LA SFIDA DI CARTESIO E LA RISPOSTA DI VICO
 
A cura di: Mario Della Penna
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III Lezione

 

Nel 1637 Cartesio scrive a uno dei suoi vecchi maestri, del collegio di La Flèche, sia esso il padre Fournet o padre Noel e dice:

«Mio reverendo Padre, io non penso che vi ricordiate i nomi di tutti gli scolari che avete avuto nei ventrì o ventiquattro anni durante i quali avete insegnato a La Flèche. Non per questo ho voluto cancellare dal mio ricordo gli obblighi che ho per voi, né ho perduto il desiderio di riconoscerli, anche se non ha altra occasione per dimostrarlo oltre quella di offrirvi il volume che ho fatto stampare neo giorni scorsi, e che voi riceverete con questa lettera, come frutto che vi appartiene e del quale avete gettato i primi semi nel mio spirito, a quel modo che debbo ai membri del vostro ordine il poco che io so della buone lettere».

Tuttavia ciò non toglie che Cartesio sia molto critico nei confronti del contenuto del sapere, come dimostra una lettera del 1641 a Mersenne:

«Vi prego di non temere per me; vi assicuro che, se io ho qualche interesse a essere in buoni rapporti con loro (i Gesuiti), costoro non ne hanno forse meno a conservare buone relazioni con me e a non opporsi ai miei disegni. Se lo facessero, mi obbligherebbero a esaminare qualcuno dei loro corsi, e a farlo in modo tale da coprirli di vergogna per sempre».

CRITICA DELLA CULTURA DELL'EPOCA

La prima parte del Discorso sul metodo si potrebbe intitolare la critica alla cultura dell'epoca. Dopo aver elencato i lati buoni dell'istruzione scolastica che comprendeva le lingue, la storia, l'eloquenza, la poesia, le matematiche, la teologia, la filosofia, la giurisprudenza, la medicina Cartesio esprime le sue perplessità:

«Sono stato educato alla lettere fino dalla mia infanzia, e poiché mi si persuadeva che, per loro mezzo, si poteva acquistare una cognizione chiara e sicura di tutto ciò che è utile alla vita, avevo un estremo desiderio di apprenderle. Ma non appena ebbi terminato tutto questo corso di studi, a capo del quale vi è il costume d'essere ricevuti nelle classe dei dotti, cambiai interamente di opinione. Perché mi trovavo imbarazzato da tanti dubbi ed errori, che mi pareva di non aver fatto altro profitto, mentre cercavo di istruirmi, se non quello di aver scoperto sempre più la mia ignoranza. E nondimeno ero in una delle più celebri scuole d'Europa. (...) Tutto ciò mi faceva prendere la libertà di giudicare da me di tutti gli altri e di pensare che non vi era alcuna dottrina al mondo che fosse tale quale mi avevano prima fatto sperare».

CRITICA DELLE SINGOLE DISCIPLINE

LA STORIA

«Conversare con quelli degli altri secoli è quasi lo stesso che viaggiare. (...) Ma, quando si dedica troppo tempo a viaggiare, si diviene, alla fine, stranieri nel proprio paese; e quando si è troppo curiosi delle cose che si praticavano nei secoli passati, si rimane ordinariamente, ignorantissimi di quelle che si praticano in questo».

Compare questa sorta di antistoricismo cartesiano che sarà ereditato dall'Illuminismo.

LA MATEMATICA

«Mi dilettavo nelle matematiche per la certezza e l'evidenza delle loro ragioni; ma non vedevo ancora il loro vero uso, e pensando che non servissero che alle arti meccaniche, mi stupivo che, essendo i loro fondamenti così saldi e così solidi, non si fosse edificato nulla di più alto si di esse».

La matematica, che non compare nell'albero del sapere, come egli dice nella prefazione dei Principi della Filosofia, doveva essere, nell'intenzione del filosofo, in qualche modo l'anima, la linfa vitale di questo albero, il ritmo interiore e costruttivo di questo sapere. Il metodo geometrico dominò l'ideale del secolo che fu detto cartesiano. Lo ritroviamo in Spinoza nell'Etica more geometrico demonstrata.

L'ETICA

A riguardo dell'Etica paragonava gli scritti degli antichi pagani a palazzi assai superbi e magnifici, che non erano fabbricati che su sabbia e fango.

LA TEOLOGIA

Al riguardo della teologia dice:

«Riverivo la nostra teologia, e aspiravo, al pari di chiunque altro, a guadagnare il cielo; ma avendo appreso che la via di esso non è meno aperta ai più ignoranti che ai più dotti, e che la verità rivelate, che vi conducono, sono al di sopra della nostra intelligenza, non avrei osato di sottometterle alla debolezza dei miei ragionamenti».

LA FILOSOFIA

«Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendo che essa è stata coltivata dalle più elette menti che siano vissute da molti secoli in qua, e che. Nondimeno, non vi si trovi ancora cosa alcuna sulla quale non si disputi, e per conseguenza che non sia dubbia, non avevo sufficiente presunzione per sperare di essere più fortunato degli altri; (...) ritenevo presso che falso tutto ciò che era soltanto verosimile».

La filosofia che è ricerca della verità, ha come caratteristica anche il rimetterla continuamente in discussione una volta trovatene una. Rimettendo tutto in discussione come ha fatto anche Cartesio si scoprono delle verità che sono sempre più corroborate come direbbe Popper. Quanto poi, alle altre scienze, siccome esse prendono i loro principi dalla filosofia, Cartesio giudicava che non si poteva aver fabbricato nulla di solido su fondamenti così poco fermi.

I VIAGGI

In questo andamento autobiografico vediamo Cartesio che una volta terminato gli studi a La Flèche decide di mettersi a viaggiare:

«Non appena l'età mi permise d'uscire dalla soggezione dei miei precettori, abbandonai interamente lo studio delle lettere. Risoluto di non cercar più altra scienza, fuori di quella che si potesse trovare in me stesso ovvero nel gran libro del mondo (...) raccogliere diverse esperienze e a far dappertutto tale riflessione sulle cose che si presentavano, da poterne trarre qualche profitto».

Ma si rende conto anche che vi sono speculazioni non produttive:

«Speculazioni che non producono nessun effetto. Ed avevo sempre un estremo desiderio d'apprendere a distinguere il vero dal falso, per veder chiaro nelle mie azioni e procedere con sicurezza in questa vita».

CARTESIO SI RIVOLGE ALLO STUDIO DI SE STESSO

Appare il desiderio di distinguere il vero dal falso per orientare la propria dimensione esistenziale. Cartesio conclude questa prima parte manifestando il proposito di studiare essenzialmente se stesso:

«Mentre io non facevo che considerare i costumi degli altri uomini, non vi trovavo nulla che mi rassicurasse, e vi notavo quasi tanta diversità, quanta ne avevo rilevata prima fra le opinioni dei filosofi. Di modo che, il più grande profitto che ne ritraevo era che, vedendo tante cose (...) imparavo a non creder nulla, troppo fermamente, di ciò di cui non ero rimasto persuaso (...) e così mi liberavo a poco a poco da molti errori. Ma dopo che ebbi impiegato alcuni anni a studiare così nel libro del mondo ed a procurare d'acquistare un po' d'esperienza, io presi un giorno la risoluzione di studiare anche in me stesso».

Qui c'è una affermazione di stampo agostiniano delle Confessioni:

«Non andare fuori ritorna in te stesso perché nell'interiorità dell'uomo abita la verità".

Questa ricerca nel discorso cartesiano ha la conseguenza che il fondamento del sapere diventa il cogito e ritiene che dal cogito possono scaturire tutte le altre verità. Dal cogito passerà al res cogitans cioè che la prima verità è che io penso pur se dubbio o se m'inganno.


Theorèin - Anno 2004