LA RESURREZIONE DI GESU'
NEI RACCONTI DEI QUATTRO VANGELI:
APPUNTI DI ANALISI STORICO-FILOLOGICA
A cura di: Vito Sibilio
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Introduzione

L'analisi della Resurrezione nel racconto dei Vangeli è sempre al centro di un dibattito acceso, in quanto si tratta di determinare la veridicità storica dell'evento cardine del Cristianesimo. Ogni giorno nel mondo avvengono fatti inspiegabili, ma se realmente Cristo fosse risorto, la Storia cambierebbe non solo da un punto di vista documentario, ma anche esistenziale. In effetti, un evento capitale della storia religiosa ha una duplice valenza: quella storico-evenemenziale, per cui la nascita di Siddartha Gautama o di Muhammad o di Confucio equivale a quella di Gesù di Nazareth, e quella morale, per cui, alla luce di esso, muta la vita degli altri uomini, che, proprio in forza di quell'evento stesso, decidono di aderire ad una confessione piuttosto che ad un'altra.

Ebbene, il Cristianesimo è oggi la religione più diffusa, con circa due miliardi di fedeli; i confini della sua influenza culturale coincidono pressochè con quelli dell'ecumene; il Cattolicesimo è, in seno alle Chiese cristiane, il gruppo più cospicuo, e da solo raduna più di un miliardo di fedeli. La sua forza di espansione non si è ancora esaurita. Porsi dunque una domanda sulla veracità storica delle vicende attribuite al Fondatore eponimo della religione cristiana è sembrato sensato ed opportuno a generazioni di studiosi, aprendo un filone di analisi che probabilmente non si esaurirà mai.

Ma una risposta storica deve essere possibile: Gesù o è vissuto, o non lo è; o è risorto, o no. Tale risposta va cercata con la stessa onesta scrupolosità di qualsiasi altra risposta storica, a quesiti come: Cesare varcò o no il Rubicone? Alessandro Magno conquistò o no la Persia ? E la risposta va cercata con gli stessi metodi: l'analisi delle fonti e il riscontro documentario, senza nascondersi che però una dimostrazione storica dei fatti kerigmatici (Passione e Resurrezione) avrebbe una valenza teologica ed apologetica, così come il suo contrario avrebbe un senso ateistico ed agnostico. In questo senso, l'indagine storica sull'evento cardine della religione cristiana, la Resurrezione di Cristo, che dimostrerebbe la sua divinità, prelude e supplisce alla speculazione teologica e filosofica soverchia, che vuole predeterminare i fatti sulla base dei propri pregiudizi.

Non a caso le scuole storiche che si confrontano sui fatti di Gesù corrispondono a orientamenti che sono pure filosofico-culturali: dalla mitologia di Strauss, che fa del Vangelo un mito, sulla falsariga della Vita di Gesù di Hegel, consegnando ai materialisti storici l'idea che la religione è un momento transitorio di una dialettica storicista e razionalista, al criticismo positivista, che da Renan a Loisy ha liquefatto la base documentaria della fede nell'Ignoramus et Ignorabimus degli antimetafisici, fino al realismo storico di chi cerca nelle fonti la prova della verità della propria religione. Naturalmente, anche tra questi ultimi vi sono divisioni: Bultmann ha fatto scuola con una demitologizzazione che tenta di battezzare l'esegesi idealista e positivista, e frange di suoi seguaci moderati si trovano nei cenacoli culturali più accreditati del mondo cristiano, ma non mancano i fautori di una storicità piena dei testi sacri.

Paradossalmente quest'ultima corrente è quella più suffragata dai riscontri: le datazioni papiracee e filologiche in genere dei testi più antichi dei Vangeli canonici mostrano che non ci fu praticamente soluzione di continuità tra la Vita di Cristo e la sua narrazione scritta. Ciò non lascia margini di tempo per la nascita di leggende o miti.  Ecco alcuni dati: Cristo è morto tra il 30 e il 33; i codici - ossia le copie - dei Vangeli più antichi sono:

  1. Il frammento 7q5 di Marco, datato da J.O'Callaghan al 50-55 d.C., e ritrovato a Qumran, nella biblioteca degli Esseni, distrutta negli anni 70 da Tito (esso dunque risale a 20-25 anni dopo la vita di Gesù)

  2. Il frammento del Papiro 64 del Magdalen College, datato da C.Thiede al 60, e rinvenuto in Egitto (il Vangelo matteano era in circolazione dunque da 25-30 anni dopo della morte di Gesù)

  3. IL P 52 Rylands, trovato in Egitto, del Vangelo di Giovanni, del 125 d.C. (Il Vangelo di Giovanni è dell'80-90).

  4. Se O'Callaghan ha ragione, esistono papiri di Luca (il cosiddetto papiro di Barcellona) risalenti al 60. Ma il dibattito non è chiuso.

Questi testi sono vicinissimi ai fatti narrati, e in genere ai manoscritti originali dei Vangeli: il codice giovanneo di trent'anni, gli altri ancor meno, in quanto i Padri della Chiesa ci informano che Matteo scrisse in aramaico il suo Vangelo nel 40, e lo tradusse o fece tradurre in greco nel 60, mentre Marco scrisse in greco nel 50. I due codici, dunque, non solo confermano le datazioni della patristica, ma sono praticamente contemporanei degli originali. Se fosse vera la datazione del papiro di Barcellona, anche il vangelo lucano, datato al 70 dai filologi più ottimisti e all'80-90 dai più scettici, andrebbe retrodatato di 20-30 anni ( in realtà abbiamo elementi intratestuali che già giustificano la datazione classica del 60, ma ci torneremo). Il Vangelo di Giovanni, come dicevamo, è datato da sempre al 100 circa, e il Rylands lo conferma, alla faccia di chi lo poneva nel 150, 200 addirittura. Riportano inoltre non le parti considerate più antiche dei Vangeli - il cosiddetto kerygma - ma parti più recenti, a dimostrazione che già da quelle epoche lontanissime i testi erano completi. In genere, la distanza tra originali e copie, nella letteratura classica, è incomparabilmente più grande (per Virgilio, 400 anni, per Orazio 800, per Cesare 900, per Nepote 1200, per Platone 1300, per Sofocle 1400, per Eschilo 1500, per Euripide 1600, per Omero 2000), eppure nessuno dubita dell'autenticità di quelle opere. Analogamente, mentre i codici della letteratura profana, che attestano l'uniformità della tradizione testuale, sono di numero medio-basso (Orazio, 250; Omero 110, Virgilio 100, Sofocle 100, Eschilo 50, Platone 11, Euripide 2, Tacito - gli Annali - 1), quelli della letteratura evangelica sono moltissimi: 4292, di cui 53 comprendono tutto il Nuovo Testamento, senza contare le traduzioni e i codici di esse, che sono 30000 (considerando che se ne trovano sempre di nuovi, non mi meraviglierei che questi stessi dati dovessero essere arrotondati per eccesso). Esclusi questi, abbiamo

  • 232 codici maiuscoli, onciali, di cui 2 sono del V sec., 14 del VI, e gli altri dal VII all'XI. 

  • 2400 codici minuscoli, dal X al XVI sec.

  • 1610 codici incompleti, dal VI al XVI sec.

  • 52 frammenti papiracei

Dei frammenti papiracei, i più antichi (esclusi quelli già citati) sono

  1. Il Chester Beatty I-II del 300 d.C.

  2. L'Egerton del 130-150 d.C.

  3. Il Bodmer II, del 150-200 d.C.

  4. Il Bodmer XIV-XV, degli inizi del III sec.

  5. Il Michigan 1570, del III sec.

Dei manoscritti pergamenacei, che ricopiano i papiracei del II sec., i più antichi sono:

  1. Il Codice Vaticano, dell'inizio del IV sec.

  2. Il Codice Sinaitico, di poco posteriore

  3. Il Codice Alessandrino, del V sec.

  4. Il Codice di Efrem, del V sec.

  5. Il Codice di Beza, del VI sec.

Tali testi erano conosciuti e citati. Ecco alcuni dati sulle citazioni più antiche:

  1. Gli scrittori dell'età apostolica citano 122 volte Matteo, Marco e Luca:

  • La Didachè ( ca. 90 d. C.) 75 volte

  • Clemente Romano ( 96 ca) 18

  • Barnaba  (98 ca) 7

  • Ignazio di Antiochia ( ca107) 13

  • Erma  (ca 150) 9

   2. Gli scrittori cristiani del II e del III sec citano NT e Vangeli 30.783 volte

Da quanto ho detto, si evince che la storicità, intesa come autenticità dei fatti narrati, dei Vangeli viene confermata dai criteri stessi della filologia moderna. Posso quindi ragionevolmente passare ad un' analisi che consideri i testi in se stessi, senza il pregiudizio della leggenda o del mito.

Quelle che seguiranno saranno analisi sui Vangeli, condotti direttamente da me, con lo scopo di trattarli come documenti storici, senza intenti apologetici o denigratori, per rispondere a queste domande:

  1. Che cosa s'intende per storia nei racconti della Resurrezione ?

  2. Si possono appianare le discordanze tra essi?

Prima tuttavia di iniziare con le riflessioni su Matteo, Marco e Luca, direi qualcosa sulla questione sinottica, alla luce delle moderne scoperte filologiche di O'Callaghan e di Thiede.

Una tradizione orale comune, che i tre sinottici hanno messo per iscritto in modo indipendente e quindi vario, in sè è sicura, ma da sola non spiega tante affinità. Certo, essa esistette a lungo, e fu divulgata da apostoli e predicatori professionisti (evangelisti). Presumibilmente, già quando Gesù era vivo si cominciarono a stenografare i suoi discorsi, anche se prove non ce ne sono. Una stesura scritta di queste memorie dev'essere tuttavia iniziata immediatamente: riunite per nuclei tematici e cronologici, erano integrate dalle testimonianze orali. Possiamo dire che queste testimonianze diedero una struttura standard anche alla predicazione dei fatti e dei detti di Gesù, contemporaneamente a quanto accadeva per il kerygma, ossia per la Passione e Morte e Resurrezione, per cui la distinzione classica tra una parte kerygmatica antica dei Vangeli e una moderna di contorno cade, proprio per le modalità della gestazione dei testi canonici. La critica situa a questo punto la composizione di Matteo, che noi diamo al 40. Si ipotizza che Matteo abbia attinto a una fonte F o S (sources), integrando il proprio scritto e spezzettandola per tutto il Vangelo. Nulla lo vieta, ma nemmeno lo conferma. In ogni caso, Matteo avrebbe fatto questa integrazione in un tempo successivo: non sappiamo se nel 40 uscì il Vangelo definitivo o la sua versione primitiva, certo è che poi fu tradotto in greco intorno al 60. Avremmo quindi tre fonti aramaiche, il Matteo 1, la F-S e il Matteo 2. Forse ci fu un Vangelo arcaico che raccontava i fatti della Passione e Resurrezione di Luca e Giovanni (LGa). Avremmo quindi quattro documenti, anteriori alla redazione di un Vangelo scritto direttamente in greco. Questi, di Marco, difficilmente a mio avviso può essere il più antico, come si credeva di solito: la retrodatazione di Matteo e dello stesso Marco scoraggia i filologi dal ritenere che questi fosse la fonte del primo, solo perchè più breve. Piuttosto, Marco potrebbe aver saccheggiato le tre fonti matteane e il loro prodotto finito, direttamente in aramaico, seguendo la falsariga della predicazione petrina. Probabilmente anche Marco ebbe più redazioni, e quelle intermedie e la finale (50 d.C.) possono aver influenzato la redazione finale di Matteo, ma non credo proprio il contrario. A meno che non consideriamo preistoria del vangelo marciano una ipotetica stesura della predicazione petrina in Siria - Palestina, attribuibile forse allo stesso Marco, che cominciò così a fare da segretario del Principe degli Apostoli. Queste stesure assai antiche, anteriori al 50, poterono essere prese in considerazione da Matteo, proprio per l'autorevolezza della predicazione di Pietro. Ma più che una moltiplicazioni di fasi intermedie, supporrei una complessa redazione, avvenuta con rifacimenti, in attesa di pubblicazione definitiva, e un confronto orale tra gli autori stessi, grazie alla mobilità dei primi cristiani, tutti presi dalla predicazione (Pietro stesso, tra il 33 e il 42, è a Gerusalemme, in Samaria, in Siria, in Asia Minore, in Italia). Lo stesso dico per Luca: potrebbe aver utilizzato una stesura primordiale di Marco e il Matteo 2, per un proto-vangelo, e poi potrebbe averlo arricchito con la Fonte F o S, rimaneggiandola di suo. Potrebbe aver conosciuto il Vangelo LGa, e averlo utilizzato per colmare le lacune kerygmatiche di Matteo e Marco. Ma è da escludere che Luca conoscesse Marco tardi, e ne fosse influenzato solo in una seconda fase della redazione del suo vangelo. Aspettare addirittura tre fasi, con tre pubblicazioni, non combacia con le nuove datazioni, nè con la complessa circolazione delle fonti tra i primi cristiani. Le ricostruzioni filologiche che tutti possono conoscere tramite la Bibbia di Gerusalemme sono obiettivamente troppo macchinose. In ogni caso, tutte le fasi redazionali hanno avuto come autori sempre gli stessi evangelisti. La sopravvivenza della tradizione orale - in realtà circolante per iscritto in vangeli anche parziali destinati a non essere ufficiali - giustifica più di qualsiasi altro marchingegno filologico le concordanze dei testi, desiderosi di integrarsi a vicenda, in un piano che dovette essere sviluppato coscientemente negli anni.

LA RESURREZIONE SECONDO MATTEO

INTRODUZIONE BREVISSIMA

Il Vangelo di Matteo è il primo, scritto in aramaico e tradotto in greco, come ho detto. Come tutti i vangeli è una biografia teologica, che non vuole esaurire tutto l'argomento Cristo, ampiamente conosciuto dai correligionari, ma vuole presentarlo in chiave giudaico-cristiana, facendo di Gesù il Messia. La riflessione dottrinale è cospicua ma discreta. La parte kerigmatica occupa i capp. 26-28. La Resurrezione è trattata nel cap. 28. La scrittura è accorta, e utilizza<molti artifici letterari complessi, presenti evidentemente già dalla stesura aramaica. Riprendiamo ora le tematiche critiche di cui sopra in funzione del racconto matteano, per poi iniziare la trattazione filologica e storica propriamente detta.

QUESTIONI CRITICHE

Ciò che il  Vangelo di Matteo racconta sulla Resurrezione di Gesù è mito, leggenda o fatto storico ? Ossia, nasce per la stratificazione di tradizioni religiose messe insieme da un autore epigono (come l'Iliade o l'Odissea di Omero), oppure per la redazione scritta della testimonianza oculare di un contemporaneo di Gesù? E, in questo caso, la redazione avvenne per opera dello stesso testimone o di un suo discepolo? Nel primo caso, quale prova abbiamo della credibilità del testimone ? Nel secondo, quanti passaggi intermedi vi sono tra la testimonianza orale e la sua trascrizione, e quali sono (raccolta di episodi, bozza di appunti, memorie del testimone medesimo) ?

La risposta ci è data dalla recente datazione fatta da Carsten Thiede del Papiro Magdalen: questo antichissimo testimonio del Vangelo di Matteo (il più antico conosciuto) risale a prima del 70, presumibilmente al 60. Il frammento di testo giuntoci dimostra che il Vangelo era allora così com'era oggi. Possiamo così tentare di dare delle risposte alle domande formulate all'inizio: siccome per la nascita di un mito religioso ci vogliono almeno settant'anni, e per il rivestimento leggendario di un fatto vero poco meno, e siccome per questa datazione l'intervallo tra i fatti narrati e la loro narrazione per iscritto è di circa trenta - quaranta anni, possiamo affermare che il Vangelo di Matteo racconta cose realmente accadute (a prescindere dalla loro origine soprannaturale).

Inoltre, questa datazione suppone che il Vangelo sia stato edito quando tutti i contemporanei di Gesù erano ancora vivi: lo erano Pietro e Paolo, martirizzati tra il 64 e il 67; lo erano i loro segretari Marco e Luca, futuri evangelisti; lo erano tutti gli altri Apostoli, escluso Giacomo di Zebedeo, morto tra il 41 e il 44; lo erano le Pie Donne, testimoni dei fatti del Sepolcro; lo era Maria, madre di Gesù, scomparsa intorno al 70. Non vi è dunque nessun motivo di credere che l'autore del Vangelo sia persona diversa dall'Apostolo Matteo: se fosse altrimenti, non ci sarebbe stata ragione di attribuire a quest'ultimo la paternità dello scritto, anche a causa della scarsa rilevanza del personaggio.

Se però l'autore del Vangelo è Matteo, egli redasse il suo scritto quando anche i nemici di Gesù erano ancora vivi; o almeno lo erano le memorie delle loro gesta; sicuramente larghi strati di popolazione ricordavano ancora il conflitto tra il Nazareno e il Sinedrio spalleggiato dai Farisei: potevano dunque sottoporre a vaglio critico ciò che l'Evangelista avrebbe scritto di sbagliato o inesatto nel suo lavoro. Inoltre, intorno al 60, il conflitto tra Chiesa e Sinagoga si era allargato a tutto il Mediterraneo, come la nascente religione; in questo contrasto erano state trascinate le istituzioni e la società romane, anche in seguito alla diffusione della Fede tra i pagani: con una tale situazione Matteo doveva vagliare criticamente parola per parola ciò che andava scrivendo, per risultare credibile e documentato non solo ai suoi correligionari, ma anche ai suoi nemici, per non dare loro appigli. E che il Vangelo ebbe peso e ascolto, lo dimostra che il Papiro Magdalen sia stato ritrovato in Egitto, mentre l'originale fu redatto in Palestina.

Stabilita la veracità del testo, ci potremo interrogare  prossimamente sui suoi passaggi più significativi.


Theorèin - Novembre 2003