MOVIMENTI RELIGIOSI E REALTA' SOCIALE TRA XI E XII SECOLO
A cura di: Mario Della Penna
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Lezione 5

I Cistercensi. I movimenti eterodossi (introduzione)

Il Grundmann osserva che nei secoli XI, XII e XIII, c'è un'ansia di rinnovamento religioso (e non solo) che si attua all'interno della chiesa, fuori della chiesa, e contro la chiesa stessa. Quest'ansia di rinnovamento si traduce in movimenti religiosi. (1) In pratica per il Grundmann, ogni comportamento religioso ha due alternative:

  1. Restare nella chiesa, abbracciare i modelli, le ideologie, accettando la concezione ecclesiastica per cui la perfezione si può raggiungere solo restando nell'ambito di un ordo monastico;
  2. Uscire dalla chiesa diventando eresia.

Il Grundmann, come la maggior parte della storiografia, concorda nel dire che esiste un unico alveo, da cui si differenziano due filoni fondamentali: ortodosso ed eterodosso. 

Esistono poi delle forme di confine tra ortodossia ed eterodossia come per esempio i Patarini, che sono sempre un pò a cavallo tra le due parti, e che si definiscono ortodossi o eterodossi non per motivi interni al loro comportamento o alle loro dottrine, ma per circostanze fortuite, per circostanze più ampie di politica ecclesiastica che prima ritiene di assorbirli e di utilizzarli e poi li emargina. 

Di fronte a questa concezione dualistica netta, è necessario essere meno schematici, perchè ci sono situazioni intermedie che sono tali non tanto perchè le dottrine sono chiare, ma perchè ci sono sfumature complesse che è difficile definire. 

La matrice comune, osserva il Morgen, non significa dottrina unitaria: esiste uno spirito di fondo, una psicologia collettiva unitaria, ma non esiste una dottrina comune. Anzi non c'è alla base delle eresie, uno schema dottrinale che le accomuni. 

Nell'ambito della religiosità ufficiale istituzionalizzata, si è chiarito il concetto di rinnovamento, che vivifica e si manifesta anche nel monachesimo tradizionale, quello cluniacense. Nonostante la figura così moderna di Pietro il Venerabile, il grande abate di Cluny, l'esempio più importante di rinnovamento religioso nell'ambito istituzionale, è quello dato dai cistercensi. 

Questi si basano su un rigido ascetismo di vita, hanno tendenze pauperistiche, che si ritroveranno nei secoli successivi, e duro lavoro manuale, che i monaci eseguono personalmente con l'aiuto dei conversi laici. 

I cistercensi fanno proprie, assorbono e mutualizzano quelle istanze di radicale ascetismo che serpeggiavano nella società, aspetti che potevano diventare, ha notato uno storico, aspetti sovversivi. Invece inserendoli nell'ordo monastico, i cattolici fanno un'opera importante. 

Rispetto a questi ideali così rigidi le cose cambiano già dalla metà del XI secolo; le aspirazioni sembrano contraddette non per una sorta di tradimento, ma come conseguenza del successo e del prestigio di cui i cistercensi godono nella loro condotta di vita austera. 

Da questi derivano, in concreto, le donazioni, sempre più numerose e quindi la ricchezza ed il potere e l'inserimento nell'organizzazione della città. Conseguenza logica è il decadimento spirituale. 

La prova di questo iter è tutta una serie di bolle pontificie: il papa Alessandro III, nel 1169, invia una lettera ai Capitoli Generali dell'ordine Cistercense, rimproverandoli di essere cambiati dopo la morte di Bernardo. Quindi egli già percepisce questo cambiamento, relictis originalibus ordinis, cioè l'abbandono delle regole originali. 

Nel caso di un mancato ravvedimento, li minaccia, (e questo è interessante) di sottoporli al communis iure, cioè al pagamento di decime dovute al vescovo e al clero della diocesi, da cui, fino a quel momento, i cistercensi erano stati esonerati da una serie di decreti papali. 

Conseguenza di ciò, è che presso i cistercensi, per qualche decennio, vengono emanati degli statuti severi, per ricondurre i confratelli alla vita ascetica e povera dei primi tempi, ma senza successo o almeno senza esito duraturo.

Il Miccoli, nella sezione storia religiosa, della Storia d'Italia in un saggio L'impossibilità di una chiesa povera, sostiene che esiste una impossibilità strutturale, organica al pauperismo nell'ambito della chiesa come istituzione. Questa è un posizione molto drastica, che altri storici come il Violante e il Capitani, contestano. 

Il Miccoli sostiene che la chiesa non può essere povera perchè si manifesta sempre di più nei fatti l'impossibilità di cambiare la tendenza della chiesa occidentale e della società feudale, tipica di tutto il Medioevo, secondo cui il possesso di terre ed i relativi diritti sono la base primaria per sostenere il predominio sociale. Quindi inevitabilmente, ogni forma organizzata di vita religiosa si arricchisce, in quanto ritiene che per esercitare anche il proprio mandato spirituale (assistenza ai poveri, ai pellegrini, agli orfani) c'è bisogno di una serie di possedimenti come base, non solo del proprio potere economico, ma anche come, conditio sine qua non, del proprio potere spirituale. 

Da questa impossibilità deriva che l'ideale di povertà si sposta dall'ambito collettivo a quello individuale. Si ammette cioè la ricchezza comunitaria e si restringe il concetto di povertà individuale. L'ordine è ricco collettivamente ma il singolo monaco è povero. 

I cistercensi si trovano sempre più inseriti nell'ambito dei rapporti con i signori, con il vescovo diocesano, anch'egli signore e titolare di una signoria. Gli statuti dei cistercensi, quelli trascritti nella Charta Caritatis, prevedono che questo nuovo ordine non debba essere isolato rispetto al vescovo: ci devono essere rapporti stretti, e un cistercense deve presentargli la Charta Caritatis altrimenti una nuova comunità cistercense non potrà insediarsi più nel territorio-diocesi dello stesso vescovo.

Il crescente prestigio dei cistercensi fa sì che alcuni di essi vengano eletti vescovi o legati papali nelle missioni diplomatiche internazionali. 

Un punto del dictatus papae diceva che il legato papale, anche se di grado inferiore, quando è in missione in nome del papa, diventa superiore a qualsiasi altro ecclesiastico della zona in cui va in missione. Ad esempio se il legato è un diacono, e si trova a discutere con un vescovo, il suo parere è primario, in quanto messo del papa. Questa è una delle tappe della centralizzazione ecclesiastica che Gregorio VII aveva attuato. 

I cistercensi diventano incaricati della predicazione contro gli eretici, sopratutto Catari e Albigesi, che poi saranno bloccati agli inizi del Duecento. Assumono il ruolo di difensori dell'ortodossia. Un cistercense viene eletto papa col nome di Eugenio III; in questa occasione Bernardo compone un trattato il De consideratione che rileva una lungimiranza notevole nel mettere in guardia l'ex confratello, ora papa, dai rischi connessi alla gestione del potere.

Tutti questi incarichi, intanto, contraddicevano quella che era una delle norme tipiche del nuovo monachesimo: la stabilis loci. Era quella vecchia ammonizione che già Benedetto, nella regola originale del VI secolo aveva fatto ai propri monaci. Il monaco doveva stare fermo nel suo monastero e non vagare da un posto all'altro, perchè si temeva che si perdesse negli affari mondani. Benedetto, infatti predicava contro i cosiddetti monaci vagantes privi di valori spirituali e senza alcuna regola.

Il richiamo alla stabilitas faceva parte degli iniziali propositi dei cistercensi. Ultimo aspetto che dimostra come si siano modificate le cose per i cistercensi è la ricerca, anche da parte loro, dell'esenzione, cioè di un privilegio per cui un monastero, situato all'interno di una diocesi, poteva chiedere di essere esentato da tutti i rapporti doveri nei confronti del vescovo. Ottenuta l'esenzione, si evitava ogni forma di controllo del vescovo. Questo concetto è affine a quello in campo feudale dell'immunità cioè il non munus ovvero non avere l'obbligo di... Ciò comunque non significava essere sradicati da qualsiasi rapporto perchè collegata all'esenzione c'era automaticamente la ricerca di collegamento con Roma. 

Nei documenti di richiesta dei monasteri di avere l'esenzione o nei documenti di concessione dell'esenzione da parte del papa, troviamo la formula Nullo mediante dipendente nullo mediante la chiesa romana ossia senza nessun intermediario tra il monastero e la chiesa di Roma. 

Se c'era una lite col vescovo, si ricorreva a Roma e nell'ambito della Curia, una serie di ecclesiastici si occupava di queste cause. 

Col proliferare delle esenzioni si verificano una serie di liti che contrappongono un monastero all'altro o un signore laico al vescovo. Tutte queste liti finiscono in appello a Roma e si crea un ceto di ecclesiastici esperti in diritto, di cui tra l'altro Bernardo, sempre sagace, nota la diffusione in conseguenza dell'esenzione e reputa questi avidi di potere e prestigio, e poco della santità. 

Se fino ad ora l'esenzione era alla base del monachesimo di Cluny e i Cistercensi non l'avevano chiesta,ora la cercano e viene loro concessa. Si hanno tutte bolle pontificie a partire dal XII secolo sull'argomento. Il papato stesso appoggia le fondazioni monastiche più importanti,per continuare quell'opera di centralizzazione che già Gregorio VII aveva avviato prepotentemente. Il tutto va a discapito del vescovo diocesano,verso cui invece la Charta Caritatis imponeva dei rapporti.

L'autorità dei vescovi è sgretolata dalla diffusione delle esenzioni: la diocesi, che prima era strutturata compattamente,ora ha il suo interno delle isole extraterritoriali. A questo, in sostanza mirava l'esenzione, cioè le zone di pertinenza dei vari monasteri avevano altre regole e altri diritti. La giurisdizione del vescovo era piena di buche. Tutto ciò faceva comodo alla sede romana che mirava all'accentramento della gestione ecclesiastica appoggiandosi ai monasteri e mettendo il vescovo in secondo piano. 

In sostanza è stato osservato che alla fine del XII secolo Citeaux non si distingue più da Cluny proprio perchè l'ultima differenza quella dell'esenzione era saltata.


(1) Grundmann: Movimenti religiosi nel Medioevo.

Theorèin - Giugno 2004