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Ricostruiamo - così da riannodare le fila del nostro discorso - gli eventi della mattina di pasqua. Le Donne radunano i mezzi per imbalsamare Cristo e si accingono a partire per il sepolcro. Contemporaneamente le guardie di Pilato sono messe fuori gioco dall'angelofania. Mentre esse sono tramortite, e le donne per strada, Gesù risorge - senza testimoni. Le guardie rinvengono e rientrano in città. Le Donne arrivano, probabilmente da un'altra strada, e vedono il sepolcro aperto, in cui Gesù non c'è più. Fatta questa constatazione, la Maddalena corre ad annunziare la misteriosa traslazione ai discepoli. Mentre lei è via, i due angeli si mostrano alle altre Donne. Queste lasciano in fretta il sepolcro, ma non tornano subito dagli apostoli. Nel frattempo giungono Pietro e Giovanni; compiuta la visita, tornano increduli indietro, mentre la Maddalena rimane, e vede prima gli angeli e poi Cristo. Nel frattempo le Donne hanno comunicato ai XII la visione degli angeli. Ma i XII - li chiamo sempre così, ma in realtà erano ormai undici per la defezione di Giuda Iscariota - non ci credono. Subito dopo i Due di Emmaus partono. Dopo arriva la Maddalena, ma non credono neanche alle sue visioni. Ritornano le Donne, che hanno visto anch'esse Cristo, ma neanche sono credute da tutti. Il gruppo continua a sfilacciarsi. Pietro si allontana, probabilmente di pomeriggio. E vede Cristo. Torna indietro e lo racconta. I discepoli sono persuasi, ma gli apostoli no. Arrivano i Due di Emmaus, e raccontano la loro esperienza. Ma i XII sono sempre increduli. Solo la sera Gesù si manifesterà loro.
Gv riprende il suo racconto la sera appunto (v.19). Ciò che aveva da aggiungere sui fatti del sepolcro, lo ha scritto. Ora passa ad aggiungere dettagli sulla cristofania del Cenacolo, integrando Mc e Lc. Gv, testimone oculare, racconta ciò che lo colpì: Gesù entrò a porte chiuse. Disse: "Pace a voi !". E' il saluto anche in Lc, che narra tutto ciò che Gesù fece per convincere i suoi di non essere un fantasma. Gv dà tutto per presupposto e, in una forma che s'incastra con quella di Lc, comunica il risultato delle dimostrazioni di Gesù: "E i discepoli gioirono nel vedere il Signore." L'unica prova ricordata è la prima che Gesù esibisce: le mani e il costato. Il pranzo è omesso. Omessi i rimproveri agli increduli. Gv ha a cuore di evidenziare il messaggio del Risorto (vv. 21-23), che poi disparve. L'evangelista comunica con un eloquente silenzio il più enigmatico potere del Cristo risuscitato: la capacità di materializzarsi e smaterializzarsi a piacimento.  Inoltre Gv racconta il celeberrimo episodio di Tommaso, assai significativo. Questi, rientrato nel gruppo nei giorni successivi, ascoltò il racconto dei condiscepoli, e non vi credette. Gesù rispose alla sua incredulità con un'apparizione simile alla prima. Commentare adeguatamente la delicatezza dello stile di Gv in queste pagine frutto della sua esperienza è veramente arduo. Gesù ripete gli stessi gesti di Pasqua, e Gv li narra con le stesse parole (vv. 19-26): il Maestro ha replicato tutto, ma per una sola persona, e infatti il trapasso è immediato: dopo aver augurato la pace a tutti, si volge al solo Tommaso, dicendogli con un tono di rimprovero addolcito da condiscendenza: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo, ma credente !". Il tono si fa via via più sostenuto, come sottolinea l'interpunzione, e Tommaso risponde, confuso e meravigliato, pentito e felice: "Mio Signore e mio Dio!". In una pagina di così intensa commozione, è probabile che a Gv sia sfuggito di evidenziare che Tommaso s'inginocchiò. In effetti, il contesto è sufficientemente espressivo per indicarlo senza profferire parola. E Gesù parla ancora a lui, dicendo però parole che sarebbero valse per chi, nei secoli, le avrebbero lette e sentite: "Perchè hai veduto, hai creduto. Beati quelli, che pur non avendo visto, crederanno !". E disparve. A chi crede che un simile episodio sia un'aggiunta tardiva, maturata in ambiente pagano, quando ormai la rottura tra Sinagoga e Chiesa si era compiuta, vale la pena di far notare l'arcaico impianto semitico della visione: Gesù si mostra, ma sottolinea il primato dell'ascolto della parola. E' l'ascolto che dà la fede, non la visione. Mentre la cultura greca, da Platone in poi, contempla la verità nella visione iperuranica delle idee - la cui radice è Id, che indica appunto il vedere - quella giudaico-cristiana sottolinea la necessità di udire la parola di Dio e del suo intermediario: il profeta, il Messia e l'apostolo. Il discredito che Gesù getta sulla prova visiva sembra quasi contraddittoriamente ribaltare il valore probante della sua stessa apparizione, valida per convincere umanamente, ma non per suscitare meritoriamente la fede. Facendo una nuova sinossi, diremo che Mc condensa le apparizioni ai XII nella sua breve finale, Lc raggruppa le visioni successive alla pasqua nelle note sui quaranta giorni, e solo Gv, delicato e sensibile, ci ha conservato questa splendida visione secondaria, dedicata ad un solo apostolo. E con essa Gv crede bene di dover chiudere il vangelo. In effetti, nessuna chiusura poteva essere migliore, non volendo l'autore dilungarsi su fatti già raccontati da Lc. Sarà probabilmente sempre un mistero il motivo per cui nessun evangelista - e tantomeno Gv - ha sentito il bisogno di armonizzare espilcitamente i racconti della resurrezione. Se è fuor di dubbio che ognuno completa simmetricamente l'altro, è altrettanto vero che nessuno riprende il precedente in modo esplicito, citandolo. Questa cosa può dipendere dalla forte relazione con la tradizione orale, che colma le lacune con la catechesi; ma ciò implica anche la sfiducia profonda nel testo stesso, non concepito per essere autonomo, nè per durare nei secoli. Scomparsa la generazione apostolica, emersero le difficoltà interpretative, rese ancor più difficili dalla sacralizzazione dei testi. Gli interventi di armonizzazione si giocarono ai margini della generazione degli scrittori (cfr. la Finale di Marco), e la loro scomparsa li lasciò incompleti. L'armonizzazione tra Gv e i Sinottici per i fatti del sepolcro è sicuramente la più difficile: ma va scartata sia l'ipotesi di una indipendenza dei testi, smentita dai rimandi interni degli altri passi del Quarto Vangelo ai suoi predecessori, sia quella di una oscurità voluta, che non avrebbe senso in un'operazione di falsificazione, e che invece dipende dalla scelta della forma veloce che obbligatoriamente i Vangeli adoperano per i fatti del sepolcro. Questa scelta - su cui abbiamo detto qualcosa qua e là - non aiuta i lettori di secolo successivi a capire cosa successe a Gerusalemme in quei giorni, ma certo riprendeva sia la consapevolezza stilistica dell'importanza dell'evento, invalsa sin dalla stesura del Vangelo di Mt, sia probabilmente l'effetto oratorio della predicazione orale, deliberatamente veloce, densa e emozionante, evidentemente decisa tra i XII e che Gv, che apparteneva a quel gruppo, volle conservare sino alla vecchiaia, mentre Mc la riprese da Pietro e Lc, che l'attutisce molto, la conservò appunto per fedeltà ai modelli. La forma veloce infatti suggerisce il passaggio rapido del Cristo dalla morte alla vita, dei discepoli dalla tenebra alla luce, e il trionfo subitaneo di Dio, il suo irrompere nella storia in modo repentino e drastico. Si potrebbe credere che tale stile è ripreso dai Quattro Evangeli da fonti preeesistenti, per cui essi non avrebbero conosciuto direttamente i fatti, nè li avrebbero ricostruiti essi stessi; ma il fatto che ognuno aggiunga episodi della Resurrezione in uno stile non veloce (Mt il rapporto delle guardie, Lc i Due di Emmaus, Gv l'apparizione in Galilea) dimostra che gli autori attingevano ad ampie conoscenze per diversificarsi e che quindi ripetevano il racconto affrettato dei fatti del Sepolcro per convenzione. Come e perchè Gv abbia deciso di aggiungere il cap. 21 rimane un mistero. Forse fu aggiunto dai suoi discepoli per giustificare il fatto che l'apostolo, nonostante tutto, fosse morto, mentre in molti credevano che fosse immortale. La negazione dell'immortalità di Gv, fatta risalire all'interpretazione delle parole di Gesù nel cap. 21, 23 -"Si diffuse la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Ma Gesù non disse che non sarebbe morto, ma: Se voglio che rimanga finchè io venga, che importa a te?" - serviva anche a mantenere viva la fede nel Ritorno di Cristo, che sembrava smentito dalla morte del discepolo prediletto. Gesù non aveva vincolato il suo ritorno alla vita di Gv, quindi si poteva ancora attenderlo. D'altro canto, se gli ultimi versetti sono sicuramente usciti dalla penna dei discepoli di Gv, come del resto si legge esplicitamente (v. 24 b: "e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera", fa chiaramente intendere che i redattori sono più d'uno, e persone distinte da Gv appena nominato), è anche vero che il v. 25, che chiude il Vangelo, ha il soggetto al singolare, per cui il narratore sembra essere tornato uno solo. Vero è che per forza di cose l'estensore del cap. 21 doveva essere uno solo, e quindi qui avrebbe parlato in quanto autore mentre al versetto precedente avrebbe presentato la testimonianza collettiva della comunità per convalidare il suo racconto. Ma lo stile del cap. 21 è di Gv. La ripetizione del concetto di 20, 30-31 in 21, 25 è di Gv, che ama tornare su cose dette (basti leggere la sua prima lettera). La preoccupazione di puntualizzare che il Vangelo non esaurisce tutti i fatti di Gesù è di Gv in quanto testimone apostolico. Per cui forse egli stesso aggiunse l'appendice al suo vangelo, e i suoi discepoli aggiunsero solo il v. 23 e il v. 24 b, mentre il v. 24 a è una firma perifrastica, in terza persona. Addirittura potrebbe Gv stesso aver puntualizzato che Gesù non gli aveva promesso l'immortalità, per non lasciare disorientati i suoi discepoli con la sua imminente dipartita, e 24 b potrebbe essere stato inserito per suo volere, affinchè questa aggiunta, evidentemente tardiva, fosse riconosciuta autentica anche dopo la sua morte dalla testimonianza della sua Chiesa locale. Una cosa è certa: il racconto è troppo lungo per avere l'unico fine di smentire l'immortalità di Gv. Dobbiamo molto al Quarto Evangelo per questo capitolo. Il suo stile soave è la trama sottile ed elegante che unisce insieme le parti di quest'ultimo, significativo racconto. L'occhio del testimone è sempre presente e ci restituisce particolari affatto secondari, fondendoli però in un racconto mai lezioso o pedante, ma al contrario pervaso nei suoi aspetti più minuti di raro senso poetico. E' di sicuro il più letterariamente riuscito dei passi evangelici sulla Resurrezione, accanto a quello lucano dei Due di Emmaus. Ma questo di Gv vibra di più. Esso verte sulla terza apparizione di Gesù ai suoi. Si riallaccia a quanto Egli aveva fatto promettere ai XII dalle Donne: "Che vadano in Galilea e là mi vedranno". Gv presuppone Mt, che a sua volta lasciava intendere che in Galilea erano accadute più apparizioni ("il monte che aveva loro fissato" presuppone un incontro anteriore) non raccontate da nessun vangelo. Praticamente tutto il ciclo dei Quaranta Giorni di Lc si svolse in Galilea e terminò con la visione sul Monte descritta da Mt alla fine del suo vangelo. Ora Gv ci racconta la visione che aprì i Quaranta Giorni. Il fatto che la visione abbia creato l'opinione dell'immortalità di Gv fa intendere che essa era arcinota prima ancora di essere scritta. Il racconto inizia con l'elenco dei presenti (v. 2): ancora una volta troppi per essere vittime di una suggestione, che peraltro non avrebbe nessun tratto d'isterismo, essendo legata ad atti prosaici come il lavoro o il pranzare, come del resto le visioni del Cenacolo e di Emmaus. I discepoli erano andati probabilmente a Cafarnao, dove avevano risieduto con Gesù, che aveva ordinato di recarsi in Galilea senza specificare dove. Al momento dell'apparizione, erano giunti o erano presenti solo cinque apostoli e due discepoli. Era sera (v. 3 d). Gv ci restituisce l'atmosfera carica di attesa dubbiosa e un pò ansiosa, alle spalle delle parole recise pronunziate. E' Pietro che lancia l'idea di andare a pescare. Probabilmente gli apostoli avevano ripreso il loro mestiere. "Allora uscirono (evidentemente di casa o dal molo) e salirono sulla barca". Ma la notte passò senza nulla prendere. A questo punto l'aria di malinconia titubante è rotta da un viandante, che i discepoli non riconoscono - come i Due di Emmaus - e che, ormai all'alba, con linguaggio da pellegrino grida chiedendo del cibo. Alla risposta negativa dei discepoli, motivata dalla cattiva pesca, il viandante risponde indicando dove gettare le reti. Questo particolare secondario prepara il capovolgimento: i discepoli, finora troppo incerti per essere considerati uomini di fede, forse persino un pò rudi con lo sconosciuto, seguono il consiglio supinamente e pescano a lato. L'esito miracoloso e istantaneo apre loro gli occhi: il v. 6 b tradisce emozione e stupore. Gv è il primo a capire e dice a chi come lui amava Cristo: "E' il Signore!". Non ci sono parole per esprimere la vividezza dei vv. 7-8: Pietro si getta in acqua senza indossare il camiciotto ma solo cingendolo: è un gesto istintivo e dettato dall'emozione; gli altri si attardano a trascinare la pesca lentamente, a causa del peso, nonostante la breve distanza dalla riva, scrupolosamente segnata dall'autore testimone, assieme al numero dei pesci. Gv rimane in barca, e descrive i suoi ricordi. Lo ha colpito il gesto di Pietro. Egli, che pescava in maglia ("nudo"), normalmente sarebbe tornato in barca. Lì avrebbe ripreso dal fondo della barca il camiciotto, asciutto, e lo avrebbe indossato, per camminare decorosamente. Preso dalla foga, Pietro, che non vuole andare a terra "nudo", dimentica tuttavia che, gettandosi in acqua con il vestito, lo bagnerà tutto. Pensa a sbrigarsi, e non lo indossa, limitandosi a cingerlo, ma dimentica che in ogni caso lo bagnerà. Qui il filo dei fatti si spezza perchè appunto Gv rimane in barca. Una volta a riva, rivede Gesù che prepara la brace. Evidentemente erano approdati non al porto. La patina con cui Gv riveste il racconto è di una sottile ma accorata commozione: colui che aveva chiamato Signore cucina con premura. Tutti tacciono. Pietro è pronto agli ordini del maestro. La rete non si spezza. E' una cronaca giornalistica. Ma anche un'esperienza di fede. Gv annota che nessuno chiese al viandante "Chi sei?", perchè sapevano che era Gesù. Segno che il suo aspetto, a Cafarnao come a Emmaus e al Sepolcro davanti alla Maddalena, è misteriosamente cambiato. Mentre nel Cenacolo era comparso uguale, come alle Donne. Questa fenomenologia parapsicologica è ancora una volta ben lungi dalla suggestione, anzi ne capovolge le regole: essa tende a riconoscere fatti noti in quelli nuovi, qui invece si stenta a farlo. La consapevolezza dell'identità dell'interlocutore misterioso è tutta intellettuale, non sensoriale. Al massimo è legata alla voce o ai gesti. Qui al miracolo della pesca, noto ai discepoli. Gesù ricrea la familiarità con i discepoli invitandoli a mangiare. E loro sono profondamente intimiditi e turbati. Il pranzo passa in silenzio, e il Risorto appare sotto l'aspetto dell'ordinarietà, in cui si mangia e si beve. Proprio in quei frangenti i discepoli compresero la realtà concreta di ciò che andavano vivendo: e infatti solo a questo punto Gv dice: "Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli dopo essere risuscitato". Dopo pranzo Gesù ammaestra i suoi discepoli e Pietro. Il dialogo, semplice e bellissimo, è di scultorea bellezza, senza sdolcinature. La richiesta di affetto di Gesù è sincera e profonda, perchè fatta al suo vicario. Ed è solenne: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?"Sono citati nome e cognome, e il "tu" è enfatico. "Costoro" sono gli altri che pur lo amavano e dovevano amarlo. E Pietro chiama a testimonianza la conoscenza del Maestro: "Certo, Signore. Tu sai che ti amo." Lo chiama Signore, perchè lo considera Dio. Ma Gesù insiste, e Pietro replica con le stesse parole. Ma all'ultima richiesta, meno solenne ma più intima, che chiama in causa l'amore di Pietro di per sè, senza confronti, l'Apostolo è addolorato. Sa che Gesù non solo dubita che lo ami più degli altri, ma che lo ami proprio. E allora diventa lui solenne: "Signore, tu sai tutto. Tu sai che io ti amo!" Pietro sa che Gesù conosce il suo amore. Ma sa di averlo tradito. Gesù sa, come Dio, che Pietro lo ama, ma vuole sentirne il calore anche come uomo. E ad ogni attestazione di amore - tre come i rinnegamenti - Gesù risponde con la conferma del primato, sulle pecorelle e gli agnelli, i fedeli e i pastori. Traspare in filigrana l'amicizia, sia pure non paritaria, tra Gesù e Simone. Ma l'amore è esigente, e Gesù, alla terza professione di affetto, fa seguire la profezia della crocifissione di Pietro ("Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e qualcun altro ti cingerà la veste e ti porterà dove non vuoi"). Gv forse non capì subito, ma dopo sessant'anni non aveva più dubbi, e chiosò: "questo disse per indicare di quale morte doveva morire". Pietro invece capì subito, e infatti domandò ragguagli sul futuro di Gv. Ma Gesù diede la famosa, equivoca risposta. Il Vangelo si conclude con Gesù che dice a Pietro "Seguimi!". Ad essi si unisce spontaneamente Giovanni. Dove vada Gesù con Pietro non conta. Il valore simbolico è altissimo: i discepoli seguono il Cristo fino all'estremo. Theorèin - Luglio 2004 |