LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
Entra nella sezione FILOSOFIA

Se vuoi comunicare con Vito Sibilio: gianvitosibilio@tiscalinet.it

ALEXANDRINA SCHOLA

Breve introduzione a Clemente di Alessandria e ad Origene

La nascita della Scuola teologica di Alessandria segnò una svolta nella storia del pensiero teologico cristiano, in quanto essa non solo fu la prima e la più influente tra le scuole teologiche antiche, ma avviò l’uso sistematico delle categorie del pensiero platonico nel sistema cristiano e dell’esegesi allegorica nello studio biblico.

Diversi elementi contribuirono alla nascita di questa accademia nel III sec. Anzitutto l’esigenza sempre più avvertita di formare non solo i catecumeni, ma anche i maestri dei catecumeni; poi la necessità di metabolizzare nel Cristianesimo quel che era con esso compatibile della corrente neoplatonica, nata nello stesso periodo; ancora, una più massiccia presenza tra le fila dei cristiani di persone colte ed istruite, desiderose di rendere conto ai pagani della ragione della loro adesione ad una religione semitica mediante forme e concetti e mezzi intellettuali propri del mondo greco; nella fattispecie, influì altresì il fatto che Alessandria fosse da secoli la capitale culturale dell’ellenismo e la città più dotta del mondo, oltre che di recente assurta al fastigio di capitale intellettuale dell’Impero Romano, soppiantando la stessa Atene; nella metropoli egizia viveva anche la più florida comunità ebraica della diaspora, che aveva realizzato la traduzione greca della LXX, che aveva dato alla Sinagoga il suo più grande filosofo, ossia Filone, e che aveva quindi già avviato, per la Legge mosaica, lo sforzo di comprenderne ed esprimerne i contenuti secondo le categorie di pensiero della filosofia, oltre che di dimostrare la dipendenza concettuale di buona parte della filosofia stessa dalla più vetusta Rivelazione biblica. Con questa comunità il Cristianesimo aveva interagito sin dalle sue origini, perché qui era giunto Marco a fondare una Chiesa e con Filone, contemporaneo di Gesù, si era confrontato concettualmente Giovanni per scrivere il Prologo del suo Vangelo, mentre era la Bibbia della LXX che, dagli Apostoli in avanti, la Chiesa aveva adoperato per la sua predicazione. Ora l’interazione riprendeva in grande stile, quasi a consolidare la presenza incipiente della Cristianità nell’Impero e a superare la prospettiva meramente apologetica della letteratura patristica. Infatti i maestri alessandrini sono anche, ma non solamente, degli apologisti. Peraltro, secondo Girolamo, ad Alessandria vi furono sempre teologi eminenti.

A fondare la Scuola fu San Panteno (†200), alla fine del II sec., cristiano di origine sicula, già adepto illustre dello Stoicismo, assai colto e celebre, il quale, avendo abbracciato la Fede, dopo aver svolto intensa attività missionaria spingendosi fino all’India, decise di aprire un centro per la predicazione e il commento della Parola di Dio, proprio nella capitale culturale dell’Impero, forse agganciandosi a qualche tradizione scolastica preesistente e lasciando ai posteri un patrimonio di scritti che però non ci è giunto.

Quando Panteno morì, fu il suo più illustre discepolo, San Clemente di Alessandria, a prendere le redini della direzione della Scuola, facendola crescere ulteriormente. Quando il patriarca San Demetrio (189-231) nominò come scolarca Origene, l’istituzione divenne pubblica, smise di formare solo i catechisti e divenne seminario per i teologi, assumendo la denominazione di Didaskaleion. In esso la Bibbia venne studiata con rigore scientifico e la teologia cominciò a servirsi dei concetti e dei metodi della filosofia platonica. Questa parabola intellettuale della Scuola entrò in fase decrescente quando Origene fu costretto a lasciare Alessandria, ma l’influenza del suo lascito culturale continuò imperterrito a tramandarsi nei secoli venturi, mediante alcune caratteristiche che rimasero ben impresse in coloro che vollero rifarsi alla sua tradizione: l’uso della filosofia, l’esegesi biblica allegorica, l’indagine speculativa del contenuto soprannaturale delle verità rivelate con una tendenza idealistica. In estrema sintesi, la Scuola Alessandrina antica ha creato la scienza teologica, perché non assorbe in sé la filosofia, ma la usa per raggiungere lo scopo di una conoscenza epistemologicamente fondata di uno specifico oggetto di studio, ossia il dato della Rivelazione. Ciò dipese, appunto, dall’opera di Clemente di Alessandria e di Origene.

SAN CLEMENTE DI ALESSANDRIA

Il suo nome completo era Tito Flavio Clemente, ed era nato probabilmente ad Atene tra il 145 e il 150. Si convertì già da adulto al Cristianesimo. Viaggiò molto per istruirsi e quando giunse ad Alessandria, ascoltò le lezioni di Panteno e ne rimase colpito, intorno al 180. Nel 190 fu ordinato sacerdote. Nel 200 circa divenne scolarca. Ebbe numerosi discepoli, tra cui Origene. Quando scoppiò la persecuzione di Settimio Severo (193-211), Clemente dovette lasciare la città e rifugiarsi a Cesarea di Cappadocia, il cui vescovo, il martire Sant’Alessandro (†250) era stato anch’egli suoi discepolo. In questa sede svolse molte benemerite attività, mentre infuriava la persecuzione, elogiate dal presule in una famosa lettera del 211. Clemente morì un po’ prima del 217. Fu venerato come Santo per secoli e inserito nei Martirologi antichi, ma il suo nome fu espunto dal Martirologio Romano da Cesare Baronio (1538-1607) sotto Clemente VIII (1592-1605) e la decisione fu confermata da Benedetto XIV (1740-1758), perché della sua vita si saprebbe troppo poco, perché alcune sue dottrine sarebbero sospette (ovviamente alla luce della dogmatica successiva) e perché non ci sarebbe stato un culto pubblico nella Chiesa antica. Ma questo ovviamente non basta di per sé ad annullare la santità di qualcuno, specie se fondata su una antica tradizione e se rivolto a un confessore (per cui appare dubbia l’obiezione più forte, ossia la mancanza di un culto pubblico antico). Infatti Benedetto XVI (2005-2013) lo definì pubblicamente Santo nel 2007, durante la catechesi a lui dedicata, confermando implicitamente il culto tradizionale.

Clemente di Alessandria fu autore di vasta e feconda produzione, con un posto di tutto rispetto tra i classici della teologia, della filosofia e della letteratura greca. Egli infatti conosceva benissimo non solo quasi tutta la letteratura della sua nazione, non solo tutte le scuole filosofiche, ma anche ovviamente tutte le lettere cristiane ed eretiche, le religioni sue contemporanee e i misteri pagani.

Tre sono le sue opere principali: gli Stromateis (miscellanea), il Protreptokos (esortazione) e il Paidagogos (pedagogo). I primi sono una sorta di enciclopedia della dottrina cristiana, che in essi è esposta in modo sistematico, approfondito e col supporto ermeneutico ed epistemico della filosofia, e che viene difesa dalle accuse che i pagani per ignoranza le rivolgono. Clemente non esita a chiamare il credente vero filosofo, e a definirlo gnostico, nel senso di conoscitore della vera scienza. La seconda opera è una dura critica del paganesimo. La terza è un trattato sulla formazione del perfetto cristiano. Va ricordato anche un altro libro, il Quis Dives Salvetur (tis ho sozomenos plusios; quale ricco si può salvare?), che sviluppa il tema classico della possibilità che anche il ricco si salvi. Ci sono giunti frammentari le Ipotiposi (disposizioni), un ampia silloge di commenti scritturistici.

Per Clemente la filosofia è intrinsecamente buona ed anzi ha svolto per i Greci una funzione pedagogica quasi simile a quella che per gli Ebrei ha svolto la Legge di Mosè, per cui non a torto egli è considerato il padre del pensiero filosofico cristiano, usando per primo un rivestimento platonico per esprimere le verità evangeliche. Clemente difende la filosofia e la sua utilità, al contrario di Taziano, di Tertulliano e di Ireneo, anche perché egli cambia il modo stesso di rapportarsi con essa, per cui non è più il fomite di una serie di errori da cui difendersi ma uno strumento di cui servirsi.

Il Padre Alessandrino imposta infatti la questione in termini molto chiari: la verità è il Logos, ma al suo interno vi è posto anche per la filosofia, la quale coglie così anche per una virtù propria conferitagli dal Logos stesso brandelli di verità. Essa dunque serve anche a difendere la verità stessa dalle aggressioni dei sofisti. La verità è un solo unico fiume nel quale sfociano tutti gli altri corsi d’acqua, ebbe a scrivere Clemente. Dal Logos fluiscono e nel Logos confluiscono tutte le scienze, anche le più apparentemente lontane dalla religione, perché atte ad esprimere i contenuti della verità; siccome poi questa verità si è espressa e comunicata nell’Incarnazione, ecco che esse servono a e promanano dal Cristo in quanto Uomo e Dio. Ossia si inseriscono nell’orizzonte concettuale storicamente definito del Cristianesimo e solo in esso.

La logica e il linguaggio clementini nella teologia, nella cristologia e nell’antropologia sono soprattutto platonici, ed egregiamente usati, come abbiamo detto. Clemente afferma che la cosmologia platonica, intesa essenzialmente come impianto metafisico di una compiuta ontologia su cui si fonda l’ordine naturale, è conforme al principio rivelato dell’esistenza nel Logos divino di tutta la realtà, sia da un punto di vista esemplaristico che causativo. Di rincalzo, Clemente afferma anche che le verità rivelate sull’uomo, su Dio, sulla Provvidenza e sulla Salvezza sono perfettamente conformi alla ragione anche se non conoscibili direttamente da essa. Si crea pertanto una sinfonia tra fede e ragione, tra religione e cultura, che permette di mescolare la verità rivelata alle teorie dei filosofi, inviluppandola e nascondendola in esse.

La scienza teologica dell’Alessandrino è una gnosi, ed è principalmente biblica, in quanto è soprattutto una interpretazione dotta della Scrittura. Questa impartisce due tipi di insegnamento: uno di comprensione immediata e uno di comprensione possibile solo a chi sa rettamente interpretare, per cui diversamente rimane oscuro e coperto. Solo lo gnostico, ossia il teologo, può rettamente comprendere la Parola di Dio. I profeti infatti e Dio stesso non hanno voluto enunciare i divini misteri in un modo accessibile a tutti, come del resto si avvede chiunque legga la Scrittura. Allo gnostico pertiene anzitutto se non esclusivamente l’esegesi allegorica. Essa era stata anche degli gnostici eretici, per cui Clemente puntualizza che l’esegesi allegorica è valida solo se non modifica ma interpreta il senso del testo e solo quando tale interpretazione si addice pienamente a tutto quant’altro detto nella stessa Scrittura, trovando in essa sostegno esplicito.

Clemente, considerando enigmatici quasi tutti gli oracoli biblici, distingue nella Bibbia quattro parti con altrettanti sensi da interpretare: quella storica, quella legislativa o morale, quella liturgica e quella teologica o contemplativa, detta epoptia, che sovrasta tutte le altre ed è l’oggetto proprio della gnosi. Sulla scia di Filone, Clemente enumera una infinità di allegorie bibliche, ora cristologiche, ora antropologiche, ora cosmologiche, ora morali e di altro genere.

L’Alessandrino afferma, sulla scia di San Paolo e dei filosofi greci, che l’uomo ha una conoscenza naturale di Dio, per la quale egli anzi è fatto, più di quanto non lo sia per qualsiasi altra attività. Tale nozione è scolpita negli uomini di tutte le culture e fa sì che ognuno di essi sia propenso ad adorare un Essere Superiore. Tuttavia l’idea di Dio nell’uomo quasi sempre è scorretta e sempre è insufficiente. Il Padre muove dure critiche al politeismo, stupido e immorale, mentre esalta la ricchezza spirituale e la purezza trascendente del Logos Incarnato. Per lo scolarca, il fascino delle creature, la paura degli elementi, l’esaltazione delle passioni e il culto degli eroi hanno generato il politeismo. Contro di esso tuttavia la ragione dimostra che Dio non può che essere Unico, unitario, al di là dell’Uno stesso e al di sopra di esso. Tra gli attributi divini meritano una menzione particolare l’autosufficienza, l’impassibilità, l’immutabilità, la libertà, la trascendenza e la bontà. Essa ha un primato assoluto sugli altri, perché solo da essa promanano la Creazione e la Redenzione. La bontà di Dio è sempre assolutamente gratuita, mentre quella delle creature non può non avere un sia pur minimo interesse, per cui si differenzia radicalmente da quest’ultima. Inoltre è sempre attiva e si concretizza in azioni sempre nuove.

Tuttavia, nonostante la possibilità di una teologia naturale, Clemente afferma che in ultima analisi di Dio si può soprattutto dire quello che Egli non è, ossia farNe l’oggetto di una teologia negativa, apofatica. Giustamente l’Alessandrino dice che Dio non è né genere né alterità né specie né individuo né numero né accidente né soggetto di cui l’accidente si predica; asserisce che Egli non è nemmeno il tutto, in quanto il tutto promana da Lui e non si identifica con Lui; insegna che Dio è indivisibile in quanto Uno, e perciò infinito non perché copra uno spazio immenso ma perché non ha distanze interne né dimensioni, così da non avere figura e da essere innominabile. Gli appellativi di Uno, Bene, Infinito, Essere in Sé, Padre, Dio, Creatore e Signore non sono infatti nomi in senso proprio, ma appigli per il pensiero, che così può concepire l’Altissimo senza allontanarsi troppo dalla verità che pure lo esorbita.

Integrando quanto Platone e gli Stoici avevano insegnato, Clemente arricchisce il suo discorso su Dio attraverso la Rivelazione, perché solo il teologo può parlare esaurientemente e correttamente di Lui, come dell’uomo e del cosmo. Il criterio supremo è la Parola di Dio, che conferisce la certezza infallibile a quanto appreso, in quanto prova che è superiore ad ogni altra. Proprio nella luce della fede si coglie, all’interno dell’Unità di Dio, la Sua essenziale Trinità. Il Logos è sussistenza separata, autonoma dal Padre e divina tanto quanto Lui. Il Logos è preesistente ad ogni cosa ed eterno. Egli è l’organo, lo strumento divino, armonioso, melodioso, santo, celeste. Egli è la Sapienza divina. Clemente dice che è Logos celeste, ouranios, sempre congiunto alla Sophia hyperkosmios, alla Sapienza sovramondana. In tal senso il Logos è appunto, come dicevamo, strumento, organon, di Dio, nel senso di mezzo di cui si serve, di organo di facoltà sensitiva e intellettiva, e quindi di Principio divino, archè theia, di quanto tutto procede da Dio. Questo Logos, Seconda Persona della Santissima Trinità, si è incarnato e fatto Uomo per educare, ammaestrare, salvare e condurre alla vita eterna gli uomini. In quanto incarnato, il Logos è Cristo, ma siccome l’Incarnazione è vera, il Cristo è la stessa Persona del Logos, pur nella distinzione di Due Nature. Cristo è, sia in quanto Uomo che in quanto Dio, Figlio naturale di Dio, mentre noi lo siamo solo di adozione. Proprio perché Figlio di Dio, Cristo è Maestro infallibile nel Quale possiamo riporre tutta la nostra fede. Clemente anzi denomina il Cristo Maestro e Pedagogo anche in riferimento alla Sua funzione salvifica, perché la verità che comunica, e di cui è parte integrante quanto Egli ha fatto e sofferto, è per noi strumento di salvezza. In questo senso il Cristianesimo è la filosofia che salva, esattamente come i pagani colti si aspettavano che facessero le loro filosofie erronee. Analogamente, Cristo è il Medico, che guarisce tutti, portandoli mediante l’illuminazione della gnosi alla vita eterna. La Redenzione è quindi una azione illuminativa che il Logos compie sull’uomo per condurlo all’eternità. Per così dire, l’evento pasquale rimane nel cono d’ombra di questa luce, almeno nel pensiero cristomistico di Clemente di Alessandria.

Nell’antropologia il Padre riesce a sintetizzare con il medesimo vigore e la stessa armonia fino ad ora dimostrati molti aspetti che erano apparentemente inconciliabili nello gnosticismo, nel manicheismo e nella Patristica precedente. Clemente abolisce ogni dualismo e ogni manicheismo. L’uomo è anima e corpo, sebbene la prima sia più importante. Entrambi sono buoni e le azioni del composto umano possono essere buone, cattive o indifferenti, così che ciò che è pienamente buono è attribuito all’anima in senso pregnante, perché compiuto da chi ha chiara nozione di una propria natura spirituale, mentre quanto è pienamente cattivo è attribuito in senso tipico al corpo, in quanto solo in esso si esaurisce la vita delle persone malvage. L’uomo virtuoso infatti è sempre pronto a lasciare il corpo, che tratta con rispetto.

L’uomo è salvato nel suo complesso, come anima e corpo, che anzi sono resi più armonici per la salvezza stessa e di cui il Cristo ora può servirsi quale strumento di lode al Padre. L’uomo è poeticamente paragonato da Clemente a uno strumento musicale con cui Cristo suona e canta al Padre nello Spirito Santo.

Clemente afferma che l’uomo è icona di Dio. Questa iconicità è di tre specie. La prima è quella del Logos. La seconda è quella del cristiano. La terza quella dell’uomo in quanto tale. Questi è propriamente mera icona o immagine, mentre il cristiano è homoiosis, ossia simile, a Dio, in virtù della Grazia, che appartiene a pochi, e riguarda l’anima, nella quale Dio imprime il sigillo del beneficare e del comandare all’intendere e al volere. L’uomo che somiglia a Dio deve seguire gli esempi di Cristo, mettendo in pratica la vera gnosi. Clemente è infatti anche un grande autore spirituale ed ascetico: ha insegnato la castità, la virtù matrimoniale e il martirio. Questo non è solo la morte violenta, ma anche la capacità di dominare il proprio corpo, morendo ad esso e dunque al mondo, con una morte degna dell’encomio riservato ai grandi eroi. Ad essa sono chiamati tutti, senza distinzione di condizione, sull’unico esempio di Cristo, Che arrivò alla Croce. Fede gnosi e amore sono i tre gradi della perfezione. L’amore solo infatti conduce alla beatitudine e alla perfezione stessa. La gnosi ci insegna lo stile di vita di Dio, ma esso sarà nostro solo dopo aver attraversato le prove, i castighi e le pene che dobbiamo affrontare come conseguenza dei nostri peccati. Allora avremo il premio e l’onore, concessi ai perfetti. Diventati puri di cuore, gli gnostici sono degni di vedere Dio a Cui sono uniti nella contemplazione. Questa contemplazione è comprensiva, ossia porta le anime in Dio e Dio nelle anime, in eterno. Lo gnostico dunque si assimila a Cristo e mediante Lui in quanto Sacerdote è vicino a Dio nel culto, terrestre e poi celeste.

Nella cosmologia, che pure trattiamo sommariamente per ultima, Clemente vede l’anticamera della teologia. I piccoli misteri sono il suo argomento, propedeutico ai grandi della teologia. L’universo sensibile è contrapposto a quello intellegibile, rappresentato dalle Idee, che sono contenute in Dio attraverso il Logos, nel quale vi è dunque la monade del cosmo stesso. Clemente considera la Creazione come avvenuta fuori dal tempo. La materia è non essere, e quindi manca di forma alcuna per cui non è principio indipendente, ma subordinato a quello assoluto, che è appunto Dio nel Logos, il Quale è la causa della sua stessa origine.

Grazie a Clemente, il Cristianesimo ha compiuto la sua prima e piena incarnazione storica, la prima inculturazione, ossia quella nella cultura greca. Di essa non si è mai più spogliato, e su questo corpo intellettuale ha vestito gli abiti di tutte le altre epoche che ha attraversato e di tutte le altre nazioni che ha conquistato. Si avvia con l’Alessandrino quel processo di composizione di un sinolo, in cui la forma, il Vangelo, si unisce alla materia, ossia i mezzi espressivi, in modo tale da non potersi più scindere, con risultati fecondissimi proprio nella definizione del dogma.

ORIGENE

Egli nacque ad Alessandria nel 185 circa, da una famiglia cristiana, primo di sette figli. Suo padre era San Leonida, martire nel 204 sotto Settimio Severo. Fu lui ad avviare il suo primogenito allo studio delle lettere e della Scrittura, verso il quale subito Origene manifestò la sua predilezione. La precoce santità del ragazzo si vide nel coraggio con cui sostenne il padre nel martirio, che anzi divenne il suo anelito, entusiasticamente descritto e vagheggiato nell’Esortazione al Martirio. Da questo fu detto Adamanzio, ossia uomo d’acciaio. Ridotto in miseria dalla confisca dei beni da parte dell’erario in seguito alla persecuzione, Origene dovette abbandonare lo studio delle lettere e darsi all’insegnamento aprendo una scuola di grammatica. Qualche anno dopo il patriarca san Demetrio lo incaricò della preparazione dei catecumeni, cosa che permise ad Origene di distinguersi per zelo ed entusiasmo. Siccome gli uditori dei suoi corsi aumentavano a vista d’occhio, il maestro dovette dividerli in due livelli, riservando a sé il più elevato e lasciando all’amico Eracla quello elementare. Per soddisfare le istanze sempre più pressanti del suo eterogeneo pubblico, nel quale c’erano cristiani, pagani e gnostici, Origene si diede ad uno studio più approfondito della Bibbia e della filosofia. Visitò così la Palestina, studiò l’ebraico, frequentò le lezioni di Ammonio Sacca (175-242), continuò imperterrito ad insegnare e fece le sue prime pubblicazioni. La grande attenzione riservata alla filosofia e il suo uso disinvolto per spiegare le verità di fede, fino poi alla formulazione di ipotesi dottrinali tendenzialmente eterodosse, indussero la Chiesa alessandrina dapprima a sospettare di Origene, poi ad osteggiarlo e alla fine a condannarlo. Tuttavia quest’ultimo atto avvenne per motivi disciplinari, in quanto il grande scolarca era stato ordinato sacerdote ad Atene nel 230 da Teoctiso (o Teoctisto) di Cesarea (†257/259) e da Sant’Alessandro di Gerusalemme (martirizzato nel 250), senza che questi presuli consultassero il Patriarca alessandrino. Questi, al rientro del presunto ribelle, in due Sinodi lo depose dall’insegnamento, lo ridusse allo stato laicale e lo scomunicò. Le sentenze furono ratificate dal papa San Ponziano (230-235) e da molti vescovi, ma non da quelli di Palestina, Fenicia, Arabia e Acaia. Origene, superata la dura e forse ingiusta prova, si ritirò a Cesarea di Palestina presso Teoctiso, che gli permise di aprire una nuova Scuola nella quale continuò il suo magistero alessandrino. Continuando colà ad esercitare il sacerdozio, accanto all’insegnamento collocò come attività quotidiana la predicazione. Fu questo un periodo di eccezionale fecondità scrittoria, mediante commentari biblici, omelie, lettere, opere ascetiche ed apologetiche. Ebbe corrispondenza con papa san Fabiano (236-250) e con l’imperatore Filippo l’Arabo (244-249). L’imperatore Decio (249-251), facendolo incarcerare oramai vecchio e poi torturare, diede alla sua vita una degna corona finale. Infatti Origene, liberato alla morte del tiranno, morì tuttavia per i maltrattamenti ricevuti tra il 253 e il 254, e fu sepolto a Tiro, dove la sua tomba fu visibile fino al XIII sec. Sebbene non gli sia stato tributato culto alcuno, egli lo meriterebbe perché fu confessore della fede.

Origene fu il più fecondo autore dell’antichità greca, scrivendo più di mille opere i cui titoli ci sono stati in parte tramandati da San Girolamo (347-420) nella sua XXXIIII Lettera, a santa Paola. Di questa messe straordinaria solo una parte ci è giunta, in greco o in una traduzione latina, spesso in meri frammenti. Il grosso della perdita si dovette alla scellerata controversia origenista che culminò nella condanna di molte tesi attribuite al maestro in modo erroneo.

Le opere origeniane sono esegetiche, sistematiche e varie. Le prime comprendono innanzitutto gli Esapla, ossia l’edizione della Bibbia curata da Origene. Conformemente al suo nome, l’opera contiene su sei colonne il testo ebraico della Scrittura, la sua traslitterazione in greco, le versioni di Aquila, Simmaco, della LXX e di Teodozione. Seguono poi le dottissime esposizioni sulla Scrittura. Innanzitutto i Commentari, ampi, di carattere scientifico e speculativo, ricchi di interpretazioni allegoriche, che seguivano molti libri della Scrittura e dei quali ci sono giunti solo parti, sul Cantico dei Cantici, sui Vangeli di Matteo e Giovanni e sulla Lettera ai Romani. Poi seguono gli Scolii, ossia le annotazioni ai passi della Scrittura di interesse dell’autore; essi non ci sono giunti se non tramite le Catene, ossia i commenti miscellanei formati da varie sentenze desunte da vari autori. Infine abbiamo le Omelie, tenute ai fedeli di Cesarea su interi libri biblici o su alcuni passi di essi, in numero di cinquecentosettantaquattro, delle quali ce ne sono giunte solo duecento. In greco ci restano venti omelie su Geremia, mentre in latino, tradotte da San Rufino (345-411), ne abbiamo sedici sulla Genesi, tredici sull’Esodo, sedici sul Levitico, ventotto sui Numeri, ventisei su Giosuè, nove sui Giudici, nove sui Salmi; ancora in latino ma nella traduzione di Girolamo ce ne sono arrivate due sul Cantico, nove su Isaia, quattordici su Ezechiele e trentanove sul Vangelo di Luca.

Le opere sistematiche sono due: I Principi e il Contro Celso. La prima è del 220 e fu scritta ancora ad Alessandria; consta di quattro libri ed espone in modo approfondito e sistematico tutta la dottrina cristiana; ci è giunta nella traduzione latina di Rufino. La seconda risale al 246 e confutava il Discorso vero con cui Celso (†248), filosofo medioplatonico, insultava Gesù Cristo e mistificava la religione cristiana. Essa fu la maggiore opera apologetica dei primi secoli, per cui Origene è anche, ma non solo, un Padre apologeta.

Le opere rimanenti sono di diversa natura: un trattato sulla Preghiera, contenente un commento al Padre Nostro; un trattato sulla Pasqua; una Disputa con Eraclide, vescovo di Arabia; un Epistolario assai nutrito del quale ci giunsero solo una lettera a Gregorio il Taumaturgo e una a Giulio Africano (160/170-240) sul valore storico dell’episodio di Susanna.

Di un così grande genio stupisce che, dopo secoli in cui nessuno dei grandi Padri greci e latini aveva mai avuto da ridire sul suo pensiero, anzi lo avevano elogiato, improvvisamente iniziò il declino che giunse alla condanna. Fu sant’Epifanio di Salamina (310/315-402/403) a inserire Origene nel suo catalogo di eretici e a persuadere san Girolamo, un tempo suo ammiratore, a darsi da fare con lui per arginarne ovunque l’influenza, a cominciare dai monasteri palestinesi. A difesa di Origene si levò san Rufino di Aquileia, che si invischiò in una polemica celebre con san Girolamo, pure suo amico in precedenza. Fu quest’ultimo a prevalere e ad ottenere la condanna postuma di Origene, per determinate dottrine attribuitegli, dal patriarca di Alessandria san Teofilo (385-412) e da papa sant’Anastasio I (399-401), ratificata dall’imperatore Onorio (395-423) che addirittura vietava la lettura delle opere del Padre. Fu tuttavia il II Concilio Ecumenico di Costantinopoli (553), recependo un editto di Giustiniano I (527-565) ad anatematizzare formalmente quindici dottrine dei seguaci del sistema origeniano, anche se non attribuite solo a lui ma anche a Pitagora, Platone e Plotino. In effetti i passi non erano origeniani ma origenisti (ossia tratti dagli scritti di chi era seguace di Origene), in particolare di sant’Evagrio Pontico (345-399). Fermo restando che il magistero di un Concilio ecumenico non si discute, va puntualizzato che in ogni caso Origene non fu un eretico di per sé, ma che alcune sue proposizioni, condannate singolarmente, o furono eterodosse alla luce della dogmatologia definitasi in seguito o furono attribuite a lui, nella loro eterodossia, in quanto pronunziate e sviluppate dai suoi seguaci. Tecnicamente erano i suoi seguaci a non saper tenere insieme ciò che il maestro invece sintetizzò mirabilmente: libertà di pensiero negli ambiti non definiti dogmaticamente e fedeltà ai punti dottrinali oramai fermi o sufficientemente chiari. Del resto, le condanne dell’epoca erano inflitte sempre alla luce di canoni di ortodossia fissati in seguito e quindi, se dottrinalmente erano esatte, storicamente erano discutibili. Lo stesso Origene, che in vita si dichiarò sempre sottomesso al magistero della Chiesa, ha, di fatto in punti diversi del suo pensiero e in fonti differenti della tradizione che a lui si rifà, sostenuto posizioni diverse su un medesimo argomento (per esempio si deve alla sua penna di filosofo la più acuta critica della metempsicosi, a dispetto di chi ritiene che egli stesso ne fosse un sostenitore).

In ogni caso, Origene rimane, con Agostino e Tommaso, uno dei più grandi geni del Cristianesimo. Egli ha influito senza pari sulla teologia della Chiesa bizantina. Egli esercitò un fascino magnetico sui Padri cappadoci, su Agostino, su Dionigi, su Massimo il Confessore, su Scoto Eriugena e su Eckhart, per rimanere ai pensatori cristiani dell’antichità e del medioevo. Per Von Balthasar, seguendo il corso dei pensieri di Origene, si fa come gli scalatori, che arrivano laddove non pensavano mai di giungere. Lo stesso grande teologo afferma che Origene è di fatto onnipresente nel pensiero cristiano. I suoi critici e avversari (come san Vincenzo di Lerino [†450ca.]) furono i primi a tessere gli elogi della sua intelligenza penetrante, vasta, acuta e nobile; della sua cultura enciclopedica; della sua cognizione delle lettere latine, greche ed ebraiche; della sua eloquenza piacevole, pura e soave; della forza chiarificatrice del suo ragionare anche sui temi più ardui; della prolificità della sua penna; della vastità del numero dei suoi illustri seguaci. Origene, sebbene di poco posteriore a Tertulliano, a Clemente di Alessandria e ad Ireneo, personaggi anch’essi illustrissimi di cui abbiamo tessuto gli elogi, riuscì laddove essi avevano fallito, ossia a dare al Cristianesimo un impianto speculativo solido e una struttura sistematica rigorosa. A tale scopo assimilò le dottrine filosofiche più in voga e le espresse con la terminologia filosofica più comune e accreditata. Proprio per questo egli alimentò in seguito tante controversie, mancando ancora secoli ai dogmi di Nicea, di Costantinopoli, di Efeso e di Calcedonia.

Nei Principi, Origene unisce il Cristianesimo al Platonismo in un modo più che ardito, trattando degli elementi costitutivi di tutte le cose. Essi constano di quattro libri, dei quali uno è sul mondo trascendente di Dio degli spiriti e delle anime; un altro sul mondo storico (dalla Creazione alla Redenzione alla Resurrezione dei corpi); un altro ancora sul mondo umano; l’ultimo sulla Scrittura.

Il sistema origeniano è, come quello di Leibnitz millequattrocento anni dopo, basato sulla libertà, intesa come principio metafisico. Essa sostituiva quello teologico dell’economia salvifica invalso nella descrizione cosmologica sin dall’epoca dei Padri apostolici. Per Origene, che vuole rendere ragione della propria fede e approfondirla con il ragionamento, non solo Dio ha creato liberamente, ma anche l’uomo e gli angeli e i demoni si collocano nel quadro della Creazione secondo loro libere scelte, sia pure note alla prescienza divina. Il suo sistema è talmente monistico che sembra aver anticipato Schelling, Hegel, Teilhard de Chardin e Tillich, per cui non ci si meraviglia che sia stato condannato, in quanto almeno i primi tre autori citati sono senz’altri eterodossi; la matrice di tutti costoro è il platonismo, al quale evidentemente Origene fu più fedele nella sua cosmologia di quanto non sia stato alla Bibbia stessa, che pur tanto bene conosceva. Del resto Origene distingueva le verità definite da quelle in discussione, usando la filosofia per illustrare entrambe, anche se considerava il suo uso più utile per le seconde.

Per Origene esistono tre forme di sapienza, una del mondo, una dei principi del mondo e una di Dio, disposte dal basso all’alto e delle quali l’ultima può essere acquisita o per ragionamento o per rivelazione e non è altra che la teologia. Tuttavia anche la teologia della Rivelazione, veicolata innanzitutto dalla Scrittura e culminante in Cristo, non esaurisce il mistero di Dio in quanto esso è esorbitante anche per le intelligenze angeliche e implica un progresso costante che dura eternamente anche per i Beati. Invece la sapienza del mondo è la semplice somma delle arti e delle scienze. Particolare è la sapienza dei principi di questo mondo, i quali non sono uomini ma spiriti, buoni o cattivi, che reggono le nazioni pagane, caratterizzandone la cultura. Questa triplice sapienza è abbracciata dalla filosofia, la quale dunque è alleata e sodale della teologia in quanto tale. Se prima di Cristo essa ha preparato i Greci ad accogliere, in modo naturale, la Rivelazione, dopo di Lui essa, sempre naturalmente, rende possibile approfondire in modo rigoroso il messaggio divino. Origene afferma che non esiste nessuna conoscenza umana che non possa servire per capire la Scrittura. Bisogna solo evitare che la filosofia crei essa stessa delle pseudoverità che sostituiscano quelle rivelate o le mistifichino; suo compito è solo introdurre alla verità rivelata e non di integrarla o superarla. Essa, andando avanti per ragionamento deduttivo, a partire da nozioni comuni, senza dogmi conduce chi la cerca alla verità stessa. Questa poi ha una sua evidenza intrinseca, che scaturisce dalla Rivelazione divina e si impone alla stessa mente, che però può darle una evidenza razionale corroborante con il mero ragionamento.

Sebbene sia grande filosofo e grande teologo, Origene rimane soprattutto grande esegeta della Scrittura, uno dei più grandi della storia, se non il più grande, colui che, come disse egli stesso, bussava perché gli fossero aperti i segreti della Parola di Dio.

Sulla scia di Filone, Origene scevera nella Scrittura il senso letterale, l’allegorico, il morale e l’anagogico, e come quegli li aveva distinti nell’Antica Alleanza, così questi li distingue nella Nuova, con un occhio di riguardo per il senso allegorico, a sua volta inteso sia in modo stretto come espressione simbolica delle realtà terrestri tramite le terrene, sia in modo largo, come tipologia o insieme di figure di Cristo, della Vergine e della Chiesa. Per Filone tutto l’AT si riassume nel Logos creato, per Origene esso è orientato all’avvento del Logos increato, Cristo, il Quale come Persona storica illumina quanto l’ha preceduto, disvelandone il senso altresì incomprensibile. L’AT prima di Cristo era solo voce, dopo di Lui diviene Parola, ossia è comprensibile, esattamente come Giovanni Battista fu voce di uno che grida nel deserto per preparare la via del Signore, il Quale viene come Verbo, ossia come Parola appunto, proferita dal Padre. In questo modo lo stesso AT si transustanzia come l’acqua in vino a Cana, assumendo la sua natura autentica e svelando il suo significato, mirabilmente armonizzato con quello del NT. Cristo è dunque la chiave ermeneutica di tutta la Bibbia, mentre lo Spirito Santo è Colui Che si fa garante del fatto che l’AT custodiva le cose future, ora rese presenti. In questo modo l’AT, il cui senso letterale spesso è soverchio se non opposto al NT, diviene indispensabile, proprio perché oramai comprensibile. Lo Spirito ha ordinato tutto a Cristo, ma questo è comprensibile solo con l’esegesi allegorica. Essa poi, come anche in questo caso in Filone, ha due qualità specifiche: si presta all’apologia, perché mostra il senso spirituale di una Scrittura che alla lettera sembra barbarica e rozza ai colti pagani, e alla inculturazione, perché utilizza il mondo intellettuale greco mostrando tuttavia in esso la superiorità della Parola di Dio. Naturalmente il senso mistico si svela non solo con lo studio assiduo e l’acume dell’intelligenza, ma anche e soprattutto con la fede profonda. Inoltre il senso della Scrittura è inesauribile e non inaugura un ciclo ermeneutico, ma apre una strada interpretativa e comprensiva infinita, che termina là dove finisce Dio, ossia in nessun luogo, anche agli occhi stessi dei Beati. La Parola di Dio si compie e si sta compiendo, si realizza e si realizzerà. Essa è eternamente feconda di significato.

Von Balthasar indica quattro pilastri dell’esegesi origeniana: il primo senso della Scrittura è quello spirituale, ossia quello che annunzia i misteri divini; il senso letterale nasconde questi misteri ai non iniziati; la lettera è tuttavia trasparente per coloro che hanno fede; essa, per non suscitare attaccamento a sé stessa, ha dei passi in cui il solo senso possibile è quello spirituale. Origene a sua volta fissa tre regole, nel IV Libro dei Principi, per l’interpretazione biblica: riconoscere l’ispirazione della Scrittura; fissare i metodi per leggerla e interpretare; determinare il significato dei passi oscuri di essa. In ragione di tutti e tre i Giudei si ingannarono, rifiutando quelle allegorie che svelavano la presenza di Cristo nelle loro profezie, e gli eretici anche, perché hanno preteso di interpretare volgarmente, empiamente ed erroneamente la Parola di Dio, di cui anche essi colgono solo il senso letterale. Inoltre, per ogni passo biblico Origene fissa tre significati, corrispondenti al corpo, all’anima e allo spirito dell’uomo, ossia quello storico-letterale, quello morale e quello mistico, ognuno dei quali è accessibile solo a chi ha raggiunto un livello di perfezione spirituale equivalente. Nel significato spirituale poi abbiamo un livello di insegnamenti antropologico, uno angelico e uno teologico. Inoltre, proprio perché, come dicevamo, alcuni brani biblici hanno solo un senso spirituale, il pio lettore deve essere molto prudente nel tentare di comprendere la Divina Parola.

La trattazione su Dio di Origene verte soprattutto sulla Sua Natura, dando per scontata la Sua Esistenza, essendo l’ateismo cosa rara all’epoca. La polemica tra Origene e i pagani verte essenzialmente sugli attributi di Dio, conoscibili per deduzione dalla mente umana, mentre la Sua essenza è inconoscibile. Egli essendo il principio di tutte le cose è semplice e quindi incorporeo. Conseguenzialmente è unico. E’ inoltre trascendente rispetto alla materia e non pienamente comprensibile alla mente umana, che non può assolutamente definirLo, anche se risale a Lui dalla bellezza delle sue opere e dalla magnificenza delle creature. In ragione di ciò vi è una minima parte di teologia catafatica in Origene, nonostante quella apofatica sia preponderante. Questa tiene vivo il mistero di Dio, Che però è assolutamente presente nel mondo e si comunica all’uomo con la Sua Parola, attraverso una foresta allusiva di simboli, spesso indecifrabili alla mera ragione umana.

Origene insegna esplicitamente che Padre Figlio e Spirito Santo sono Tre Ipostasi, o Sussistenze, perfettamente uguali tra Loro e simultaneamente consostanziali, essenzialmente inscindibili, al di sopra di tutto e al di sopra del tempo e dell’eternità. Il Padre è Essere Ingenerato, e a Lui pertengono innanzitutto tutte le perfezioni e i poteri di Dio, e tramite Lui arrivano alle altre Due Persone Divine. Il Padre è Sapienza, sebbene questa sia una qualità personale del Figlio. Secondo Origene il Padre conosce Se stesso meglio di quanto il Figlio Lo conosca, sebbene Questi sia stato generato come pensiero pensato del Padre. Questi Lo ha pensato volendolo, e volendolo L’ha pensato. Sullo Spirito Santo Origene afferma che procede dal Padre e dal Figlio ma non specifica in che modo, né sa se Egli sia generato o ingenerato. Su questi temi Origene si rimette all’approfondimento e allo studio della Chiesa tutta. Come si vede, nel seno della Trinità il Padre esercita una primazia chiara, per cui la teologia trinitaria dell’Alessandrino è considerata subordinazionista.

Come dicevamo, la cosmologia di Origene è retta dal principio della libertà. Secondo lo scolarca di Alessandria, Dio ha creato tanti spiriti razionali, buoni, liberi e perfetti. In base alle loro scelte, questi spiriti diventarono angeli, demoni o uomini, ossia anime incarnate. In questa maniera, Origene evita la divisione tra classi di uomini differenti, capaci o incapaci di salvezza, come sostenevano gli gnostici. Egli la propone, non la presenta come certa. Qui si apre una pagina problematica di Origene: questi sostiene in senso stretto una preesistenza delle anime ai corpi, quasi come nel mito della reminiscenza platonica, ma nello stesso tempo si interroga se ogni anima sia immessa direttamente da Dio in ogni corpo o generata da padre e madre, per cui la stessa preesistenza più che cronologica sembra essere mitica, protologica, e in ogni caso poco chiara. Inoltre Origene sostiene che la materia sia stata creata da Dio essenzialmente in vista dell’espiazione delle anime che sarebbero state imprigionate in essa, che a sua volta continuerà ad esistere fino a quando ci saranno intelligenze bisognose di un rivestimento. In un’altra teoria speculativa, Origene immaginò che vari mondi sarebbero stati creati gli uni dopo gli altri, fino ad un assottigliamento completo delle imperfezioni che avrebbero reso inutile la materia e inesistente l’errore col male conseguente, così che dopo una serie di cicli cosmici tutte le cose sarebbero state definitivamente unite a Dio nella gloria. Peraltro, secondo Origene nessuna condizione è immutabile, per cui anche gli angeli possono traviarsi e i demoni redimersi. La tendenza è alla redenzione totale di tutte le creature, mediante l’apocatastasi, ossia appunto la riunificazione di tutte le cose nel Creatore.

Appunto per l’uso erroneo del libero arbitrio, l’uomo assume un corpo. Questo corpo tuttavia a volte è definito accidentale, altre volte risulta invece ontologicamente e metafisicamente unito all’anima e costituisce la ragione stessa della sua finitezza creaturale. Nonostante ciò, l’anima è rigorosamente spirituale, come dimostrano la memoria e la capacità di cogliere e comprendere realtà immateriali. Proprio la sua capacità di conoscere la realtà spirituale per eccellenza, cioè Dio, fa sì che l’anima umana sia immortale, essendo impossibile concepirLo senza durare in eterno.

Oltre all’anima, Origene individua nell’uomo lo spirito, capace di ricevere l’azione dello Spirito Santo, Che non opera direttamente nell’anima. Lo spirito è l’apice dell’uomo, esso postula l’azione santificatrice dello Spirito Santo. E’ nello spirito che l’uomo deve fortificarsi per arrivare a Dio. Ricevuto l’essere dal Padre e la ragione dal Figlio, l’uomo riceve la santità dallo Spirito. L’uomo è dunque immagine di Dio, icona originaria nella Creazione e conclusiva nella beatificazione, che sola è la somiglianza divina. Il peccato la deturpa e la trasforma in somiglianza dell’uomo terrestre, il quale appunto è simile a satana. Solo il Cristo strappa dall’anima questa somiglianza di deformità e restaura quella di conformità a Dio. Essa è tuttavia reintegrata progressivamente, mediante lo sforzo ascetico che ci rende simili al Cristo stesso.

Questi è veramente Uomo e veramente Dio, con due Nature in una Persona. L’Incarnazione non solo è possibile, contrariamente a quanto diceva Celso, ma è avvenuta, dimostrata dalla Scrittura e dalla storia, in cui il Cristo ha compiuto ogni sorta di prodigio. La Persona divina del Verbo, senza subire nella Sua Natura alcuna modifica, ha assunto una Natura umana nella quale ha agito, operato e sofferto. Secondo Origene l’Incarnazione avvenne in due fasi: una celeste e una terrestre. La prima avvenne quando la Natura divina del Verbo unì a Sé la Sua Anima prima della Creazione dei corpi e dal momento della Creazione degli spiriti, in una condizione di tale perfezione da potersi dire che quest’Anima abbia meritato almeno in parte di essere unita al Verbo in quanto unica tra le umane a non essere soggiaciuta alla tentazione di satana. La seconda avvenne quando a quest’Anima fu unito il Corpo in un momento storico preciso. A parte questa duplice teoria personale funzionale alla sua filosofia, Origene già conosce l’Unione Ipostatica, la Comunicazione degli Idiomi e la perfetta integrità delle due Nature. Scopo dell’Incarnazione è la liberazione dell’uomo dal peccato, dal demonio e dalla morte. Ogni azione del Cristo ha un valore soteriologico e pedagogico, per cui si salva solo chi Lo imita seguendone gli insegnamenti. Il cristiano assume questo impegno nel Battesimo e lo assolve perfettamente nel martirio, che quindi ci rende simili a Cristo. La Sua Passione ha infiammato di puro amore il mondo materiale elevandolo al cielo, così che essa è la via che l’uomo può percorrere per sollevarsi alla contemplazione di Dio e deificarsi di conseguenza. La kenosi del Verbo nella Carne manifesta non solo la Sapienza di Dio ma la Sua bontà, che anzi traluce più perfettamente da questo che da un rifiuto del Logos di farsi Carne, da una disposizione provvidenziale che non prevedesse l’Incarnazione stessa.

Origene considera se stesso un autentico membro della Chiesa e questa come la sposa di Cristo, esattamente come ogni anima. Essa prosegue nel tempo il mistero dell’Incarnazione perché essa stessa è incarnata, nel tempo e nello spazio, quale Corpo mistico di Cristo. Anche la Passione e la Morte di Cristo continuano in Lei. La vita del Cristo storico è simbolo ed esempio, quella del Cristo mistico ne è la prosecuzione simboleggiata e partecipata. La Chiesa, Corpo mistico dell’unico Salvatore, è conseguenzialmente l’unico mezzo di salvezza, come l’arca di Noè. Fuori di essa non vi è salvezza e le sue propaggini occuperanno tutta la terra spazzando via tutte le religioni, così che ogni uomo potenzialmente le appartiene e non vi è distinzione insormontabile tra credenti e pagani. L’inserimento nella Chiesa avviene nel Battesimo e la conferma in essa dipende dall’Eucarestia; l’uno e l’altra sono amministrati dai sacri ministri, istituiti attraverso l’Ordine Sacro. Sebbene esso sia sempre valido, i gradi sacramentali non implicano una santificazione interiore corrispondente, e quando vi è differenza tra il sacerdozio interiore e quello esterno, il consacrato è senz’altro gravemente responsabile.

I DISCEPOLI DI ORIGENE

Sono San Gregorio il Taumaturgo (213-270) e San Panfilo di Cesarea (†310). In essi per primi si mantenne vivo l’indirizzo esegetico allegorico e la metodologia filosofica che erano stati del maestro, le cui scuole si estinsero con lui.

Il primo, convertitosi al Cristianesimo col fratello Atenodoro, fu discepolo di Origene a Cesarea e consacrato vescovo del Ponto nel 240. Egli fu l’evangelizzatore di questa regione anche grazie ai miracoli che operava. Nell’Expositio Fidei espresse una chiara e indubbia fede trinitaria, in cui le Persone divine erano rettamente concepite come uguali e distinte, perfettamente coeterne e partecipi della medesima Sostanza.

Il secondo era di Beirut, di nobile famiglia e ricoprì varie cariche pubbliche. Si trasferì a Cesarea per dare linfa nuova alla scuola di Origene (per la quale fondò uno scrittoio e ampliò la biblioteca) e fu ordinato prete. Si dedicò allo studio biblico e alla raccolta dei testi del maestro. Fu martirizzato da Diocleziano (284-305) Scrisse l’Apologia di Origene in sei libri, di cui ci è giunto solo il primo, tradotto da Rufino. In essi, citando anche passi a noi altrimenti sconosciuti, Panfilo mostrò come Origene non avesse sostenuto eresie, ma spesso solo esposto tesi e relative antitesi, altre volte meramente ipotetiche. E’ un documento importante sull’ortodossia delle intenzioni del grande maestro alessandrino.


Theorèin - Aprile 2016