In virtù di ciò, nel claustrum virginale della Madre - subito dopo l’angelico e purissimo assenso dato da Lei nell’Annunciazione, ricevendo la Parola fecondatrice portatale dall’Arcangelo, per cui Maria concepì in aure prima ancora che in sinu- Gesù Cristo fu, nella Sua Corporeità, organismo monocellulare, embrione, feto e nascituro. Nei nove mesi di gestazione perfetta di Maria, Costei ebbe col Figlio lo stesso rapporto di simbiosi biologica e psichica che ogni Madre ha con il suo bambino; in Essi si formarono le dinamiche profonde di tenerezza e di amore che caratterizzano la relazione materna e filiale; in ragione di ciò nessuno può immaginare quale profondità toccò l’animo della Madre immergendosi nel mistero di Colui Che portava, il Quale era Suo Figlio e Suo Dio, generato da Lei e Suo Creatore, nutrito nel Suo Corpo e Reggitore dell’Universo. Quando poi la maternità biologica ebbe il suo compimento nel parto verginale, essa non smise di essere divina, ma ancor meglio si estrinsecò attraverso i compiti che ogni Madre ha verso il suo figlio: allevarlo, accudirlo, proteggerlo, educarlo, istruirlo, santificarlo. Quale può essere stata l’esperienza in tal senso di Maria, nessuno può immaginarlo. Cosa può aver potuto significare per Lei allattare, lavare, curare, accarezzare il Figlio che era Suo e di Dio, che era Figlio e Dio Suo, lo sa solo Lei. Ma ancor più sublime è che Dio ha voluto essere educato, istruito, formato, santificato nell’Umanità da una Donna, evidentemente incomprensibilmente e sovranamente perfetta per questo inconcepibile compito, in cui Lei si rapportava addirittura alla Seconda Persona della Trinità! Questo aspetto, pur così importante della maternità in genere, talmente importante da essere, nell’ambito naturale, ancor più decisivo della mera generazione, è sempre stato piuttosto negletto nella trattazione di questo dogma. Ma Maria non sarebbe realmente Madre di Dio se non avesse allevato, educato e formato la Persona del Verbo di Dio nella Sua Natura Umana. La Sapienza Eterna ha voluto essere educata da Lei, si è servita di Lei per formare la Sua Umanità in tutto quello in cui si poteva agire tramite una madre; il Verbo di Dio ha voluto essere allevato e sostentato da una Sua Creatura; il Figlio di Dio ha voluto ricevere un’istruzione religiosa tramite Lei. E ancora il rapporto Madre – Figlio continuò per tutta la vita di Entrambi, esattamente come per ogni essere umano, e ancora continua in eterno. Perciò possiamo dire che, nell’ambito dell’Economia Ipostatica – ossia delle relazioni naturali in seno alla Persona del Verbo – Maria occupa un ruolo unico, insostituibile, stabile, perfettamente integrato e completamente organico, in ragione del quale Ella è, esattamente dopo la Umanità di Gesù, l’ente creato più saldamente unito e vicino alla Sua Divinità, perché ad Essa legata in modo diretto, tramite la generazione della Natura assunta. In conseguenza di ciò, Maria ha svolto una funzione divina, pur essendo umana. Il rapporto Madre – figlio, strutturale per ogni persona umana, è entrato irreversibilmente in seno alla Trinità, perché incardinato nel mistero della Seconda Ipostasi, il Figlio, realmente tale anche per Maria. Tale relazione divina ha rivelato anche i sublimi rapporti di Maria con la Trinità: in uno schema teologico antico si diceva Sposa del Padre, Madre del Figlio, Tempio dello Spirito; in un trittico successivo si è detto, in modo forse più esaustivo, Figlia del Padre, Madre del Figlio, Sposa dello Spirito; sempre e comunque, la Natura Tripersonale di Dio ha impresso in Maria il Suo sigillo, in ogni funzione che Ella abbia svolto in relazione a Lei. Per cui la Maternità Divina è il capolavoro, in Maria, della Potenza del Padre, nella Sapienza del Figlio per mezzo dell’Amore dello Spirito. Tale evento crea una relazione talmente singolare, talmente pregnante, talmente profondo tra Maria e le Tre Persone Divine, che ogni rapporto tra gli Augusti Tre si riverbera in modo del tutto singolare sulla Madre del Redentore e nessuno può pienamente comprenderlo e completamente esplicitarlo. In effetti, il Figlio di Maria, generato, partorito, educato ed amato da Lei nel tempo come ogni Madre continua ad amare il proprio figlio per tutta la vita, è Colui Che in eterno è generato dal Padre e da Cui in eterno procede lo Spirito; il Figlio di Maria amava Lei come Uomo e come Dio, alla stessa maniera con cui ama il Padre e ne è riamato nello Spirito; il Verbo era del Padre così come Maria era del Verbo: in una sola parola, Gesù e Maria hanno costituito una unità relazionale stabile, che dura in eterno e che ha immerso appunto la Madre nel cuore del mistero della Seconda Ipostasi.

In conseguenza di ciò, la Madre ha condiviso completamente il volere, il sentire, l’agire, il soffrire, il gioire del Figlio. Educandolo, ne è stata educata; nutrendolo, ne era nutrita; santificandolo, ne è stata santificata. La perfetta identità di intenzione tra Madre e Figlio ha fatto sì che Entrambi volessero le stesse cose: Maria quelle di Gesù, Gesù quelle del Padre, Entrambi nello Spirito Santo. Perciò la Maternità Divina si dispiega in tutti i misteri della vita di Gesù sino a quello, supremo, dell’immolazione redentrice, che Maria, eroicamente, condivise e accettò. Non a caso il plesso degli altri misteri mariani da enunciare è definito complessivamente Mediazione Materna dal Beato papa Giovanni Paolo II. La Maternità Divina fa sì che Maria SS. sia stata la Corredentrice del Genere Umano o, come si preferisce dire oggi, la Generosa Socia del Redentore, la Cooperatrice del Salvatore o, patristicamente, la Nuova Eva associata al Nuovo Adamo nella rigenerazione dell’Umanità, di cui pure abbiamo appositamente parlato.

E’ ai piedi della Croce che Maria SS. partorisce nel dolore, cosa che non Le era toccata a Betlemme, perché diventa Madre della Chiesa e di ognuno di noi, la Madre nostra. In questa maniera, la Sua Maternità Divina si completa, perché si estende a tutte le membra del Mistico Corpo del Suo Figlio, sia considerate singolarmente che come totalità, la quale è appunto la Chiesa.

Questa Chiesa è, di per sé, il Cristo Totale, il Pleroma, composto da Lui e da noi salvati, inclusa la Madre. E’ cioè il Corpo del Cristo. Ma, considerata di per sé, senza il Cristo, la Chiesa è la Sua Sposa, nata dal Suo Costato squarciato, e a Lui unita indissolubilmente, appunto nel Pleroma. Infine, se consideriamo la Chiesa senza Maria, questa ne è la Madre, perché genera tutte i Suoi membri, tranne ovviamente Se stessa, come ha generato il Cristo. Tale generazione avviene per necessità: non si può essere innestati in Cristo senza divenire figli di Maria, e ovviamente senza che Costei compia atti generativi in senso soprannaturale. Tali atti sono gli stessi della Maternità Divina e della Corredenzione: la Concezione e il Parto di Cristo, il nutrirlo e allevarlo, l’offrirlo ai piedi della Croce; tale maternità perdura tuttora nell’intercessione e in tutti gli atti con cui Lei ci ottiene i doni dell’eterna salvezza, e durerà fino al coronamento perpetuo degli eletti. Questa Maternità ecclesiale si ravvisa nel rapporto tra la Donna e la Sua Stirpe, che non è il solo Cristo, e che è espresso in Gn 3,15 e Ap 12,18, dove Ella ha una numerosa discendenza. Sebbene non sia una dottrina definita dogmaticamente, è tuttavia certa per le stesse ragioni per cui lo è quella della Corredenzione (35). All’interno della Chiesa, tutti noi siamo realmente Figli di Maria SS. Perciò Lei è la Madre nostra, anche in questo caso per dottrina certa (36). I testi biblici delle Nozze di Cana (Gv 2,1-12), dello Stabat (Gv 19, 25-27) e della Donna vestita di sole (Ap 12) sono assai significativi: Maria SS. vi mostra un interessamento materno per noi, assume la maternità dei discepoli, viene ricevuta e curata amorevolmente da Giovanni in vece di Cristo, rappresenta una moltitudine di figli riuniti (per gli agganci del VT), ha esplicitamente una discendenza.

Tale maternità, reale in ordine alla Grazia (da cui il titolo di Madre della Divina Grazia), metafisica, mistica e spirituale, è singolare, perché unica nel suo genere; ha origine nel progetto divino di salvezza, si attua nell’Incarnazione, nella Morte e Resurrezione del Figlio; vede la Vergine SS. seguire ognuno di noi nei momenti della vita sovrannaturale, compresi quelli sacramentali, in cui Lei intercede per noi e ci comunica, come strumento consapevole nelle mani del Figlio stesso, la Grazia che rende efficace i Sacramenti stessi, a partire dal Battesimo (37); prosegue oltre la morte in Purgatorio e in Paradiso; crea una relazione tra noi e Lei, stabile, personale e collettiva; è una funzione di Maria SS. nei nostri confronti, parte integrante del progetto salvifico; ha lo scopo di condurci a Dio; è sempre verginale e gioiosa. Noi abbiamo il dovere e il diritto di sentire Maria SS. per mamma, di cooperare con Lei a nostro vantaggio, di amarla, di venerarla, di vedere le cose con i Suoi occhi celesti.

Compiuta col Figlio l’opera di Redenzione, Maria SS. fu associata alla Sua Gloria. Ciò già avvenne con le Sue Allegrezze (38), che prefigurano il Mistero Pasquale e si compiono in esso, e culmina con il processo di uniformazione alla Resurrezione di Cristo mediante l’Assunzione in anima e corpo al Cielo (39). Essa, oltre che conseguenza dell’immunità dal Peccato Originale e della Perpetua Santità che rendevano Maria SS. immeritevole del destino del decesso e della decomposizione del corpo - per cui l’Assunzione avviene dopo una morte dolce e non traumatica, la Dormizione, che doveva toccare ad Adamo se non avesse commesso colpa - scaturisce appunto dalla Corredenzione, nonchè dalla Maternità Divina, per cui Colei Che aveva dato il Corpo al Verbo di Dio non poteva conoscere corruzione. Perciò alla fine dei Suoi giorni Maria SS. fu assunta in Cielo col corpo e con l’anima, senza attendere la Resurrezione dei corpi, in una perfetta conformità al Figlio Suo. In tale glorioso evento si compiono le parole della Scrittura, come le hanno interpretate i Padri, specie in Gn 3,15 (la Donna trionfatrice del serpente e quindi anche della morte da lui introdotta nel mondo), in Es 20, 12 (il Secondo Comandamento implicava che Cristo glorificasse al massimo la Madre), in Is 60, 3 (il sacrario ove Dio pose il piede sarà glorificato), in Sal 45, 10.14-16 (La Regina che entra in Cielo e siede alla destra del Figlio), in Sal 132, 8 (l’Arca dell’Alleanza che entra nel riposo del Signore insieme a Lui), in Ct 3,6 (la Sposa che sale per essere incoronata), in Lc 1,28 (la Piena di Grazia che, in virtù di tale pienezza, riceve anche la completa e immediata beatitudine), in Ap 12 (la Donna vestita di sole che è nella gloria celeste).

Alla destra del Figlio, l’Assunta fu incoronata Regina dell’Universo, della quale si è più ampiamente detto. L’ultima gemma che orna la corona della Vergine Maria è la Mediazione Universale. Anch’essa dottrina certa, anche se non oggetto di definizione dogmatica, di cui pure si è detto nei dettagli.

FORME DI DEVOZIONE MARIANA

Essa si realizza sia nell’ambito liturgico che in quello della pietà popolare.

Nella liturgia, la Beata Vergine è commemorata diverse volte: nelle solennità dell’Immacolata Concezione (8 dicembre), dell’Annunciazione del Signore (25 marzo), della Madre di Dio (1 gennaio, ottava di Natale) e dell’Assunzione (15 agosto); nella festa della Sua Natività (8 settembre), della Visitazione (31 maggio), della Presentazione del Signore e della Purificazione della Vergine (2 febbraio); nelle memorie obbligatorie della Beata Vergine Maria Regina dell’Universo (22 agosto, ottava dell’Assunzione), dell’Addolorata (15 settembre), della Vergine del Rosario (7 ottobre), della Presentazione della Beata Vergine al Tempio (21 novembre); nelle memorie facoltative della Beata Vergine Maria di Lourdes (11 febbraio), del Cuore Immacolato di Maria (il sabato dopo il Sacro Cuore), della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (16 luglio), della Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma (5 agosto), del SS. Nome di Maria (12 settembre); nelle ferie maggiori d’Avvento dal 17 al 24 dicembre; insieme al Figlio nelle solennità liturgiche che Lo riguardano e ai cui misteri Ella è partecipe. Senza contare le innumerevoli celebrazioni di ambito locale.

E’ anche commemorata nel ciclo liturgico ebdomadario mediante il sabato, squisitamente medievale, con un rituale che getta un ponte tra la liturgia e la pietà popolare, in quanto in questo giorno, ogni volta che la liturgia lo permette e lo si vuole, si può celebrare la Messa votiva e la Liturgia delle Ore corrispondente (40). Il sabato mariano ha ottenuto un forte impulso con due pratiche: quella della Comunione Riparatrice i Primi Cinque Sabati mensili consecutivi, insegnata dalla Vergine a Fatima e di cui abbiamo detto, e quella dei Quindici Sabati consecutivi, con recita del Rosario, Confessione e Comunione, in preparazione particolare per le feste del Rosario, il 7 ottobre e l’8 maggio, diffusa dal Beato Bartolo Longo (1841-1926).

Una ricca innografia liturgica è peraltro da mettere in capo al culto mariano, pressoché sterminata, nella quale l’inno Akathistos è senz’altro il più celebre e solenne.

Un patrimonio iconografico ricco e solenne si aggiunge alle ricchezze liturgiche, di cui è parte integrante, e che è ampiamente venerato nel corso delle celebrazioni e nella pietà privata (41). L'Oriente sviluppò svariate tipologie iconiche: quella della Vergine che indica la via, o Odighìtria: l'antica icona attribuita a San Luca fu venerata a Costantinopoli dal 451, fu il modello di moltissime altre icone e si diffuse a Roma, Grottaferrata, Bari, Venezia, Monopoli, Bologna, Torino, in Russia, in Polonia (Czestochowa), in Medio Oriente e nei Balcani; quella dell' Eleùsa o Madonna della Tenerezza, col Bambino guancia a guancia, attribuita a san Luca, che si diffuse in Francia (Cambrai, XII sec., con l'icona famosa in cui Bernadette Soubirous riconobbe la Vergine vista in visione), in Russia, nell'Illirico; i tipi della Vergine orante, ossia l'Aghiosoritissa - detta così dalla chiesa dell'Urna Santa (Aghìa Sóros;), contenente la veste della Vergine, a Costantinopoli, riprodotta a Roma, a Frisinga, sul Monte Athos, in Egitto, in Russia – e la Blachernitissa - dal santuario di Blachèrne- copiata a Nicea, in Russia e a Venezia; quello della Deèsis, il cui nome indica la triade Gesù, Maria e il Battista. Infine vanno ricordati il tipo della Madonna che allatta, o Galaktotrofysa, proveniente dall'Egitto e diffusa ovunque vi fossero reliquie del latte di Maria; quello della Madonna del Segno, legato all'Annunciazione; il tipo miracoloso della Tricherysa, e la Kiriotìssa o Basilìssa (diffusa in Medio Oriente, Africa, Balcani, Russia, Italia). Quasi tutti questi tipi entreranno nelle arti romanica e gotica.

Per la pietà popolare, bisogna riscontrare un grande patrimonio eucologico sviluppatosi nei secoli, culminante nelle antifone ancor oggi in uso, come la Salve Regina, l'Alma Redemptoris Mater, la Regina Coeli. Sussunta di questo plurisecolare fervore poetico e religioso sono le Litanie lauretane, capaci di ridurre in brevi formule tutto il composito retroterra patristico dei secoli precedenti, le più importanti di quelle in uso, classificate in quattro tipi: le veneziane, appunto le lauretane, le deprecatorie e le magontine (42). Oggi sono spesso in uso le Litanie dette bibliche, perché traggono i titoli direttamente dalla Scrittura.

Elemento indispensabile della pietà mariana, il Santo Rosario confonde la sua preistoria con quella dell'Ave Maria (43). Nel XII sec. il Rosario era una preghiera assai comune, nel XIII San Domenico di Guzman (1170-1221) iniziò a predicarla, con un gesto che l'ordine dei Predicatori considerò un esempio da imitare, e che creò la particolare sinergia tra i domenicani e il Rosario. Non a caso in un’apparizione della Vergine allo stesso Domenico di Guzman, questi ricevette il precetto di predicare il Salterio mariano; non a caso lo si diffuse in mezzo alle regioni abitate da eretici, come strumento di ricattolicizzazione, impresa in cui i Predicatori erano immersi fino al collo; non a caso i maggiori innovatori della pratica furono spesso domenicani. La divisione in quindici decine fu di Enrico di Kalkar (sec. XIV), e solo Giovanni Paolo II l'ha modificata, inserendone altre cinque nell'ottobre 2002. Fu invece il Beato Alano de la Roche (1428-1475) a predicare il Rosario nel XV sec., disseminando nei suoi scritti quelle "promesse della Madonna ai devoti del Suo Rosario" che hanno costituito la consolazione di decine e decine di generazioni di fedeli (44). Eppure il Rosario non ha subito modificazioni di rilievo dal '400, quando anche l'Ave Maria ha assunto la sua forma definitiva, con l'aggiunta del "Sancta Maria" (1483).

A detta di Suor Lucia dos Santos (1907-2005), per l’importanza concessa da Maria a tale preghiera, nulla non si può ottenere con essa. I Santi lo hanno costantemente recitato e diffuso. La sua recita quotidiana è ottima cosa, come lo è farla prima della Messa comunitariamente – prassi universale – e dopo la Comunione come Ringraziamento. Opportuna è la sua recita intera il primo sabato di ogni mese od ogni settimana (45).

Legate allo sforzo di sacralizzare il tempo nella successione dei suoi momenti, sono le fioriture di altre devozioni mariane, che scandiscono le giornate, le settimane, gli anni. Tra le prime a proporne ci fu Santa Matilde di Hackeborne (1241-1299), che aveva insegnato a salutare la Vergine mattina e sera con tre Ave, per venerare i suoi legami con la SS. Trinità. Tale pratica, ricevuta in visione dalla Santa, prometteva l'intercessione mariana in punto di morte e fu benedetta e indulgenziata rispettivamente da Santi e Papi (46). Ma di gran lunga più importante è quella dell'Angelus Domini, ancora oggi fiorente, sostituito nel Tempo pasquale dal Regina Coeli (47). Esso andrebbe recitato tre volte al giorno, ma la sua ora più importante è a mezzogiorno.

A santificare l'anno ci pensò invece la pia pratica del mese mariano. Il mese mariano per eccellenza, maggio, all’Immacolata, che è anche il più antico - essendo settembre e ottobre per l’Addolorata e la Madonna del Rosario più recenti - ha una matrice bizantina (48). Ma la sanzione definitiva si sarebbe avuta solo con la Controriforma. Pratiche tipiche precipue sono, per maggio, la meditazione con l’esempio, la preghiera, il fioretto e la giaculatoria, da farsi a casa o in chiesa, da soli o in gruppo, terminando il ciclo con l’offerta del cuore a Maria; per ottobre, la recita quotidiana del Rosario con le Litanie e la Benedizione eucaristica, ovviamente in chiesa; per settembre, la Corona dei Sette Dolori e la Via Matris – equivalente della Via Crucis- con il canto dello Stabat Mater.

Vanno poi citate le principali Novene alla Vergine, di cui quella all’Immacolata è la più solenne, ma tra cui si annoverano quelle all’Assunta, alla Madonna di Lourdes e all’Addolorata.

Se le devozioni scandiscono la sacralizzazione del tempo, esistettero inoltre forme di pietà che santificavano la persona in una sorta di unione assimilatrice dell'amato con l'amante, riconducibili alla modalità della consacrazione. Di essa abbiamo due forme, una semplice e una solenne. La prima si fa privatamente o in qualche associazione e comporta una dedizione generosa e fervida nell’apostolato individuale. E’ anche quella delle famiglie, dei bambini, anche prima che nascano, delle istituzioni, delle nazioni, delle città e simili. La seconda implica la schiavitù, la proprietà, l’offerta di sé come vittima di olocausto a, di e per Maria (49).

Proprio dal '400 si diffuse quella che fu la più singolare forma di consacrazione alla Vergine, e avvenne sotto il segno del Carmelo. Il Catalogo dei Santi Carmelitani (1411 ca.) tramanda la visione di San Simone Stock (1165-1265) il 16 luglio 1251, quando ricevette lo scapolare, come pegno di predestinazione per chi l'avesse portato, avesse recitato l'Officium Parvum, avesse praticato la castità secondo il proprio stato e avesse rinunciato alle carni i giorni di mercoledì, venerdì e sabato. Questa consacrazione è riconducibile chiaramente al modello feudale, e la "bolla Sabatina" dello pseudo-Giovanni XXII accrebbe i privilegi di coloro che portavano lo scapolare, promettendo la liberazione dal purgatorio il primo sabato dopo la morte. L’ultima apparizione di Maria a Fatima fu con le fattezze della Vergine del Carmelo, a significare la Sua volontà di mantenere viva la devozione, a cui fu fedelissimo il Beato Giovanni Paolo II (50).

Alla tipologia della consacrazione va ricondotto l’uso della Medaglia Miracolosa, di cui abbiamo detto.

Nel novero delle devozioni pietistiche vanno inserite le innumerevoli processioni mariane e la particolare forma della Peregrinatio Mariae, in cui è un quadro della Vergine stessa o una Sua statua, di Fatima o di Pompei in genere, a girare per il mondo per ravvivare fervore e preghiera, oltre che concedere grazie.

SANTUARI E APPARIZIONI

La lettura antropologica della pietà, che fa la storia religiosa e del costume in senso lato, e che da il saggio dell'ampiezza della rilevanza della fenomenologia religiosa stessa, ci spinge a considerare un altro atto devoto, il pellegrinaggio. Esso sacralizza lo spazio, e innesta dinamiche sociologiche assai complesse, rimescolate dalla prassi del viaggio, che accomuna tutte le classi sociali e che si riverbera nella cultura in senso lato. La devozione mariana è, dopo quella cristologica, la più grande alimentatrice di viaggi sacri. Essi si snodano lungo parecchie direttrici, che percorrono la Terra Santa, l'Oriente bizantino, l'Occidente latino. Le mete sono i Santuari mariani, fioriti attorno a reliquie, icone miracolose, luoghi di mariofanie. I santuari più importanti, al netto di quelli citati nelle pagine precedenti, sono:

Loreto, Czestochowa, Guadalupe, le Tre Fontane. Loreto è il luogo del Santuario della Santa Casa, laddove la Vergine è venerata proprio con questo titolo: Maria SS. di Loreto. La Santa Casa è autentica; le sue mura perimetrali corrispondono con le fondamenta dell’abitazione della Vergine a Nazareth, dove avvenne l’Annunciazione; sono indiscutibilmente del I sec. e legate al culto giudeo-cristiano. Secondo la tradizione, nel 1291, quando i crociati furono espulsi definitivamente dalla Palestina, le pareti in muratura della casa della Madonna furono trasportate "per ministero angelico", prima in Illiria (a Tersatto, nell'odierna Croazia) e poi nel territorio di Loreto (10 dicembre 1294). Oggi si va confermando l'ipotesi secondo cui le pietre della Santa Casa sono state trasportate a Loreto su nave, per iniziativa della nobile famiglia Angeli, che regnava sull'Epiro. Il rivestimento marmoreo delle pareti della Santa Casa fu voluto da Giulio II (1503-1513) e fu realizzato su disegno del Bramante (1509) da rinomati artisti del Rinascimento italiano. La statua della Vergine col Bambino, in legno di cedro del Libano, sostituisce quella del sec. XIV, distrutta da un incendio nel 1921. La memoria liturgica della Madonna di Loreto è il 10 dicembre. Cinquanta Papi andarono a Loreto, e il Beato Giovanni Paolo II vi andò cinque volte, l’ultima delle quali fu anche il suo ultimo pellegrinaggio terreno (5 settembre 2009). Benedetto XVI (2005-2013) vi è salito nel 2007.

Il Santuario di Czestochowa sorge su Jasna Gòra, la “montagna luminosa”, che circonda la città. L’immagine miracolosa è il cuore del santuario. La tradizione dice infatti che sia stato realizzato da San Luca su di un legno che formava il tavolo adoperato per la preghiera e per il cibo dalla Sacra Famiglia. L’Evangelista avrebbe dipinto a Gerusalemme due icone allo scopo di tramandare l’incomparabile bellezza di Maria. Una di esse, arrivato in Italia, è tuttora oggetto di culto a Bologna; l’altra fu dapprima portata a Costantinopoli e deposta in un tempio dall’imperatore Costantino il Grande (306-337). Secondo i critici d’arte l’icona di Jasna Gòra sarebbe bizantina, una “Odigitria” databile tra il VI e il IX secolo. Dipinta su una tavola di legno, raffigura il busto della Vergine con Gesù in braccio. Il volto di Maria domina tutto il quadro, con l’effetto che chi lo guarda si trova immerso nello sguardo di Maria: egli guarda Maria che, a Sua volta, lo guarda. Anche il volto del Bambino è rivolto al pellegrino, ma non il Suo sguardo, che risulta in qualche modo fisso altrove. Gesù, vestito di una tunica scarlatta, riposa sul braccio sinistro della Madre. La mano sinistra tiene il libro, la destra è sollevata in gesto di sovranità e benedizione. La mano destra della Madonna sembra indicare il Bambino. Sulla fronte di Maria è raffigurata una stella a sei punte. Attorno ai volti della Madonna e di Gesù risaltano le aureole, la cui luminosità contrasta con l’incarnato dei loro visi. Successivamente l’icona fu donata al principe russo Leone, il quale trasferì l’inestimabile reliquia in Russia dove, per numerosi miracoli, fu intensamente venerata. Nel corso della guerra intrapresa da Casimiro III il Grande (1333-1370) contro Lituani e Tartari per l’espansione nella Rus’, il quadro fu nascosto nel castello di Bełtz e affidato al principe Ladislao di Opole, governatore designato di Galizia e Włodzimierz. Questi, alla vigilia di una battaglia contro le truppe tartare e lituane che assediavano Beltz, aveva invocato la sacra immagine e, dopo la vittoria, indicò Maria come Madre e Regina. Si racconta che, durante l’assedio, un tartaro ferisse con una freccia il bellissimo volto della Vergine dalla parte destra e che, dopo la profanazione, una fittissima nebbia, sorta d'improvviso, mettesse in difficoltà gli assedianti. Il principe, allora, approfittando del momento favorevole, si gettò con le truppe contro il nemico e lo sconfisse. Tornato Ladislao dalla Russia, il quadro fu caricato su di un carro per portarlo nella Slesia ma i cavalli, pur ripetutamente sferzati, non si muovevano. Il principe ordinò allora di attaccarne di nuovi, senza però ottenere alcun risultato. Allora si inginocchiò a terra e promise di trasferire la venerata effigie sul colle di Czestochowa, in una piccola chiesa di legno. In seguito egli avrebbe innalzato una basilica nel medesimo luogo e contemporaneamente realizzato un convento per i frati eremiti dell’Ordine di San Paolo (1382). Nacque così il culto della Vergine di Czestochowa, Patrona e Regina della Polonia. Nel 1430 gli hussiti attaccarono e predarono il convento. Il quadro fu strappato dall’altare e portato fuori dinanzi alla cappella, tagliato con la sciabola in più parti e la sacra icona trapassata da una spada. Trasferito nella sede municipale di Cracovia e affidato alla custodia del Consiglio della città, dopo un accurato esame, il dipinto venne sottoposto ad un intervento del tutto eccezionale per quei tempi, in cui l’arte del restauro era ancora agli inizi (1430-1434). Ecco allora come si spiega che ancora oggi siano visibili nel quadro della Madonna Nera gli sfregi arrecati al volto della Santa Vergine. La guancia destra della Madonna è segnata da due sfregi paralleli e da un terzo che li attraversa; il collo presenta altre sei scalfitture, due delle quali visibili, quattro appena percettibili. Dopo la profanazione e il restauro, la fama del santuario crebbe enormemente e aumentarono i pellegrinaggi. Per questo motivo nella seconda metà del secolo XV, accanto alla Cappella della Madonna, fu dato avvio alla costruzione di una chiesa gotica a tre ampie navate. Nel 1717 il quadro miracoloso della Madonna di Jasna Góra fu incoronato col diadema papale e, a cominciare dal secolo scorso, numerose chiese a lei dedicate furono erette in tutto il mondo. Una devozione che non ha confini, che ha toccato il cuore di molti, e che è stata particolarmente cara – come ogni polacco che si rispetti – al Beato Giovanni Paolo II (1978-2005), che vi si recò diverse volte e che nel 1991 vi tenne la Giornata Mondiale della Gioventù. La memoria della Vergine di Czestochowa è il 26 agosto.

Nostra Signora di Guadalupe è l'appellativo con cui veneriamo Maria SS. che apparve a San Juan Diego Cuauhtlatoatzin (1474 ca.-1548), un azteco convertito al cristianesimo, sulla collina del Tepeyac, a nord di Città del Messico, più volte tra il 9 e il 12 dicembre 1531 (51). Sembra che il nome Guadalupe sia stato dettato da Maria SS. stessa a Juan Diego: alcuni hanno ipotizzato che sia la trascrizione in spagnolo dell'espressione azteca Coatlaxopeuh, "Colei Che schiaccia il serpente". Sul luogo fu subito eretta una cappella, sostituita dapprima nel 1557 da un'altra cappella più grande, e poi da un vero e proprio santuario consacrato nel 1622. Infine nel 1976 è stata inaugurata l'attuale Basilica di Nostra Signora di Guadalupe. Nel santuario è conservato il mantello (tilmàtli) di Juan Diego, sul quale si impresse miracolosamente l'immagine di Maria, rappresentata come una giovane indiana: per la sua pelle scura ella è chiamata dai fedeli Virgen morenita. Nel 1921 un attentato dinamitardo tentò di distruggere il mantello, ma esso rimase intatto. Il Beato Giovanni Paolo II si è recato a Guadalupe cinque volte, Benedetto XVI una volta nel 2011. La Madonna di Guadalupe è venerata come Patrona e Regina del continente americano. La sua festa si celebra il 12 dicembre, giorno dell'ultima apparizione.

Accanto a questi grandi santuari, è bene ricordare altri centri importanti. Proprio cominciando dalla Terra Santa, troviamo come oggetto di devozione le memorie storiche più antiche dell'esistenza terrena di Maria di Nazareth. A Gerusalemme, per esempio, sin dal I secolo i Giudeo-Cristiani inaugurarono la prassi della visita alla Casa della Madonna. Essa fu in origine una domus ecclesia, legata al culto iatrico di Bet Esdatain, di matrice ebraica, e durò anche oltre la profanazione dell'imperatore Adriano (117-138), con elementi sincretici. Espulsi questi da Costantino, la domus divenne una doppia basilica bizantina con Teodosio (379-395), su cui poi i crociati avrebbero costruito il capolavoro romanico della chiesa di Sant'Anna. Sempre a Gerusalemme, sin dal I secolo fu venerata, come si è detto, una tomba di Maria, vuota, presso la necropoli del Gethsemani, custodita fino al IV sec. dai Giudeo- Cristiani, poi divenuti ebioniti, che vi eressero un luogo di culto; questo fu trasformato in una basilica bizantina da Teodosio, che l'affidò ai giovanniti, ai quali, divenuti monofìsiti, fu sottratta dagli ortodossi, capeggiati dal vescovo Giovenale (420-458), nel V secolo. Riedificata in forma più sontuosa da Maurizio (582-602), la basilica fu distrutta dagli Arabi nel 614, ma non cessò di attirare devoti. Furono i crociati a riedificare un luogo cultuale, il monastero fortificato di Santa Maria di Giosafat, poi abbattuto dal Saladino (1174-1193), che però risparmiò la cripta sepolcrale, che esiste tuttora. Accanto a questi luoghi specificamente mariani, in Sion la memoria della Madonna è anche molto legata al Calvario, sotto i cui ambienti sacri giudeo-cristiani del I-II sec. sono state rinvenute vestigia di antica devozione mariana, destinate a confluire nella basilica del Santo Sepolcro. Un altro polo di attrazione mariana è Nazareth. Lì sorgono la casa di Maria e quella di Giuseppe. La prima, riconoscibile agli scavi del 1955-1960, fu una domus ecclesia sin dal I sec., divenne sinagoga giudeo-cristiana nel III sec., e basilica bizantina nel 430 ca.; i crociati vi eressero una basilica romanica, che fu distrutta dai Mamelucchi nel 1263, senza che però scomparisse il culto. La seconda, casa paterna di Gesù, risale anch'essa al I sec., e all'epoca divenne un ambiente battesimale dei parenti di Giuseppe; i Giudeo-Cristiani la custodirono fino a tutto l'Alto Medioevo, e in epoca crociata arrivarono i francescani. Ovviamente, anche a Betlemme c’è un forte culto mariano, legato alla basilica della Natività, costruita da Costantino su un ambiente giudaico-cristiano profanato da Adriano. La basilica, ristrutturata da Giustiniano (527-565), trasformata in moschea e restaurata dai crociati, ha una dipendenza tutta mariana, la taumaturgica Grotta del Latte della Madonna, del VI sec. Centri mariani minori erano ad Ain Karin e a Cana. Nella prima si venerava la triade Elisabetta, Giovanni Battista e Maria, sin dal I sec. Nella seconda il culto fiorisce dal III sec. Fuori della Palestina, Costantinopoli fu una civitas mariana per quasi mille anni. In essa vi erano 125 chiese mariane, santificate da reliquie e icone venerabili; per esempio quella di Chalcopratèia (V sec.), in cui c'era la cintura di Maria, o quella delle Blachernae dove se ne conservava il velo (V sec.) oggi a Imola, o quella che conteneva 1' Odighitria. Famosa era Santa Maria della Sorgente, frequentata da pellegrini fino al XV sec., e detta "Lourdes del Medioevo". In Occidente, Roma ha moltissime chiese dedicate alla Madonna, che attiravano pellegrini. Ovviamente, la maggiore era Santa Maria Maggiore, fondata da papa san Liberio (352-266), sulla base di un'indicazione divina, e detta perciò notoriamente liberiana, e poi ampliata e abbellita da san Sisto III (432-440), tanto da dover essere detta, forse più opportunamente, sistina; essa custodi e custodisce la greppia di Betlemme sin dal sec. VII, contendendosi con la città di Davide l'onore di possedere l'originale culla di Gesù, che molto probabilmente fu divisa in più parti, o che santificò ex contactu i legni romani, e l'icona della Salus Populi Romani. Un'infinità di altre chiese conservavano icone venerabili (la più antica è forse quella di Santa Maria Nova, datata negli anni '30 al VI sec.), e i templi più visitati erano Santa Maria Antiqua (cuore della Roma greca nell'Alto Medioevo, e persino residenza papale tra il VII e l'VIII sec.), Santa Maria in Domnica, Santa Maria Sopra Minerva, Santa Maria Rotunda e Santa Maria in Cosmedin. Nel resto d'Europa, è tutta una fitta trama di santuari mariani, spesso legati a venerate reliquie: Chartres (X sec.), con la fonte sacra e la veste della Vergine (attestata dal Basso Medioevo), che fu anche centro di una rinomata scuola teologico- fìlosofìca; Lione (IX sec.), che vantava origini apostoliche; Le Puy (XI sec.), dedicata all'Assunzione, e presso cui il mese di agosto era festeggiato in modo solenne e allegro: esso ebbe la celebre statua nel 1254; Clermont (di epoca gallo-romana), la cui statua, tardiva, era modellata sul tipo di Le Puy, e da cui il Beato Urbano II (1088-1099) bandì la Crociata; Arras (XI sec.), nato ex voto dopo una paurosa epidemia di peste nera; Boulogne, tra i più celebri nell'XI-XII sec., che secondo la leggenda accolse una venerabile statua della Vergine già nel VII sec., quando essa fu messa in salvo dall'Oriente devastato dall'iconoclastia; Rocamadour (XII sec.), la cui statua, preziosissima, attirava migliaia di fedeli coi suoi sgargianti colori; la svizzera Einsiedeln (X sec., roccaforte mariana benedettina); il santuario della Virgen del Pilar di Saragozza, dove ab immemorabili si custodisce la statua che la Madonna stessa, da viva, accompagnata dagli angeli, avrebbe consegnato a San Giacomo il Maggiore, impegnato ad evangelizzare la Spagna (ma il santuario fiorisce con la Reconquista); Montserrat (IX sec.), anch'esso spagnolo, dalla fastosa ricchezza, anch'esso insediamento benedettino. Un discorso particolare meritano le reliquie della Vergine: mancando quelle corporali a causa della Sua Assunzione, ci si accontenta di vesti, cimeli, parti del Suo Corpo distaccatosi da esso prima della Sua glorificazione (capelli), o anche del Suo latte, sparso in tutto il mondo. Coutances, che pure aveva una celebre statua lignea, assieme ad Astorga e Laon conservava i capelli; Walsingham, il più grande santuario inglese, nato attorno ad un'imitazione della Santa Casa voluta dalla Vergine tramite un veggente, e munito di due fonti sacre, custodiva il latte. Esso, coi capelli e tante altre reliquie, era custodito anche a Santa Maria Maggiore. Il maggior santuario mariano tedesco, ad Aquisgrana, eccezionalmente frequentato tra Trecento e Quattrocento, tanto che la città era divisa in quartieri nazionali e che c'era un numero chiuso di pellegrini che potevano varcare le mura, era il custode della veste della Vergine, che il califfo aveva regalato a Carlo Magno (768-814). I maggiori santuari italiani sono Oropa, Montevergine, la Consolata di Torino, la Madonna della Guardia a Bologna e a Genova, con l'icona attribuita a san Luca, Caravaggio, San Celso, Treviglio, Brescia, il Santo Monte di Varallo, Mantova, Varese, La Madonna della Salute a Venezia, Rapallo, l’Annunziata di Firenze, Santa Maria ad Rupes, La Madonna del Buon Consiglio a Gennazzano, quella dei Sette Veli a Foggia, l’Incoronata sempre presso Foggia, Mesagne, Capurso, La Madonna della Bruna a Napoli, Pistoia, Santa Maria degli Angeli ad Assisi, Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, Bonaria, Santa Maria di Leuca. Citiamo altri nel mondo: Mariazell, Altötting, Maria Bistrica, Higüey, Luján, Capocabana, Chinquinquirá, Coromoto, Aparecida.

In quanto alle apparizioni, va detto che se ne contano almeno duecentosettantasei, in duemila anni di storia, che possono essere considerate autentiche, perché o approvate dalla Chiesa o da essa tollerate; di esse novantaquattro sono avvenute dal 1800 ad oggi. Al netto di quelle indicate nelle pagine precedenti cito alcune molto popolari degli ultimi due secoli: Guadalajara (1831), La Salette (1846), Pontmain (1871), Pellevoisin (1876), Knock (1879), Corato (1881-1947), Imbersago (1896), Dong Lu (1900), Torino (1918-1954), Messina (1927), Beauraing (1932-1933), Banneux (1933), Paravati (1938-2009), Tre Fontane (1947), Zeitun (1968-1970), Ohlau (1981), Belpasso (1986-1988), Il Cairo (2009).

IL MISTERO DI MARIA NELLE LITANIE LAURETANE

Nelle Litanie lauretane troviamo invocazioni splendide che illustrano il mistero mariologico. Santa Maria è una invocazione semplice e profonda: la santità di Lei è espressa senza limitazione alcuna; Ella è santa, perché il Signore Suo Dio è Santo. Santa Madre di Dio modula tale santità, coniugandola alla ragione altissima della Sua dignità: Maria è santa perché è Madre di Dio, Maria è Madre di Dio perché è santa; è Madre di Dio perché ha generato di Spirito Santo l’Umanità della Persona del Verbo, la Seconda della Trinità. Santa Vergine delle Vergini accosta alla santità e alla Maternità di Maria un’altra modulazione, ossia la Sua condizione verginale vissuta in modo perfettissimo e sovraeminente, in cui Ella realizzò la più perfetta delle vocazioni, al servizio totale di Dio e del Figlio. Madre di Cristo ricorda come Lei sia la Vergine che ha generato il Messia, il Cristo appunto, vaticinato da Isaia. Madre della Divina Grazia è il titolo che compete a Colei Che con i Suoi meriti ha generato la vita soprannaturale. Madre Purissima sottolinea la sovraeccellenza di questa virtù nella Maternità di Maria. Madre Castissima evidenzia come sovraeminente fosse anche, in Lei, quella forma particolare di purezza che è la castità, ancor più esemplare nella sua associazione alla Maternità. Madre sempre Vergine sottolinea la verità dogmatica per cui Maria potè essere Madre senza perdere mai la Sua integrità fisica e spirituale, per cui la Sua castità è suggellata dal miracolo. Madre senza Colpa eleva la mente a quella forma eccellente di candore e di purezza spirituale che fa della Madre la Tutta Santa, l’Immacolata, la Degna di generare il Verbo. Madre amabile ci ricorda quanto degna di amore sia per noi questa Mamma generosa e provvida, sebbene tante siano le nostre ingratitudini. Madre ammirabile ci mostra come Ella sia il Modello per noi Suoi figli. Madre del Buon Consiglio, perché da Lei, come provvida genitrice, viene la buona ispirazione e da Lei nacque il Figlio Che è chiamato Consigliere ammirabile. Madre del Creatore ci ricorda come Lei sia Madre della Persona del Logos mediante Cui è stato fatto il mondo. Madre del Salvatore ci ricorda che quel Logos si è Incarnato per la nostra salute. Madre della Chiesa ci mostra che Lei è la Madre del Corpo Mistico del Verbo. Madre di Misericordia, perché incline sempre a questa virtù che ha generato al mondo nel Verbo. Vergine prudentissima la mostra a noi quale modello di quella virtù che più di tutte si addice a chi custodisce la integrità del corpo e dello spirito. Vergine venerabile sottolinea come proprio nella Sua castità perfetta Maria sia degna di profondo culto. Vergine onorabile evidenzia come questa condizione sia degna di altrettanto onorabile. Vergine potente sottolinea come nella Sua consacrazione casta a Dio Maria, in quanto Sposa dello Spirito, sia ricolma della Potenza dell’Altissimo. Vergine clemente sottolinea come questa potenza verginale sia esercitata con compassione e misericordia verso noi peccatori macchiati nel corpo e nell’anima. Vergine fedele evidenzia come Lei sia stata sempre devota al Suo mistico Sposo divino. Specchio di giustizia è Maria, perché è la più giusta delle creature. Sede della Sapienza lo fu perché la Sapienza increata s’incarno’ in Lei e stette nove mesi nel Suo grembo. Causa della nostra letizia fu Maria perché generò la nostra salvezza. Tempio dello Spirito Santo La invochiamo perché la Terza Persona della Trinità si compiacque di abitare in Lei e di operarvi più di quanto abbia fatto in altra creatura. Tempio di gloria è la dizione esatta per l’Anima e il Corpo santissimo di Lei Che fu ed è il Ricettacolo della Trinità, il luogo dove Dio ha albergato in modo pieno e che ha glorificato. Vaso Spirituale indica che Maria fu il contenente del Dio vivo; Vaso onorabile che Lei fu la più sacra delle creature in Cui Dio abitò; Vaso di insigne devozione indica che fu dedita al culto più puro, ospitando in Se’ il Figlio e lo Spirito; Rosa mistica esprime la bellezza sublime di Maria, vero fiore spirituale, figurato dalla Rosa di Gerico. Gloria della stirpe di Davide indica e ricorda non solo la discendenza reale di Maria, ma il fatto che Ella onori oltre ogni altro suo membro la Casa Reale di Israele. Splendore di grazia si addice a Maria perché in Lei la vita deiforme raggiunse la sua massima bellezza e perfezione. Torre davidica sottende che Maria sia stata la fortezza a presidio della Casa di Davide, che ne ha custodito l’eredità; Torre d’avorio indica la nobile purezza di Lei, come nel Cantico dei Cantici. Casa d’oro fu Maria per Gesù, in quanto dimora più preziosa di qualunque altra possibile. Arca dell’Alleanza è adatta a ricordare che Lei fu incorrutibile e che contenne la Legge vivente, il Pane vivo, l’Eterno Sacerdote, e che su di Lei si manifestò e si assise Dio. Porta del Cielo ricorda come tramite Lei il Figlio entrasse nel mondo e come tramite Lei noi giungiamo al Paradiso. Stella del Mattino si addice a Maria, che splende nel Cielo dello spirito prima ancora che sorga il Sole di Giustizia. Salute degli infermi La invochiamo perché guaritrice del corpo e dell’anima. Rifugio dei peccatori perché sempre solerte nell’accogliere le suppliche di chi cerca conversione e scampo dal castigo, anzi perché Ella stessa cerca il reo perché si ravveda. Consolatrice degli afflitti la invochiamo perché da Cana in poi è sempre sollecita per i nostri bisogni. Aiuto dei cristiani Le si addice in quanto costantemente impetra e distribuisce a tutti le grazie. La invochiamo Regina, perché Madre del Re e conformemente all’uso ebraico con Lui sovrana; anzitutto degli Angeli, a Cui è superiore; indi dei Patriarchi, che la contemplarono già nel Protovangelo e nelle figure di Sara, Rebecca, Lia, Rachele; poi dei Profeti, che la vaticinarono; poi degli Apostoli, perché li guidò in terra e ora li ha attorno a Se’ in cielo; dei Martiri, perché Ella subì l’immolazione più dura di tutte; dei Confessori, perché mantenne la Fede tra le prove più aspre; delle Vergini, perché di tutte è il modello; di tutti i Santi, perché ognuno di essi ha in Lei modello ispirazione guida; concepita senza Peccato originale, perché la Sua Regalità ha nell’Immacolata Concezione uno dei suoi motivi fondanti; Assunta in Cielo, perché Maria è Regina uniformata alla sorte del Re Figlio; del Santo Rosario, che è lo strumento mediante cui noi la onoriamo; della famiglia, perché questa istituzione naturale viene nobilitata nel sacramento proprio tramite la unione sponsale di Maria con Giuseppe, e perché al Suo patrocinio spetta la cura di questo consorzio oggi così esposto alla tempesta; della Pace, perché regna in essa e per essa, frutto dell’opera del Figlio alla quale fu associata.


1. Del cui culto la Serva di Dio è stata instancabile promotrice. A lei non solo la Vergine ma anche il Signore avrebbe parlato, caldeggiando tale culto.

2. Il testo di Suor Lucia si presta ad una duplice interpretazione. Se la veggente ha riportato le parole esatte della Vergine al momento della visione, siccome nel 1917 pontificava Benedetto XV e il suo successore fu Pio XI, bisogna intendere che la Guerra Mondiale allora profetizzata viene considerata iniziata sin dalle aggressioni hitleriane apparentemente non violente del 1938 e sin dall’aggressione nipponica alla Cina nel 1937, visto che da quella data in Estremo Oriente si iniziò a combattere durando il conflitto fino al 1945. Se poi la veggente, opportunamente illuminata, scrisse avendo mente alla situazione che c’era quando stese la relazione sulle apparizioni, ossia sotto Pio XI, allora il Pontificato prossimo venturo sotto cui sarebbe iniziata la nuova Guerra sarebbe stato quello di Pio XII.

3. In effetti Pio XI (1922-1939) non volle saperne della richiesta di consacrazione della Russia, anche cogliendone le difficoltà diplomatiche. In ragione di ciò dapprima il Terrore rosso leninista e poi il Grande Terrore stalinista infierirono spietatamente sui popoli sovietici, molti dei quali furono interamente sterminati, come del resto intere fasce sociali, e incrudelirono barbaramente sui credenti in qualunque religione, specialmente la Cristiana e la Cattolica. Il Biennio Rosso terrorizzò l’Europa tra il 1917 e il 1922, aprendo la strada a dittature di destra. Il marxismo perseguitò i cristiani messicani, scatenò la Guerra di Spagna con la sua forsennata politica persecutrice, fu alleato del Nazismo per accendere la II Guerra Mondiale ed estese la sua tetra autorità su molte nazioni cattoliche. Attaccato da Hitler, Stalin potè sconfiggerlo e conquistare le nazioni cristiane dell’Europa centrale, dove infierirono le stesse violenze del periodo prebellico. Ed ancora il dragone rosso continuò ad estendersi in Asia, Africa ed America, mentre in tante nazioni il suo verbo di perdizione suscitò partiti politici e movimenti culturali che segnarono profondamente la coscienza collettiva orientandola alla scristianizzazione, fino al Movimento Sessantottino. In totale, al Comunismo sovietico si mettono in capo circa centoventi milioni di vittime.

4. In quell’occasione la Serva di Dio Rita dello Spirito Santo (1920-1992), nata Cristina Montella, in bilocazione con la Madre di Dio, deviò il colpo fatale esploso dal sicario turco. La stessa Serva di Dio ha attestato che in Piazza San Pietro vi era almeno un altro killer, e che il terrorista turco agiva su mandato di una congiura internazionale sulla quale però egli non avrebbe mai detto il vero.

5. Chi scrive auspica che torni solennità e in una data più consona, magari la stessa data della memoria della Madonna di Fatima.

6. Le voci su altri segreti o su diverse interpretazioni del Terzo sono prive di fondamento e legittimità, spettando solo al magistero di spiegare i simboli apocalittici.

7. Nell’VIII sec. è attestata in Oriente per il 9 dicembre; dal IX in Occidente per l’8.

8. Cfr. http://www.gesuemaria.it/la-vera-storia-delle-apparizioni-della-madonna-a-lourdes.html

9. San Giustino (†165) fu il primo a sviluppare la contrapposizione parallela tra Maria e Eva, l’una Madre e obbediente, l’altra moglie e ribelle, l’una causa di salvezza, l’altra di dannazione, entrambe vergini al momento del loro agire carico di conseguenze per il futuro. Sant’Ireneo (†202) proseguì la comparazione, considerando opportuno che Dio rimettesse in circolo la Grazia mediante un comportamento uguale e opposto a quello di Eva, tenuto da una Donna simile e opposta. Ancora sant’Epifanio nel 377 considera Maria SS. la vera Madre dei Viventi al posto di Eva; lo Pseudo-Alberto nel XIII sec. fa di Maria l’adiutorium simile sibi di Cristo stesso, citando Gn 2,18. Così in Oriente Cabasilas (†1396). Il tema fu originalmente ripreso dai cardinali A. Billot e J. H. Newman in tempi recenti e, con un suggello del supremo magistero ordinario, dal Concilio Ecumenico Vaticano II (LG 56).

10. In effetti, delle tre ipotesi teologiche - la cooperazione immediata, quella immediata passiva e la mediata - la prima, sia per l'ampiezza dei consensi che per l'intima coerenza delle sue asserzioni tra loro e col depositum Fidei, è sicuramente la più appropriata ad esprimere il senso teologico della devozione all’Addolorata, anche se non mancano aspetti positivi anche nelle altre. L'idea che nel progetto di Dio la Redenzione di Cristo - principale, indipendente, autosufficiente e necessaria - sia unita per suo stesso volere alla Corredenzione subordinata di Maria - secondaria, insufficiente e solo ipoteticamente necessaria - corrisponde perfettamente alle basi bibliche della soteriologia. Anzitutto, permette di sviluppare in relazione al parallelismo Eva-Maria la trattazione di San Paolo nella Lettera ai Romani sull'opposizione Adamo - Cristo, dando peraltro un ruolo attivo alla Vergine nella giustificazione come lo ebbe, specularmente, Eva nella dannazione. Inoltre, non si oppone alla dottrina paolina dell'unicità del Redentore, ma si accorda alla sua concezione del completamento nel proprio corpo di ciò che manca alle sofferenze di Cristo a vantaggio del Corpo di Lui, cioè della Chiesa. Infatti, Maria, prima redenta e tipo perfetto del credente, nell'occasione più adatta al compimento di questo dovere di unione alle sofferenze del Redentore, e cioè ai piedi della sua Croce e in genere nel corso di tutta la Sua esistenza terrena, fu la prima a completare ciò che ovviamente mancava in Lei e in tutti, e a vantaggio non di Se stessa - in quanto da sola non si poteva redimere - ma di tutta la Chiesa, alla quale, più di qualsiasi altro suo membro, Lei era ed è legata. Ciò è attestato non solo dalla Generazione verginale del Verbo, del quale la stessa Chiesa è Mistico Corpo, ma anche dalla presenza di Maria nel Cenacolo al momento della effusione dello Spirito e della costituzione della missione attiva della Chiesa, di cui la sofferenza redentiva, vissuta, offerta e applicata secondo la volontà divina, è parte integrante e fondamentale. Del resto, che l'intima unione del Redentore alla Madre nel compimento della Sua missione implicasse una partecipazione di Lei alle Sue sofferenze è implicito nella dottrina paolina per cui il Cristo poteva redimere solo perché era nato da Donna e sotto la Legge, le due condizioni che trasmettono il peccato all'uomo. Cristo infatti nacque sotto la Legge per riscattare quanti erano nati sotto di essa e fu riscattato Lui stesso, non perché ne avesse bisogno, ma per dare efficacia al riscatto di chi era vissuto prima di Lui e che in tale rito mosaico aveva avuto la prefigurazione simbolica della propria liberazione dal peccato, mediante il sangue di una vittima sacrificale, un capo di bestiame minuto. Ma Cristo nacque anche da Donna per far nascere nuovamente quanti, generati nella carne da altre donne, hanno per traducianesimo ereditato la colpa e ne hanno commesse di proprie. Non a caso, parallelamente al riscatto dei primogeniti, la Legge imponeva la purificazione della puerpera, simbolo della liberazione dalla condanna delle donne a trasmettere il peccato tramite la generazione, cosa che sarebbe avvenuta mediante il Battesimo. E Maria SS. si assoggettò a tale purificazione, peraltro simultaneamente al riscatto del Figlio, con una coincidenza illuminante, non perché ne avesse bisogno, essendo Concezione Immacolata come Gesù, ma per dare valore alle purificazioni di coloro che erano vissute prima di Lei e che venivano così ad essere liberate in vista di Cristo stesso da Lei generato, ma - conseguenzialmente ed in subordine - anche tramite Lei. La purificazione della puerpera avveniva anch'essa mediante spargimento di sangue, a dimostrazione profetica della dipendenza dal Sacrificio di Cristo, simboleggiato dall'agnello, dalle tortore e dai colombi, e quindi del loro legame inscindibile nel progetto di Dio. Questa connessione tra i due riti dell'AT è la figura dell'interdipendenza tra il Sacrificio del Redentore e l’associazione ad esso dei dolori materni. Questi poi sono gli unici in cui, appunto in modo speculare ad Eva, la Vergine può aver partorito i figli avuti in quell'ordine della Grazia nella quale è universalmente e sicuramente riconosciuta nostra Madre.

11. In merito poi alle altre due ipotesi sulla cooperazione di Maria, va detto che l'idea di quella immediata passiva, pur non essendo pienamente conforme alla dottrina della Corredenzione così come la si evince dalla Scrittura e dalla Tradizione, contiene un aspetto degno di esser messo in evidenza: la Vergine anticipa in Se stessa la Chiesa tutta ai piedi della croce, e riceve i meriti del Redentore per trasmetterli ai fedeli. Quest'ipotesi appare suggestiva, in quanto suppone - giustamente - che solo Maria rappresentasse veramente la Chiesa ai piedi della Croce, essendo gli Apostoli dispersi, ad eccezione di Giovanni. Sviluppando un'esegesi allegorica e antifrastica del Peccato originale, la Nuova Eva, ai piedi del vero albero della vita, mangiò del frutto portole dal Nuovo Adamo, di cui - a differenza di quello dell'Eden - Lei era non solo libera di mangiare, ma anche tenuta a farlo. Adamo ricevette da Eva, sua moglie, creata dopo di lui e da lui, il frutto per istigazione diabolica; Maria ricevette da Cristo, Suo Figlio, creato nell'umanità dopo di Lei e da Lei nato, il frutto della volontà del Padre, alla quale il Redentore si era sottomesso. Ma, come in Adamo e in Eva vi era tutta l'umanità secondo la natura, per cui il Peccato originale si tramanda in essa carnalmente, così in Cristo e Maria vi era tutta l'umanità rinnovata secondo la grazia, per cui essa si comunica agli uomini attraverso quella generazione spirituale che è il battesimo. In questo senso, Maria conteneva e contiene in sé tutta la Chiesa, sia coloro che sono eletti in quanto hanno aderito e aderiranno al Cristo, sia coloro che hanno rifiutato e rifiuteranno l'invito. Infatti Dio vuole tutti gli uomini salvi, e ha racchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia: la prima tramite la disobbedienza di Eva, la seconda tramite l'obbedienza di Maria. E siccome in Cristo già vi è tutta l'umanità redenta, per cui Lui già in sé ricapitola tutta la stirpe nella Grazia, in attesa che essa si svolga attraverso tutte le epoche, anche in Maria dev'esserci questa prolessi della specie umana rinnovata. In tal senso l'ipotesi teologica che ebbe nello Scheeben (1835-1888) il suo corifeo non è esclusivamente mariologica, ma ricalca una prerogativa che già appartiene a Cristo. Ma tanto più allora essa suppone una cooperazione attiva, in quanto solo essa giustifica - nell'esegesi allegorica che è in ultima analisi fondamento di questa teoria - la prerogativa passiva rivendicata. Essa altro non è che l'estensione alla coppia Cristo-Maria di un traducianesimo battesimale della Grazia opposto a quello della coppia Adamo-Eva che nella carne perpetua la colpa. Più rettamente va quindi rivendicata a Maria sia la cooperazione passiva che quella attiva. La cooperazione mediata invece è a mio parere più pertinente alla dottrina della Mediazione Universale. Anch'essa spetta a mio avviso alla Vergine, ma va esclusa come chiave di lettura del concetto di Corredenzione. Non a caso sono diverse le sfere semantiche a cui le locuzioni fanno riferimento: sono due nomina di res mariologiche ben diverse, anche se connesse intimamente. Ogni redentore è mediatore: Mosè ha redento il suo popolo e ha mediato più volte tra esso e Dio; la Casa di Aronne redimeva il popolo attraverso i sacrifici e quindi mediava con Dio essendo unica abilitata a officiare il culto. Cristo è Redentore e quindi Mediatore. Dunque anche Maria è Mediatrice se Corredentrice. Ma le sfere teologiche che delimitano queste due funzioni soteriologiche sono diverse. Aggiungerei che Maria può essere pienamente abilitata ad una Mediazione efficace solo se anche Corredentrice. Certamente rimane chiaro il principio che Dio redime solo attraverso il Cristo. L'associazione della Vergine scaturisce solo dal principio per cui l'Altissimo invia le Sue grazie suscitando mediazioni subordinate a quella del Suo Figlio, peraltro da Lui stesso voluta. L'uomo Cristo è Mediatore voluto da Dio, che anche attraverso di Lui è sostanzialmente il vero Redentore, con una distinzione che trova proprio nell'Unione ipostatica il suo nesso sussistente ed operante. Come già ben metteva in evidenza Dionigi l'Areopagita (†95), sotto Cristo si dipana una gerarchia di mediatori, di cui sicuramente il più eccelso grado è occupato da Maria, la cui Corredenzione è appunto la prima forma di associazione a Sé che il Redentore vuole, delegando una parte delle Sue operazioni e delle funzioni che ne conseguono. In tal senso le azioni di Maria Corredentrice e Mediatrice rimangono essenzialmente azioni di Cristo, perché da esse e per esse sono ordinate e ricevono efficacia. Semiticamente, possiamo ben ricondurre a Cristo ogni azione redentiva in modo particolarmente appropriato se parliamo di Sua Madre, perché Lei più di ognuno Gli è stabilmente e indissolubilmente congiunta in ogni ordine di azione.

12. Il riconoscimento è arrivato nel 2002 dal vescovo di Haarlem, Joseph Maria Punt, che ha ottenuto la revoca delle precedenti sentenze restrittive della Congregazione della Dottrina della Fede. La Vergine ha insegnato questa preghiera: Signore Gesù Cristo, Figlio del Padre, manda ora il tuo Spirito sulla terra. Fa abitare lo Spirito Santo nei cuori di tutti i popoli, affinché siano preservati dalla corruzione, dalle calamità e dalla guerra. Che la Signora di tutti i popoli, la Beata Vergine Maria, sia la nostra Avvocata. Amen. Il testo originale dice: “che una volta era Maria”, ma la Chiesa ha fatto divulgare una forma corretta e oggi ha nuovamente emendato il testo sulla base delle parole udite dalla veggente.

13. Ciò mostra nella pietà contemporanea una stretta connessione tra Fatima e Siracusa, ossia tra il Cuore Immacolato e le Lacrime.

14. Il tema della lacrimazione mariana, attestato anche prima di Siracusa, ovviamente è presente anche in altre forme di pietà. Merita una menzione quella verso la Madonnina di Civitavecchia. Il 2 febbraio 1995, in occasione della Festa della Presentazione di Gesù al Tempio e della Purificazione di Maria, una piccola statua della Madonna, raffigurante la Regina della Pace e proveniente da Medjugorie – dove com’è noto si asserisce che compaia la Santa Vergine da decenni - cominciò a piangere sangue nel giardino di una famiglia nella parrocchia di S. Agostino, a Civitavecchia. Da quella data fino al 15 Marzo la Madonnina ha pianto ben quattordici volte in presenza di molte persone che hanno rilasciato la loro testimonianza giurata davanti alla Commissione Teologica istituita dal vescovo Gerolamo Grillo che tenne la statuetta tra le mani proprio durante l'ultima lacrimazione di sangue. La statuetta fu esaminata scientificamente con risultati positivi: non c'erano trucchi o apparecchi nascosti all'interno e le lacrime erano di sangue umano. Finalmente, dopo molte difficoltà di varia natura, il 17 giugno 1995, il Vescovo ha collocato la statuetta in una teca sita nella Parrocchia di Sant’Agostino e l'ha così esposta alla venerazione dei fedeli. Da quel giorno ha avuto inizio un considerevole pellegrinaggio, di portata addirittura mondiale, finalizzato alla venerazione di Colei che tutti ormai chiamano "La Madonnina di Civitavecchia". Non vi è ancora una constatazione di sovrannaturalità, ma l’inspiegabilità è indiscussa. La Madonna di Civitavecchia è stata oggetto di devozione privata del Papa Giovanni Paolo II.

15. Tra i tanti luoghi che venerano l’Incoronata, menziono quello che da esso prende il nome e che è ancora centro di un fiorente culto, in quel di Foggia. Nel bosco del Cervaro l' ultimo Sabato di Aprile del 1001, presso Foggia, la Beata Vergine Maria Incoronata apparve all'alba, su una grande quercia, ad un signore che si trovava a caccia nel bosco del fiume Cervaro e gli mostrò una statua, chiedendo che venisse posta in venerazione in un'apposita chiesa da costruire sul luogo, assicurando che sarebbe stata larga di grazia verso chiunque l'avesse pregata davanti a quel simulacro. Sopraggiunse un contadino, Strazzacappa, che appese ad un ramo della quercia la sua caldarella trasformata, con un pò di olio, in rustica lampada. Fu costruita la prima chiesa che l'affluenza numerosa di pellegrini e le tante grazie concesse per l'intercessione della Madonna la fecero rapidamente cambiare in un tempio, con annesso convento ed opere di carità. Monaci Basiliani, San Guglielmo da Vercelli con i suoi monaci di Montevergine ed i Cistercensi si susseguirono nella cura pastorale del Santuario dell'Incoronata dal secolo XI al secolo XVI. Nel secolo XVII l'Incoronata divenne commenda cardinalizia finchè all'inizio del secolo XIX fu tolta alla giurisdizione dell'autorità ecclesiastica dal governo napoleonico, che ne affidò la gestione ai laici: fu il periodo più brutto che attraversò il Santuario fino ad un quasi completo abbandono, facendo così diminuire di molto l'affluenza dei pellegrini. Finalmente nel 1939 l'Incoronata ritornò all’Arcidiocesi di Foggia nella persona del Vescovo, Fortunato Farina, che nell'aprile del 1950 lo affidò ai Figli della Divina Provvidenza, fondati da Don Luigi Orione: essi costruirono il nuovo Santuario ed il grande complesso architettonico che lo circonda dando grande sviluppo alla devozione alla Madonna, offrendo calorosa accoglienza ai pellegrini che sono sempre più andati crescendo nel corso degli anni. Nel 1987 il Beato Giovanni Paolo II ha visitato il santuario. Il culto si diffuse ovviamente in tutta la Daunia, raggiungendo anche la cittadina di Apricena. Nel 1218 qui era già presente il culto dell'Incoronata. Nel 1868 la statua dell'Incoronata ha mosso gli occhi.Il prodigio è ancora attestato nel 1908.

16. Cfr. 2 Re 5,3; Is 24, 2; Sal 123, 2; Prov 30,23, 1 Re 2,12-20; Ger 13,18. La Regina aveva potere d’intercessione, come Maria SS. a Cana. Nel NT Maria SS. appare come Regina Madre in Mt 2,11, dove è strettamente associata al Messia Re adorato dai Magi, anzi è il Suo trono.

17. Con i rispettivi retroterra veterotestamentari. Importanti sono anche le figure regali femminili dell’AT che trovano compimento in Maria SS: Eva, Sara, Rebecca, Lia, Ester.

18. Penso a Santa Brigida, la Beata Caterina Emmerich, la Venerabile Maria d’Agreda, San Pio da Pietrelcina, tra i mistici; San Bernardo, Sant’Agostino, San Luigi Grignon di Montfort, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Massimiliano Kolbe, San Tommaso d’Aquino, tra gli scrittori sacri.

19. Festeggiata il 24 maggio e venerata da San Giovanni Bosco, cui apparve.

20. Il culto della Beata Vergine Maria del Soccorso o Succurre Miseris nacque a Palermo nel 1306, in seguito all'apparizione della Vergine al padre agostiniano Nicola La Bruna. Il monaco, affetto da male incurabile e ormai in fin di vita, fu guarito dalla Madonna, che in cambio gli chiese di diffondere la notizia del miracolo e di farla invocare col nome di Madre del Soccorso. Da quel momento gli Agostiniani diffusero il culto della Madonna del Soccorso in tutta Italia. Il centro più significativo è San Severo di Puglia, che è stato visitato anche dal Beato Giovanni Paolo II nel 1987.

21. San Pio da Pietrelcina pregando continuamente il Rosario mostrava che tutte le grazie egli le otteneva mediante Maria. San Leonardo da Porto Maurizio attestava che la predicazione su Maria faceva breccia sempre e in ogni caso sui peccatori. San Francesco Saverio testimoniava che la predicazione della Croce ai pagani avveniva con successo quando vi era associata Maria. Santa Teresa d’Avila attesta che la strada del perfezionamento interiore avviene sotto l’egida di Maria. In genere le più alte esperienze mistiche, come le nozze spirituali, la stimmatizzazione e la consumazione d’amore nella Trinità avvengono con l’assistenza della Vergine. Così fu per Santa Caterina da Siena, Santa Veronica Giuliani, Santa Gemma Galgani, San Pio da Pietrelcina. A questo si può riconnettere la definizione di Onnipotenza supplice per Maria SS., Che può ottenere tutto con la preghiera. La visione di San Gregorio Magno al Castel Sant’Angelo per la cessazione della peste, quella della Beata Anna Maria Taigi nel 1812 del globo tra le fiamme salvato da Maria attestano misticamente questa dottrina.

22. San Pio, San Luigi Grignon, Santa Margherita Maria Alacoque, San Gaetano da Thiene sostennero sostanzialmente il primato mariano nella produzione delle grazie. Innumerevoli forme di pietà dei Santi attestano questa convinzione. Alcune apparizioni mariane, come quella di Rue du Bac, sono un rinforzo di questa teologia, come quando Maria SS. lamenta di avere le mani piene di grazie che gli uomini non le chiedono; lo stesso potrebbe dirsi di Lourdes. Ricordiamo le apparizioni di Amsterdam in cui la Vergine chiede la definizione dogmatica della Mediazione e della Corredenzione.

23. Ripresa da San Bernardino e poi confermata con parole diverse dal ven. Paolo VI.

24. Il titolo Porta del Cielo è legato a formulazioni e convinzioni antiche: di Sant’Agostino – che diceva che i Predestinati sono tutti racchiusi nel seno di Maria – di San Bonaventura, di Sant’Alfonso. A questo titolo si riconduce quello di Rifugio dei peccatori. Santa Gertrude la Grande, Sant’Ignazio di Antiochia, Sant’Efrem Siro, Sant’Agostino, San Giovanni Crisostomo, San Giovanni Damasceno, San Pier Damiani, San Bernardo, San Bonaventura, San Luigi Maria Grignon de Montfort, San Paolo della Croce, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Leonardo da Porto Maurizio, San Giovanni Maria Vianney, Sant’Alfonso Maria Claret, San Camillo de’ Lellis, San Massimiliano Kolbe sostengono questa dottrina, sottolineando come Maria contribuisca decisivamente alla salvezza di chi dovrebbe spesso dannarsi. Nella tematica mediazionista la Madonna appare come sola Regina di Misericordia che non deve occuparsi della Giustizia come anche deve il Figlio.

25. La dottrina in questione è sostenuta da Santa Brigida di Svezia attraverso la divulgazione delle sue Rivelazioni, da San Pier Damiani, San Bernardino da Siena, il Beato Alano de la Roche, San Francesco di Sales, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Santa Teresa di Lisieux.

26. La Mediazione Universale venne sostenuta da San Bernardo, San Bonaventura, San Luigi Grignon di Montfort, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.

27. La Devozione alla Madonna. Vita mariana alla scuola dei Santi, Napoli 1975

28. Si confrontino a tal proposito Efrem Siro, Cirillo di Alessandria, Giovanni Damasceno, Bernardo di Chiaravalle, Alfonso de’ Liguori e Massimiliano Maria Kolbe.

29. Massimiliano Kolbe, Margherita Alacoque, Veronica Giuliani, Bertilla Boscardin, Alfonso de’ Liguori, Paolo della Croce, Gemma Galgani, Giuseppe da Copertino, Pio da Pietrelcina, Vincenzo Pallotti, Bernadette Soubirous, Gabriele dell’Addolorata, Stefano Bellesini ne sono alcuni esempi.

30. In ragione di ciò, la devozione al Nome SS. di Maria, sul modello di quella al Nome di Gesù, altro non è che la devozione al mistero della Persona della Vergine Madre, e va caldeggiata e praticata. Allo stesso modo, la devozione ai vari Nomi di Maria – Immacolata, Assunta, Incoronata, Addolorata ecc.- è verso la Persona della Vergine che in ognuno dei misteri corrispondenti viene autenticamente proposto alla venerazione dei fedeli.

31. I Libri Sapienziali usano spesso l’artificio retorico di far parlare la Sapienza divina; altre volte essa è concepita come una creatura sussistente, inferiore solo a Dio. La Tradizione della Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ha riconosciuto in questa creatura magnifica una figura della Vergine, e ha attribuito a Lei le parole pronunziate in profezia. In effetti, se la Sapienza veterotestamentaria prepara la Rivelazione di quella del NT, ossia il Verbo, sebbene la prima sia creata e il secondo sia generato dal Padre, a maggior ragione la Chiesa riconosce in essa la Madre del Verbo. Anche Lei infatti è la Sapienza, solo che – più conformemente all’AT – Ella è creata, mentre la Sapienza Divina è increata, anche se poi si incarnò in Lei. Sotto certi aspetti, la letteratura sapienziale del VT si realizza più in Maria SS. che in Gesù, del Quale non preconizza la Divinità, né l’Incarnazione.

32. Costantemente salutata come Tutta Santa, Santa o Santissima, Beata o Beatissima, Augusta nella liturgia, nel magistero e nella pietà, la Vergine non è stata ancora onorata di una definizione dogmatica in tal senso, sebbene la dottrina sia rivelata e definita tale dal supremo magistero ordinario. Così infatti il Concilio di Trento che, il 13 gennaio 1547, nella sua VI sessione, dichiarò che Maria era immune da ogni colpa, anche minima. Auspico una definizione solenne del Dogma della Perfetta Santità di Maria.

33. Il dogma della Perpetua Verginità di Maria è altomedievale: il Concilio generale del Laterano, convocato da s. Martino I m. nel 649, definì questo dogma, in polemica con ogni interpretazione docetistica della dottrina tradizionale, mettendo in evidenza che la verginità di Maria rimase intatta in modo tanto reale quanto lo fu il suo parto. Riprendeva così un insegnamento di papa sant’Ormisda (514-523), e apriva un dibattito sulla possibilità di conciliare, in modo razionale, la virginitas in partu e il parto stesso. In effetti, già sant’lldefonso di Toledo (†667) scrisse un trattato sulla verginità perpetua di Maria. Ratramno di Corbie (†875 ca) prese la penna contro il neo-docetismo tedesco, come del resto anche Pascasio Radberto (†865), per difendere questa dottrina. Ma la questione era sempre la stessa: come aveva conservato Maria la verginità fisica, se aveva partorito normalmente? Non potendosi accettare le posizioni docetistiche sulla nascita di Gesù, che la volevano accaduta in modo anche solo parzialmente incorporeo, i teologi esploravano ogni possibilità, dalla compenetrazione dei corpi a quant'altro, ma senza mai trovare qualcosa di soddisfacente. Fu san Tommaso d'Aquino a tagliar corto, attribuendo all'onnipotenza divina un fatto assolutamente inspiegabile per qualsiasi filosofìa.

34. Insegnato già dal Concilio Costantinopolitano I del 381 con la formula Incarnatus est de Spiritu Sancto et Maria Virgine, aggiunta al Credo Niceno, il dogma della Maternità divina è stato poi ripreso dal Concilio di Calcedonia (451) ed è stato ed è continuamente ed unanimemente professato dalla Chiesa e dai cristiani separati.

35. Fu Paolo VI nel 1964 a proclamare Maria Madre della Chiesa davanti al Concilio Vaticano II, che nella Lumen Gentium nn. 53.54.61.62.63.65.67 aveva enunciato la dottrina corrispondente, senza usare il titolo. La proclamazione è stata ripetuta ancor più solennemente da papa Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptoris Mater. La dottrina è in effetti antichissima, essendo stata sostenuta per esempio da Clemente di Alessandria, da Sant’Epifanio, da Severiano di Gabala, da Teodoro di Ancira, da Proclo di Costantinopoli, da Isacco della Stella. In tempi recenti, la dottrina è stata costantemente affermata dai Papi, da Gregorio XVI (1831-1846) in poi, tra cui san Pio X ha dato delle indicazioni dogmatiche precise, chiarendo il nesso tra Cristo, Maria e la Chiesa. Purtroppo, la proclamazione montiniana fu oggetto di polemiche, ora sopite. Un giorno anche questo titolo meriterà una ancora più solenne attribuzione, con dei canoni dogmatici. Una menzione particolare merita la funzione materna di Maria verso il Papa, Vicario in terra del Suo Figlio: il titolo di Madre del Papa fu adoperato da Giovanni XXIII (1958-1963).

36. Ancora sant’Ireneo, riprendendo da san Giustino, è il primo a dare a Maria la funzione materna verso di noi. Sant’Epifanio, sant’Ambrogio, sant’Agostino, san Pier Crisologo le attribuiscono tale maternità. Testimonianze in tal senso si rintracciano anche in Leandro di Siviglia, Ambrogio Autperto, san Germano di Costantinopoli, Giorgio di Nicomedia, Giovanni il Geometra, Goffredo di Vendôme, in tutti gli Scolastici da sant’Anselmo in poi, in san Bernardo, oltre che nella Liturgia di tutte le epoche. Il magistero ha enunciato con sicurezza tale dottrina, da Pio IX a Giovanni Paolo II, che l’ha espressa nell’Enc. Redemptoris Mater.

37. Una menzione speciale merita il rapporto tra Maria SS. e l’Eucarestia, che rende sempre attuale il Sacrificio di Cristo. La Vergine è chiamata Nostra Signora del SS. Sacramento. Storicamente presente all’Ultima Cena, Maria vi è legata da una ricca teologia biblica. La Tradizione patristica attesta il legame tra la Madre di Dio e l’Eucarestia (Abercio, Efrem, Proclo). San Bonaventura afferma che come il Corpo fisico di Cristo ci venne da Maria, così quello sacramentale viene dalle Sue mani. In genere, si sosteneva che la Vergine ha un concorso remoto e prossimo nel Sacramento eucaristico: il primo perché il Verbo si incarnò in Lei e perché accettando tale Incarnazione Ella acconsentì almeno implicitamente all’Eucarestia in cui lo stesso Verbo sarebbe stato sostanzialmente presente; il secondo perché la Madre di Dio è nell’ordine delle cause finali dell’Eucarestia (in quanto anche Lei ne fu santificata) e perché il Suo merito di Corredentrice è congruente con il merito di Cristo, comunicato dal Sacramento e contenente in sé, come sua fonte, anche quello materno. Oggi si sottolinea la presenza di Maria nell’economia salvifica ricapitolata dall’Eucarestia, il Suo essere modello di comunione allo stesso Sacramento, il legame di questo con la Maternità Verginale. Papa Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptoris Mater evidenzia come Maria SS. guidi i fedeli all’Eucarestia.

38. Anch’esse in numero di sette, sono perciò degne di venerazione come sempre la Tradizione ha affermato.

39. E’ il dogma più recente, la cui formulazione si deve al ven. Pio XII, nel 1950, con la bolla Munifìcentissimus Deus. Professata dalla Chiesa giudeo-cristiana dal II sec., di questa dottrina abbiamo le attestazioni più antiche nella Grande Chiesa tra il IV e il V secolo. Sant’Efrem afferma che il corpo di Maria, in quanto verginale, non ha subito corruzione dopo la morte. Evidentemente, nella mente del dottore appariva strano immaginare che Dio preservasse Sua Madre dalla unione carnale e non dalla corruzione del sepolcro, tanto più che la prima era nell'ordine delle cose anche anteriore al Peccato Originale, mentre la seconda no; in ogni caso, per Efrem l'illibatezza era segno e preludio di una intangibilità più radicale, ontologica: quella della corporeità, espressa in modo assoluto dall'assenza di decomposizione. Tale teologia è, ovviamente, una di tutte quelle che inesorabilmente hanno portato alla definizione dogmatica. Timoteo di Gerusalemme, invece, in modo meno sottile ma più radicale, afferma che la Madonna è rimasta immortale ed è stata assunta in Cielo. La sua teologia è identica a quella del dogma. Il fatto poi che il dottore neghi la Dormitio non tocca un punto dottrinale definito, in quanto non è di fede che la Madonna sia morta, anche se ciò appare logico. Sant’Epifanio di Salamina afferma invece che la Madonna quasi certamente possiede già il Regno celeste con la carne. Egli, quindi, più che dare una definizione teologica, comunica una notizia. L'Anonimo degli Obsequia B. Virginis, il cui originale è in siriaco, ribadisce lo stesso concetto, affermando che il corpo di Maria si è riunito all'anima subito dopo la morte. A queste testimonianze patristiche vanno aggiunte quelle degli apocrifi che, descrivendo la fine della vita di Maria, accreditano la versione della glorificazione postuma della Vergine. Non a caso i più antichi apocrifi assunzionisti risalgono addirittura a tempi precedenti: i documenti più antichi (II - III sec.), ebioniti, fanno morire Maria a Magdalìa, presso Gerusalemme, e la danno sepolta nel Gethsemani. Tale tradizione sepolcrale è confermata dai testi giovanniti del IV-V sec. e da quelli bizantini del V, che invece discordano sul fatto - secondario - del luogo della morte. Nel VI sec., la diffusione della festa dell'Assunta tra greci, copti, abissini favorì la crescita della fede in questo privilegio mariano, e anche questo è un momento fondamentale per la formazione del dogma: lex orandi, lex credendi, si dice, e infatti la festa non avrebbe avuto ragione di essere se non avesse rispecchiato un sentire profondo del popolo devoto. A livello di teologia culta, le opposizioni non scomparvero del tutto, ma in Oriente i nomi più illustri, sino al X sec., sono favorevoli all'Assunzione. In Occidente, invece, professarono agnosticismo in materia sant’Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile: le invasioni barbariche infatti causarono un regresso teologico e una difformità cultuale, che si ripercossero sulla riflessione dogmatica mariana. A Roma, infatti, dove la festa si celebrava dal VII sec., non vi fu alcuna voce di dissenso o di perplessità. Da lì, l'uso liturgico, col codazzo teologico, passò in Francia ed Inghilterra. Sullo scorcio dell'età carolingia, fu il Liber de Assumptione dello Pseudo-Agostino che fece da battistrada a una più universale forma di consenso. Coprendo col nome dell'Ipponense la dottrina assunzionista, l'anonimo autore attesta indirettamente che essa era ormai assai condivisa. Da allora, fu un consenso ininterrotto tra i grandi teologi: Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Bonaventura. Anche l'Oriente bizantino, dopo il 1000, è ancora più unanime nella fede assunzionista. Questo consenso teologico fu incrinato, in Occidente, dalla Riforma, ma non fermò il processo di approfondimento in campo cattolico, passato attraverso la teologia controversista della Controriforma, proseguito tra XVIII e XIX sec. con numerose petizioni per la definizione dogmatica, e culminato col dogma pacelliano. Il Papa preparò la definizione con una consultazione dell’Episcopato, con l’enciclica Deiparae Virginis del 1946, e ottenendo un consenso unanime alla sua iniziativa.

40. Fu Alcuino di York ad inserire il formulario votivo mariano del sabato nei sacramentari. Questa devozione liturgica non conobbe regressi, e nel XII sec. era universale. Già dall'età carolingia si diffonde l'officium correlato, il parvum de Beata , che fu una delle devozioni più comuni del Medioevo , e che si diffuse con le Crociate ancora di più, agganciandosi alla riforma monastica. Tuttavia l'eccessivo peso assunto dall'officium nelle devozioni spinse i Mendicanti, nel XIII sec., a limitare il suo uso, fino a quando s. Pio V, confermando la meritorietà dell'officium parvum, assieme a quello di Santa Maria in Sabato, li rese tuttavia facoltativi. Essi rimasero vincolanti per chi aveva certe devozioni private, come il parvum per gli adepti dello scapolare carmelitano. Il solito Giovanni Eudes (1601-1680) ne fu infaticabile apostolo.

41. Va detto che l'antichità non conservò un ritratto di Maria: "Neque enim novimus facies Virginis Mariae". Nonostante ciò la tradizione iconografica della Vergine è antichissima, e risale all'arte funeraria catacombale, con soggetti tratti dai Vangeli canonici e apocrifi, specie dell'infanzia. Questi temi influenzeranno l'arte posteriore, assieme a quelli legati alla definizione dogmatica di Efeso (431), quando inizia l’età aurea dell’iconografia mariana. Ai suoi tempi, Roma aveva già quattro grandi basiliche mariane: la Liberiana. Santa Maria Antiqua, Santa Maria Rotunda, Santa Maria in Trastevere, ognuna coi suoi tesori artistici. Il titolo di Sancta Maria è l'equivalente latino teologico del titolo Theotòkos - come attesta l'iscrizione dell'ambone di Santa Maria Antiqua: "Noviter fecit: + IOHANNES SERVUS S(an)C(t)AE MARIAE /IOANNOY ?OY?OY THS TEOTOKOY". In quanto ai soggetti catacombali, all’epoca di Efeso subiscono una variazione: la Vergine viene isolata, e in grembo a lei il Bambino sta come sul trono, con angeli e santi intorno. Troviamo questa tipologia per esempio alla catacomba di Commodilla, in un affresco del VI sec., o a S. Apollinare Nuovo a Ravenna. A partire da questo periodo, poi, l'iconografìa mariana compare anche sulle pareti absidali. Essa raggiunge l'apogeo a Santa Maria Maggiore: la Maternità divina, l'Adorazione dei Magi e quella di Afrodisio, l'Annunciazione, la Presentazione di Gesù rappresentano la Madonna come Basilissa, creando un modello che sarà ripreso in Santa Maria Antiqua, nell'arte benedettina (che la diffonderà ovunque) e in Santa Maria in Trastevere. L'iconoclastia orientale favorirà la diffusione dei tipi iconici occidentali (si pensi alla ripresa di questo modello in Santa Maria Antiqua nella cappella dei SS. Quirico e Giulitta e nel sacello di San Pietro voluti da Giovanni VII (705-707), e al mosaico del catino absidale di Santa Maria in Domnica, voluto da s. Pasquale I (817-824).

42. Del resto, sin dal V secolo, sono attestate invocazioni litaniche dei santi, che si allungano molto dall'VIII secolo, riservando alla Vergine alcune invocazioni. Diffuse dai monaci irlandesi, le litanie ebbero, attorno al 1000, svariati formulari, o in prosa o in rima. Dal XII sec. fioriscono litanie mariane autonome. Le veneziane sono attestate dal XII sec., come del resto le lauretane. Queste ultime riecheggiano la liturgia, la teologia, gli omiliari carolingi e persino autori remoti come Venanzio Fortunato, o Efrem Siro. Le magontine sono coeve, ma hanno una struttura più composita, m quanto comprendono deprecazioni, versetti, orazioni, rime ternarie e altro ancora. Le deprecatorie sono legate invece ad una struttura, e non ad un luogo: si basano infatti sulla richiesta d'intercessione. A partire da un manoscritto magontino del XII sec., se ne conoscono parecchie versioni fino al XV sec. Diffuse da ordini e confraternite, che introducevano le proprie litanie spesso in alternative ad antifone, tropari e laudi, queste forme di preghiera mariana conobbero una pluralità di tipi che perdurò fino alla Controriforma, quando, per estinguere gli abusi e prevenirli, i grandi riformatori imposero le lauretane, il cui successo era legato alla fioritura del santuario marchigiano. Esse passarono a concludere la recita del Rosario, anch'esso punto di arrivo di una complessa gestazione devozionale, ricca di spunti poetici, specie nelle numerose clausole aggiunte alla salutazione angelica dopo il nome "Jesus".

43. L'uso devozionale delle prime due parti dell'Ave risale addirittura al IV sec., in Oriente, e dal VI sec. lo troviamo anche in Occidente. L'uso penitenziale di recitare tutto il salterio a scopo penitenziale viene, tra l'VIII e il X sec., commutato, specie per gli analfabeti, in quello della recita di 150 Pater, validi anche per sopperire a penitenze fisiche. Di commutazione in commutazione, si arrivò alla recita di 150 Ave, o salterio mariano. Sostenuta dalla predicazione dei monaci irlandesi, la pia pratica superò l'anno mille, dopo il quale divenne fenomeno di massa.

44. In effetti, poche devozioni hanno avuto tanta rilevanza nella storia del costume come il Rosario: milioni di persone l'hanno recitato e lo recitano ogni giorno, o durante la settimana o il mese, e in genere nelle più svariate occasioni. Preghiera contemplativa per eccellenza, ha insegnato a milioni di persone una forma semplice ma soda di meditazione, e ha fatto da catechismo con la proposizione quasi visiva dei quadri misterici in successione. Su di esso inoltre si sono formate decine di altre corone devozionali, per duplicazione, e non solo mariane. Si tratta in effetti di un vero e proprio fenomeno sociologico mariano, capace di innestarsi in tutte le culture, e che anzi trova parecchi corrispettivi in altre religioni, come l'Islam e il buddismo, anch'essi coi loro rosari basati sull'ossessiva e cadenzata ripetizione di formule. Delle altre Corone ricordo quelle citate dei Sette Dolori e quella delle Lacrime della Vergine, nonché quella adoperata per la Pratica delle Mille Ave Maria come preparazione al Natale. Questa è stata iniziata da Santa Caterina da Bologna (1413-1463), e che per questo potè deliziarsi della visita di Maria e Gesù Bambino il 25 dicembre 1445. Una quarta corona è quella dei Dodici Privilegi di Maria, rivelata sempre dalla Madonna alla Serva di Dio Maria Costanza Zauli (1886-1954) nel 1924.

45. Al Rosario è legato il culto di uno dei titoli mariani più cari alla devozione, quello appunto di Maria SS. del Rosario, in particolare nella forma di Pompei. La memoria della Madonna del Rosario cade il 7 ottobre, voluta da Pio V per la vittoria di Lepanto, attribuita all’intercessione della Vergine, in quel giorno del 1571. Il Santuario fu iniziato nel 1876 dal Beato Bartolo Longo che già nel 1875 aveva trasportato nella valle di Pompei il quadro della Vergine del Rosario, per avviare l’evangelizzazione e la promozione umana dell’area pompeiana. Il tempio fu consacrato nel 1891, dopo che Leone XIII lo aveva riconosciuto come santuario. Lo stesso Papa rese il santuario di diritto pontificio. Le innumerevoli opere caritative sorte intorno ad esso furono donate dal Longo a Pio X nel 1906. Giovanni Paolo II nel 1978 e nel 2003 Benedetto XVI nel 2008 visitarono il Santuario. Il primo affacciandosi alla Loggia centrale adempì una profezia del Longo. Il secondo donò al Santuario la Rosa d’Oro. Le devozioni tipiche alla Madonna di Pompei sono la Novena per impetrare grazie nei casi disperati, la Novena di ringraziamento, la Supplica per l’8 maggio e la prima domenica di ottobre. Le opere di carità sono per i Pompeiani, gli orfani, i carcerati e gli operai.

46. Tra i Santi citiamo San Leonardo da Porto Maurizio, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Sant’Antonio Maria Claret, San Massimiliano Maria Kolbe, San Pio da Pietrelcina, il Servo di Dio Dolindo Ruotolo.

47. Già dal 1197 i Concili provinciali invitano a recitare le Ave in certi momenti della giornata. Dal 1263 i Minori, guidati da Bonaventura, nel loro Capitolo generale, iniziano a salutare la Vergine a compieta con più Ave : è una duplicazione mariologica dell'Ufficio delle Ore, e la scelta della sera come primo momento rivela un bisogno collettivo di protezione materna, da parte di adulti senza affetti privati, alle soglie della notte, che sempre fa paura all'uomo. Da quest'iniziativa, l'Angelus primordiale si diffonde in parrocchie e abbazie. La concessione dell'indulgenza a questa pia pratica da parte di Giovanni XXII (1316-1334), e la sua volontà di introdurla in Roma, attestano nel '300 la diffusione della devozione, sostenuta da vescovi e prelati. In quanto poi all'Angelus mattutino, l'uso rimonta alla Congregazione cassinese (1285-1288), e si diffonde pienamente nel XIV sec. Puntualmente, arrivò l'indulgenza, da Bonifacio IX (1389-1405). Nel XIV sec., l'Angelus mattutino si era generalizzato. Ibrido tra i due usi, nasce poi l'Angelus del mezzogiorno, per esplicita volontà di Callisto III (1455-1458), in preparazione della Crociata, con la bolla Cum his superioribus annis (1455). I Francesi, tutt'altro che favorevoli alla sconfitta dei Turchi, preferirono recitare la preghiera solo per la pace. Tale uso fu approvato e indulgenziato da Sisto IV, nel 1476. Fu invece Alessandro VI, nipote di Callisto, che nel 1500 rinnovò il precetto dello zio. Infine, Leone X (1513-1521), per la sua devozione mariana, estese il precetto dell'Angelus meridiano. Per cui, alle soglie dell'età moderna, l'Angelus si era definito.

48. Nel rito costantinopolitano c'è infatti un mese dedicato alla Madonna, costruito attorno alla festa dell'Assunta. I primi quattordici giorni sono preparatori alla festa, la cosiddetta Piccola Quaresima della Madonna, comune anche alle Chiese precalcedonesi, mentre i successivi quindici sono un prolungamento festivo. Il rito alessandrino conosce un uso analogo, ma in un periodo dell'anno diverso, quello natalizio: attorno a quelle liturgie sorge l'uso del mese di kîahk. In Occidente, la cristianizzazione dei riti primaverili di fecondità comportò la nascita della devozione di maggio. Già Alfonso X il Saggio, re di Castiglia (1221-1284), e il b. Enrico Suso (†1336) promossero un culto mariano stagionale. Il mese di maggio si affermò poi in età barocca, si consolidò tra Seicento e Settecento ed ebbe ulteriori sviluppi nell’Ottocento, con le indulgenze di Pio VII (1815), Gregorio XVI (1833) e del B. Pio IX (1859), favorito dalla definizione del dogma dell’Immacolata (1854). I Papi del XX sec. raccomandarono tutti il mese mariano di maggio. Il mese di ottobre alla Madonna del Rosario è praticamente nato nell’Ottocento attorno alla festa del 7, fortemente sostenuto da Leone XIII (1878-1903). Il mese di settembre all’Addolorata, anch’esso ottocentesco, è stato diffuso dai Servi di Maria.

49. Nei dettagli, la consacrazione, nel caso di Maria, aveva origini antichissime, e si sviluppò florida dal Medioevo, attraverso una vasta gamma di tipologie. Ci fu per esempio l'affidamento collettivo, documentato per la prima volta per Costantinopoli, che attribuì alla Vergine la difesa e il successo contro tutti i nemici. Ci fu la professione di servizio all'ancilla Domini, inventata da Sant’Ildefonso di Toledo (†667). Ci fu la più impegnativa forma di consacrazione, inaugurata da San Giovanni Damasceno (†749). Squisitamente feudale fu la commendatio alla Vergine, praticata da Sant’Odilone di Cluny (†1049), da Eusebio di Angers (†1081), da Sant’Anselmo di Lucca (†1086), da Matilde di Canossa, da Sant’Anselmo d'Aosta (†1109). Nel XIII sec., l'ordine dei Serviti si propone la deditio alla Vergine, per riceverne la tuitio . Anche questa forma di consacrazione è propriamente medievale. La cultura cavalleresca favorì la consacrazione mariana, specie negli ordini monastico-militari. In questo contesto, particolare appare lo spirito carmelitano. La consacrazione fu tipica di quest'ordine. Gli eremiti del Carmelo che nel XIII sec. consacrarono la loro chiesetta alla Vergine, fecero con ciò una scelta spirituale netta, una traditio personarum a favore della loro protettrice. Ma Arnaldo di Bustio, scrivendo nel 1479 il De Patronatu et Patrocinio, presentò la Vergine come patrona, ma anche come sorella e madre, sganciandola così dal modulo giuridico-feudale. Consideriamo anche la oblatio delle Congregazioni mariane del XVI sec., che perdura fino al XX sec., quando è sostituita dapprima dalla consecratio (1910) e poi dall’amore filiale (1968). E’ invece dalla fine del XVI sec. che si comincia a parlare di santa schiavitù verso Maria, ad opera di varie Congregazioni, dette appunto di schiavitù, fino al XVII sec. Nonostante abusi debitamente condannati, la schiavitù fu propagata correttamente da Bérulle, Boudon (1624-1702) e Grignon de Montfort. San Giovanni Eudes invece presentò la consacrazione come un trattato di alleanza con Maria. Il Montfort la presentò, nella sua elaborazione più personale, come una consacrazione a Cristo di cui Maria era il tramite. Tra Ottocento e Novecento fiorisce la consacrazione all’Immacolata, il cui maggiore apostolo è San Massimiliano Kolbe, che si definisce cosa e strumento, proprietà e possesso di Maria, allo scopo di conquistarLe il mondo, imponendo agli ascritti alla Milizia dell’Immacolata la formula consacratoria da lui composta. Teresa di Lisieux propose la formula consacratoria di sé come olocausto a Dio dell’amore misericordioso di Maria. Un’ultima formula consacratoria è quella totale e totalizzante, come strumento di rinnovamento morale e spirituale dei singoli e della Chiesa, proposta e vissuta dal Beato Giovanni Paolo II, il cui motto era Totus Tuus ego sum, e nel cui stemma vi era una grande M.

50. Il culto mariano carmelitano affonda le sue radici nell’AT; infatti il profeta Elia (IX sec. a.C.) dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità. In quella nube piccola “come una mano d’uomo” tutti i mistici cristiani e gli esegeti, hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo. Già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti; verso il 93 un gruppo di essi che si chiamarono poi ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia. Nella seconda metà del sec. XII giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle crociate del secolo; essi si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine. Il patriarca di Gerusalemme sant’Alberto Avogadro (1206-1214) dettò una ‘Regola di vita’, approvata nel 1226 da papa Onorio III. Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i Carmelitani fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri, diffondendo il culto di Colei a Cui “è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron” (Is 35,2). Alla Madonna del Carmine, come è anche chiamata, sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto, essa per la promessa fatta con lo scapolare, è onorata anche come “Madonna del Suffragio”.

51. San Juan Diego vide per la prima volta la Madonna la mattina del 9 dicembre 1531. Ella gli chiese di far erigere un tempio in suo onore ai piedi del colle: Juan Diego corse a riferire il fatto al vescovo Juan de Zumarrága, ma questi non gli credette. La sera, ripassando sul Tepeyac, il Santo vide per la seconda volta Maria, che gli ordinò di tornare dal vescovo l'indomani. Zumarrága lo ascoltò di nuovo e gli chiese un segno. Il veggente tornò quindi sul Tepeyac e vide per la terza volta Maria, che promise un segno per l'indomani. Il giorno dopo, però, Juan Diego non poté recarsi sul luogo delle apparizioni in quanto dovette assistere un suo zio, gravemente malato. La mattina dopo, 12 dicembre, lo zio appariva moribondo e il Santo uscì in cerca di un sacerdote che lo confessasse. Ma Maria gli apparve ugualmente, per la quarta e ultima volta, lungo la strada: gli disse che suo zio era già guarito e lo invitò a salire di nuovo sul colle a cogliere dei fiori. Qui Juan Diego trovò il segno promesso: dei bellissimi fiori di Castiglia, fioriti fuori stagione in una desolata pietraia. Egli ne raccolse un mazzo nel proprio mantello e andò a portarli al vescovo. Di fronte a questi e ad altre sette persone presenti, il Santo aprì il mantello per mostrare i fiori: ed ecco, all’istante sulla tilma comparve l'immagine della santa Vergine Maria, circondata dai raggi del sole, con la luna sotto ai piedi e una cintura di colore viola che, tra gli aztechi, indicava lo stato di gravidanza; sotto la luna vi è un Angelo dalle ali colorate di bianco, rosso e verde (i colori dell'attuale bandiera messicana), che sorregge la Vergine. Di fronte a tale prodigio, il vescovo cadde in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina dopo Juan Diego accompagnò il presule al Tepeyac, per indicargli il luogo in cui la Madonna aveva chiesto Le fosse innalzato un tempio e l'immagine venne subito collocata nella cattedrale. A causa della sua origine miracolosa, l'immagine della Madonna di Guadalupe è detta immagine acheropita ("non fatta da mano umana"). La sua fama si sparse rapidamente anche al di fuori del Messico: nel 1571 l'ammiraglio Gianandrea Doria ne portò con sé una copia, dono del re Filippo II di Spagna, sulla propria nave nella battaglia di Lepanto. Negli anni venti del XX secolo i Cristeros, contadini messicani ribelli contro il governo anticlericale, portavano in battaglia l'immagine della Virgen morenita sulle proprie bandiere. Già nel 1666 la tilma fu esaminata da un gruppo di pittori e di medici per verificarne la natura miracolosa: essi asserirono che era impossibile che l'immagine, così nitida, fosse stata dipinta sulla tela senza alcuna preparazione di fondo, e inoltre nei centotrentacinque anni trascorsi dall'apparizione, nell'ambiente caldo e umido in cui era conservata, essa avrebbe dovuto distruggersi. Nel 1788, per provare sperimentalmente questo fatto, venne eseguita una copia sullo stesso tipo di tessuto: esposta sull'altare del santuario, già dopo soli otto anni era rovinata. Al contrario l'immagine originale, dopo quasi 500 anni, è ancora sostanzialmente intatta. Nel 1936 il chimico Richard Kuhn esaminò due fili del tessuto, non trovandovi alcuna traccia di coloranti. Nel 1979 Philip Serna Callahan scattò una serie di fotografie all'infrarosso. L'esame di queste foto rivelò che, mentre alcune parti dell'immagine erano dipinte (potrebbero essere state aggiunte in un secondo momento), la figura di Maria era impressa direttamente sulle fibre del tessuto; solo le dita delle mani apparivano ritoccate per ridurne la lunghezza. Nel 1951 il fotografo José Carlos Salinas Chávez dichiarò che in entrambe le pupille di Maria, fortemente ingrandite, si vedeva riflessa la testa di Juan Diego. Nel 1977 l'ingegnere peruviano José Aste Tonsmann analizzò al computer le fotografie ingrandite 2500 volte e affermò che si vedono ben cinque figure: Juan Diego nell'atto di aprire il proprio mantello, il vescovo Juan de Zumárraga, due altri uomini (uno dei quali sarebbe quello originariamente identificato come Juan Diego) e una donna. Al centro delle pupille si vede inoltre un'altra scena, più piccola, anche questa con diversi personaggi. Questo fenomeno è pari a quello che avviene in ogni iride di una persona prima di morire. La Vergine ha lasciato la Sua immagine inerte e quindi


Theorèin - Maggio 2013