LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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IN EVANGELIUM SANCTI LUCAE

Breve introduzione al Vangelo secondo Luca

Il Terzo Vangelo è attribuito da sempre e senza alcun dubbio a Luca, discepolo di Paolo. E’ un Vangelo raffinato, complesso, affascinante, importante e concepito come il Primo di una serie di volumi sulle origini cristiane che però si arrestò al Secondo, ossia agli Atti, palesemente incompleti ma uniti saldamente con nessi letterari, stilistici e contenutistici, al Vangelo stesso. Il simbolo dell’Evangelista è il Bue, perché il suo racconto si apre con l’Annunciazione del Battista, nel Tempio, dove si immolavano sacrifici animali in onore di Dio. Il Vangelo, per la cui datazione rimando a quanto detto nel capitolo apposito, è generalmente considerato il Terzo anche in ordine cronologico né vi sono valide ragioni per ritenere diversamente, in quanto gli elementi arcaici sono addebitabili all’uso delle fonti e non alla precocità della composizione. Come ho detto, la datazione del 61-63 può essere innalzata abbastanza, e quella dell’80-90 è assolutamente infondata e falsa, nonostante il credito di cui gode.

L’AUTORE

Le fonti sulla vita dell’evangelista Luca sono gli Atti degli Apostoli, scritti da lui stesso, le Lettere di San Paolo e la Tradizione apostolica che lo riguarda risalente al II sec. e attestata da diversi scritti, compresi degli Atti apocrifi dedicati a lui. In alcuni codici il suo nome è Lucano o Luciano, per cui Luca potrebbe esserne una abbreviazione. Si ritiene che non fosse giudeo, ma pagano, come attesta Col 4,10-11.14, dove l’Evangelista è esplicitamente distinto dai fedeli provenienti dalla Circoncisione. La sua conversione al Cristianesimo avvenne attorno al 43 e si dovette ai primi predicatori operanti in Antiochia, di cui Eusebio ci dice che fu la sua patria. Alcuni affermano che fosse del numero dei Settantadue discepoli: questa tesi, di solito non considerata vera, implicherebbe sia che la sua conversione fosse più antica sia che fosse ebreo, notizie che entrambe non sembrano avere fondamento alcuno. Non fu convertito da Paolo, sebbene fosse un suo stretto collaboratore. Fu medico, come attesta Col 4,14, e come dimostrano le esatte conoscenze anatomiche e patologiche che ogni tanto esibisce nel Vangelo (4,38; 8,43) e negli Atti (13,11). Ebbe vasta cultura. Nelle sezioni degli Atti degli Apostoli dove Luca parla in prima persona plurale per sé, Paolo e i loro compagni di viaggio (16, 10-17; 20,5-15; 21,1-18; 27,1-29 ecc.) abbiamo testimonianze interessantissime sulla sua attività apostolica: l’Evangelista è con l’Apostolo delle Genti nel Secondo Viaggio Missionario, attraverso la Troade (16,10); lo accompagna quindi in Macedonia (16,12); rimane a Filippi dopo la partenza di Paolo e Sila (16,19-40), per cui non è più narratore intradiegetico. Ricompare come narratore che ha vissuto in prima persona quanto va dicendo dal momento in cui Paolo con lui si reca a Gerusalemme (21,1 ss.) e assiste al suo arresto ed è presente quando è tradotto a Cesarea (21,18-26,32). Non sappiamo se soggiornò con lui due anni in quella città, ma lo accompagnò nel Quarto Viaggio, che tra tanti pericoli lo condusse a Pozzuoli e a Roma (27,2-28,29). Rimase con l’Apostolo quando fu prigioniero in attesa del giudizio di Nerone (Col 4,14; Filem 24). A questa Prima Prigionia romana di Paolo si riferisce anche 2 Tim 4,11, in base alla cronologia da me adottata, sebbene di solito tale passo sia addotto come prova del fatto che Luca raggiungesse Paolo anche nella Seconda Prigionia presso Cesare. Epifanio (310-403) narra che quando non seguì Paolo e dopo la sua morte, Luca predicò in Dalmazia (dove c'è una tradizione in tal senso), Gallia (o Galazia se ci fu errore di copia), Italia e Macedonia.

Gli autori antichi (Clemente, Ireneo [130-202], Origene [182-254], Eusebio [263-339], Girolamo) non parlano del suo martirio. Tuttavia il loro silenzio non è una prova assoluta del fatto che Luca non sia stato martirizzato, come spesso si pretende. Il Prologo Antimarcionita (II sec.), coevo di Ireneo e di poco antecedente a Clemente e a Origene, nonché anteriore di molto a Eusebio e Girolamo, fa di Luca un martire a Tebe in Beozia, a ottantaquattro anni di età. Nessuno può affermare che il Prologo, integrato nel IV sec., sia stato modificato anche nella parte che parla della fine del III Evangelista. Giulio Africano (160/170-240) nella Praefatio Lucae ci dice che l’Evangelista, vissuto sempre celibe, avendo scritto il Vangelo in Acaia, morì in Bitinia, senza precisare se sia stato martirizzato; la notizia è ripresa da Girolamo. Ma la Bitinia potrebbe essere entrata in gioco per un errore di copista al posto della Beozia. Al martirio di Luca allude Gregorio di Nazianzo (335-394). Elia di Creta (secc. XI-XII), commentando Gregorio, afferma che Luca soffrì per il Vangelo come Giovanni, quindi senza il martirio cruento. Gaudenzio di Brescia (†dopo il 406) lo fa morire a Patrasso come Andrea, alludendo al suo martirio. Girolamo gli attribuisce ottantaquattro anni di vita (1)e Niceforo (XIV sec.) lo fa morire nell’80. Girolamo scrive di lui: “Sepultus est Costantinopoli , ad quam urbem Vigesimo Constantii anno, Ossa ejus cum reliquiis Andreae Apostoli translata sunt (2).” Tirando le somme, possiamo affermare che, privilegiando le fonti più antiche, Luca sia morto martire, che il luogo del martirio fu la Beozia, e che l’età del suo supplizio fu quella di Domiziano (81-96), quando presumibilmente l’Evangelista raggiunse l’età tradizionale della sua morte, appunto ottantaquattro anni, ponendo la sua nascita in un lasso di tempo che vada dall’anno 0 al 10. Tradizionalmente si crede che Luca sia stato ucciso appendendolo ad un ulivo (3). Recentemente i suoi resti mortali, traslati da Tebe a Costantinopoli e poi a Padova, sono stati sottoposti ad una ricognizione scientifica che ne ha confermato l’autenticità (2004).

STRUTTURA

Il Vangelo lucano è così divisibile:

  1. Prologo (1,1-4). Contiene lo scopo e l’indirizzo del Libro.
  2. Prima Parte. Contiene l’Infanzia e la Giovinezza di Gesù (1,5-4,13), e più precisamente:
  1. L’Annunciazione del Battista (1,5-25).
  2. L’Annunciazione dell’Angelo a Maria (1,26-38).
  3. La Visita di Maria a Santa Elisabetta (1,39-56).
  4. La Nascita di Giovanni (1,57-80).
  5. La Nascita di Gesù (2,1-20).
  6. La Circoncisione e la Presentazione al Tempio (2,21-40).
  7. Gesù tra i Dottori (2,51-52).
  8. La Vita di Gesù a Nazareth (2,51-52).
  9. La Predicazione del Battista (3,1-20).
  10. Il Battesimo di Gesù (3,21 ss.).
  11. Le Tentazioni nel Deserto di Gesù (4,1-13).
2) La Seconda Parte verte sul Ministero di Gesù in Galilea (4,14-9,50). Nel dettaglio abbiamo:
  1. Gesù Maestro e Medico (4,14-5,16);
  2. Il Conflitto tra Gesù e i Farisei perché Egli rimette i peccati, mangia coi peccatori e non osserva il Sabato (5,17-6,11).
  3. L’Avvento del Nuovo Regno con l’Elezione degli Apostoli e le Beatitudini nel quadro di un grande Discorso (6,12-49).
  4. Miracoli e parabole (7,1-8,56).
  5. Missione degli Apostoli e Moltiplicazione dei Pani. Confessione di Pietro. Trasfigurazione. Lezioni di umiltà (9,1-50).
3) La Terza Parte riguarda il Viaggio a Gerusalemme (9,51-21,38). Si costituisce dei seguenti episodi:
  1. Gesù rifiutato dai Samaritani (9,51-62).
  2. Missione dei Settantadue Discepoli. Il Buon Samaritano. Marta e Maria (10,1- 42).
  3. Il Pater Noster. Il Segno di Giona. Le maledizioni agli Scribi e ai Farisei (11,1-54).
  4. Le condizioni del discepolato espresse in Parabole (12,1-19,27).
  5. Ingresso in Gerusalemme. I profanatori scacciati dal Tempio. Ultime dispute con gli avversari (19,28-21,4).
  6. Discorso Escatologico (21,5-38).
4) La Quarta Parte narra la Passione, la Morte e la Resurrezione e l’Ascensione (22,1- 24,53). Distinguiamo in essa:
  1. Il Patto di Giuda col Sinedrio. L’Ultima Cena. Il Gethsemani. La Cattura. I processi e la Condanna (22,1-23,25).
  2. La Crocifissione, la Morte e la Sepoltura di Gesù (23,26-56).
  3. La Resurrezione. I Discepoli di Emmaus. Le Apparizioni. L’Ascensione di Gesù al Cielo (24,1-53).

DISAMINA CONTENUTISTICA

Il Vangelo si apre con una grande prefazione a un illustre cristiano antiochieno, Teofilo, altrimenti ignoto. Essa attesta la destinazione ad un pubblico anche pagano di un’opera che altro non è che lo studio delle origini cristiane. Di Teofilo non si deve mettere in discussione l’esistenza a causa del nome che significa “amico di Dio”: egli, con la dedica ricevuta, dovette sobbarcarsi l’onere della diffusione del testo, conformemente alle usanze dell’epoca. Luca è uno storico che agisce con acribia, raccogliendo pazientemente i documenti e verificandoli (1,3), riallacciandosi in questo alla grande tradizione storiografica greca. Tuttavia la configurazione storica del suo racconto non è necessariamente migliore di quella degli altri Sinottici, o almeno di Matteo, in quanto sembra che persista una certa tendenza alla giustapposizione delle fonti nella combinazione del prodotto letterario finito e un rispetto enorme per esse. Il piano narrativo di Luca a grandi linee riprende quello di Matteo e Marco in particolare, con alcune trasposizioni e omissioni. Alcuni episodi sono spostati (3,19-20; 4,16-30; 5,1-11; 6,12-19; 22,31-34 ecc.) per una maggiore chiarezza e logica che spesso corrispondono ad una maggiore aderenza alla verità storica, secondo una tradizione comune in alcuni casi a quella del Vangelo di Giovanni. Alcuni episodi sono omessi perché non interessanti per lettori pagani (cfr. Mc 9,11-13) o perché li considerò dei doppioni (cfr. Mc 6,45-8,26). Una grande aggiunta lucana rispetto a Marco è la sezione 9,51-18,14, in cui molti detti di Gesù sono combinati con informazioni che troviamo solo nel III Vangelo. Questa sezione è centrale, in quanto è inquadrata nel Viaggio a Gerusalemme, con l’ausilio di annotazioni ripetute (9,51; 13,22; 17,11) che partono da un dato marciano (cfr. Mc 10,1) e in cui si può vedere non solo l’idea, tipicamente lucana, per cui nella Città Santa e solo in essa si realizzerà la Salvezza (9,31; 13,33; 18,31; 19,11) – in quanto in essa è iniziato il Vangelo (1,5 ss.) e lì terminerà (24,52 ss.)- ma anche il resoconto storico di diversi viaggi di Cristo verso Sion. Nel corso di questa sezione avvengono incontri e apparizioni (24,13-51) che per Mc avvenivano invece in Galilea (16,7) e anche per Matteo (28,7.16-20). Non necessariamente però si tratta di diverse ambientazioni: forse sono solo episodi simili, come nel caso dei Discorsi della Montagna e della Pianura o delle due Cacciate dei Cambiavalute dal Tempio, ma per ognuno di essi bisognerebbe fare una disamina specifica. L’importante è stornare dalla mente il pregiudizio che fa di ogni episodio evangelico un unicum che i Tre Sinottici narrano diversamente, in quanto alcune condizioni sono solite ripetersi dando adito a detti e gesti analoghi. Una menzione particolare merita il ruolo delle Donne che in questo Vangelo hanno nella Vita di Gesù. La narrazione della Resurrezione, pur nello schema di massima di Matteo e Marco, introduce poi elementi nuovi e unici, mentre sembra preparare il Vangelo di Giovanni che diede a questo importante evento la sua fisionomia definitiva, ricostruibile proprio attraverso il confronto dei Quattro Vangeli.

DISAMINA LETTERARIA

Luca è uno scrittore talentuoso, con un animo delicato. Le sue sicure risorse letterarie traspaiono sin da quel Vangelo dell’Infanzia con cui egli apre il racconto. Esso è assai caratteristico, ha conservato i documenti ebraici in cui erano raccontati i fatti della Vita nascosta di Gesù e li ha inseriti nel Vangelo. La testimonianza di Maria SS. fu essenziale per la stesura sia di quei testi precanonici che del Vangelo lucano (2,19.51) e fu raccolta in ambiente palestinese. Il preludio all’attività pubblica di Gesù (3,1-4,13) può costituire la prima di quattro sezioni di una partizione alternativa del Vangelo, imperniata a seguire sulla predicazione galilaica (4,14-9,50), il viaggio gerosolimitano (9,51-19,28) e il racconto della Passione Morte e Resurrezione, fino all’Ascensione (19,29-24,53). Il paragone con i passi paralleli di Marco e Matteo permette di evidenziare l’attenta attività di uno scrittore che con piccoli ritocchi omissioni e aggiunte eccelle nel presentare i fatti in modo proprio, evitando e attenuando quanto urti la sensibilità sua e dei lettori (8,43 paragonato con Mc 5,26) o quanto possa sembrare loro incomprensibile, peraltro cercando di giustificare l’operato degli Apostoli e mostrando loro rispetto (9,45; 18,34; 22,45). Luca interpreta i termini oscuri (6,15) e ha cura della geografia (4,31; 19,28 s.37; 23,51), anche se per alcuni non aveva esatta cognizione della Galilea. In ragione di ciò, interi racconti di Marco e Matteo non hanno qui paralleli. La ricerca personale fu ricca e assieme a quanto detto contribuì a far si che il Vangelo di Luca palpitasse dell’animo del suo autore, che servì a mettere in luce aspetti particolari della dottrina di Cristo, qui più ricca e particolareggiata. Luca è definito da Dante lo Scriba della Mansuetudine di Cristo, perché sottolinea la Misericordia verso i peccatori (15,1s.7.10), racconta scene di perdono (7,36-50; 15,11-32; 19,1-10; 23,34.39-43), insiste sulla tenerezza di Gesù verso umili e poveri e sulla sua severità verso orgogliosi e gaudenti (1,51-53; 6,20-26; 12,13-21; 14,7-11; 16,15.19-31; 18,9-14). Tuttavia Luca ricorda che Gesù ha annunziato la condanna dopo il tempo della pazienza (13,6-9), per cui ci si deve pentire e si deve rinunciare a se stessi, con un distacco assoluto che l’Evangelista farà proprio nella sua vita (14,25-34), materiato di povertà (6,34s., 12,33; 14,12-14; 16,9-13). Sono perspicui i passi propri del Vangelo di Luca sulla necessità della preghiera (11,5-8; 18,1-8), sull’esempio orante di Gesù (3,21; 5,16; 6,12; 9,28).

DISAMINA STILISTICA

Luca ha uno stile di eccellente qualità, che però accetta di peggiorare per conservare quello arcaico, semitizzante, tipico della LXX, delle fonti che ha gelosamente conservato e trasposto nel testo. La sua capacità mimetica dello stile della LXX è in ogni caso notevole e dipende anche dall’azione diretta dell’autore. La sua praefatio o epeidēper è tipica della storiografia classica sia per le formule giustificative che per la dedica, ripresa da Lucrezio e da Plutarco e da altri autori illustri. Come Lucrezio, anche Luca vuole persuadere il dedicatario della bontà dell’insegnamento in cui è stato avviato, per cui Teofilo equivale a Memmio del De Rerum Natura. Anche l’autopsia dei fatti da parte dell’autore è una topica – ma non significa che non sia storica – mentre l’acribia è parte del repertorio storiografico retorico da Tucidide in poi; sia l’autopsia che l’acribia sono attestati nel coevo Giuseppe Flavio nel Contra Apionem. Sicurezza e ordine del racconto sono anch’essi tucididei. Questa testimonianza autoptica naturalmente non verte sui fatti del Vangelo, ma su quelli degli Atti, originariamente uniti al Vangelo stesso, la cui credibilità sta nel fatto che l’autore conobbe i testimoni, udì la predicazione paolina – che pure non si basava su conoscenza diretta di Gesù – e lesse attentamente i documenti precanonici. La separazione di Vangelo e Atti implicò una probabile diminuzione della prefazione al Vangelo stesso, come del resto della introduzione agli Atti, come diremo.

DISAMINA TEOLOGICA

Nel III Vangelo Cristo è presentato come il Redentore e il Salvatore del genere umano, particolarmente misericordioso coi peccatori. Luca riprende e riflette il pensiero teologico di Paolo, da cui dipende per concetti fondamentali come l’universalità della Redenzione, del perdono e della pietà del Redentore per i peccatori. Questo influsso fece credere che il Vangelo fosse stato scritto da Paolo stesso, almeno all’eretico Marcione, ma la cosa è smentita dalla delicatezza dell’influsso stesso oltre che dalle perspicuità stilistiche lucane. Le idee teologiche di fondo sono tuttavia le medesime di Matteo e Marco, arricchite appunto discretamente dal magistero paolino e dalla particolare inclinazione dell’animo dell’autore. Un posto importante ha nel Vangelo di Luca lo Spirito Santo (1,15.35.41.67; 2,25-27; 4,1.14.18; 10,21; 11,13; 24,49). Ciò contribuisce a dare al racconto un gran fervore che commuove e rianima, anche per la viva gratitudine che spesso emerge da esso per i benefici divini. E’ degno di nota che il parallelismo degli eventi dell’Infanzia di Cristo con quella di Giovanni Battista serve all’Evangelista a mostrare come il Primo sia superiore al secondo, evidentemente per evangelizzare i gruppi legati alla memoria del Profeta. E Luca segnala con scrupolo e precisione l’adempimento delle Profezie in genere nella Vita di Cristo, come ad esempio nel Discorso della Sinagoga a Nazareth (4).

IN ACTA APOSTOLORUM

Breve introduzione agli Atti degli Apostoli

Il Vangelo di Luca è una biografia completa di Gesù, che suppone la conoscenza delle altre due, redatta secondo un duplice criterio: la conservazione della mentalità religiosa giudaica e l’adattamento ad un progetto editoriale ellenistico. Questo progetto implica a sua volta alcuni elementi. Innanzitutto un uso sapiente della lingua greca, piegata ai semitismi per fedeltà alle fonti, usata sulla scorta della LXX per le parti più arcaiche e capace di imitare lo stile tucidideo e in genere della storiografia ellenistica nelle sezioni più recenti, con un occhio alla storiografia biblica greca dei Libri dei Maccabei. Indi la concezione di un piano di più libri, di cui si sono realizzati solo due: il Vangelo stesso e gli Atti degli Apostoli, incompleti, perché interrotti prima della sentenza su Paolo da parte di Nerone. In ragione di ciò dopo la trattazione del Vangelo di Luca proseguo parlando degli Atti degli Apostoli, che ne sono la naturale continuazione. Definiti “libro di paglia” dai critici positivisti, gli Atti sono invece storicamente importantissimi: sono l’unica fonte letteraria coeva e storicamente credibile senza riserve sulla storia di Pietro e Paolo; sono ricchi di una documentazione antichissima; sono i capofila di una letteratura cristiana sugli Apostoli e gli Evangelisti che è proseguita per secoli e che ha trasmesso, anche se in modo meno preciso e credibile, un’altra ampia messe di notizie. Il titolo, Atti degli Apostoli, Praxeis tōn Apostolōn, è tuttavia improprio: il libro infatti verte su una parte della vita di Pietro e una di quella di Paolo, verso cui sembra convergere tutta la narrazione, evidentemente sin dal Vangelo lucano. L’incompletezza del racconto non permette però di capire bene come avrebbe potuto svilupparsi il progetto editoriale completo di Luca.

DATAZIONE ED AUTORE DEL TESTO

Le datazioni più accreditate pongono le opere di san Luca, compresi gli Atti degli Apostoli, prima del 70 o addirittura verso l’80, nonostante non esista nessun elemento per spostarle dopo la Caduta di Gerusalemme. Ma i codici papiracei neotestamentari del I sec. in nostro possesso (e di cui ho parlato in precedenza), anche se non comprendono gli Atti (4), permettono di arguire che essi circolavano già nell’80.

Il Vangelo di Luca, la cui stesura è legata a quella degli Atti degli Apostoli (come due libri di una sola opera sulle origini cristiane), dello stesso autore, ha come terminus ad quem la Prima prigionia di Paolo a Roma, tra il 60 e il 63. Così Eusebio ("È perciò probabile che Luca abbia scritto gli Atti [e quindi il Vangelo n.d.a.] in quel tempo, limitando la sua esposizione al periodo in cui era con Paolo (5)."), come Girolamo (6)e soprattutto Ireneo. Questi scrive: "Matteo pubblicò un Vangelo, scritto presso gli Ebrei nella loro lingua, mentre Pietro e Paolo predicavano il Vangelo a Roma e fondavano la Chiesa. Dopo la loro partenza (toutōn exodos (7)) Marco, il discepolo ed interprete di Pietro, ci tramandò (paradedōken) per iscritto quello che era stato predicato da Pietro, mentre Luca, il compagno di Paolo, scriveva (keryssomenos) in un libro quello che veniva da lui predicato (8)." Praticamente il Santo usa uno zeugma, ma si riferisce alla partenza del solo Pietro (cosa confermata anche dal Prologo Antimarcionita del II sec., in cui è dopo l’excessus di solo questo Apostolo che Marco scrive), così come ha unificato le loro attività pastorali. Non a caso dopo la partenza di Pietro il Vangelo di Marco è detto "tramandato", ossia è già pronto, come suggerisce il tempo greco dell’aoristo; invece Luca sta scrivendo (come suggerisce il participio presente) mentre Paolo predica, in un’azione contemporanea non solo alla predicazione paolina (evidentemente priva di connessione con una qualunque partenza dell’Apostolo delle Genti), ma anche all’atto della pubblicazione del Vangelo di Marco. Ossia la stesura del Vangelo di Luca è un’azione che, al momento della pubblicazione di quello di Marco, non è ancora completata. Il che vuol dire che Luca iniziò a lavorare al suo Vangelo dal 46-47, per arrivare evidentemente a pubblicarlo, o assieme agli Atti, tra il 60 e il 63, o prima, come è più logico immaginarsi. Del resto, la fine repentina degli Atti, come vedremo, mostra chiaramente che entrambi i libri sono stati scritti mentre Paolo era in prigionia - l’ultimo evento narrato - senza neppure raccontare l’esito del suo processo innanzi a Nerone (54-68).

Edmundson, mettendo insieme una messe di dati letterari, filologici, archeologici, epigrafici e bibliografici, fece uno studio dettagliato sulle origini della Chiesa Romana, giungendo addirittura alla conclusione che Luca, non avendo parlato della nascita di questa comunità negli Atti degli Apostoli, quando Paolo vi giunse, aveva intenzione di farlo in un terzo libro che non potè scrivere; lo fece adducendo anche ragioni linguistiche desunte dagli Atti, dove si parla del Vangelo come primo libro tra molti, e non tra due (prōton e non pròteron). Edmundson inoltre spiega come le persecuzioni ebraiche ai Cristiani in Palestina fino al 42 furono fatte solo contro i cosiddetti Ellenisti capeggiati dal diacono santo Stefano (†33) (che infatti appartenevano ad una corrente ostile al culto templare), ma non contro i XII Apostoli. Una volta che gli Ellenisti furono dispersi (causando, aggiungo io, la crisi di coscienza di San Paolo che da loro persecutore divenne Apostolo e da fariseo templare uno strenuo assertore del superamento della Legge mosaica, sempre nel 33), solo con il ritorno da Roma di Erode Agrippa I (37-44) nel 41 iniziò la persecuzione degli Apostoli stessi, sebbene essi fossero rimasti fedeli alla mentalità e al costume giudaico. Perciò nel 42 Giacomo il Maggiore fu martirizzato, Pietro fu arrestato e gli altri Apostoli partirono ciascuno per una missione in una diversa parte del mondo, ovviamente a cominciare dagli Ebrei che vi vivevano (e qui, sempre a parer mio, si colloca anche la partenza di Matteo descritta da Papia, dopo la stesura del suo Vangelo aramaico; lo stesso Giovanni potrebbe in quella data già essersi recato, come abbiamo detto, in Asia Minore). Una volta liberato dagli Angeli, Pietro andò a Roma (42). Ma, a mio giudizio, le notizie sono date con circospezione da Luca, nel timore di danneggiare l’Apostolo che era ancora vivo quando gli Atti furono pubblicati, raccontando della sua latitanza. A questo si deve anche il riserbo sugli altri Apostoli, anch’essi ancora in vita al momento dell’edizione del testo, perchè non si conoscessero i luoghi dove essi si erano recati in incognito nella loro evangelizzazione. Per Robinson gli Atti sono datati tra il 57 e il 62, perchè non parlano della fine del processo di Paolo, della morte di Giacomo il Minore per volontà del Sinedrio e senza l’autorizzazione di Roma, ignorano la persecuzione di Nerone, la distruzione di Gerusalemme, l’evoluzione delle istituzioni romane del tardo I sec. Hanno inoltre un linguaggio spesso arcaico. Sono altresì molto precisi nei dettagli sulle province romane negli anni 40 e 50.

In quanto all’indubbia paternità lucana degli Atti, essa è attestata dalle medesime fonti che gli attribuiscono il Vangelo e che abbiamo nominato. Possiamo ricordare il Frammento Muratoriano che, nel 180 ca., ci dice che “gli Atti di tutti gli Apostoli sono scritti in un solo libro, nel quale Luca espone all’ottimo Teofilo tutti i fatti avvenuti quando egli era presente.” In tal modo viene messo in evidenza che Luca non solo fu autore degli Atti, ma che narrò quanto avvenne durante la sua vita e che egli stesso contribuì a compiere, accreditandolo come storico coevo ai fatti e protagonista di essi. Il summenzionato Ireneo attribuisce appunto gli Atti a Luca e ne cita alcuni passi. I Prologhi anonimi del II sec. sono concordi nell’affermare: “postremo scripsit idem Lucas Actus Apostolorum”. Clemente Alessandrino, Origene, Tertulliano, il Prologo antimarcionita e moltissimi altri attribuiscono gli Atti a Luca. Il già ricordato Girolamo scrive: “Luca scrisse anche un altro egregio libro, intitolato Atti degli Apostoli, il cui racconto giunge sino al secondo anno della dimora di Paolo a Roma, cioè fino al quarto anno di Nerone [cioè il 57-58, l’anno più alto dello spettro di datazione del Robinson, n.d.a.]. Si comprende bene che il libro è stato composto a Roma e che Luca lo ha scritto dopo essere stato testimone oculare dei fatti narrati.”

L’attribuzione a Luca degli Atti è tanto più logica e stringente se si considerano la comune dedica a Teofilo, il riferimento al Vangelo agli inizi degli Atti, la ripresa della narrazione dal punto di arrivo del Vangelo, la medesima disposizione della materia, la stessa eccellente lingua greca e la stessa forma semitizzante, lo stesso stile elegante. D’altro canto una pseudoepigrafia non avrebbe avuto senso, in quanto Luca non era un personaggio di primo piano nella generazione apostolica, e lo divenne proprio per i due Libri che compose. La Pontificia Commissione Biblica il 12 giugno 1913 confermò la paternità lucana degli Atti degli Apostoli.

STRUTTURA

Gli Atti degli Apostoli sono costituiti di tre sezioni: 1. Il Prologo (1,1-2); 2. La Prima Parte (1,3-12,25), sulla Chiesa in Gerusalemme, Giudea e Samaria. Comprende lo spazio di dodici anni e vi primeggia la figura di San Pietro e narra lo sviluppo della Chiesa nascente e il suo affermarsi in Gerusalemme, Giudea e Samaria. 3. La Seconda Parte (13,1-28,31) verte sull’apostolato di Paolo tra i Gentili. Comprende lo spazio di circa vent’anni. Vi si narra la diffusione della Chiesa tra i pagani, specie ad Antiochia, nelle Isole e in Asia; segue Paolo nei suoi viaggi apostolici in Asia ed Europa e l’accompagna prigioniero a Roma la prima volta.

L’opera è palesemente incompiuta perché non raggiunge quegli estremi confini della terra di cui a 1,18, che sarebbero la Spagna, e che pure gli Apostoli, come sappiamo dal NT e dalla letteratura cristiana antica, raggiunsero (cfr. Rm 15,24.28). Un terzo del Libro contiene trenta discorsi, di cui otto di Pietro e dieci di Paolo.

DISAMINA CONTENUTISTICA

Luca ha una documentazione ricca, varia, ampia e circostanziata. Il Prologo del Vangelo, che funse da prologo generale dell’opera in due libri, già lo annunziava. Si distingue facilmente l’uso di diversi documenti nonostante l’autore lasci chiaramente la sua orma stilistica nel loro uso per il prodotto finito. Il piano dell’opera segue uno schema: descrive il radicarsi e il fiorire della Fede a Gerusalemme (1-5); segue l’espansione del giudeo-cristianesimo di matrice ellenistica, resa possibile sia dalla loro vocazione universalistica che dalla loro dispersione in seguito alla persecuzione che martirizzò Stefano (6,1-8,3); narra l’evangelizzazione della Samaria (8,4-25), della regione a sud e ovest di Gerusalemme fino alla costa e a Cesarea (8,26-40; 9,32-11,18); dà conto della presenza di cristiani a Damasco con la narrazione della Conversione di Paolo e fa presagire l’evangelizzazione della Cilicia (9,1-30); descrive l’evangelizzazione di Cornelio da parte di Pietro (10-11); enuncia la conversione di Antiochia (11,19-26) e mostra come la metropoli sull’Oronte divenne un centro ecclesiale e missionario di prim’ordine, nel quadro di solidi legami con Gerusalemme dove si prendono le decisioni basilari per l’evangelizzazione (11,27-30; 15,1-35). Ad un certo punto Pietro esce di scena, partendo, dopo la sua miracolosa evasione, per una destinazione indicata solo con un crittogramma, onde evitare problemi all’illustre latitante. Il luogo è senz’altro Roma, ma la conservazione nel testo di una misura prudenziale che ai tempi della pubblicazione degli Atti non aveva più la stessa ragion d’essere, segnala la permanenza, per motivi diversi, dell’emergenza e del rischio persecutorio per i cristiani. Questo evento è uno spartiacque. Da qui in poi gli Atti hanno Paolo come protagonista. Essi descrivono il suo Primo Viaggio Missionario a Cipro e in Asia Minore prima del Concilio di Gerusalemme (13-14), poi due altri viaggi in Macedonia e Grecia (15,36-18,22; 18,23-21,17); narrano indi l’arresto dell’Apostolo a Gerusalemme e la sua prigionia a Cesarea (21,18-26,32), con la conseguente partenza per Roma, dove, sia pure prigioniero, Paolo può evangelizzare (27-28). Come si vede, la prospettiva è orientata all’attività paolina, e molto probabilmente mirava ad un racconto delle origini della Chiesa romana e dell’evangelizzazione dell’Occidente, che però non avvenne mai, avendo l’autore interrotto il suo diligente scrivere via via gli eventi raccogliendone le testimonianze in modo ordinato, in seguito al timore della condanna di Paolo da parte di Nerone. Per cui l’apostolato romano di Pietro, quello degli altri XII, l’evangelizzazione dell’Egitto e la stessa parte finale della vita di Paolo sono omessi. Non sappiamo perché Paolo non pose più mano alla scrittura di ulteriori libri, forse dipese dalla persecuzione neroniana, dalla Guerra Giudaica, dalla persecuzione domizianea. Forse si deve alla pubblicazione frettolosa la mancanza di riferimenti ad alcuni importanti eventi della vita di Paolo, come la Colletta descritta nelle Lettere ai Romani e Prima ai Corinzi; oppure semplicemente l’autore la considerò secondaria.

In quanto alla cronologia interna, stando al richiamo a Roma del procuratore Felice, ad Eusebio, Girolamo e allo Schwartz, Luca parte dal 30 e arriva al 56-57; stando alla cronologia più diffusa, arriva al 61-62.

DISAMINA LETTERARIA

Forse la separazione tra Vangelo di Luca e Atti avvenne perché i cristiani desiderarono possedere i Quattro Vangeli in un solo codice. Ciò avvenne non oltre il 150 e forse allora gli Atti assunsero il titolo che hanno, sulla falsariga dei tanti Atti della tradizione storiografica ellenistica, e che trasmisero alle altre biografie apocrife dei personaggi dell’età apostolica e che già cominciavano a diffondersi. Non si può escludere una influenza a rovescio, per cui la Chiesa, proprio per marcare la differenza con gli apocrifi, definì antonomasticamente Atti degli Apostoli quel libro lucano che verteva su Pietro e Paolo, sebbene non raccontasse tutta la loro vita. Questa separazione implicò alcuni interventi che suscitano alcuni problemi. Dovette esistere un proemio che avrebbe dovuto annunciare il contenuto del libro, ma oggi non c’è più e la prefazione è abbastanza breve. Il Norden suppose un intervento redazionale, ma appare strano che una Scrittura ispirata fosse manipolata dalle generazioni seguenti. Forse Luca non scrisse un simile proemio, in quanto avrebbe dovuto aggiungerlo alla fine del racconto, che però dovette interrompere con una pubblicazione inaspettata e affrettata. Ciò che si è detto sui prologhi, sui rimandi interni, sullo stile, sulla materia e la sua disposizione a proposito dell’attribuzione all’autore del III Vangelo, valga anche qui per accreditare la relazione letteraria degli Atti con essi, non essendo possibile trattare l’argomento in modo separato per i due libri, che in origine erano divisi per il mero fatto di occupare due rotoli differenti. Lo stesso valga per altri due fattori non menzionati precedentemente solo perché pleonastici, ossia il vocabolario e la grammatica. La scrittura degli Atti è quella di un cristiano della generazione apostolica, greco di buona formazione ebraica, con ampia cultura e competenza medica, che accompagnò Paolo in molti viaggi di cui stese dei diari accurati. Già l’Anonimo autore del Frammento Muratoriano aveva notato l’esistenza di quelle sezioni degli Atti chiamate Wirstücke, we-sections, sections-nous. Queste caratteristiche sono appunto quelle di Luca, compagno di Paolo nel Secondo (16,10s.) e nel Terzo Viaggio Missionario (20,6 s.), che non figura nelle liste come quella di 20,4 perché è lui stesso a scrivere. Forse solo 28,30 fu scritto dopo la liberazione di Paolo, mentre il resto fu pubblicato prima del verdetto sull’Apostolo, onde evitare una confisca del materiale librario in caso di condanna.

Lo sfondo dottrinale viene sfumato in base alle circostanze e spesso presenta arcaismi evidenti. Anche alla luce di quanto è ormai venuto fuori sulle origini ebraico-aramaiche dei Vangeli, si può ritenere che alla base della prima parte degli Atti (1-15,35) vi sia un documento semitico che, al pari del Vangelo primitivo, conservasse fedelmente le gesta di Pietro e degli altri Apostoli. Da questo documento, in cui poterono confluire cicli minori per la sua stesura definitiva, e in cui entrarono i Discorsi e i Detti petrini e di altri Apostoli diligentemente stenografati come lo erano stati quelli di Gesù – e che nessuno avrebbe potuto ricostruire dopo venticinque anni peraltro con quelle spiccate caratteristiche arcaiche e semitiche- Luca prese il materiale che confluì nella prima parte degli Atti adattandola il meno possibile. I florilegi di testi biblici per gli Ebrei e le massime filosofiche per evangelizzare i Greci, così come i testi kerygmatici della predicazione apostolica, presenti nei Discorsi degli Apostoli o di Stefano, rimasero intatti negli Atti degli Apostoli. Eventuali retroversioni e studi semitici potrebbero agevolmente corroborare la tesi in questione. Luca tuttavia dispose di altre fonti erratiche e potè interrogare i protagonisti dei fatti narrati. Possiamo perciò distinguere alcune correnti principali che solcano il materiale raccolto negli Atti: quella sulla Chiesa primitiva di Gerusalemme (1-5); quella su Pietro (9,32-11,18; 12) – che però ad un certo punto Luca abbandona, forse perché non era più contenuta nei testi della Chiesa madre o per altre ragioni – quella sul Diacono Filippo (8,4-40) – anch’essa abbandonata, a meno che non fosse molto breve, e raccolta dalla viva voce di costui (21,8)- quella sulla Chiesa di Antiochia (6,1-8,3; 11,19-30; 13,1-3); quella su Paolo e la sua conversione e le sue gesta prima dell’incontro con Luca (9,1-30; 13,4-14,28; 15,36ss.). Anche questo ultimo filone dovette avere una scrittura aureolata da grande prestigio fin da prima della sua confluenza negli Atti, come mostrano essi stessi, dando della Conversione di Paolo ben tre versioni che debbono essere lette insieme per restituire la completezza del racconto originario. Questo dipese dal fatto che tale Conversione avvenne nel quadro di una Cristofania che, a tutti gli effetti, era l’ultima grande apparizione del Risorto a un Apostolo al momento della sua chiamata. Nella corrente narrativa paolina giustamente celebre è il Discorso dell’Apostolo all’Areopago (17), che segna l’incontro tra Cristianesimo e grecità. Infine abbiamo i diari di viaggio lucani, trascritti per intere sezioni negli Atti e dove abbiamo in effetti la maggior concentrazione di particolarità linguistiche dell’autore (11,28; 16,10-17; 20,5-21,18; 27,1-28,16). L’organizzazione di tutto quanto in un complesso unico spetta ovviamente all’autore, che connette e ordina i diversi elementi servendosi anche di motivi e ritornelli redazionali (cfr. 6,7; 9,31; 12,24, ecc.).

Cura e ricchezza documentaria fanno degli Atti un libro di sicuro valore storico. Qualcuno individua anticipazioni, duplicazioni o fusioni, ma avendo come fonte certa solo gli Atti prima di lanciarsi in simili ipotesi – peraltro riguardanti fatti marginali – bisogna essere assai prudenti. Chi ad esempio ritiene che il c.12 verta su fatti anteriori alla visita di Paolo e Barnaba a Gerusalemme di 11,27-30 e 12,25, deve fare i conti con l’obiezione di chi afferma che la visita in questione potrebbe essere identificata con quella del c. 15. Appare poi inverosimile che nel c.15 siano stati fusi due dibattiti diversi nel racconto del Concilio Gerosolimitano. Invece Luca è concorde con il resoconto che Paolo dà dei suoi viaggi nelle sue Lettere, che non sembra siano state utilizzate letterariamente dall’autore per la stesura degli Atti.

Alcuni hanno visto negli Atti una sorta di testo di compromesso tra petrinismo e paolinismo, ma ciò dà una lettura troppo sofisticata della teologia del Libro, implica una sua datazione al II sec. e soprattutto dipende da una filosofia della storia di matrice hegeliana che non può in nessun caso mettere ipoteche sullo studio filologico, scevro di ogni pregiudizio ideologico. Altri considerano gli Atti una sorta di apologia paolina per le autorità romane, onde mostrare loro che l’Apostolo delle Genti non faceva politica. Ma questa è anch’essa una prospettiva riduttiva, in quanto Luca, se sa bene che Paolo non faceva politica, non prende la penna per dimostrarlo, ma per tracciare un ampio affresco delle origini della Chiesa.

Una menzione esplicita meritano i ritratti da fine psicologo che Luca traccia, i tratti gustosi e abili suoi propri – come nel Discorso di Paolo davanti ad Agrippa al c.26- le pagine commoventi – come il saluto ai Presbiteri di Efeso da parte di Paolo in 20,17-38), come perle della sua capacità scrittoria.

Il testo degli Atti ha numerose varianti di dettagli nei codici, di cui quelle occidentali (nel Codice di Beza, nella Vetus Latina, nella Vetus Syra e negli scrittori ecclesiastici antichi) spesso riproducono corruzioni proprie di una recensione popolare meno corretta di quella alessandrina, ma anche aggiunte concrete e pittoresche, molto probabilmente originali.

DISAMINA STILISTICA

In base agli argomenti trattati e alle fonti adoperate, Luca cambia la sua lingua, che è di una grecità eccellente quando può comporre ex novo, mentre è semitizzante, stentata e scorretta quando deve essere fedele alle fonti palestinesi in ebraico e in aramaico, o quando deve imitare la LXX. L’alternanza tra parti scritte in prima persona e parti scritte in terza si deve all’imitazione del genere parastoriografico dei Commentarii o Hypomnemata, dove l’autore non rifonde in un solo modo espositivo uniforme sia ciò che vide che ciò che non vide –come Matteo o Giovanni – ma distingue appositamente ciò di cui fu testimone da ciò che gli fu raccontato, come ad esempio fece Cicerone nella Ad Atticum e come facevano in genere i proconsoli e i propretori romani rivolgendosi al Senato. Per questo motivo, e anche per la mescolanza di elementi del genere odeporico con quello appunto dei commentari, gli Atti non hanno paralleli nel NT e sono solo impropriamente un libro storico nel senso classico; possono somigliare ad alcuni libri del VT, come per esempio quelli di Esdra e Neemia.

DISAMINA TEOLOGICA

Il contributo dottrinale degli Atti, ricavato da Luca dalle sue molteplici fonti, è universale, insostituibile, di gran pregio. Esaminiamone i punti principali: la Fede in Cristo, fondamento del kerygma apostolico, è delineata con le sfumature giuste e con precisione crescente, partendo dal trionfo dell’Uomo Gesù come Signore mediante la Resurrezione (2,22-36) per giungere alla Sua proclamazione a Figlio di Dio per bocca di Paolo (9,20); la cristologia è costruita, ad uso degli Ebrei da convertire, sui temi del Servo del Signore (3,13.26; 4,27-30; 8,32-33), di Gesù Nuovo Mosè (3,22 s.; 7,20 s.), del Salmo 16,8-11 echeggiato in 2,24-32 e 13,34-37; la conversione del Popolo eletto è caldeggiata sulla base del grave rischio che comporta una resistenza alla Grazia come dimostra la sua stessa storia (7,2-53; 13,16-41); la teodicea generale serve a convertire i pagani (14,15-17. 17,22-31); gli Apostoli sono testimoni di Cristo e sono accreditati mediante prodigi (1,8; 2,22); i pagani sono chiamati alla Fede tanto quanto i Giudei senza dover portare il peso della Legge mosaica, alla quale però i circoncisi possono rimanere fedeli (15,1.5; 21,20 s.); l’annuncio tocca sempre prima agli Ebrei e solo dopo si rivolge ai pagani, perché si adempiano le profezie salvifiche per Israele (13,5); la Chiesa gerosolimitana vive di preghiera e di comunione di beni, amministra il Battesimo di acqua e di Spirito (1,5), celebra l’Eucarestia (2,42), ha profeti, dottori (13,1), presbiteri, diaconi (11,30), estesi alle altre Chiese con i vescovi (mai citati ma riconoscibili; 14,23); lo Spirito Santo, di cui si era tanto parlato nel III Vangelo, è l’Autore dell’espansione della Chiesa (1,8). Gli Atti sono infatti chiamati il Vangelo dello Spirito Santo, il Quale conferisce loro un profumo di gioia spirituale, un meraviglioso soprannaturale, che ha del sorprendente per chi non ha fede.


1. De Vir. Ill., VII.

2. De Vir. Ill., VII.

3. Gli Atti di Luca, redatti in copto, non sono più antichi, nella versione a noi giunta, della fine del IV sec.

4. O’Callaghan aveva addirittura proposto di identificare il frammento 7Q6 con Atti 27,38. Ma in effetti considerare gli Atti in circolazione dal 50 è molto difficile; considerando la piccolezza del frammento e la consistenza di altre argomentazioni, si può accettare l’identificazione lucana, ma rintracciando nel Vangelo il brano in questione.

5. EUSEBIO, Historia, II, 22.

6. GIROLAMO, De viris illustribus, VII.

7. Exodos significa qui partenza e non morte come si è creduto a lungo.

8. IRENEO DI LIONE, Adversus Haereses, III, 1,1.


Theorèin - Marzo 2015