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Ai vv.47-53 è descritto l’arresto di Gesù. Questo piccolo brano è concepito da Lc in modo autosufficiente rispetto ai passi successivi, ma non sfugge alla legge delle integrazioni e dei rimandi ai passi paralleli di Mt e Mc. Al v.47 c’è una falsa apertura, che non si riferisce al momento in cui Gesù dice le cose del v.46, ma ad un altro posteriore in cui egli tuttavia parla. Lc non si sofferma sulla turba di gente, già descritta da Mt e Mc, ma si capisce che sono soldati. La menzione di Giuda è la prima dopo la cena: pur avendo cambiato il modo di narrare la profezia del tradimento, Lc non ha modificato lo schema di Mt e Mc che fanno uscire di scena il traditore per farlo ritornare nel Gethsemani. Al bacio Lc non fa seguire spiegazioni: evidentemente i suoi lettori sapevano perché Giuda baciò Gesù. Apparentemente la frase al v.48, detta da Gesù, sembrerebbe suggerire la spiegazione, ma essa sarebbe valida solo se supponessimo che Gesù e la turba arrivassero separatamente. Infatti solo se si fossero nascosti i soldati avrebbero avuto bisogno di un segno come un bacio; diversamente sarebbe stato sufficiente un gesto o una parola. Mt 26,50 ha conservato bene questo passaggio, dicendo che le guardie, dopo il bacio, “proselthontes si fecero innanzi” per arrestare Gesù. Mc lo ha invece perso in modo maldestro. Tuttavia Lc, se ha omesso la spiegazione del gesto di Giuda, lo ha fatto rivestendo il rimando a Mt – e a Mc – con un’elegante forma drammatica al v.47. Essa suggerisce sottilmente ciò che non è detto esplicitamente. “Eti autou lalountos Mentre Gesù parlava” dà la collocazione cronologica, ma suggerisce anche il clima di impreparazione che regnava nel gruppo apostolico, che non si attendeva l’arrivo delle guardie. Il loro sopraggiungere è rapido, tanto rapido da richiedere nella descrizione scritta il dittico “idou ecco” e l’ellissi del verbo. Anche l’espressione “okhlos turba di gente” evoca la velocità dell’evento: all’improvviso il fragore della massa disordinata rompe la quiete notturna dell’Orto, e i presenti non fanno neppure in tempo a riconoscere chi sia quella gente comparsa dal nulla. Naturalmente quell’incertezza durò pochi attimi, e gli altri vangeli hanno ben descritto chi fosse quella gente, perché gli apostoli lo capirono e anche i semplici fedeli, che avrebbero letto Lc, sapevano da chi Gesù era stato arrestato. Tuttavia l’evangelista non fornirà altri chiarimenti, se non attraverso la dinamica del testo. Dopo l’interpunzione, Lc dice che a precedere la turba era Giuda. L’uso dell’imperfetto suggerisce che egli avanzasse alla sua testa, ma a ciò si oppone il v.48, cosicché il verbo “proērkheto precedere” va inteso nel senso di “arrivare prima”, mentre il tempo verbale suggerisce che, mentre Giuda arrivava, la turba di gente faceva lo stesso, senza dare nell’occhio. Sembrerebbe dunque che Lc, avendo descritto l’arrivo della turba davanti a Gesù, abbia poi fatto un passo indietro, descrivendo ciò che era accaduto immediatamente prima. In questo caso, però, avrebbe dovuto usare non un imperfetto, ma un piuccheperfetto. Letteralmente dovremmo dunque ritenere che Lc descriva in parallelo il repentino distribuirsi dei soldati tra gli alberi dell’Orto e l’avanzare solitario di Giuda. Ma l’uso del deittico “idou ecco” è troppo sapiente, assieme all’espressione “okhlos turba di gente”, per non suggerire il momento in cui i soldati irrompono innanzi a Gesù. Così si giustifica l’omissione del verbo, che il lettore può sottintendere come aoristo o imperfetto, tanto è proprio l’indeterminatezza che permette a Lc di evocare in primo piano l’arrivo delle guardie, di tratteggiare il tradimento in subordine, di narrare entrambi gli eventi in una forma veloce legata ad una figurazione quasi teatrale, senza essere troppo condizionato dalla consecutio temporum. Al momento del bacio, la narrazione subisce un rallentamento: quello che avviene è il famoso tradimento. Giuda si accosta a Gesù e lo bacia. Gesù gli dice una frase di rimprovero che è radicalmente diversa da quella di Mt e Mc. Tuttavia, siccome tutti, in questo frangente, adoperano una forma velocizzata che rende stilisticamente l’incalzare dei fatti, può essere che tra Gesù e Giuda ci sia stato uno scambio di battute più lungo di quanto non appaia. Già Lc, per esempio, non ricorda il saluto del traditore riportato da Mt e Mc. Probabilmente Gesù esordì proprio con le parole del v.48: “Iouda, filēmati ton Hyon tou anthrōpou? Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’Uomo?”, per poi darsi da solo una sconsolata risposta: “Etaire, ef’ho parei Per questo sei qui!”. Al v.49 Lc si riallaccia all’arrivo della turba. Evidentemente, anche gli altri apostoli, che Gesù aveva lasciato in disparte (come Mt e Mc) si erano aggregati al gruppo, e le intenzioni dei soldati verso Gesù erano ormai palesi. Probabilmente Gesù era stato già arrestato, come Mt e Mc ci dicono, mentre Lc omette, per la velocizzazione. Per il terzo evangelista quell’arresto non era irreparabile, in quanto una reazione armata avrebbe potuto vanificarlo. E questo era la convinzione di quelli che erano con Gesù, i quali chiedono al Maestro se debbono resistere, mentre uno di loro, senza neppure aspettare, tronca l’orecchio di un servo. Ma Gesù, in modo altrettanto repentino, tronca il tafferuglio che sta iniziando con un ordine e un intervento miracoloso. In questo passaggio (vv.49-51) la narrazione sembra essersi rallentata, in realtà però l’omissione della reazione delle guardie e della descrizione dell’arresto mostrano che il racconto procede per immagini, incentrate su Gesù, essenziali ma esaurienti. Anzi, proprio in conseguenza di questa mancata lotta tra i discepoli e i soldati dev’essere maturata nei primi l’idea della fuga, che Lc non riporta ma suppone. L’omissione di questo particolare è l’ultima traccia della forma veloce in questo brano. Esso risulta così costruito in modo sapientissimo, dal cui sfondo emergono tre episodi: il tradimento, la resistenza dei XII e l’allocuzione di Gesù a chi lo arresta. Il tutto nella più genuina tradizione sinottica. Al v. 52, con una tecnica adoperata anche nel racconto delle Donne al sepolcro, Lc svela chi compone la turba di gente, e questa elencazione rallenta ancora il racconto. L’effetto è potente: Gesù è padrone degli eventi, anche nella loro drammaticità; il rallentamento vuole suggerire proprio questi due aspetti: quando Gesù parla, tutto si fa più lento, quasi che lui possa fermare, a piacimento, il corso frenetico degli eventi che sembra travolgerlo; ma l’enumerazione dei destinatari delle parole di Gesù, così gravi e drammatiche, svelando la vastità del complotto dei potenti contro uno solo, evoca anche, con rara potenza, il senso del tragico già impresso all’inizio del racconto. Naturalmente il “De poi” al v.52 indica una successione cronologica apparente. Non credo che ci fossero realmente sommi sacerdoti e anziani ad arrestare Gesù, al massimo qualcuno di loro. Il plurale con cui Lc indica la loro presenza e quella dei capi delle guardie del tempio è enfatico. Le parole di Gesù sono pressochè simili a quelle di Mt e Mc. La maggiore concordanza tra questi due induce a ritenere più plausibile storicamente ciò che essi attestano. Mt dice: “Ōs epì lēstēn exēlthate meta makhairōn kai xylōn syllabein me. Kath’ēmeran en to hierō ekathezomēn didaskōn, kai ekratēsate me Touto de olon ghegonen, ina plērōthōsin ai grafai tōn profētōn. All’autē estin hymōn e ōra kai exousia tou skotous. Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel Tempio ad insegnare e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le scritture dei profeti”. Mc riporta: “Ōs epì lēstēn exēlthate meta makhairōn kai xylōn syllabein me; kath’ēmeran ēmēn pros hymas en to hierō didaskōn, kai ouk ekratēsate me. All’ina plērōtōsin ai grafai. Come contro un brigante, con spade e bastoni, siete venuti a prendermi. Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture”. Sono pressoché identiche. Lc modifica lievemente la prima frase, rendendola interrogativa: “Ōs epì lēstēn exēlthate meta makhairōn kai xylōn; Siete usciti con spade e bastoni, come contro un brigante?” Ma la comune testimonianza di Mt e Mc che ne fa un’affermativa ci fa scartare questa ipotesi. Poi Lc scrive: “Kath’ēmeran ontos mou meth’hymōn en to hierō ouk exeteinate tas kheiras ep’emè Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me”, ed è una frase pressoché uguale a quelle di Mt e Mc; infine dice: “All’autē estin hymōn e ōra kai exousia tou skotous. Ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre”. Questa frase è la più divergente. Tuttavia ciò non significa che non possa essere stata pronunziata. Forse fu detta prima della constatazione dell’adempimento delle Scritture. In ogni caso, Lc dipende dai ricordi di qualche testimone, forse lo stesso della Sudorazione di Sangue. Un’ultima annotazione sulla frase al v.51. Gesù dice: “Eate, heōs toutou! Lasciate, basta così!”. Questa frase o fu creata da Lc per evitare la più lunga espressione parallela di Mt, o fu detta come prima reazione ai gesti violenti degli apostoli, e fu poi seguita da una più ampia giustificazione del ripudio della violenza. E’ mirabile vedere, alla fine dell’analisi, come Lc si integri con Mt e Mc. Egli condivide con questo la forma veloce; tuttavia omette il saluto di Giuda a Gesù, narrato da Mt e Mc, e riporta il rimprovero, tralasciato da Mc ma non da Mt, sebbene questi lo riporti con parole diverse; Lc contestualizza la reazione dell’apostolo che sfodera la spada all’interno di un più vasto senso di ribellione del gruppo dei discepoli, cosa non fatta né da Mt né da Mc, ma riprende da Mt il ruolo pacificatore di Gesù, con parole sommarie, menzionando però una guarigione miracolosa del servo che ovviamente quieta le animosità. Infine rimprovera chi lo arresta, mentre i discepoli fuggono, senza che Lc lo rilevi come hanno invece fatto Mc e Mt. C’è un incastro ancor più perfetto tra Mc e Lc: la forma veloce di Mc inizia dal bacio, e omette il rimprovero, le modalità dell’arresto e dell’abbandono dei discepoli, la reazione dei XII e l’intervento di Gesù; la forma di Lc inizia dal primo versetto del brano, omette il saluto, le modalità dell’arresto e l’abbandono dei discepoli, mentre ricorda il rimprovero, la reazione dei XII e l’intervento di Gesù. Una complementarietà perfetta. Persino in una minuzia. Mt dice: “Afeilen autou to ōtion Gli staccò un orecchio”, Mc, più maldestramente, “to ōtarion l’orecchio”; Lc, perfettamente, “to ous ..exion l’orecchio destro”. Appare chiaro che Lc volle integrare soprattutto il secondo vangelo. Dal v.54 al v.62 sono descritti i rinnegamenti di Pietro. Il racconto non fornisce particolari difficoltà. Come Mt e Mc, Lc costruisce l’episodio in modo schematico. Non spiega come Pietro potè entrare nella casa del sommo sacerdote, evidentemente perché il pubblico lo sapeva. E’ un dettaglio trascurato pure da Mt e Mc, e prova dunque che l’episodio era noto, e che i lettori potevano sapere come Pietro fosse entrato. Lc racconta il rinnegamento in modo nient’affatto nuovo. Spiega, come Mc e Mt, che Pietro era vicino al fuoco, e specifica che questo fu acceso in mezzo al cortile, evidentemente sotto la cappa celeste. Senza troppo preoccuparsi delle circostanze in cui rinnegò il Maestro, Lc enumera tre momenti, dipingendo con precisione il cuore dei fatti. Il primo rinnegamento è davanti a una serva; il secondo è dinanzi a un imprecisato personaggio; il terzo dinanzi ad un altro ancora, che “diiskhyrizeto insisteva”, ossia ripeteva la sua asserzione. I movimenti di Pietro non sono citati, ma la schematicità del racconto non permette di escluderli. L’unica vera novità è il v.61: “ho Kyrios eneblepsen tō Petrō.. Il Signore, voltatosi, guardò Pietro..ecc.” Questo versetto pone tre problemi: 1) quando e da dove Gesù guardò Pietro; 2) perché Mt e Mc non ne parlano; 3) se Pietro vide Gesù che lo guardava.
Al vv.63-65 Lc descrive gli oltraggi patiti da Gesù in casa di Caifa. Potrebbero essere quelli inflittigli dai sinedriti durante l’udienza del sommo sacerdote, ma non tornano alcuni particolari: anzitutto Lc dice che ad infliggere a Gesù gli oltraggi non sono né sacerdoti né scribi né servi, ma “oi andres oi sunekhontes auton gli uomini che lo avevano in custodia”, guardie o servi che siano. Inoltre gli oltraggi sono diversi: non vi è menzione degli sputi in viso, né degli schiaffi o delle bastonate, al posto delle quali si dice generalmente che Gesù era percosso; sembra che Lc voglia focalizzare l’attenzione sul gioco dell’indovinello. Infatti egli scrive: “enepaizon autō derontes lo schernivano e lo percuotevano”, e poi, esplicitando il senso della congiunzione, che introduce il modo con cui era schernito, dice: “perikalypsantes auton epērōtōn auton legontes: Profēteuson, tis estin ho paisas se? lo bendavano e gli dicevano: Indovina, chi ti ha colpito?” Sembra dunque che i custodi di Gesù non facessero altro, tanto più che Lc aggiunge: “kai etera polla blasfēmountes elegon tis auton Molti altri insulti dicevano contro di lui”. Se gli avessero sputato addosso, Lc lo avrebbe ricordato. Dunque i resoconti di Mt – Mc e Lc non collimano. Inoltre, questa breve sezione è introdotta da un “kai frattanto” che rende paralleli questo racconto e l’uscita di Pietro, che se ne va a piangere. Invece Mc e Mt avevano raccontato prima gli oltraggi dei sinedriti e poi il rinnegamento, non creando una sincronia così precisa e quindi non mettendoci in condizione di supporla. Invece Lc, facendo l’esatto opposto, ci spinge a credere che egli volesse descrivere proprio gli oltraggi patiti da Gesù per mano dei suoi carcerieri in attesa del processo del mattino, dopo la fine dell’udienza con Caifa e dopo che Pietro lo aveva rinnegato e mentre piangeva, essendosi ormai allontanato. Ciò rafforzerebbe la linea di lettura per cui l’evangelista ci ha voluto narrare ciò che Mt e Mc hanno omesso, in una sapiente opera d’incastro coi loro racconti. Ma c’è di più. Un lettore moderno può rimanere perplesso perché della notte del venerdì santo, a parte l’agonia e il tradimento con l’arresto, indispensabili snodi dei fatti allora avvenuti, Lc non riporta altro, in comune con Mt e Mc, che il rinnegamento di Pietro, preferendolo al processo davanti a Caifa. In realtà, Lc è costretto a farlo per introdurre il racconto di ciò che accadde dopo quell’udienza giudiziaria, per creare il sincronismo tra quando Pietro se ne andò e quando Gesù rimase a casa di Caifa, in attesa del processo del Sinedrio. E’ pur vero che questo spazio di tempo poteva essere introdotto anche a partire da una sommaria menzione del processo del sommo sacerdote, ma è altrettanto vero che, così facendo, Lc non avrebbe potuto dire che Gesù guardò Pietro mentre questi lo rinnegava. Anche questo particolare, sfuggito a Mc e Mt, andava ricordato, e Lc lo fa nell’unico modo possibile, introducendolo col racconto del rinnegamento, fatto – peraltro – in modo sommario. La menzione di Gesù che guarda Pietro è tanto più importante, se consideriamo che anche questo fatto cade dopo il processo. Da qualunque punto del cortile Gesù vide Pietro, lo fece dopo essere stato condannato da Caifa e dopo gli oltraggi dei sinedriti e nel bel mezzo, quindi, di quelli delle guardie. Infatti l’uso dell’imperfetto coi verbi ai vv.63-65 suppone che le azioni di oltraggio iniziassero prima che Pietro uscisse e proseguissero mentre egli piangeva e anche oltre. Ma prima che Pietro uscisse, questi venne guardato da Gesù. Dunque Gesù guardò Pietro tra gli oltraggi. Con questa analisi cade l’ipotesi che Gesù vedesse Pietro dopo essere stato processo da Anna, perché altrimenti il v.61 si riferirebbe agli istanti prima del processo di Caifa e il v.62, contrariamente a ciò che Mt e Mc dicono esplicitamente, racconterebbe ciò che fece Pietro negli stessi istanti o subito dopo, e non alla fine dell’udienza o verso il suo termine. La fonte di Lc è probabilmente la testimonianza oculare di Gv. Al v.66 si dice che il sinedrio, formato da scribi, sacerdoti e anziani, si riunì, e che Gesù gli fu condotto innanzi. Ciò avvenne al mattino. Analogamente si esprimono Mt e Mc. Questa riunione ufficiale si giustifica perché non era possibile emanare sentenze capitali nella notte. Lc indica il sinedrio con una perifrasi: “to presbyterion tou laou, arkhiereis te kai grammateis il consiglio degli anziani, coi sommi sacerdoti e gli scribi”, come se dicesse: il consiglio, formato dagli anziani assieme ai sommi sacerdoti e gli scribi. Il soggetto del verbo “apēgagon condussero” è “oi andres oi sunekhontes auton gli uomini che lo avevano in custodia” del v.63. Sebbene il sinedrio si riunisse presso il tempio, da Gv sappiamo che esso si riunì a casa di Caifa. E’ da lì, infatti, che Gesù è condotto al Pretorio. Lc non lo specifica, in quanto, avendo detto che egli fu condotto a casa del sommo sacerdote, e non avendo parlato dell’udienza con Caifa, ha già fornito le coordinate spaziali di questo processo. Infatti, se Gesù fosse stato condotto da Caifa solo per esservi custodito, non avrebbe avuto senso. C’erano dei luoghi più appropriati per custodirlo. Lc fa condurre Gesù da Caifa per farlo processare dal sinedrio. Tuttavia il lettore moderno, frastornato dal confronto con Mt e Mc, ha bisogno della conferma di Gv. Mette in imbarazzo che, nel processo mattutino, a Gesù vengano rifatte le stesse domande che in Mt e Mc gli fa Caifa. Sembrerebbe quasi che Lc abbia creato un doppione, o che non conoscesse né Mt né Mc, almeno in questo passo. Ciò è ovviamente impossibile, in quanto non solo, in genere, la diffusione dei vangeli – come di qualsiasi opera antica – era molto veloce, ma anche perché Lc è più recente di Mt e Mc, e fu scritto e diffuso quando i due vangeli antecedenti erano già divulgati e lo stesso Lc, che nel suo prologo asserisce di aver letto tutto quello che era stato scritto prima di lui sull’argomento, potè averli consultati con calma. Lc, che scrisse a Roma, potè peraltro facilmente consultare le copie di Mc custodite da quella Chiesa, e confrontarsi con la tradizione petrina ivi conservata. La mirabile interscambiabilità tra le parti dei tre vangeli è del resto la prova più probante della reciproca conoscenza degli autori, che sempre poi si richiamano ad una comune tradizione orale. Lc sembra presentare i vv.54-71 come segnati da una sola udienza, quella del sinedrio. Sembrerebbe che il sinedrio faccia a Gesù la domanda che Mt e Mc attribuiscono a Caifa (“Sy oun ho huios tou Theou? Tu sei il figlio di Dio?”) e che Gesù risponda affermativamente, incorrendo nella condanna. Dal v.71 sappiamo anche che il sinedrio aveva cercato testimonianze contro Gesù: evidentemente i testimoni sfilarono o prima del suo arrivo o subito dopo. E’ tuttavia altrettanto evidente che il fatto era tanto noto che Lc potè citarlo a margine. Sono infatti gli stessi sinedriti che, nel momento in cui ammettono di non aver più bisogno di testimonianze, attestano di averle cercate. Lc non le ha neanche citate, perché i suoi lettori già le conoscevano, come del resto anche noi posteri, che – come gli antichi – evidentemente le identificarono con quelle rese nel processo notturno. Perciò, a meno che i testimoni non abbiano di nuovo deposto al mattino per ragioni procedurali, è possibile anche che al v. 71 si alluda alle accuse notturne. E’ in verità strano che Lc narri una vicenda pressoché simile a quella della notte ambientandola al mattino. Mt e Mc sono concordi con lui nel porre all’alba una seduta del sinedrio, e lasciano intuire che Gesù vi fu condotto innanzi. Mc suggerisce che Gesù non entrò dall’inizio della seduta, e Lc lo fa intendere chiaramente: “synēkhthē…apēgagon auton si riunì.. lo condussero”. E’ strano che il sinedrio pensasse di cavare di bocca a Gesù due volte una professione di divinità che lo mettesse in croce: era già successo la notte, per cui ci si può chiedere cosa si aspettassero i sacerdoti di sentire da Gesù reinterrogandolo. In realtà, non mise affatto in conto di ottenere da Gesù una ammissione che lo portasse alla morte. Sia nel racconto dell’udienza notturna sia in quella del processo mattutino, si cercano delle prove contro Gesù, e delle testimonianze per incastrarlo. E’ solo dopo aver constatato che le testimonianze non erano concordi, che Caifa nel Vangelo di Mc (e di Mt) pone a Gesù la fatidica domanda: “Sy ei ho Khriston ho huios tou Euloghētou? Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?” Implicitamente anche il sinedrio ha constatato, nel racconto di Lc, che non c’era la possibilità di incriminare Gesù con le testimonianze. Dunque la fatidica domanda non fu deliberatamente pianificata, ma nacque spontaneamente nel corso della tumultuosa udienza. Caifa le diede una intonazione deprecatoria, quasi volesse costringere Gesù a rispondere, avendo constatato che i testimoni erano discordi. Infatti Mt dice che il sommo sacerdote scongiurò Gesù per il Dio vivente di rispondere. A una simile domanda, Gesù non poteva non rispondere, specialmente in un contesto tanto solenne, come l’adunanza del sinedrio, la casa del sommo sacerdote e il 14 nisan. Diciamo che il sinedrio dunque, decidendo di arrestare Gesù di notte, dimostrò la sua paura di non saper padroneggiare gli eventi: il timore che un arresto diurno scatenasse tumulti nella festa fu senz’altro più forte di quello che un processo notturno dovesse essere ripetuto al mattino, e il desiderio di assicurare Gesù alla giustizia prima della pasqua superò quello di lasciar scorrere tranquillamente la solennità religiosa. Si temeva un’insurrezione, ma soprattutto la crescita della popolarità di Gesù: opportunismo politico e invidie personali si mescolarono nella congiura, per cui il sinedrio arrivò all’arresto sostanzialmente impreparato e così, pur avendo pianificato di catturare Gesù prima della pasqua, si ridusse a prenderlo nella notte tra giovedì e venerdì, perché Giuda non trovò occasione migliore per consegnarlo; inoltre, le accuse da muovere contro Gesù non furono preparate in tempo, perché Giuda avvisò il sinedrio troppo tardi. E perciò le testimonianze non furono concordi. Da questo punto di vista, il processo notturno appare chiaramente come un aborto giuridico, assolutamente bisognoso di perfezionamento. In questo senso, la risposta alle due domande iniziali è semplice: il sinedrio avviò la procedura giudiziaria di notte per aver tempo a sufficienza per il processo e per svolgerlo in modo defilato, addirittura in una casa privata, e non pianificò di estorcere all’imputato un’ammissione della sua figliolanza divina, ma colse l’occasione fornitagli dalla sua schiettezza. La procedura notturna andava dunque ripetuta, per una questione procedurale. E il consiglio mattutino si riunì per farlo appunto morire, come dice Mt, evidentemente ricapitolando i capi d’accusa, basati sull’ammissione di Gesù. Questi vi fu introdotto evidentemente dopo una riunione preliminare, come suggerisce il v. 66, e allora gli dev’esser stato chiesto di confermare le dichiarazioni della notte. Si trattava evidentemente di un pro forma: anche se Gesù avesse voluto ritrattare, la sua precedente ammissione aveva ora dei testimoni – i suoi stessi giudici – che potevano sempre incriminarlo per bestemmia, la cui sanzione era la morte. Così è probabile che il sinedrio, a maggior titolo del sommo sacerdote, abbia ripetuto la domanda a Gesù sulla sua vera natura. Qualunque fosse stata la sua risposta, la condanna era certa. Ma il contesto era solenne, e la domanda fu ultimativa: “Ei sy ho Khristos, eipon ēmin! Se sei il Cristo, diccelo!”. E Gesù, coerente con se stesso, rispose con serena dignità, dicendo: “Ean hymin eipō, ou mē pisteusēte; ean de erōtēsō, ou mē apokrithēte Anche se ve lo dico non mi crederete, e se v’interrogo non mi risponderete”, lascia chiaramente intendere che già lo aveva affermato – evidentemente la notte – e che non accettava l’ipocrita legalismo dei suoi giudici, perché essi, pur reinterrogandolo, non accettavano di fatto che egli potesse in nessun modo dibattere con loro giustificandosi. E la nuova citazione del Sal 109,1 e di Dn 7,13 non è una duplicazione di Lc, ma una specificazione che Gesù fa, nuovamente, della sua identità messianica: non un Cristo generico, ma il Cristo Figlio dell’Uomo, coerente con l’immagine di sé che aveva dato nei tre anni di vita pubblica, nel corso dei quali si era autodenominato appunto sempre Figlio dell’Uomo. Su questo torneremo più avanti. Da questo ne derivava, appunto, come era derivato nella notte, che egli fosse anche Figlio di Dio. La domanda del sinedrio fu di nuovo spontanea: “Dunque tu sei il Figlio di Dio?”, e la risposta, appunto fu quella che abbiamo detto: “Hymeis leghete oti egō eimi Lo dite voi stessi, io lo sono”. L’asserzione del v.71 potrebbe non tanto riferirsi alla ricerca di testimonianze anteriori, quanto piuttosto all’ipotesi di verbalizzare quanto accaduto nella notte, mediante una nuova testimonianza degli stessi giudici. Gesù fu poi incatenato (Mt e Mc), ma Lc non lo dice. Il soggetto di “ēgagon lo condussero” è impersonale, riferito al sinedrio. La descrizione di Lc del processo romano è più curata, più precisa. mentre Mt aveva tre momenti: 1) Gesù dal governatore che gli chiedeva se fosse il re dei Giudei; 2) la contemporanea formulazione di molte accuse da parte dei sacerdoti; 3) una seconda domanda di Pilato: “Ouk akoueis, posa sy katamartyrosin? Non senti quante cose attestano contro di te?”. Mc aveva la stessa struttura, ma la sua domanda finale era più vera, discorsiva: “Ouk apokrinē ouden? Ide posa sou katēgorousin ! Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano”, ricca di quello sconcerto che deve aver pervaso il procuratore dinanzi al silenzio del suo prigioniero. I tre momenti sono uno schema: le due domande riassumono due interrogatori, e le risposte di Gesù restituiscono in breve le sue reazioni: “Sy legheis Tu lo dici”, per indicare che Gesù ammise dinanzi a Pilato la sua identità, ma non si volle giustificare; il silenzio, per far capire che non diede più alcun altra delucidazione. Ciò non significa che l’istruttoria sia stata così sommaria. Lc scioglie la riserva di Mt e Mc sulle accuse del sinedrio, presentandoci quelle introduttive, eminentemente politiche (v.2) e quelle formulate nel corso dell’istruttoria. Tuttavia, Lc presenta il v.4 come riguardante fatti accaduti quando già il popolo si era riunito per richiedere la liberazione del prigioniero. Evidentemente la folla si riunì sotto il pretorio prima della fine dell’interrogatorio, e forse persino una parte di esso si svolse dinanzi al popolo. Probabilmente Pilato avrebbe voluto rilasciare Gesù senza chiedere il permesso alla folla, ma i sacerdoti dovettero aver accusato Gesù dinanzi al popolo appena riunito, anche per giustificarsi del suo arresto. Ecco perché Pilato rende conto anche alla folla. Evidentemente i sacerdoti, al v.5, ripetono le loro accuse durante questo processo pubblico. Non deve meravigliare che Lc parli della folla senza spiegare l’usanza del rilascio su richiesta popolare, la cui conoscenza dava dunque per scontata. A meno che il v.17, tradizionalmente espunto dal testo, non sia autentico. In questo caso – in verità più logico – la folla accorse per la scelta tra i prigionieri da liberare, e il sinedrio cominciò a subornarla per metterla contro Gesù. Le accuse del sinedrio sono tutte politiche, ma il dibattito dovette vertere anche su questioni religiose, di cui il sinedrio si servì per mettere la folla contro Gesù. Lc non le ricorda perché esse furono trascurate da Pilato, che non le capiva e non poteva giudicarle. Dal v.6 al 12 c’è un brano che né Mt né Mc hanno inserito: il processo davanti a Erode. Lc lo sceglie proprio per il suo gusto di armonizzare il suo vangelo con gli altri, integrandoli. Mt e Mc non lo citano, perché ininfluente di fatto per la soluzione del caso di Gesù, in quanto Erode Antipa non pronunziò contro di lui nessuna condanna. Lc potè conoscere questo episodio sia da Manaèm, compagno d’infanzia di Erode stesso, che dalla folla, che fu testimone dello spostamento. Anche Erode fece un simulacro di processo, come attesta la presenza delle guardie. Probabilmente, dopo che Gesù fu riportato da Pilato, questi, non sapendo più come cavarsi d’impaccio, pose al popolo l’interrogativo di Mt 27, 18 e di Mc 15, 9. Nel frattempo ricevette – o aveva già ricevuto – il messaggio della moglie narrato da Mt. Quando Pilato si rivolse al popolo, accompagnò la sua richiesta di scelta tra Gesù e Barabba con la giustificata convinzione dell’innocenza di Gesù (vv.13-16). Questa perorazione si giustifica perché Pilato voleva influire sulla folla, in quanto sapeva che Gesù “dia fthonon paredōkan auton gli era stato consegnato per invidia” (Mt). Al v.16 egli esprime le intenzioni che avrebbe realizzato se il popolo avesse scelto Gesù: lo avrebbe castigato e rilasciato. Al v.14 b c’è la prova che il processo ai vv.2-5 avvenne davanti al popolo. Tra il v.16 e il v.18 c’è iato temporale, in quanto la folla ebbe tempo di decidere. Credo poi che il v.17 non sia apocrifo. Anche Lc presenta tre richieste di condanna della folla a Pilato. Però, dopo aver ampiamente sviluppato la prima (vv. 13-19), fa intendere che la seconda (vv.20-21) fu molto più articolata della semplice botta e risposta di Mt e Mc. E’ evidente che sia Mt che Mc che Lc seguono un ordine schematico. Quindi le lapidarie frasi di Mt e Mc sono volutamente sintetiche. Il terzo botta e risposta è ancor più sviluppato. Pilato promette una nuova punizione per Gesù. Cosa egli intendesse non sappiamo, forse si riferiva alla flagellazione. Dopo le reiterate insistenze del popolo, Pilato cede: l’episodio delle mani lavate rientra nel v.24 e Lc non lo ripete (come del resto Mc), perché Mt lo aveva già raccontato. Lc registra con orrore che la folla preferì a Gesù un sedizioso omicida. Gesù venne flagellato, secondo Lc? Certo che sì. La flagellazione era un preludio normale alla crocifissione per i Romani, dunque l’omissione di Lc non ha nulla di sospetto. Anzi, se ipotizzassimo che il severo castigo invocato da Pilato comprendesse almeno la flagellazione, potremmo credere che Gesù fu flagellato dopo la prima richiesta di morte, per placare la folla. In tale contesto, al v.22 Pilato prometterebbe ulteriori castighi che non potè infliggere a Gesù per la condanna a morte. Nemmeno l’incoronazione di spine è menzionata, ma anch’essa, pur non essendo istituzionale, era assai comune tra i soldati di Gerusalemme. Inoltre essa era stata assai ampiamente narrata da Mt e Mc. E Lc riempie la passione di particolari inediti: il processo mattutino, quello davanti ad Erode, le parole di Pilato e – come vedremo – il viaggio al Calvario. Lc da per scontata tutta la procedura della condanna (vv.25-26), e specifica che Simone di Cirene portò la croce dietro Gesù, ossia con lui, sostenendo la trave nella parte posteriore. L’uso del pianto funebre, descritto nel toccante episodio dei vv.27-32, era prescritto dal Talmud. Le donne sono respinte da Gesù, e non possono offrirgli nessun calmante, come era prassi. Lc riporta l’episodio per le importanti parole di Gesù: (vv.28-31), che profetizza la caduta di Gerusalemme e allude alla responsabilità dei peccatori nella sua fine. Non c’è ragione di dubitare della storicità di queste parole: furono raccolte con amore dalle donne e dallo stesso Simone di Cirene, padre di Alessandro e Rufo. Erano pur sempre le ultime parole prima della crocifissione! Lc registra poi ciò che gli altri evangelisti avevano appena adombrato: Gesù era seguito da una grande folla, che lo seguì anche fuori di Gerusalemme, dove fu incontrato Simone di Cirene. Diversa da quella di Mt e Mc è la presentazione che Lc fa del Calvario. Anzitutto ci riporta le parole che Gesù ripeteva durante la crocifissione, evidentemente più volte: “Pater, afes autois: ou gar oidasin ti poiousin Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (v.34). Inoltre omette l’offerta dello stupefacente a Gesù perché già noto. In questo modo i vv.33-34 completano i passi paralleli di Mt e Mc. La parola Golgota, ebraica, non appare nel testo scritto dal pagano convertito di lingua greca. Degli oltraggi, Lc dà un’immagine sincronica: i capi (v.35), i soldati (vv.36-37), la beffa della scritta sulla croce (v.38), l’insulto del ladrone (vv.39-43). Lc separa lo scherno dei capi da quello del popolo, soffermandosi su quello che stava a vedere, mentre Mt e Mc avevano ricordato gli insulti dei passanti. Ma lo sguardo del popolo non è di compassione, ma di fredda curiosità. Le ingiurie e gli scherni appaiono ripetuti, come l’offerta dell’aceto, che appare malevola. Lc unì in un polisindeto tutte le azioni delle guardie contro Gesù, senza pretesa di successione logica; forse parlò genericamente di offerte reiterate d’aceto, ma non si può escludere che si dissetassero più volte i condannati. A questo fosco quadro fa da contrappeso l’episodio delicato del Buon Ladrone. Lc lo conobbe da chi era ai piedi della croce. Il ladrone buono dimostra di credere che Gesù risorgerà e tornerà nella gloria (v.42), mentre al v.43 Gesù fa una dichiarazione che attesta chiaramente la sua dottrina sull’immortalità dell’anima. Gli insulti del cattivo ladrone e la difesa del buono si ripeterono più volte, come si evince dagli imperfetti (vv. 39.40). Diede forse più risposte, fuse nel ricordo in una sola. Lc ricorda l’eclisse al v. 44, e pone lo squarciamento del velo prima della morte di Gesù, con una personale interpretazione teologica. Non essendoci evidentemente testimoni oculari del fatto, ogni evangelista potè porlo in un momento anche diverso del primo pomeriggio. Per Lc, Gesù apre il paradiso anche a se stesso soffrendo e obbedendo fino alla fine. L’evangelista non dà il racconto di Mt e Mc sulla morte di Gesù, ma dice quale fu l’alto grido che diede quando fu abbeverato di aceto: “Pater, eis kheiras sou paratithemai to pneuma mou Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (v.46), per poi morire. Lc si riferiva evidentemente ai ripetuti gesti delle guardie per dissetarlo quando disse al v.36 “proserkhomenoi, oxos prosferontes autō gli si accostavano per porgergli dell’aceto”. Non fa però nessun cenno al terremoto per le stesse ragioni di Mc. Dopo la morte di Gesù, Lc descrive le reazioni del centurione (v.47) e della folla (v. 48). Le parole qui riportate del centurione sono diverse da quelle di Mt e Mc, più adatte alla mentalità di un romano. La conversione, parziale, delle folle, che prepara il successo della predicazione degli apostoli a Pentecoste, è riportata dal solo Lc, autore anche degli At. Questo versetto è in linea con tutti gli altri non proprio aderenti al racconto della Passione che Lc ha sparso qua e là (26-32; 39-43). Al v.49 Lc ci dice dove stavano gli apostoli e i discepoli, con le donne: “apo makrothen lontano”, presso il muro della città. Non è chiaro se fossero lontane pure le donne o se esse assistessero più da vicino. Certo per Gv ai piedi della croce c’erano solo la Madre di Gesù, sua sorella, Maria di Cleofa e Maria di Magdala, oltre a Giovanni. Le altre donne erano dunque distanti. Ai vv. 50-56 è descritta la sepoltura. |