TEORIA DELLA LETTERATURA
A cura di: Luciano Vitacolonna
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Brevi considerazioni su memoria, strutture linguistiche e narrazione

1. Tra memoria e conoscenza c'è, indubbiamente, un legame strettissimo. Ciò significa anche ammettere il legame strettissimo che sussiste fra memoria e apprendimento: «Apprendimento e memoria sono al centro della rete dei processi psichici. Senza di loro, la percezione, il linguaggio e il pensiero non potrebbero esistere, e, di contro, queste attività determinano il tessuto della memoria. Ne deduciamo che si acquista una memoria ogni volta che l'esperienza dà origine a mutamenti relativamente duraturi nel comportamento. L'apprendimento è legato al ricordo, perché costituisce il processo attraverso cui l'esperienza modifica il comportamento» (Lloyd et al [1984: 259]).

Si assiste, dunque, a una relazione reciproca: io so perché ricordo, e ricordo perché ho appreso. Eppure, questa semplice constatazione viene in parte compromessa - o perlomeno complicata - dalla questione dell'"apprendimento" della 'facoltà di linguaggio'.

Tale questione - chiamata da Chomsky "il problema di Platone" (1) - può essere così riassunta: la conoscenza del linguaggio da parte del bambino non può essere determinata dall'imitazione (e dunque dal semplice ricordo) delle frasi o dei testi ascoltati/esperiti. Se così fosse, non solo l'apprendimento del linguaggio - e dunque la sua conoscenza - richiederebbe un dispendio di forze e una quantità di tempo enormi, ma non saremmo neppure sicuri di acquisire una conoscenza completa. Inoltre, è stato ormai da tempo accertato «il fatto che, senza istruzioni o dati diretti, i bambini infallibilmente usano regole computazionalmente complesse dipendenti dalla struttura piuttosto che regole computazionalmente semplici» (Chomsky [1989: 16]). Insomma, la facoltà di linguaggio - a livello sia ontogenetico che filogenetico - sarebbe innata.

Il guaio è che le teorie generative - anche nei loro più recenti sviluppi (2) - continuano ad essere di tipo sostanzialmente a-contestuale. In fondo, si continua a restare al livello della competenza, sottovalutando - se non ignorando - il ruolo e l'importanza della esecuzione e, quindi, del contesto. Ciò crea enormi problemi in relazione all'apprendimento - e dunque alla memorizzazione - sia delle parole, sia dei componenti linguistici (come, ad es., l'uso e la comprensione di enunciati o testi ironici).

La complessità del rapporto memoria-linguaggio è poi testimoniata dal problema dell' interpretazione. L'interpretazione può essere vista come un'attività dinamico-procedurale che consiste, fondamentalmente, nell'attribuzione di significati a testi o porzioni di testo. Dato che (a) un testo può essere concepito come una totalità connessa, coerente e completa, e (b) l'interpretazione di un testo procede per fasi, sorge il problema di spiegare in che modo riusciamo a interpretare un testo nella sua totalità, pur procedendo, appunto, per stadi interpretativi (ossia per microattività interpretative topicalizzate). Facciamo qualche esempio.

Prendiamo [1]:

[1] La luna è bella.

Penso che nessuno avrà problemi a interpretare correttamente [1]. Questo microtesto è costituito da un sintagma nominale soggetto ("la luna") e da un sintagma verbale ("è bella"). Nel momento in cui l'interprete ha finito di leggere la stringa grafemica <la luna è bell> o di ascoltare la catena fonetica [la 'luna e b'bell], si aspetta - per dir così - che l'ultimo grafema o fonema sia 'a', perché ha memorizzato che luna è un sostantivo femminile singolare.

Prendiamo ora quest'altro esempio:

[2] Penso che io, tuo fratello, prima o poi lo rimprovererò.

Perché [2] sia interpretabile, bisogna attendere la fine dell'enunciato, dove compare il verbo. L'enunciato [2] è, in italiano, un po' anomalo sia per la posizione del verbo, sia per la strutturazione (3).

Se ora prendiamo il tedesco, possiamo constatare come in questa lingua sia normale la strutturazione sintattica prospettata in [2]. Anzi, in tedesco è obbligatorio porre il verbo in fine di frase, se questa è una frase dichiarativa introdotta da dass; facciamo un esempio:

[3] Ich weiss, dass du deine Grossmutter liebst.
(So che ami tua nonna)

Nel caso di [3], finché l'interprete non arriva alla fine della frase dichiarativa e non sente/legge il verbo liebst, non può interpretare l'enunciato.

Queste osservazioni sembreranno banali e poco (o per nulla) connesse al problema della memoria. Il rapporto interpretazione-memoria, però, appare in tutta la sua luce se consideriamo i seguenti esempi presi ancora una volta dal tedesco:

[4a] Ich stelle eine Rolle dar.
(Interpreto un ruolo)

[4b] Ich stelle eine Rolle ein.
(Assumo un ruolo)

[5a] Ich stehe deine Freundin aus.
(Sopporto la tua amica)

[5b] Ich male deine Freundin aus.
(Dipingo la tua amica)

L'interprete di [4a] e [4b] deve procedere per fasi, più o meno in questo modo:

<1> assegna un valore semantico provvisorio al verbo (zu) stellen, un significato oscillante fra 'porre', 'assegnare', ecc.; pertanto può interpretare il segmento testuale "Ich stelle eine Rolle" come 'Assegno un ruolo';

<2> memorizza come possibile questo valore semantico;

<3> se dopo Rolle trova una pausa che indica fine di enunciato, convalida l'interpretazione costruita in <1>, altrimenti passa a <4>;

<4> legge o ascolta dar, per cui è costretto a

<4a> connettere dar a stelle, ottenendo così il significato 'interpreto';

<4b> cancellare il valore semantico memorizzato 'assegno' provvisoriamente attribuito a stelle;

<4c> reinterpretare l'intero enunciato come 'Interpreto un ruolo'.

Lo stesso avviene nel caso di [4b], dove ein definisce o precisa, ancora una volta, l'esatto valore semantico del verbo.

Negli esempi [5a] e [5b] si verifica una situazione in parte opposta, in parte simile, ma comunque sempre giocata su memorizzazione, cancellazione e reinterpretazione di quanto memorizzato. Questo tipo di analisi è, essenzialmente, di natura procedurale, in quanto «descrive un compito in termini di operazioni eseguite passo per passo» (Sanford [1992: 17]), ossia tende a spiegare non solo il significato di un testo, ma anche come procede/avviene il processo interpretativo (4).

Consideriamo, ora, questi altri casi:

[6a] L'uomo che Carlo odiava era stupido.
[6b] Il gatto mangiò il topo che rosicchiava il formaggio che Carlo aveva comprato.

L'enunciato [6a] contiene una incassatura, ossia la relativa "che Carlo odiava", mentre [6b] presenta una strutturazione per accumulo a destra del tipo indicato nello schema [7], dove 'R' indica la reggente, e 'S1', 'S2' le subordinate:

[7]   R-------------S1---------------S2

Detto di sfuggita, ciò che ho chiamato "strutturazione per accumulo a destra" costituisce un fenomeno tipico non solo della sintassi, ma anche della narrativa, spesso utilizzato in certi testi folclorici (si pensi, per es., al procedimento narrativo per 'infilzamento' [nanizyvanie](5)). Tuttavia, non mi soffermo ad analizzare [6a] e [6b], in quanto non presentano grossi problemi di interpretazione.

Una natura in parte simile a [6a] e [6b] hanno i seguenti esempi:

[8a] L'uomo che Carlo, che vive a Parigi, che è la capitale della Francia, odiava era stupido.
[8b] L'uomo che Carlo che Maria che stimo ama odiava era stupido.

Non so se tutti saranno d'accordo nel ritenere [8a] "accettabile"; sono però certo che nessuno accetterà [8b]. Ciò che ci impedisce di accettare [8b] non è la sua natura 'ricorsiva' (perché anche [6b] era di tipo ricorsivo), quanto piuttosto il fatto che [8b] è di tipo ricorsivo a incassatura, il che comporta lo spostamento a destra dei sintagmi verbali in blocco, proprio come si hanno, sempre in blocco, tutti i sintagmi nominali con funzione di soggetto a sinistra. La inaccettabilità di [8b] è dovuta alla incapacità (o enorme difficoltà da parte) della nostra memoria di connettere i sintagmi verbali ai rispettivi sintagmi nominali. In altri termini: la nostra mente si trova nell'impossibilità (o estrema difficoltà) di costruire modelli mentali atti a rappresentare il valore semantico di [8b], in quanto la memoria non riesce (o riesce con estrema difficoltà) a stabilire dei legami fra i vari costituenti sintagmatici.

Sulla base degli esempi qui presentati, mi premeva sottolineare sia il ruolo che la memoria svolge nel processo interpretativo anche di semplici enunciati o testi, sia la natura dinamico-procedurale dell'interpretazione. Il che, fra l'altro, dovrebbe spingerci a prendere in considerazione anche il modo in cui lavorano i computer.

Finora ho usato tutta una serie di termini (memoria, conoscenza, modelli mentali, ecc.) in modo piuttosto approssimativo. Vorrei ora cercare di precisare meglio questi termini al fine di pervenire a una migliore comprensione del modo in cui interpretiamo non solo testi brevi, ma anche testi di una certa lunghezza e complessità.

continua...


(1) Sul cosiddetto "problema di Platone" v. per es. Chomsky [1991]; cfr. Chomsky [2002] e Pinker [1997].

(2) Per es. v. Chomsky [1989, 1995, 2002]. 

(3) Una trattazione di questo tipo di enunciati è offerta da Berretta [2002: 149-199]. 

(4)  Per quanto concerne il proceduralismo v. Ballmer [1985], Ballmer, ed. [1985], Beaugrande [1980], Beaugrande e Dressler [1984: cap. 3], Eikmeyer [1983, 1985], Eikmeyer e Rieser [1985], Eikmeyer e Rieser, eds [1980], Petöfi [1983, 1985], Petöfi e Olivi [1989], Petöfi e Sözer [1988], Rieger, ed. [1985], Vitacolonna [1993, 1999, 2001]; inoltre v. Elman [1995]. 

(5) Cfr. Šklovskij [1976].


Theorèin - Maggio 2004