LA SFIDA DI CARTESIO E LA RISPOSTA DI VICO
A cura di: Mario Della Penna
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IV Lezione

 

Descartes fa il suo vero ingresso nella storia allorquando nel 1618 incontra casualmente nelle strade di Breda Isaac Beeckman, uno studioso particolarmente competente in fisica e in matematica. In una lettera a lui indirizzata dice:

«Tu solo mi hai svegliato dall'inerzia, hai richiamato una cultura quasi dimenticata, hai ricondotto a cose migliori un'indole svista lungi da occupazioni serie. Se mai farò qualcosa di non apprezzabile, tu potrai a buon diritto reclamarlo; io stesso non tralascerò di inviartelo perché tu ne faccia uso e lo corregga». (1)

Dobbiamo soffermarci su due anni molto importanti 1619 e 1620. Cartesio racconta che nella notte tra il 10 e 11 novembre 1619 fece un sogno, e l'anno successivo ne fece un altro. Questa esperienza gli sembrò decisiva:

«X novembris 1619 cum plenus forem Enthousiasmo, et mirabilis scientiae fundamenta reprirem. XI novembris 1620 coepi intelligere fundamentum inventi mirabilis». (2)

Cartesio parla di aver scoperto la clavis copius misteri, cioè la chiave di tutti i misteri, perché le scienze sono tra loro legate:

«Ora le scienze sono mascherate, tolte le maschere, appariranno bellissime. Per chi potrà scorgere la catena delle scienze, ritenerle tutte non sarà più difficile che ritenere la serie dei numeri».

E prosegue:

«Tutte le scienze sono concatenate, né l'una può recarsi a perfezione senza che le altre conseguano spontaneamente, e si apprenda l'enciclopedia tutta insieme». (3)

Cartesio parla di una mathesis universalis che unifica tutte le scienze. Inoltre in una lettera al Mersenne del 1629 parla di una lingua universale, trasferendo il problema dal piano della grammatica e del lessico a quello della scoperta di «un ordine fra tutti i pensieri che possono entrare nello spirito umano, così come ve n'è uno naturale fra i numeri. Se qualcuno avesse spiegato bene quali sono le idee semplici che sono nell'immaginazione degli uomini, e di cui è composto tutto quello che pensano (...) io oserei sperare allora in una lingua universale». Questa scoperta come ci riferisce Baillet crea entusiasmo in Cartesio.

Prima della stesura del Discorso sul metodo Cartesio aveva scritto un'opera importante, anche se fu pubblicata  postuma, si tratta di Regulae ad directionem ingenii. Nel primo volume vi sono le regole che mette in luce già tutto il cartesianesimo.

Il filosofo comprende che oramai è venuto il momento di mettere in discussione ogni insegnamento ricevuto. Per avere accesso all'umana ragione l'unico mezzo è rivolgere l'attenzione, non già alla molteplicità degli oggetti delle singole scienze, ma all'umano sapere, alla bona mens, alla universalis sapientia, che è una, che procede secondo leggi uniche, che ha un fine unico.

«Tutte le scienze altro non sono che l'umano sapere, che permane sempre uno e medesimo per differenti che siano gli oggetti a cui si applica, né deriva da essi maggior distinzione di quanta ne derivi il lume del sole dalla varietà delle cose che illumina». (4)

Oggi l'epistemologia contemporanea in questo tenta di non seguire questa impostazione. Cartesio finisce in una sorta di monismo metodologico, cioè c'è un unico metodo nei diversi campi del sapere, modellato sul sapere matematico; mentre oggi lo sviluppo delle scienze, l'approfondirsi del conoscenze nei diversi campi del sapere, ci spinge ad assumere campi di indagini diverse a seconda dei diversi campi del sapere.

L'atteggiamento cartesiano a suo tempo fu già criticato dal Vico. Il problema  della saggezza come convergenza di teoria e pratica è chiaro; chiara l'idea della fondazione delle caratteristiche comuni dei processi conoscitivi, processo che erediterà Kant.

OPERE PIÚ PERFETTE QUELLE DI UN SOLO ARTEFICE

All'inizio della seconda parte del Metodo Cartesio specifica ancora il luogo di soggiorno del 1619:

«Ero in Germania, dove mi aveva chiamato l'occasione delle guerre (guerra dei trent'anni) che non vi sono ancora finite; e mentre dall'incoronazione dell'imperatore (Ferdinando di Boemia e Ungheria) facevo ritorno all'esercito, l'inizio dell'inverno mi costrinse a fermarmi in un alloggio dove, non trovando conversazione che mi distraesse, e non avendo d'altra parte, per fortuna, né cure né passioni che mi turbassero, me ne restavo tutto il giorno chiuso da solo in una stanza riscaldata, dove avevo tutto l'agio d'intrattenermi con i miei pensieri».(5)

Uno dei primi pensieri che ebbe Cartesio, riteneva che le opere migliori sono quelle fatte da un solo artefice anziché dalle mani di molti maestri. Cartesio fa l'esempio dell'architetto che da solo ha costruito un edificio, o delle città che sono migliori quando derivate da un solo progettista e non costruite dietro tanti disegni che si sono accumulati nel tempo dando vita a città mal proporzionate. Oppure parla dei popoli nei quali, le costituzioni migliori sono quelle fatte da uno solo, e fa l'esempio di Sparta. Così come pure lo stato della vera religione, di cui Dio solo ha fatto gli ordinamenti. E aggiunge:

«Ancora pensai che, per il fatto stesso che siamo stati tutti fanciulli prima di essere uomini è quasi impossibile che i nostri giudizi siano così puri e così solidi come sarebbero stati, se avessimo avuto l'uso completo della nostra ragione fin dalla nostra nascita, e non fossimo stati mai guidati che da essa». (6)

TEMPERAMENTI ALLO SPIRITO DI RIFORMA

Cartesio si mette a riparo da ogni rischio di essere visto come un rivoluzionario. Lui vuole abbattere per ricostruire e fa l'esempio metaforico della casa per esprimere la costruzione del sapere. Ma subito dopo dice:

«se un privato si proponesse di riformare uno Stato, mutandovi tutto dalle fondamenta e rovesciando per rialzarlo; o anche solo di riformare il corpo delle scienze o l'ordine stabilito nelle scuole per insegnarle, questo sarebbe completamente errato».

Lui dice di non volere tutto questo, ma soltanto riguardo di tutte le opinioni che aveva fino ad allora, di voler intraprendere una buona volta, di togliere via per rimettervene in seguito delle altre migliori, o anche le medesime, quando le avesse aggiustate al livello della ragione. Cartesio sottolinea quindi di voler riformare soltanto il suo sapere. Ribadisce ancora:

«il mio disegno non si è mai esteso al di là di cercare di riformare i miei propri mestieri, e di costruire su un fondamento tutto mio. Che se, essendomi molto piaciuta la mia opera, io ve ne mostro qui il modello, non è con questo che io voglia consigliare a nessuno di imitarla (...) la sola risoluzione di disfarsi di tutte le opinioni che per l'innanzi si sono già accolte nella mente non è un esempio che ognuno debba seguire».

CARTESIO INTRAPRENDE LA RIFORMA DEL SAPERE

Dopo questi motivi prudenziali va a fondo quando critica le opinioni dei filosofi citando Cicerone che lui traduce in questi termini:

«Non si potrebbe immaginar nulla di così strano e di così poco credibile, che non sia stato detto da qualche filosofo». (7)

Cicerone diceva infatti: «sed nescio quomodo nibil absurde dici potest, quod non dicatur ab aliquo philosophorum» ossia: non c'è niente di tanto assurdo anche che non sia stato detto da qualche filosofo.

Cartesio quindi lo riafferma: io non potevo scegliere nessuno le cui opinioni mi sembrassero dovere essere preferibili a quelle degli altri, e mi trovavo come costretto a cercare di guidarmi da me stesso.  


[1] E. Garin: Vita e opere di Cartesio - Laterza pag.29
[2] Ibidem pag.32
[3] Ibidem pag.38
[4] Ibidem pag.64
[5] R. Descartes: Discorso sul metodo - La Scuola pag.44
[6] Ibidem pag.45
[7] Ibidem pag.47


Theorèin - Febbraio 2004