LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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PATRES ECCLESIAE

Brevissima introduzione alla teologia dei Padri

Una volta realizzata l’introduzione sia pur sommaria alla Bibbia, l’esposizione sistematica della dottrina teologica implica una iniziazione alla Tradizione, altra fonte della Rivelazione. Essa è la vita stessa della Chiesa che crede, spera, ama, prega. Trova la sua manifestazione più qualificata nella teologia dei Padri della Chiesa e dei Dottori, dopo l’insegnamento del Magistero e dopo la liturgia. La teologia dei Padri infatti è la prima, ha dato apporto unico allo sviluppo della Chiesa e dell’ortodossia, si compone di opere eccellenti, ha varietà di stili metodi e linguaggi, ha straordinaria capacità di penetrazione del mistero. Hanno espresso atteggiamenti dottrinali e pastorali validi in eterno. Hanno espresso le prime strutture portanti della Chiesa. Sono il primo anello della Tradizione stessa. Svolgono una funzione perenne con cui tutta la teologia successiva deve confrontarsi. Costituiscono un patrimonio comune a tutta la Chiesa, quand’essa era ancora indivisa. In genere la teologia è la scienza di Dio, sia come disciplina filosofica che come disciplina legata alla rivelazione, sia come teodicea che come rielaborazione della dottrina della fede. In particolare, in questa seconda accezione essa è scienza della Rivelazione, scienza della Fede, filosofia dell’una e dell’altra, di cui il teologo usa per articolare razionalmente i contenuti di entrambe. La teologia dunque è, come scriveva il Padre Battista Mondin, una disciplina in cui, a partire dalla Rivelazione e sotto la sua luce, le verità della religione cristiana si trovano interpretate, elaborate ed ordinate in un corpo dottrinale. Questa definizione si attaglia benissimo alla teologia dei Padri più di qualunque altra.

La teologia è scaturita dall’amore della verità, perché se la fede scaturisce dall’ascolto umile e confidente, essa ha pur bisogno di interpellare la ragione che tramite essa scopre e organizza le nozioni fondamentali per il compimento dell’esistenza umana. Fides quaeris intellectum. A partire da una base di teologia spontanea, ossia di quella comprensione della fede che ogni credente possiede, ci si eleva alla teologia scientifica o riflessa, in cui accanto all’intellectus Fidei che contraddistingue la prima si colloca una vera e propria ratio ordinativa e che si costituisce come una autentica autocoscienza della Fede, attraverso quattro pilastri: la simbolica (Parola di Dio), la liturgica, l’etica e l’istituzione. Questa fondazione della teologia come emanazione della Rivelazione attraverso la Tradizione, in cui la simbolica diventa la sua stessa interpretazione, la liturgia la sua officiatura, l’etica la sua azione e l’istituzione la sua stessa costituzione, avviene a partire dalla patristica, e per essere scientifica dev’essere critica, metodica e sistematica. Essa è un armonico sinolo di fede e ragione, delle quali l’una le fornisce il principio architettonico – che è il mistero della Salvezza – e l’altra il principio ermeneutico – inteso come tutte le forme della sapienza umana messe al servizio del primo principio.

Quest’ultimo si fonda anzitutto sulla Bibbia, indi sulla Tradizione e infine, come interpretazione cogente e vincolante, sul Magistero. In questo senso tutta la teologia, compresa la patristica, confluisce nella Tradizione senza esaurirla né esprimerla in modo esclusivo o inerrante, per cui ha bisogno dell’azione di discernimento del Magistero. Il teologo argomenta a partire dalla Scrittura, dalla quale egli deve trarre quello che deve dire su Dio, o in senso letterale o in senso lato. Tommaso d’Aquino elenca cinque luoghi di verità in ordine decrescente di autorità: La Bibbia, la Tradizione, il Magistero infallibile, i Padri e i filosofi come autorità esterna. Tommaso insegna che la teologia usa la filosofia come argomento probabile, i Dottori – o i Padri – come fonte di argomenti propri ma solo probabili.

La teologia è una scienza e come tutte le scienze umane è storica e quindi suscettibile di modifica non nel principio architettonico ma in quello ermeneutico. In ragione di ciò la sua stessa storia è teologia, quale luogo teologico irrinunciabile, essendo Dio l’Essere metastorico e il teologo un essere storico, che si incontrano nel Cristo, il Verbo fatto Carne e quindi entrato nella storia, che in ogni epoca lo intende in modo sempre nuovo e sempre uguale.

L’epoca patristica porta in sé diverse matrici, ognuna delle quali è fondamentale per capire lo sviluppo dell’insegnamento dei Padri stessi: quella ebraica- espressa soprattutto nella Scrittura, che viene recepita integralmente, nei suoi contenuti, nei suoi modi espressivi e nella sua mentalità, oltre che nel suo sviluppo storico, dalla teologia patristica, che quindi trovò in essa soprattutto la sua architettura ; quella greca – che si esprime soprattutto attraverso le forme logiche, gnoseologiche, epistemologiche, linguistiche, metafisiche, etiche, politiche e fisiche del pensiero antico, per cui la patristica le deve innanzitutto la sua ermeneutica; quella romana – che è presente essenzialmente nella teologia latina con la sua sobrietà, la sua pragmaticità e la sua capacità legalistica; infine quella cristiana – in cui troviamo il compimento del Messianismo in Cristo, l’universalità della Salvezza, l’estensione spirituale a tutti i popoli dell’appartenenza al Popolo della Promessa.

Una attenzione particolare si dà negli ultimi tempi alla cosiddetta teologia neotestamentaria, che in senso proprio non esiste, in quanto nel Nuovo Testamento non si approfondisce né si riveste la Rivelazione ma la si comunica. Essa va intesa come teologia biblica, ferma restante la condizione di materia prima che la Bibbia è per tutta la teologia. Naturalmente è possibile una distinzione logica tra il nucleo della Rivelazione e la forma teologica degli Scritti in cui essa è comunicata, sebbene essi siano ontologicamente inscindibili.

Nel nucleo abbiamo senz’altro l’Unità e la Trinità di Dio, l’Incarnazione, la Nascita, la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo, che verrà a giudicare i vivi e i morti. Abbiamo l’annuncio e l’esempio dell’amore, inteso come carità o dono gratuito. Abbiamo la fondazione della Chiesa come Corpo mistico di Cristo dotato di strutture visibili, e quindi di una pericoresi verticale e orizzontale, ossia con Dio degli uomini e di questi tra loro, l’una e l’altra tramite Cristo stesso.

Nella forma teologica neotestamentaria, che non è costituita da teologumeni, ossia da espressioni mitologiche od opinabili, ma da elementi appunto funzionali alla comunicazione corretta inerrante e completa del nucleo dottrinale, abbiamo il linguaggio, l’argomentazione e i criteri di ortodossia, desunti questi ultimi soltanto dalla apostolicità della predicazione.

L’unione di nucleo e forma nel NT altro non è che una inculturazione primordiale della Rivelazione, quale Incarnazione del Verbo in un Uomo storico portatore di una cultura precisa. Del resto gli studi recenti tendono ad abbattere la nozione di teologia kerygmatica – termine che non abbiamo adoperato preferendo quello di nucleo agapico – nel NT perché appare evidente che la stesura del NT è praticamente coeva alle vicende che descrive.

Il primo incontro extrabiblico dei due elementi nucleare e formale dello stesso NT sta nel Credo, inteso come formula di fede, stesa in maniere sempre più perfette, cristallizzazioni compiute e chiare dell’esperienza di fede a livello concettuale.

In questo ampio contesto, appena appena sintetizzato, abbiamo appunto collocato la Patristica. Possiamo fare qualche puntualizzazione terminologica: i Padri sono “coloro che santamente, saggiamente e costantemente vissero, insegnarono e rimasero stabili nella fede e nella comunione cattolica, e morirono fedeli a Cristo o meritarono di dare la vita per Lui. Ma a costoro si deve prestare fede seguendo questa regola: ciò che tutti o almeno la maggioranza hanno affermato chiaramente, nello stesso senso, frequentemente e costantemente, a guisa di concilio di maestri perfettamente unanimi, e che hanno confermato col riceverlo conservarlo e tramandarlo, ciò va ritenuto per indubitabile, certo e vero” (San Vincenzo di Lerino). La Patristica è l’insieme delle loro opere e il loro stesso studio, detto anche Patrologia. La prima è di carattere dottrinale, la seconda è storico-letteraria. “Nella Chiesa Cattolica bisogna avere la più grande cura nel ritenere quello che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti (scil. la Tradizione). Questo è veramente cattolico, secondo l’idea di universalità racchiusa nell’etimologia stessa della parola. Ma ciò avverrà se noi seguiremo l’universalità, l’antichità e il consenso universale [dei Padri]..” (San Vincenzo di Lerino). Dunque i Padri per essere tali devono essere antichi, di eccellente ed ortodossa dottrina e santi.

La loro teologia è essenzialmente biblica e cristocentrica nei contenuti, esegetica e platonica nella forma. E’ altresì contemplativa, apologetica e dotata di uno spiccato senso ecclesiale, nonché felicemente inculturata.

Nel 1989 san Giovanni Paolo II (1978-2005) ha fatto pubblicare una Istruzione dalla Sacra Congregazione per i Seminari e gli Istituti di Studi, “Lo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale”, in cui ha ribadito i motivi dello studio dei Padri in quanto testimoni privilegiati della Tradizione, per il loro metodo teologico (ricorso alla Bibbia, senso della Tradizione, originalità cristiana e inculturazione, difesa della Fede e progresso dogmatico, senso del mistero ed esperienza del divino), e per la ricchezza culturale spirituale e apostolica. Ha dato indicazioni per il modo di studiarli, in ordine alla natura, al metodo e agli obiettivi di tale studio. Ha deprecato l’abbandono di tale studio nella formazione ecclesiale. Benedetto XVI (2005-2013) ha dedicato diverse allocuzioni delle Udienze generali alle figure di molti Padri.

La periodizzazione della patristica è oggetto di disputa. Il nucleo condiviso da tutti la fa terminare alla fine del V sec.; i più la prolungano all’VIII sec.; una antica prassi la fa terminare nel XII sec. In questo grande percorso, distinguiamo una teologia apologetica o del periodo delle persecuzioni (I-IV sec.), una teologia della Chiesa imperiale (V-VIII sec.), una teologia altomedievale (IX-XII sec.). Nella prima fase sceveriamo una teologia delle origini, della polemica antiereticale, della prima elaborazione sistematica. Nella seconda abbiamo diverse possibili divisioni: cronologica (età aurea fino al V sec. e decadente fino all’VIII), linguistica (latina, greca, siriaca, armena), scolastica (alessandrina, antiochiena, cappadoce, palestinese). Nella terza individuiamo soprattutto la Prima Scolastica.

DISCIPULI APOSTOLORUM

Breve introduzione ai Padri Apostolici

Col nome di Padri Apostolici designiamo gli autori della seconda metà del primo secolo: Barnaba, Clemente Romano, Erma, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne, Papia di Gerapoli e l’Anonimo della Didakè. Essi furono i primi trasmettitori della Rivelazione costituita, in quanto discepoli degli Apostoli e scrissero in greco. Nella loro teologia è importante la polemica col Giudaismo, in quanto essi contestano agli Ebrei la pretesa di essere il solo popolo di Dio; in ragione di ciò l’argomento biblico dei Padri è essenzialmente orientato a mostrare che Gesù è il Messia promesso, attraverso l’uso della grande allegoria nella lettura del VT, sull’esempio di Filone di Alessandria. La loro teologia professa la fede in Cristo, Redentore e Dio. Dichiara l’universalità della Salvezza nel Sangue dell’Agnello. Afferma che l’appartenenza a Cristo si dà nel Battesimo e nell’Eucarestia. E’ infine una teologia profondamente ed efficacemente catechetica, come si conviene alla teologia di una comunità giovanissima. Essa è un documento importante dello sviluppo della struttura ecclesiastica, dalle forme collegiali a quelle monarchiche di episcopato, come vedremo più giù. Imposta l’ecclesiologia sull’appartenenza del fedele alla Chiesa locale retta dal vescovo e con lui riunita in un solo luogo (parrocchia, ossia vicino alla casa, e solo in seguito diocesi). Queste Chiese locali sono a loro volta una sola comunità con la Chiesa Romana in seno alla Chiesa universale. In ragione di ciò denomina in modo chiaro i fenomeni dello scisma e dell’eresia, riprovandoli risolutamente. La teologia dei Padri è anche assertrice dell’influsso dello Spirito Santo sui vescovi e i chierici in genere, e su loro stessi in quanto scrittori incaricati di una missione, nonché su tutti i fedeli, ossia è pneumatologica. Infine esalta enormemente il ruolo della Tradizione, che essa concepisce come conservazione dell’insegnamento apostolico, e la missione universale di ogni vescovo. E’ una teologia inferiore a quella degli autori del NT e povera di filosofia, ma senz’altro importante.

SAN CLEMENTE ROMANO

Terzo Papa (91-101), come risulta dagli elenchi pontificali di sant’Ireneo e di Eusebio di Cesarea, nacque a Roma sul Celio da Faustino secondo la testimonianza del Liber Pontificalis. Forse liberto della gens Flavia, identificato da alcuni con il console Tito Flavio Clemente cugino di Domiziano (81-96), da questi giustiziato per ateismo (ossia per essersi convertito al Cristianesimo), fu discepolo di Pietro e poi di Paolo, salutato da questi nella Lettera ai Filippesi e consacrato da quegli, fu formato nel giudeo-cristianesimo che era l’unica forma di Cristianesimo dell’epoca prima delle riforme paoline. Egli dunque abbracciò la fede prima del 50, durante il primo viaggio di Pietro a Roma, nel 42-44. Fu redattore ufficiale delle lettere della Chiesa romana e in tale veste svolse un ruolo talmente importante che alcuni (Tertulliano, Girolamo), lo considerarono il secondo Papa dopo Pietro. Una tradizione più tarda descrive le circostanze in cui fu martire sotto Traiano (98-117), dopo la deposizione dal Soglio e la deportazione in Crimea, dove sarebbe stato gettato in mare con un’ancora gettata al collo. In ogni caso non si deve dubitare del suo martirio. Gli è dedicata a Roma una chiesa che sorge su un antico mitreo, nei pressi del quale si ergeva la stessa casa del Santo.

Essendo sorto un gravissimo contrasto nella Chiesa di Corinto, inviò loro una importantissima Lettera che li riconciliasse, li confermasse nella Tradizione, li rinnovasse nella Fede. In essa compaiono elementi giudeo-cristiani e qualche nota di stoicismo, come del resto nella Seconda Lettera di Pietro. Sebbene non firmata, questa Lettera di Clemente gli è unanimemente attribuita, è probabilmente il testo patristico più antico se non anteriore a qualche libro del NT e fu persino usata nella liturgia venendo considerata qua e là un testo ispirato. Contiene la prima chiara ed inequivocabile asserzione del Primato della Chiesa di Roma su tutte le Chiese. Il fatto che non sia firmata è stato addebitato a un motivo singolare: Roma fu retta da un collegio di vescovi con un presidente per diverso tempo dopo la morte di Pietro e Paolo (episcopato collegiale), per cui Clemente avrebbe scritto la Lettera in qualità di primo Vescovo ma non a nome solo suo. Tuttavia, senza entrare in merito alla questione del trapasso dall’episcopato collegiale a quello monarchico a Roma (che sarebbe avvenuto più lentamente che nelle altre Chiese pur fondate dagli Apostoli, evidentemente per un maggior peso della memoria di Pietro e Paolo), va notato che il Robinson ha datato la Lettera di Clemente a un periodo anteriore al 70 perché mancano riferimenti alla Distruzione del Tempio e si allude alla persecuzione di Nerone (54-68) come ad un fatto recente. In tal caso egli avrebbe scritto la Lettera per conto del secondo Papa, san Lino (67-78), e per tale motivo non l’avrebbe firmata. Di certo questa datazione è più credibile di quella del tardo I sec.

In questa Lettera, per comporre lo scisma causato dalla ribellione dei presbiteri giovani contro quelli più anziani da essi deposti, Clemente depone a sua volta e manda in esilio i facinorosi esortando tutti alla penitenza, alla pace, all’amore e all’umiltà. Ricorda che la pace è la condizione previa per la vita del Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Illustra la gerarchia ecclesiastica distinguendo tra vescovi-presbiteri e diaconi. Attesta il mandato divino di Cristo e tramite Lui degli Apostoli. Sostiene il primato della Chiesa Romana su tutte le Chiese nella carità.

Gli furono attribuite altre opere apocrife, come la II Lettera, le Omelie, le Ricognizioni e le Costituzioni Apostoliche.

SANT’IGNAZIO DI ANTIOCHIA

Eusebio ci informa che egli fu il terzo vescovo di Antiochia. Eletto nel 70, fu arrestato nel 106 e martirizzato a Roma nel 107, gettato in pasto alle belve, in una data che per l’Occidente è il 17 ottobre e per la Siria il 20 dicembre, sotto Traiano. Lungo il viaggio che lo conduceva alla morte rinsaldò nella fede le comunità che incontrava, mettendole in guardia dalle eresie. A tale scopo scrisse, da prigioniero, sette Lettere ad altrettante Chiese, in Efeso, Magnesia, Tralli, Roma, Smirne, Filadelfia e al vescovo san Policarpo. Altre sei lettere quasi sicuramente sono apocrife.

In queste Lettere Ignazio attesta l’importanza dell’obbedienza ai propri vescovi, combatte le eresie (in particolare il docetismo che nega la realtà del Corpo umano di Cristo e afferma che la Legge di Mosè è ancora vincolante), elogia la Chiesa romana di cui confessa e sostiene il primato, si prepara al martirio. Sono Lettere scritte di getto, senza la possibilità della riflessione, ma per questo assai importanti. L’attestazione del Primato di Roma è di incalcolabile portata e attesta che tale dottrina è antica quanto la Chiesa. Altrettanto importante è la distinzione tra vescovi, presbiteri e diaconi che negli altri Padri apostolici non è altrettanto chiara, in quanto i primi due spesso sono confusi negli altri autori precedenti. Ai suoi tempi il trapasso dall’episcopato collegiale a quello monarchico è oramai compiuto, perché sono morti tutti gli Apostoli.

SAN POLICARPO DI SMIRNE

Egli nacque nel 69 ca., da genitori cristiani convertiti dal paganesimo e di agiata condizione, in Smirne. Ebbe come discepolo sant’Ireneo, che ce ne tramanda la vita nell’Adversus Haereses e in due Lettere, a Floriano e a papa san Vittore I. Policarpo conobbe gli ultimi apostoli (Filippo, Giovanni) e da essi fu nominato vescovo di Smirne. Conobbe anche altri che avevano visto il Signore. Si recò a Roma e discusse con papa sant’Aniceto (154-166) della data della Pasqua senza trovare un accordo: ad Oriente si celebrava il 14 nisan (uso quartodecimano) e in Occidente la domenica successiva. Tuttavia i due mantennero una intensa comunione. Policarpo convertì molti seguaci di Valentino e Marcione, che apostrofò quale primogenito di Satana dopo una sua arrogante pretesa di sottomissione. Arrestato a ottantasei anni nel 155 da Stazio Quadrato, rifiutò l’apostasia e fu martire sul rogo, sotto Antonino Pio (138-161). Il suo glorioso martirio ebbe una eco vastissima.

Due lettere, di cui una molto breve e una seconda ai Filippesi più lunga, sono quanto ci resta dell’epistolario del Santo. Trattano temi spirituali e pastorali, additando ai fedeli Cristo quale modello nella fede, nella speranza, nella carità, ma anche nella mansuetudine e senza disprezzo per alcuno.

SANT’ERMA

Di lui sappiamo poco. Fu un profeta e difese il profetismo dall’avanzata dello spirito istituzionale dei dottori. Il Frammento Muratoriano, datato al 180-200, pone la sua opera, il Pastore, ai suoi tempi, scritta a Roma mentre san Pio I (140-154), che era fratello di Erma, sedeva sul trono di Pietro. Il Frammento esorta a leggerlo ma non a considerarlo scrittura ispirata. Alcuni autori recenti retrodatano il Pastore al 90. La confusione tra vescovi e presbiteri che Erma fa sembrerebbe suffragare quest’ipotesi, che quindi sarebbe stata scritta molto prima dell’elevazione al pontificato del fratello, anche se magari solo sotto di lui sarebbe stata predisposta per una edizione definitiva. L’opera è apocalittica e simbolica e anche le notizie autobiografiche dell’autore in essa contenute sono per questo dubbie (venduto come schiavo, affrancato da una matrona cristiana, arricchitosi e sposatosi, immerso nelle questioni del secolo e poco dedito all’educazione dei figli, i quali durante una persecuzione apostatarono e denunziarono lui e sua moglie, facendolo precipitare nella povertà e determinando la sua vocazione profetica e penitenziale).

L’opera è in effetti, a vantaggio di chi ne sostiene una datazione alta, intrisa di giudeo-cristianesimo, con venature ellenistiche, ma anche dotato di un buon senso pratico tipicamente romano, scritta in un linguaggio popolare. Contrario al rigorismo, Erma intitola il libro al Divin Pastore che gli appare nella seconda parte di esso ad esortare i fedeli con precetti e parabole alla penitenza. Esso si articola in tre parti: Visioni Precetti e Similitudini. Nella prima Visione, autobiografica, Erma vede la Chiesa stessa che, ringiovanendo progressivamente, assicura che ai cristiani dopo il Battesimo è concesso un Giorno di perdono – che è la Penitenza- purchè si pentano e non ne abusino. Nella Terza la Chiesa è paragonata ad una torre in costruzione, in cui ci sono pietre buone e cattive, per cui urge fare penitenza, prima che l’edificio sia compiuto. Nella Quinta il Pastore compare e ordina di scrivere le Sue similitudini e i Suoi precetti. Questi sono elencati nella seconda parte e vertono su: fede, carità, amore della verità, castità, pazienza, le due vie, timore di Dio ma non di satana, opere buone da fare e azioni cattive da non fare, preghiera, gioia e tristezza, veri e falsi profeti, desideri cattivi. Le Similitudini o Parabole sono presentate nella terza parte dell’opera e descrivono la Chiesa o la vita del cristiano.

Teologicamente le dottrine principali riguardano la Penitenza, la Chiesa e Gesù Cristo. La prima è concessa ai lapsi, ossia a chi ha apostatato nelle persecuzioni, purchè siano pentiti e la chiedano. In genere, il Pastore mostra che la Penitenza nel I sec. era concessa con la stessa facilità di oggi, e che solo il rischio del lassismo introdusse la pratica di impartirla una volta sola per i peccati gravi e pubblici, proprio per influsso del nostro autore. Ciò mise in ombra altri sacramenti come l’Unzione degli Infermi, differendosi la Penitenza al momento della morte del fedele. La seconda è Corpo di Cristo, sacramento di salvezza e in essa si entra tramite il Battesimo. Il Terzo è presentato quale Salvatore, Persona distinta dal Padre e Incarnata per opera dello Spirito, il Quale abitò nell’Umanità di Cristo servendosene per compiere la Sua missione. Questa stretta compenetrazione tra lo Spirito Santo e l’Umanità di Cristo ha fatto credere ad alcuni che Erma non avesse chiara la distinzione tra la Seconda e la Terza Persona della Trinità, ma non è necessario fare questa supposizione.

LA DIDAKE’

Catechismo anonimo attribuito ai XII Apostoli, detta anche Dottrina dei XII Apostoli, essa ha una datazione incerta verso la fine del I sec., viene dall’ambiente giudeo-cristiano, si rivolge ai convertiti dal paganesimo e offre loro una sintesi chiara della vita cristiana impostata sulla scelta tra due vie, quella della vita e della morte. Dopo una lunga introduzione, la Didakè espone la dottrina liturgica su Battesimo, digiuno, preghiera (il Pater tre volte al giorno), Eucarestia; passa poi alle norme disciplinari, verso i carismatici, gli Apostoli, i profeti, i pellegrini, i peccatori ecc. Infine esorta ad attendere operosi il ritorno di Cristo. Sul Battesimo prescrive che sia amministrato in acqua viva e per immersione, sebbene si possa in certi casi limitarsi all’aspersione. Sull’Eucarestia che non sia ricevuta in peccato senza che i fedeli prima si confessino; essa è un sacrificio puro e universale e un vero nutrimento spirituale.

SAN BARNABA E SAN PAPIA DI GERAPOLI

Al primo, cugino di Marco, collaboratore di Paolo per un anno dopo averlo presentato agli Apostoli, evangelizzatore di Cipro dove morì martire nel 60 sotto Nerone, è attribuita una Lettera posta dai critici alla fine del I sec. e che quindi non sarebbe sua. Importante documento dogmatico-polemico, con esegesi allegorica del VT e con un linguaggio appropriato sulla Divinità di Cristo, è senz’altro parte integrante della Patrologia apostolica.

Il secondo, vissuto tra il 70 e il 130 ca. e martirizzato sotto Antonino Pio, discepolo di Giovanni, fu autore della Spiegazione dei Detti del Signore, che però ci è giunta solo in frammenti, peraltro assai importanti per la storia ecclesiastica del I sec. e per quella della formazione dei Vangeli


Theorèin - Gennaio 2016