DALL'ATOMO AL BIT:
Come e perchè di un mutamento socioculturale e filosofico
A cura di: Mario Della Penna
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IX Lezione

LA CONDIZIONE POSTMODERNA

La vita delle città è da sempre legata al corso dell’evoluzione tecnologica ed economica.

Ad ogni grande rivoluzione in questi campi è seguita una corrispondente trasformazione dell’ambiente urbano.

La città tuttavia non è solo un ambiente di vita e di lavoro. Le linee telefoniche, le reti postali, i ponti radio, gli edifici, le strade, l'arredo urbano, i rapporti tra gli spazi, costituiscono dei veri e propri canali comunicativi: sono mezzi che mettono in relazione le persone e la città che è essenzialmente un grande sistema di comunicazione.

Oggi possiamo parlare della presenza contemporanea di due mondi, di due tipi di "rete", quella dei trasporti e quella delle telecomunicazioni.

Entrambe hanno come obiettivo rendere possibili e aumentare le relazioni e gli scambi tra le persone. La prima in una dimensione reale, la seconda in una dimensione più astratta e immateriale.

Le nuove tecnologie dell'informazione stanno rivoluzionando non solo il nostro modo di vivere e di lavorare ma soprattutto il nostro modo di comunicare.

Questi cambiamenti investono direttamente la città cambiandone la struttura e ridisegnandone le future linee di sviluppo.

La città industriale sta lasciando il posto alla città digitale, ossia ad una città basata sulla circolazione di dati binari, una "città dei bit " come l’ha definita in un suo recente saggio l’architetto statunitense William Mitchell:

"La città dei bit è una città nella quale le interazioni non avvengono unicamente faccia a faccia ma anche elettronicamente, una città dove le transazioni commerciali avvengono elettronicamente, dove anche una buona parte delle interazioni sociali avviene elettronicamente, dove la cultura è supportata dall'elettronica; e allo stesso modo tutto ciò avviene anche fisicamente. Una cosa non sostituisce l'altra, ma i due mondi lavorano congiuntamente: il mondo fisico e quello elettronico".

Secondo Mitchell, pur convivendo i due mondi, alla città "tradizionale" si sovrappone sempre più la città digitale.

Dobbiamo quindi abituarci ad una serie di cambiamenti profondi che implicano una ridefinizione dello spazio di vita cittadino.

Il lavoro necessario a realizzare questo nuovo scenario è già iniziato da qualche anno, da quando cioè alcune comunità locali hanno iniziato a fare il loro ingresso nel mondo della telematica creando le prime reti locali e centri telematici al servizio del cittadino.

Nasce il concetto di rete civica che può essere intesa come spazio di discussione del cittadino, come opportunità per gli enti locali per offrire veri e propri servizi e come presentazione della città al mondo.

Un'ulteriore definizione di questo termine è città digitale che, invece, si riferisce alla capacità dei cittadini di entrare in tutti gli aspetti della rete.

Questa definizione rimanda all’immagine dei cavi che arrivano a tutti gli edifici della città.

Oggi, almeno in Italia, l’elemento di maggior ostacolo allo sviluppo della telematica civica è di ordine culturale.

Il canale trasmissivo, il cavo attraverso il quale viene trasferita l'informazione, non viene ancora considerato come una sorta di risorsa pubblica della comunità, al pari dell’acqua, dell’aria o del verde pubblico.

In altri paesi europei la "fibra scura" - cioè una fibra ancora priva di una utilizzazione definita - è considerata a tutti gli effetti un bene pubblico. Un bene che viene affittato a chiunque lo richieda: un gestore di telefonia, una rete televisiva, o la stessa città.

Pur con ritardo, la crescita e la diffusione delle reti civiche su tutto il territorio nazionale è oramai un dato di fatto.

Gran parte del merito deve essere attribuito all’iniziativa delle singole amministrazioni locali pur carenti di una programmazione definita.

Per sopperire a questa lacuna nel 1993 si è voluto coordinare tutte queste esperienze creando a Roma l’AIPA, l’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, il cui progetto ha rappresentato il primo passo per lo sviluppo delle rete unitaria della Pubblica Amministrazione.

La connessione in rete porta indubbiamente molti vantaggi, ma non bisogna attribuire alle informazioni che vi circolano valori di verità assoluti.

Nel settore delle automazioni industriali di cui mi occupo, sappiamo che non basta costruire un sistema ad anello chiuso per essere certi di avere un controllo preciso e sicuro di un determinato ciclo di lavorazione. Quando inviamo delle informazioni (in questo caso si tratta di impulsi elettrici) in un determinato campo e riceviamo dei segnali di ritorno (feedback), abbiamo bisogno continuamente che l’insieme dei dati elaborati venga confrontato con dei valori da noi stabiliti in partenza, e qualora i risultati non soddisfino tali obiettivi, occorre apportare delle correzioni, al fine di raggiungere i risultati prefissati.

Lo stesso criterio credo si debba seguire in un discorso più ampio che riguarda le reti di connessione in generale. Per accedere ad Internet in modo corretto, ad esempio, è necessario conoscere l’oggetto della propria ricerca, altrimenti la navigazione rischia di trasformarsi in un gioco, mentre penso ci sia di meglio che stare seduti per ore davanti ad un monitor.

Quindi il problema principale nel rapportarsi con i media è stato, e rimarrà, difatti un problema di educazione di base delle persone.

Oggi disponiamo di centinaia di canali televisivi ma se guardiamo alla qualità dei contenuti ci accorgiamo che c’è un’orribile ripetitività.

Pur rilevando questa grande disponibilità, ci sono pochi network economicamente capaci di produrre informazioni e notizie di buona qualità.

A mio avviso due sono i rischi più alti che stiamo correndo con l’ingresso su larga scala delle nuove tecnologie dell’informazione: il primo è che sta scomparendo l’iniziativa di apprendere più approfonditamente o di interpretare in maniera autonoma le nozioni. Che cosa sto cercando e che cosa voglio ottenere? E’ questa la prima domanda che dobbiamo porre a noi stessi prima di collegarci in rete.

Il secondo rischio è che di fronte al trasferimento su di un piano astratto e virtuale delle nostre esperienze e del nostro interagire a distanza con il mondo e con la società, c’è la minaccia incombente della perdita totale della realtà.

Sono molti a sostenere che l’impatto delle nuove tecnologie e della realtà virtuale potrebbe assumere un’importanza considerevole al punto da farci perdere i nostri punti di riferimento nello spazio reale.

Nel libro The Image of City (L’immagine della città) Kevin Lynch definisce la città postmoderna alienata:

"Uno spazio in cui la gente non riesce a tracciare una mappa (mentale) né a stabilire la propria posizione o a farsi un quadro della totalità urbana in cui si trova".

Nell'affrontare il tema della nascita della città moderna è stato evidenziato una tendenza all’uniformità del paesaggio urbano che, oltre a dipendere dai molteplici fattori sociologici, culturali, e non ultimi produttivi, è connessa alla caratteristica propria della società industriale e cioè quella di annullare il localismo.

Già nel 1908 August Endell individuava la metropoli come un città dove le strade non hanno un proprio carattere. Le piazze sono spazi vuoti, senza misura e senza forza. Gli edifici non si adattano alle strade: sono imponenti eppure non impressionano. Tra strada e casa quindi non c’è relazione.

La perdita dei connotati classici della città ha subìto forti accelerazioni nel postmodernismo e nella forte crescita del processo di digitalizzazione del contesto urbano. Oggi si parla della tendenza a vivere in dei "nonluoghi". Scrive Franco Purini:

"I nonluoghi non sono il contrario dei luoghi, segnalano semplicemente la loro assenza. Essi non sono entità negative, ma sistemi forti... L’architettura contemporanea, pur avendo prodotto questi sistemi, non ha ancora elaborato sistemi convincenti per il loro riconoscimento e la loro interpretazione".

Il nonluogo non è solo un prodotto della città contemporanea: come abbiamo spiegato precedentemente, fin dall’Ottocento si è vista progredire sempre più la cultura della città senza luoghi; si è passati attraverso un percorso che via via ha ridotto i valori urbani a valori economici, e i significati a significati funzionali.

L’urbanistica moderna e contemporanea ha teso a uniformare gli spazi o nonluoghi.

In un contesto del genere ecco riecheggiare in maniera preponderante l’annuncio della sconfitta della civiltà, la morte dell’interiorità, la perdita totale della sensibilità.

L’esterno distrugge ogni interno, acusticamente e visivamente, di giorno e di notte giacchè la nozione di tempo e di spazio vengono annullati.

Non c’è più alcun bisogno di uscire dalle nostre case, non c’è più il bisogno di andare in alcun luogo, perché ogni luogo viene a noi.


Theorèin - Gennaio 2003