DALL'ATOMO AL BIT:
Come e perchè di un mutamento socioculturale e filosofico
A cura di: Mario Della Penna
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IV Lezione

LA CONDIZIONE MODERNA
Il mondo moderno:
l'esaltazione illuminista e la reazione romantica

 

Immanuel Wallerstein, nell'introduzione a Il sistema mondiale dell'economia moderna, divide l’opera in quattro parti principali, corrispondenti alle quattro epoche più importanti del moderno sistema-mondo.

  1. Origini e condizioni iniziali del sistema-mondiale (1450-1640)
  2. Consolidamento di questo sistema (1640-1815)
  3. Conversione dell'economia-mondo in impresa globale grazie alla trasformazione tecnologica dell'industria moderna (1815-1917)
  4. Consolidamento dell'economia-mondo capitalistica dal 1917 fino ad oggi.

Vediamo le tappe evolutive fondamentali partendo dalla prima rivoluzione industriale.

L’economia illuministica borghese nel Settecento caldeggia la metropoli.

Si augura che questo contenitore diventi sempre più affollato per ragioni sostanzialmente economiche.

Il gesuita Saverio Bettinelli nelle sue Lettere inglesi del 1766, sostanzialmente dice:

"La cultura, i lumi, le conoscenze, i rapporti fra i pensieri circolano molto di più in ambienti affollati metropolitani che in uno diradato come quello tradizionale dell’agricoltura e dell’aristocrazia".

In altri termini anche le idee funzionano come il denaro; quanto più la gente è ammassata, tanto più circola il denaro, tanto più circolano i beni, tanto più, dice Bettinelli, circolano le idee.

Si reca a Londra nel 1828 Heinrich Heine, uno dei maggiori poeti tedeschi, che nei suoi Appunti di viaggio ad un certo punto arriva ad esclamare:

"Mandate a Londra un filosofo; per carità, non mandateci un poeta!".

Cosa è successo a Londra tra il reportage di Bettinelli e l'arrivo di Heine?

Si è verificata una prima accelerazione del processo industriale della macchina a vapore applicata ai cicli produttivi.

L'arrivo sempre più massiccio di persone dentro questo contenitore non è semplicemente un trasloco. Trasportato a Londra, l'uomo cambia subendo dei traumi.

E' il mondo della macchina, della fabbrica, che ci avverte che stanno nascendo dei lavoratori nuovi, quelli che Karl Marx chiama il proletario.

L'operaio di fabbrica è una figura completamente diversa sia dall'antico artigiano, sia dall'antico contadino.

Il tempo e il ritmo di lavoro non sono più quelli naturali.

C'è un cambio anche di natura psichica nel momento di passaggio dallo stato di contadino a quello di operaio.

Interviene la concorrenza, che obbliga ad abbassare i costi. Abbassare i costi significa abbassare le retribuzioni per essere competitivi nel prezzo.

Heine trova una situazione spaventosa: vede fuori delle fabbriche molta gente affamata che aspetta di lavorare, allo stesso tempo i lavoratori che muoiono di fame perché la paga è sempre più bassa, con turni di lavoro massacranti e lunghi tragitti per tornare nelle abitazioni, poste fuori del centro, dove invece si trovano localizzate le fabbriche.

Parlando di progresso, nelle posizioni romantiche c'è la tendenza a calcolare ed a sottolineare i costi umani che questa prima industrializzazione sta portando.

Altri, come ad esempio l'illuminista ritardatario Giuseppe Pecchio, si lanciano verso il domani.

Pecchio nota che il nuovo lavoro è scandito non più dai ritmi naturali ma dall'orologio meccanico.

Questo elemento crea i presupposti per una scansione della vita della città che avanza a punti fermi.

La città dopo un lungo silenzio notturno, all'accensione dei telai si mette in moto.

Durante l'Ottocento si sviluppa la reazione romantica a questo nuovo mondo, a questa modernità.

Come e perché si verifica questa reazione, e come questa sensibilità cresce dentro alcune fasce di intellettuali?

In nome di che cosa reagiscono questi intellettuali e perché vedono certi panorami che altri non vedono?

Vi sono quattro punti essenziali con cui si reagisce a questa modernità, a questo nuovo che avanza.

  1. In nome della religione;
  2. In nome della letteratura;
  3. In nome della vecchia valoristica aristocratico-feudale;
  4. In nome, lungo l’Ottocento, della nuova classe emergente cioè quella operaia.

Il letterato reagisce, perché viene a mancare l'interlocutore della sua scrittura.

Goethe nel 1797 parla del rapporto tra poesia e grande città.

Un'altra figura che ha la medesima sensazione è Giacomo Leopardi il quale evadendo da Recanati e recandosi a Roma nel 1823 così scrive al fratello:

"Io ti risponderò in buona coscienza e ti giurerò, che, da quando misi piede in questa città, mai una goccia di piacere non è caduta sull'animo mio eccetto in quei momenti ch'io ho lette le tue lettere, i quali ti dico senz'alcuna esagerazione che sono stati i più bei momenti della mia dimora in Roma, e quelle stesse poche righe che ponesti sotto la lettera di mia madre furono per me come un lampo di luce che rompessero le dense e mute e deserte tenebre che mi circondavano. Tu dirai ch'io non so vivere; che per te, e per altri tuoi simili in caso non andrebbe così. Ma senti i ragionamenti e i fatti. L'uomo non può assolutamente vivere in una grande sfera, perché la sua forza o facoltà di rapporto è limitata. In una piccola città ci possiamo annoiare, ma alla fine i rapporti dell'uomo all'uomo e alle cose esistono, perché la sfera dei medesimi rapporti è ristretta e proporzionata alla natura umana. In una grande città l'uomo vive senza nessunissimo rapporto a quello che lo circonda, perché la sfera è così grande, che l'individuo non lo può riempire, non la può sentire intorno a se, e quindi non v'ha nessun punto di contatto fra essa e lui. Da questo potete congetturare quanto maggiore e più temibile sia la noia che so prova in una grande città di quella che si prova nelle città piccole, giacché l'indifferenza, quell'orribile passione, anzi spassione dell'uomo, ha veramente e necessariamente la sua principal sede nelle città grandi, cioè nelle società molto estese ".

E’ un passo in cui Leopardi cerca di spiegare la sua sensazione di noia in una città come Roma non in termini di psicologia personale, ma in termini di sociologia generale, perché tenta, da una sua esperienza personale molto circoscritta, di darci una regola di carattere generale: una città molto estesa non è fatta a misura umana.

Affermando queste cose sulla metropoli (Roma), Leopardi prende la massima distanza dal pensiero illuministico settecentesco almeno per quello che riguarda la modernità.

Leopardi non reagisce in quanto poeta; citando una parola, che diventa chiave, "l'indifferenza", Leopardi reagisce in quanto aristocratico.

Questa dialettica, che adesso viene acuita dalla crescita della città capitalistica, Leopardi la impara da Rousseau, nella cui filosofia il rapporto "piccola e grande città" diventa centrale.

Nel 1758 questi nell'opera La lettera sugli spettacoli affronta il problema dell’eventuale apertura di un teatro a Ginevra. Ginevra nel 1758 è una piccola città, Rousseau è un ginevrino trapiantato a Parigi. La soluzione di Rousseau è la seguente: mentre in una grande città i teatri sono necessari, la piccola città non ne ha bisogno. Non c'è bisogno di cercare divertimento.

Rousseau fa l’apoteosi della piccola città nei confronti della grande, esaltando la città a misura d'uomo.

Dunque, quest'idea di progresso tecnologico che hanno gli enciclopedisti agli occhi di Rousseau se non è confortata da un adeguato ritorno alla natura e alla naturalezza, potrebbe comportare una forma di assoluta alterazione dell’ambiente, fatto di maschere e non più di uomini. Quindi l’azione di Rousseau, pur restando di fatto illuminista, è tuttavia contraria alla versione più progressista dell’Illuminismo, quella più borghese, quella intesa da Diderot e D'Alembert.


 
Theorèin - Luglio 2002