LA PASSIONE E LA MORTE DI GESU'
NEI RACCONTI DEI QUATTRO VANGELI:
A cura di: Vito Sibilio
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Capitolo 2 - I parte
LA PASSIONE SECONDO MARCO

Colpisce del Vangelo di Mc, posteriore a mio avviso al Vangelo di Mt, che abbia pochi particolari in più del racconto che lo precedette. Il testo è peraltro molto simile a quello di Mt. Tuttavia bisogna tenere presente che Mt fu scritto in aramaico, e Mc scrisse in greco prima che Mt fosse tradotto in questa lingua, per cui le somiglianze potrebbero essere dipendere dalla comunanza del testo-base nelle due traduzioni. Inoltre Mt scriveva solo per gli Ebrei, in aramaico; Mc scriveva per tutti i cristiani, in greco: cosa che forse era sufficiente per l’Evangelista per differenziarsi col Vangelo precedente.

Come Mt, Mc ha un capitolo per le vicende del Giovedì Santo e del Venerdì notte (il Quattordicesimo), con una breve introduzione (vv. 1-6), e un capitolo per la Passione e Morte (il Quindicesimo).

Mc inizia il suo racconto da martedì (14,1) esattamente come Mt. In Mc l’espressione “ēn de to paskha kai ta azyma meta duo hēmeras, mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi” e più chiare di quelle usate nel primo Vangelo. Infatti gli Azzimi sono necessariamente il Giovedì (v.12), ossia il giorno prima della Passione, avvenuta nella Parasceve del Sabato (15, 42). Mc dunque dà una cronologia più chiara, in quanto deve spiegare ai suoi lettori convertiti dal paganesimo cos’era la Parasceve. Mc allarga gli estremi cronologici in cui si compie la congiura del Sinedrio: al v. 1b l’imperfetto “ezētoun cercavano” suppone che gli sforzi per arrestare Gesù iniziassero prima del Martedì Santo. Per questo Mc non li collega alla profezia di Gesù. Naturalmente in questa prospettiva la riunione ultima dei sinedriti descritta da Mt, quella in cui furono prese le decisioni finali, non è esplicitamente indicata, poiché è riassorbita nella menzione degli sforzi fatti nel complesso dai nemici del Cristo. Al v. 2 l’Autore spiega perché il Sinedrio voleva usare l’inganno: per evitare un tumulto.

La narrazione dal v.3 a v. 9 appare senza soluzione di continuità dai vv. precedenti. Sembrerebbe davvero che Gesù, due giorni prima della Pasqua, fosse a Bethania. Mc stesso rileva, in 11,11-12, che Gesù, la sera della Domenica delle Palme, era andato a pernottare a Bethania. Tuttavia i rilievi fatti per Mt valgono anche per Mc. Attenzione dunque a non considerare contemporanee le azioni degli imperfetti ai vv.1-3: l’espressione “ontos autou en Bēthania Gesù si trovava a Bethania” è infatti un modo per aprire una sorta di parentesi temporale, in cui si descrive come Cristo si preparò alla sua morte (vv.6-9). In effetti, così com’è presentato, l’episodio dell’unzione sembra cadere nella Settimana Santa. S’impone allora una domanda: Mc sapeva che l’Unzione di Bethania accadde la Domenica delle Palme? Evidentemente si! Si deve dunque postulare che la sua descrizione dell’Unzione come preambolo del kerygma sia una precisa scelta teologico-storica, condivisa e forse mutuata da Mt (o addirittura dalla catechesi orale). Ma come mai nulla nel testo lascia intendere che l’episodio non avvenne nei giorni di cui si sta parlando? Probabilmente Mc – che certo non brilla per la sua cura stilistica – credette di essere sufficientemente chiaro – per un pubblico informato a priori di certe vicende – introducendo lapidariamente il racconto con l’espressione del v.3, in cui manca qualsiasi avverbio che esprima contemporaneità coi vv. 1-2.

Sul racconto in sé va rilevato che il v.3 ci fornisce più dati sull’unguento, definito “myrou nardou di nardo genuino” e quindi “pistikēs polytelous di gran valore”. La donna “syntripsasa ruppe (lett. “avendo rotto”)” il vasetto perché l’unguento si versasse più abbondantemente e più in fretta, con un gesto assai cortese notato solo da Mc. Questi rileva anche il valore dell’unguento, ponendolo sulle labbra dei discepoli sdegnati. Probabilmente non è un escamotage letterario, in quanto anche Gv attribuisce a Giuda una frase simile (12,5). Le parole di Gesù nei vv.6-9 sono pressoché simili a quelle di Mt 26,10-13. Le poche differenze possono essere risolte a vantaggio di Mt, che era presente al banchetto, mentre Mc scrive ciò che udì da Pietro. Tuttavia, non si può dire con certezza, perché la sostanza del fatto è la stessa.

Il tradimento di Giuda (vv.10-11) si riallaccia ai vv.1-2. l’”allora” d’inizio (kai), identico a quello di Mt, ne ha le medesime funzioni, anche se le svolge in modo più maldestro. Anche qui appare evidente che Mt aramaico potè fare da fonte a Mc greco. Questi non specifica la somma del tradimento, sorvolando su aspetti più interessanti per un pubblico semita. Tuttavia riferisce la gioia maligna del Sinedrio.

Il racconto della Cena non si discosta da una linea di fedeltà a Mt (vv.12-31). E’ evidente che anche questo schema (preparativi illuminati di soprannaturale – Cena e annunzio del tradimento, istituzione dell’Eucarestia – fine della Cena e predizione dell’abbandono degli Apostoli) risale alla catechesi orale degli Apostoli. Al v.13 Mc è più esauriente di Mt: il “tale” di quest’ultimo, ossia l’uomo qualsiasi che gli Apostoli dovevano contattare, diventa un uomo riconoscibile, da seguire, che li condurrà da un altro personaggio, la cui casa sarà a disposizione. E’ evidente che “l’uomo qualsiasi” di Mt è il padrone di casa di Mc, misteriosamente avvisato da Gesù stesso. Mt ha sorvolato sulla cornice soprannaturale del fatto, condensandola nell’annotazione sull’infallibile prescienza di Gesù, che manda i suoi discepoli apparentemente alla cieca, senza che però ciò pregiudichi l’esito della loro missione. Mc invece si dilunga, e questo è possibile perché, essendo la narrazione di Mt schematica, egli può a piacere ampliarne qualche aspetto significativo. Praticamente Mt rappresenta uno stadio più primitivo della narrazione, forse simile alla catechesi orale, mentre Mc ne dà un parziale ampliamento. Mc mette l’accento sull’aspetto soprannaturale, Mt su quello messianico (“il mio tempo è vicino”). A rigori, questa frase matteana può essere un commento catechetico, ma non si può del tutto escludere che sia le parole di Mt che quelle di Mc siano storiche, pronunziate da Gesù e impresse nella memoria dei XII Apostoli. Si potrebbero armonizzare così: “Hypaghete eis tēn polin, kai apantēsei hymin anthrōpos keramion hydatos bastazōn; akolouthēsate autō, kai hopou ean eiselthē eipate tō oikodespotē: ho didaskalos leghei: ho kairos mou engys estin; pros se poiō to paskha meta tōn mathētōn mou. Pou estin to katalyma mou, opou fagō? Andate in città [Mt 26,18. Mc 14,13] e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: [Mc 14, 13 b – 14 a] il Maestro ti manda a dire: il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te coi miei discepoli [Mt 26,18 b]. Dov’è la mia stanza perché io vi possa mangiare? [Mc 14,14]”. I vv. 17-21 annunziano il tradimento di Giuda. Al v.17 Gesù giunge con gli altri dei XII, in quanto da Gv sappiamo che i due discepoli del v.13 erano Apostoli. La narrazione salta i convenevoli della Cena e annota che, “kai anakeimenōn autōn kai esthiontōn mentre erano a mensa e mangiavano”, Gesù disse: “Amēn legō hymin hoti eis ex hymōn paradossi me, ho esthiōn met’emou. In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”. La frase è più lunga di quella di Mt, ma riecheggia quella di Gv, quindi è senz’altro vera. Mt, come in 26,18, anche in 26,21 è più essenziale, omettendo la citazione biblica di Gesù. Questo dà ulteriore forza all’autenticità del passo di Mt, di cui discutemmo prima. La risposta data da Gesù al v.20 è pure più lunga, aggiunge “eis tōn dōdeka uno dei Dodici”. Anche qui Mc mette maggiormente in luce la divina prescienza di Gesù, rendendo meno casuale l’identificazione del traditore. Naturalmente, qui come in Mt, si suppone che contemporaneamente Giuda intinga un boccone nel piatto di portata. Mc omette la domanda di Giuda a Gesù. Egli non dà alcuno spazio alla figura del traditore, che invece Mt ricostruisce nei suoi spostamenti e atteggiamenti. Per Mt, condiscepolo di Giuda, la figura del traditore è più intimamente coinvolgente, mentre Mc, che non ebbe a che fare con lui, lo lascia nell’oblio. E’ probabile che la catechesi degli Apostoli corrispondesse alle parole di Mc, mentre Mt l’ampliò leggermente per fare spazio alla figura del traditore.

Ancora un momento estrapolato dal corso della Cena: l’istituzione dell’Eucarestia, avvenuta mentre mangiavano e descritta ai vv. 22-25. E’ praticamente uguale a Mt 26,26-29. Mc non riporta le esortazioni di Gesù a mangiare e bere il pane e il vino, ma esse sono ampiamente sottintese. In quanto parte integrante del rito, Mt dovette inserirle per forza, riprendendole dalla viva voce di Gesù, per attribuire a Lui il gesto stupefacente di nutrirsi del Figlio di Dio, strabiliante per degli ebrei più che per i pagani. Mc, per essere più chiaro di Mt, al v. 24 dice “To aima mou tēs diathēkēs il mio Sangue, il Sangue dell’Alleanza”. Forse quest’espressione, più vissuta, è quella vera di Gesù, rispetto a quella di Mt. Manca però “eis afesis amartion in remissione dei peccati”, che c’è in Mt e che uscì di sicuro dalla bocca di Gesù per spiegare il senso del sacrificio imminente, che invece era nota ormai ai lettori cristiani di Mc.

Ai vv.26-31 la predizione del rinnegamento. Nessuna differenza con Mt, tranne la puntualizzazione fondamentale del v.30: Gesù predisse tre rinnegamenti prima di due canti del gallo. Questo particolare, obiettivamente secondario, è del solo Mc, perché ricordato con scrupolo da Pietro. Per i movimenti ai vv.26.32 valga quanto ho detto per il Vangelo di Mt. Mc preannunzia che Gesù andrà in Galilea, ma nel suo Vangelo non se ne parlerà più: segno almeno che i fatti della Resurrezione erano noti sia all’Evangelista che ai suoi lettori.

I fatti del Gethsemani sono descritti con gli occhi dei discepoli, in particolare dei tre che Gesù prese con sé. La paura e l’angoscia sono riconosciute in Gesù da Pietro, Giacomo e Giovanni attraverso il suo volto e i suoi atteggiamenti, e li tramandano ai posteri tramite Mt e Mc. Mt parla di tristezza e angoscia, distinguendo tra le sfumature evidentemente ciò che lo colpì maggiormente, come del resto fece Mc indicando la paura. Le parole di Gesù al v.34 sono identiche a quelle di Mt 26,38. Gli Apostoli lo videro andare un po’ avanti (Mt 26,39; Mc 14,35), prostrarsi a terra e ripetere più volte: “Pater mou, ei dynaton estin, parelthetō ap’emou to potērion touto! Plēn oukh hōs egō thelō all’ōs sy. Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice ! Però non come voglio io ma come vuoi tu (Mt 26,39). Oppure: “Abba ho patēr, panta dynata soi ! Parenenke to potērion touto ap’emou ! All’ou ti egō thelō, alla ti sy. Padre, tutto è possibile a Te ! Allontana da me questo calice ! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu ! (Mc 14, 36). Forse Gesù pregò alternando le formule, simili nel contenuto ma diverse nel grado d’angoscia che tradiscono. I discepoli le udirono, non capendone appieno il significato. Mc nota che Gesù disse “Abbà”, un diminutivo di padre. Nel Mt aramaico certo non si distingueva, e poi fu tradotto in Patèr in greco; ma in Mc greco spicca: forse Gesù pregò in un misto di greco e aramaico; forse Mc non seppe trovare una traduzione greca fedele – che infatti non esiste; forse è il termine proprio di Gesù per chiamare il Padre suo. Dopo la preghiera di Gesù, più volte ripetuta, i tre Apostoloi scivolano nel sonno. E il racconto riprende quando si svegliano, per il rimprovero di Gesù. Le sue parole sono uguali in Mt e Mc; in entrambi si rivolge a Pietro, ma in Mc si ricordano le parole dette al solo Pietro, e in Mt quelle per tutti e tre. In Mt evidentemente il rimprovero a Pietro è implicito in quello agli altri due apostoli; in Mc traspare l’umiltà di Pietro, che voleva sottolineare, narrando i fatti del Gethsemani, che non aveva saputo vegliare neanche un’ora con il Maestro. Ma anche Lc ricorda il rimprovero agli altri due. Probabilmente Gesù rimproverò prima Pietro, al quale si era esplicitamente rivolto, e poi gli altri due: “Simōn, katheudeis ? Ouk iskhysas mian hōran grēgorēsai ? Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola con me? [Mc 14,37] Houtōs ouk iskhysate mian hōran grēgorēsai met’emou? Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?[Mt 26,40] Grēgoreite kai proseukhesthe, ina mē eiselthēte eis peirasmon; to men neuma prothymon, ē de sarx asthenēs. Vegliate e pregate per non cadere in tentazione. Lo spirito è forte, ma la carne è debole. [Mt 26,41; Mc 14,38]”. Infatti la seconda espressione di biasimo è più forte e si estende a più persone, preparando il detto sapienziale della fine. I XII lo videro allontanarsi allora di nuovo, come annotano Mt e Mc, e lo sentirono ancora pregare, alludendo a un misterioso calice. Mt (26,42) riporta le nuove parole, Mc parla genericamente di espressioni simili alle precedenti (v.39). Forse Pietro era troppo insonnolito per ricordarsele; certo gli Apostoli si riaddormentarono e il filo del racconto si spezza di nuovo: le parole ai vv. 43 di Mt e 40 di Mc sono le stesse perché hanno a monte la stessa esperienza; il secondo evangelista annota che al nuovo risveglio non sapevano che rispondere. Dopo la terza orazione e il terzo ritorno Gesù dà un permesso finale ai Tre di dormire pure. Mt ha descritto l’ultimo allontanamento di Gesù, ma le sue parole sono state coperte dal sonno; Mc ha invece velocizzato il racconto. Qualche divergenza sulle ultime frasi dette da Gesù si deve forse al fatto che Mc è stato più discorsivo e Mt più corretto sintatticamente. “Apekhei, ēlthen ē ōra Basta, è venuta l’ora..” è un fraseggio marciano che forse suppone una qualche giustificazione dei Tre. Le parole di Gesù in Mc sono più aderenti al contesto emotivo in cui Gesù le pronunziò. Potrebbe aver detto: “Katheudete to loipon kai anapauesthe˙Apekhei, ēlthen ē ōra, idou paradidotai ho huios tou anthropou eis tas kheiras tōn amartōlōn. Egheiresthe, agōmen˙ idou ho paradidous me ēnghiken. Dormite ormai e riposate [Mt 26,45; Mc 14,41]. Basta, è venuta l’ora ! [Mc 14,41 b]. Il Figlio dell’Uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori [Mc 14,41 c]. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce si avvicina [Mc 14,42]”.

Ai vv.43-52 è descritto l’arresto di Gesù, che però in Mt è più esauriente. Mc adopera la forma veloce, adatta allo sprint dei fatti. I passaggi drammatici sono rapidi flash: Giuda che si accosta a Gesù e lo bacia; i gregari del Tempio gli saltano addosso; uno dei discepoli taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote; Gesù dice poche, accalorate parole, e poi tutti fuggono. Mancano un rimprovero a Giuda e al discepolo che sfodera l’arma; manca la reazione delle guardie all’aggressione del discepolo; manca la reazione degli altri discepoli; non c’è la procedura sommaria dell’arresto – omessa anche da Mt. Mt è dunque schematico, e Mc omissivo, per la forma rapida. Mancano pure gli avverbi di raccordo di Mt tra i versetti, e si procede per immagini, fotogrammi. Il discepolo aggressore è Pietro, non nominato per umiltà o prudenza; Mc omette significativamente tutti i particolari di Mt, quasi fossero già noti, mentre, uscendo dalla forma veloce, menziona il giovinetto che segue Gesù con un lenzuolo. E’ un particolare assolutamente inutile. Forse era Mc lo stesso giovinetto; sarebbe dunque stato discepolo di Gesù da ragazzo, e testimone di alcuni eventi già narrati.


Theorèin - Ottobre 2006